Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14719 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14719 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/06/2025
Oggetto: Irpef, Irap ed Iva 2008 Divieto dei nova – Art. 57 d.lgs. 546/1992 – Rinotifica dell’avviso di accertamento -Autotutela sostitutiva – Esclusione.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5265/2019 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME il quale ha indicato come p.e.c. EMAIL;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 6451/14/2018, depositata in data 3 luglio 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
L ‘Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Napoli 1, in data 13 settembre 2016 notificava al ricorrente , esercente l’attività di geometra, l’ avviso di accertamento n. TF3010806378/2012, con
cui rideterminava, per l’anno 200 8, il reddito del contribuente, ex artt. 39 e 41 d.P.R. n. 600/1973, in Euro 773.355,00 (a fronte di Euro 18.290,00 dichiarati), ai fini IRPEF, IRAP ed IVA, sulla base delle movimentazioni dei conti correnti intestati (o cointestati) al ricorrente.
Fallito il procedimento di accertamento con adesione, il contribuente impugnava l’avviso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, deducendo, dopo aver premesso che l’atto era identico ad altro avviso notificato 4 anni prima ed impugnato dal contribuente insieme al susseguente preavviso di iscrizione ipotecaria:
-la violazione dell’art. 42 d.P.R. 600/1973 per carenza di motivazione;
-la violazione dell’art. 43 d.P.R. 600/1973 per la mancata indicazione degli elementi nuovi atti a giustificare l’integrazione o la modificazione dell’accertamento precedentemente notificato;
-l’omesso contraddittorio nei confronti di COGNOME NOME, cointestataria dei conti correnti;
-l’intervenuta decadenza dell’Ufficio, stante l’inapplicabilità del raddoppio dei termini;
-l’illegittimità dell’accertamento, in quanto basato anche sui prelevamenti, nonostante la sentenza n. 228/2014 della Corte costituzionale, e per la mancata acquisizione in copia degli assegni versati;
-la carenza del presupposto impositivo dell’IRAP;
-la duplicazione della pretesa, in quanto il precedente avviso di accertamento non era stato annullato.
L’Ufficio si costituiva eccependo, preliminarmente, l’inammissibilità del ricorso per il divieto del bis in idem , stante la contemporanea pendenza dell’impugnativa avverso il medesimo avviso di accertamento, rinotificato nell’esercizio del potere di autotutela, non già ai fini di integrazione del precedente atto.
Nelle more del giudizio di primo grado l’Ufficio provvedeva ad annullare parzialmente l’avviso, adeguandosi a quanto statuito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 228/2014, rideterminando per l’effetto la pretesa impositiva.
La CTP accoglieva il ricorso ritenendo l’atto impugnato una duplicazione dell’avviso già notificato nel 2012.
L ‘Agenzia delle entrat e interponeva appello innanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania chiarendo che l’atto impugnato non costituiva un nuovo accertamento.
Il contribuente si costituiva eccependo, preliminarmente, per quanto ancora rilevi in questa sede, l’inammissibilità del gravame ex art. 57 d.lgs. n. 546/1992 per avere l’Ufficio proposto motivi nuovi.
La CTR, superata la preliminare eccezione di inammissibilità dell’appello, lo accoglieva in parte dichiarando cessata la materia del contendere in relazione ai prelevamenti sui conti correnti bancari e non dovuta l’IRAP; confermava, quindi, nel resto l’avviso di accertamento impugnato, qualificandolo non già come ‘un altro’ avviso, bensì come ‘lo stesso avviso’ notificato nel 2012 e già impugnato dal contribuente; riteneva, di conseguenza, insussistente l’obbligo in capo all’Ufficio di annullare il preceden te avviso, evidenziando che l’esigenza di rinotificare il medesimo atto era sorta dalla declaratoria di nullità, nel giudizio iniziato dal contribuente avverso l’iscrizione ipotecaria (e gli atti presupposti), della notificazione (eseguita nel 2012) dello stesso avviso, al fine di non incorrere nella decadenza dalla potestà impositiva.
Avverso la decisione della CTR ha proposto ricorso per cassazione il contribuente, affidandosi a due motivi . L’Ufficio resiste con controricorso.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 06/02/2025.
