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Rinuncia al ricorso: inammissibile per carenza di interesse

Un contribuente, dopo aver impugnato un avviso di accertamento fiscale fino in Cassazione, aderisce a una definizione agevolata. La Corte Suprema dichiara la rinuncia al ricorso e la conseguente inammissibilità per sopravvenuta carenza di interesse, poiché l’adesione alla sanatoria manifesta la volontà di non proseguire il contenzioso, anche se la rinuncia formale non è stata perfezionata.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rinuncia al Ricorso: Inammissibile se Aderisci alla Sanatoria Fiscale

L’adesione a una definizione agevolata durante un processo tributario equivale a una rinuncia al ricorso, anche se non formalizzata secondo le procedure canoniche. Questo comporta l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 4336 del 2024, che chiarisce le conseguenze processuali della scelta di un contribuente di risolvere il contenzioso con il Fisco tramite una sanatoria.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da due avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un contribuente per gli anni d’imposta 2007 e 2008. L’Amministrazione Finanziaria contestava redditi non dichiarati, desunti da elementi indicativi di capacità contributiva come il possesso di due autovetture, una residenza principale, quote di quattro residenze secondarie e disponibilità finanziarie utilizzate per acquisti.

Il contribuente impugnava gli atti impositivi, ma i suoi ricorsi venivano respinti sia dalla Commissione Tributaria Provinciale sia, in appello, dalla Commissione Tributaria Regionale. Non dandosi per vinto, il contribuente proponeva ricorso per cassazione, lamentando errori di giudizio e di procedura da parte dei giudici di merito.

La Rinuncia al Ricorso Tramite Definizione Agevolata

Mentre il giudizio pendeva dinanzi alla Corte di Cassazione, si verificava un fatto nuovo e decisivo. Il contribuente presentava una dichiarazione di adesione alla definizione agevolata delle controversie tributarie, prevista dalla legge n. 197/2022. Con questo atto, si impegnava a pagare l’importo dovuto e, implicitamente, a rinunciare al giudizio in corso.

Tuttavia, il contribuente ometteva di depositare la prova del pagamento della prima rata e la ricevuta telematica dell’Agenzia delle Entrate, passaggi formali richiesti per il perfezionamento della procedura. Nonostante questa incompletezza formale, l’atto di adesione ha avuto un peso determinante sulla sorte del processo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse. Il ragionamento dei giudici si fonda su un principio di sostanza piuttosto che di forma.

Sebbene l’atto di rinuncia non rispettasse i requisiti formali dell’art. 390 del codice di procedura civile (notifica alle altre parti o comunicazione ai loro avvocati), la Corte ha ritenuto che la manifestazione di volontà di aderire alla definizione agevolata fosse sufficiente a dimostrare il definitivo venir meno di ogni interesse a una decisione nel merito della controversia. In altre parole, scegliendo la via della sanatoria, il contribuente ha chiaramente indicato di non voler più proseguire la battaglia legale.

Questa scelta, secondo la giurisprudenza consolidata, comporta l’inammissibilità del ricorso. L’interesse ad agire e a resistere in giudizio deve sussistere non solo al momento dell’avvio della causa, ma per tutta la sua durata. Venendo meno tale interesse, il processo non può più proseguire. Di conseguenza, i motivi di ricorso originari non sono stati nemmeno esaminati.

Le Conclusioni

L’ordinanza stabilisce un principio chiaro: l’adesione a una sanatoria fiscale è un atto che prevale sulla continuazione del contenzioso. Anche se la procedura di rinuncia formale al ricorso non viene completata, la sola volontà di definire la lite in via agevolata è sufficiente a far cessare l’interesse alla prosecuzione del giudizio.

Dal punto di vista pratico, ciò comporta due conseguenze rilevanti:
1. Inammissibilità sopravvenuta: Il ricorso viene dichiarato inammissibile non per un vizio originario, ma per un evento accaduto nel corso del processo.
2. Spese compensate: Proprio perché l’inammissibilità è sopravvenuta e motivata da una scelta del ricorrente, la Corte ha deciso di compensare le spese legali tra le parti. Inoltre, non è stato applicato il cosiddetto “doppio contributo unificato”, sanzione prevista per i ricorsi inammissibili fin dall’origine.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per “sopravvenuta carenza di interesse”, poiché il contribuente, aderendo alla definizione agevolata (sanatoria), ha manifestato la volontà di non proseguire il contenzioso, rendendo inutile una decisione nel merito.

L’adesione a una sanatoria fiscale comporta automaticamente la fine del processo?
Sì, secondo questa ordinanza, l’adesione a una definizione agevolata, anche se non formalmente perfezionata secondo le norme sulla rinuncia, è un atto che dimostra la perdita di interesse alla causa e ne determina l’inammissibilità.

Cosa ha deciso la Corte riguardo alle spese legali?
La Corte ha disposto la compensazione delle spese. Questo significa che ogni parte ha sostenuto i propri costi legali. La decisione è motivata dal fatto che la causa di inammissibilità è sopravvenuta durante il processo e non sussisteva al momento della presentazione del ricorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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