Il Sostituto Procuratore Generale, nella persona del dott. NOME COGNOME ha depositato memoria con la quale ha chiesto rigettarsi il ricorso.
Il 14/01/2025 il procuratore del contribuente depositava copia della sentenza (con attestazione del passaggio in giudicato) resa dalla CTR della Campania (n. 1554/2021) in sede di rinvio nel giudizio proposto dal contribuente avverso il preavviso di iscrizione ipotecaria, con la quale venivano annullati, per vizi relativi alla loro notifica (eseguita nel 2012) i due avvisi di accertamento posti a base del preavviso, uno dei quali è quello relativo all’anno 200 8, come originariamente notificato nel 2012.
Il contribuente ha depositato, altresì, memoria ex art. 380bis1 cod. proc. civ. chiedendo dichiararsi l’inefficacia dell’avviso di accertamento impugnato nel presente giudizio (ove la Corte ritenga trattarsi del medesimo avviso) per effetto del giudicato formatosi sulla validità dello stesso in conseguenza della sentenza n. 1554/2021.
Considerato che:
1. Con il primo strumento di impugnazione il contribuente denuncia la «violazione dell’art. 57 del Dlgs 546/1992 in relazione all’art. 360 co.1 n. 3 c.p.c. » per avere la CTR ritenuto ammissibile (ed accolto) il motivo di gravame dell’Ufficio con cui aveva sostenuto di non avere agito in autotutela sostitutiva (ma di aver unicamente notificato nuovamente lo stesso avviso di accertamento), in aperto contrasto con quanto dedotto in primo grado. Dinanzi alla CTP, infatti, l’Agenzia si era difesa ritenendo legittimo il proprio operato proprio sulla base del potere di autotutela sostitutiva. Il motivo di gravame avrebbe, quindi, dovuto essere dichiarato inammissibile ex art. 57 d.lgs. n. 546/1992, avendo l’Ufficio ‘modificato la propria difesa’ (pag. 9 del ricorso) ed ‘introdotto un tema nuovo’ (pag. 10).
Il motivo è infondato.
1.1. È noto che il divieto di ius novorum in grado di appello è stato introdotto nel 1992 (art. 57 d.lgs. n. 546/1992), difettando, di contro, una espressa disciplina in tal senso nella pregressa normativa del processo tributario (d.P.R. n. 636/1972).
Dottrina e giurisprudenza concorde di questa Corte ( ex multis , Cass. 26/03/2002, n. 4335 e Cass. 24/12/2020, n. 29526) ritengono che, sebbene sia precluso all’Ufficio introdurre nuove ragioni a sostegno della pretesa impositiva, ciò non discende dalla previsione dell’art. 57 del d.lgs. n. 546/1992 bensì semmai dal d ivieto di modificare, in sede giudiziale, la motivazione dell’atto impositivo impugnato. Il predetto divieto costituisce la naturale e logica contropartita del principio per cui i motivi di nullità e/o illegittimità dell’atto impositivo devono necessariamente essere dedotti dal contribuente quali motivi del ricorso introduttivo; il contribuente, quindi, non potrebbe difendersi da contestazioni e motivazioni diverse ed ulteriori rispetto a quelle i nserite nell’atto impositivo e presentate solo successivamente, in corso di causa, ed è per questo che è preclusa all’Amministrazione finanziaria l’introduzione di pretese nuove rispetto all’atto già nel processo di primo grado (a maggior ragione nel grado di appello) indipendentemente dal divieto contenuto nell’art. 57. In altri termini, l’oggetto del processo tributario è circoscritto ai presupposti di fatto e alle ragioni di diritto contenuti nell’atto impositivo ed ai motivi di ricorso proposti dal contribuente in primo grado (Cass. n. 29526/2020 cit.).
Si è correttamente affermato, quindi, che è soltanto il contribuente a poter in teoria presentare domande, con il ricorso introduttivo o con il ricorso in appello, per ottenere l’eliminazione dell’atto impugnato ovvero la riduzione delle sue conseguenze e, pertanto, è nei suoi confronti che opera effettivamente e propriamente il divieto di cui all’art. 57 cit.. Il giudizio tributario è volto esclusivamente a verificare la legittimità, formale e sostanziale dell’atto impositivo impugnato, per cui l’Amministrazione finanziaria convenuta in primo grado non può presentare domande riconvenzionali né, a maggior ragione, domande nuove in appello; l’indagine sul rapp orto tributario è limitata al riscontro della consistenza della pretesa fatta valere con gli atti impositivi indicati nell’art. 19 d.lgs. n. 546/1992 (Cass. 31/08/2022, n. 25635).
Questa Corte ha precisato che il processo tributario, in quanto rivolto a sollecitare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento impositivo, è strutturato come un giudizio di impugnazione del provvedimento stesso, nel quale l’Ufficio assume la veste di attore in senso sostanziale, e la sua pretesa è quella risultante dall’atto impugnato, sia per quanto riguarda il petitum sia per quanto riguarda la causa petendi . Tale caratteristica circoscrive il dibattito alla pretesa effettivamente avanzata con detto atto alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati ed entro i limiti delle contestazioni mosse dal contribuente. Da tale principio discende che la novità delle difese dell’Amministrazione finanziaria che ha emesso l ‘atto impositivo impugnato deve essere necessariamente verificata in base, non solo (e/o non tanto), alle controdeduzioni di primo grado della stessa, ma, soprattutto, in stretto riferimento alla pretesa effettivamente avanzata con detto atto, ovvero alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati (Cass. 27/09/2019, n. 17231; Cass. 07/10/2024, n. 26214).
Quello che, pertanto, l’Amministrazione finanziaria non può mutare sono i termini della contestazione, deducendo motivi diversi da quelli contenuti nell’atto di accertamento ed avanzando nell’appello pretese diverse, sotto il profilo del fondamento giustificativo e, dunque, sul piano della causa petendi , da quelle recepite nell’atto impositivo, altrimenti ledendosi la concreta possibilità per il contribuente di esercitare il diritto di difesa attraverso l’esternazione dei motivi di ricorso, i quali, necessa riamente, vanno rapportati a ciò che nell’atto stesso risulta esposto (Cass. 10/05/2019, n. 12467).
Nello stesso senso si è precisato che nel processo tributario la parte resistente la quale, in primo grado, si sia limitata ad una contestazione generica del ricorso, può rendere specifica la stessa in sede di gravame poiché il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, posto dall’art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, riguarda
solo le eccezioni in senso stretto e non anche le mere difese, che non introducono nuovi temi di indagine (Cass. 23/05/2018, n. 12651).
1.2. Nella specie la CTR, rigetta ndo l’eccezione di inammissibilità ex art. 57 d.lgs. n. 546/1992 sollevata dall’appellat o, si è conformata alla giurisprudenza sopra richiamata, affermando che con il motivo de quo l’Ufficio si era ‘limitato a chiarire come non avesse agito nell’esercizio di una ‘autotutela esecutiva’ (come impropriamente definita dal primo giudice)’ (pag. 3 della sentenza).
Invero, nessun mutamento della pretesa impositiva e dei relativi fatti posti a base della stessa è stato operato dall’Agenzia con il gravame; l’Ufficio, a fronte di un’erronea indicazione, da parte della CTP, dell’autotutela esercitata (definita esecutiva) , ha chiarito che in realtà nessuna autotutela in senso tecnico (nel senso di emissione di un nuovo provvedimento che necessariamente presuppone la revoca del precedente) era stata esercitata nella specie, atteso che, come già sostenuto in primo grado (di qui, la mancanza di novità della questione), si era semplicemente trattato della rinotifica del medesimo avviso di accertamento già notificato 4 anni prima al contribuente con un procedimento notificatorio ritenuto viziato dall’A.G. innanzi alla quale era stato impugnato l’atto successivo (preavviso di iscrizione ipotecaria) con sentenza non ancora passata in giudicato.
In definitiva, alla luce dei principi appena richiamati, deve ritenersi che l’Ufficio non abbia affatto proposto in appello domande e/o eccezioni nuove, avendo unicamente precisato la difesa già svolta in primo grado circa la non necessità dell’annullamento in autotutela dell’avviso precedentemente notificato . In tal modo non ha affatto mutato la propria pretesa (risultante dall’atto impugnato), sia per quanto riguarda il petitum sia per quanto riguarda la causa petendi .
Con il secondo strumento di impugnazione il contribuente denuncia la «violazione dell’art. 2 del D.L. 564/94 dell’art. 43 co. 3 del DPR 600/73 e degli artt. 2 e 4 del D.M. 11 febbraio 1997 n. 37,
in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.» per non avere la CTR considerato che nella specie veniva in rilievo ‘la necessità che l’amministrazione provveda prima della nuova notifica al ritiro dell’atto precedentemente notificato onde evitare qualsiasi confusione del contribuente’ (pag. 13 del rico rso), poiché, stante l’impugnativa dell’avviso già notificato, ‘rispetto a uno stesso atto impositivo non possano aversi due pronunce di contenuto diverso, esigenza questa tutelata dal principio del ne bis in idem ‘ (pag. 14).
Inoltre, la rinotifica di un atto già precedentemente notificato imporrebbe al destinatario di proporre plurime iniziative giudiziali (prima avverso l’atto precedentemente notificato, dopo avverso il medesimo atto rinotificato) con il rischio di giudicati diversi sulla stessa pretesa.
Pertanto, secondo il ricorrente, l’Ufficio non può eseguire una nuova notifica di un avviso di accertamento già precedentemente notificato se prima non annulla in autotutela il primo atto. Solo con l’annullamento dell’atto notificato nel 2012 si sarebbe potuta dichiarare la cessazione della materia del contendere, ai sensi dell’art. 2 del d.l. 564/1994, del giudizio attualmente pendente in Cassazione (r.g.n. 6261/2017).
Il ricorrente afferma, in conclusione, che ‘l’applicazione dell’art. 2 quater del Dlgs. 564/94 dell’art. 43 del DPR 600/73 e degli artt. 2 e 4 del D.M. n. 37/1997, nell’interpretazione pacificamente offertane dalla giurisprudenza di legittimità avrebbe infatti imposto all’amministrazione di procedere alla notifica del 2016 pr evia rimozione dal mondo giuridico dell’avviso TF3010806379/2012 dichiarato viziato in relazione alla notifica del 2012 con sentenza n. 7641/2016 impugnata dall’ufficio innanzi alla Corte di Cassazione’ (pag. 22 del ricorso).
Il motivo è infondato.
2.1. La quaestio iuris sottoposta a questa Corte riguarda l’obbligo in capo all’Ufficio, in caso di rinotifica del medesimo avviso di accertamento, di annullare in via di autotutela l’atto
precedentemente adottato. In altri termini, ci si chiede se l’Ufficio, prima di rinotificare il medesimo avviso di accertamento già anteriormente notificato al contribuente, debba annullare l’avviso precedente (ed uguale a quello successivamente notificato).
Al quesito deve darsi risposta negativa.
2.2. È opportuno distinguere due ipotesi:
l’una, ricorrente nel presente giudizio, in cui il medesimo atto (nella specie, avviso di accertamento) venga notificato due volte dall’Ufficio in tempi diversi; ferma la medesimezza contenutistica de ll’atto, l’Ufficio provvede a notificarlo una seconda volta per sanare eventuali vizi della prima notifica;
l’altra, non ricorrente nella specie, in cui l’Ufficio dopo aver ritualmente notificato un atto, si accorga dell’errore compiuto, ad es. nel calcolo dell’imposta dovuta o delle relative sanzioni, e ne notifichi un secondo, contenutisticamente diverso (perché contenente le modifiche dovute all’errore presente nel primo); in tal caso si parla di autotutela sostitutiva in quanto il secondo atto ‘sostituisce’ integralmente il primo ed il suo esercizio comporta la necessità di eliminare dal mondo giuridico l’ atto precedente. Recentemente questa Corta ha fissato, nel suo supremo consesso (Cass. Sez. U. n. 30051/2024), i confini tra autotutela sostitutiva in malam partem (svolta con l’adozione di un nuovo atto per una maggiore pretesa in sostituzione di quello annullato) ed accertamento integrativo (che parimenti comporta l’emissione di un nuovo atto per una ulteriore pretesa in aggiunta a quella originaria): nel primo caso, la valutazione investe l’atto originario che, in quanto viziato, viene annullato e sostituito sulla base degli stessi elementi già considerati, mentre, nel secondo, il precedente atto è valido e ad esso ne viene affiancato un altro, contenente una pretesa aggiuntiva per il medesimo tributo e periodo d’imposta, non ponendosi, neppure in astratto, l’esigenza di una rivalutazione degli elementi di fatto e diritto in base ai quali il primo atto è stato emesso.
È sin troppo chiaro che nell ‘ ipotesi sub a), a ben vedere, non viene sostituito l’atto, ma solo la sua notifica.
Entrambe le ipotesi sono ammesse dall’ordinamento, essendo in facoltà dell’Ufficio procedere sia alla rinotifica del medesimo atto già notificato sia alla notifica di un nuovo atto, diverso nel contenuto da quello in precedenza notificato, nel rispetto dei principi fissati dalle norme (ovvero dall’art. 43 d.P.R. 600/1973) .
2.3. Ora, secondo la giurisprudenza di questa Corte la notificazione dell’avviso di accertamento non è un requisito di giuridica esistenza e perfezionamento ma una condizione integrativa d’efficacia dell’atto (Cass. 24/04/2015, n. 8374; Cass. 24/08/2018 n. 21071), sicché l’invalidità della notificazione dell’atto impositivo determina soltanto una preclusione all’efficacia del provvedimento (Cass. Sez. U., n. 19854 del 2004): « l’irrituale notificazione di un accertamento impedisce all’Ufficio di passare utilmente alla fase successiva di formazione dei ruoli, ma non comporta la nullità dell’avviso e, soprattutto, non vieta all’Amministrazione di sanare ogni vizio mediante la rinotificazione, nei termini di legge, dell’avviso stesso eventualmente integrato con altri elementi » (Cass. 14/04/2006, n. 8868). A questa stregua, l’eventuale invalidità della notifica impedirà l’efficacia dell’atto ai fini riscossivi ma non esclude la sua esistenza e la possibilità di una rinnovazione della notifica ferma la sanatoria del vizio, secondo le regole generali, quando risulti in maniera inequivoca la piena conoscenza dell’atto da parte del contribuente entro il termine di decadenza concesso per l’esercizio del potere all’Amministrazione finanziaria (Cass. n. 21071/2018 cit.).
I medesimi principi sono stati recentemente ribaditi con riferimento alla rinotifica di atti ‘impoesattivi’ ex art. 29 d.l. 78/2010 (Cass. 08/04/2024, n. 9395).
2.4. Nella specie, correttamente è stata ritenuta dalla CTR ammissibile e pienamente legittima la rinnovazione della notifica del medesimo avviso di accertamento, già notificato nel 2012 al
contribuente, senza il previo annullamento, da parte dell’Ufficio, dell’atto precedentemente notificato, sia perché, in primo luogo, tempestivamente eseguita non essendo ancora decorso il termine raddoppiato ex art. 43 d.P.R. n. 600/1973 (la questione dell’esistenza dei presupposti del raddoppio dei termini è stata decisa dalla CTR con decisione non impugnata), sia perché, inoltre, si trattava dello stesso atto.
Occorre, a questo punto, delibare l’eventuale incidenza nel presente giudizio del sopravvenuto annullamento dell’avviso di accertamento notificato nel 2012, per effetto della sentenza n. 1554/2021, resa dalla CTR della Campania in sede di rinvio, in esito al giudizio avente ad oggetto l’impugnativa del preavviso di iscrizione ipotecaria, fondato (anche) sul detto avviso.
Orbene, ritiene la Corte che la detta decisione, muovendo esclusivamente dalla natura procedimentale del vizio procedimentale relativo alla notificazione – eseguita nel 2012 – del detto atto, vizio che ha comportato la declaratoria di nullità dello stesso, non possa avere alcun valore di giudicato sostanziale sull’avviso di accertamento impugnato nel presente giudizio, pur avendo i due avvisi contenuto identico. Ed invero, l’avviso notificato per primo è stato posto nel nulla per effetto di un vizio procedimentale (ovvero la nullità della sua notifica) che non ha impedito all’Ufficio il legittimo esercizio della potestà impositiva, non essendo ancora decorsi i termini di cui all’art. 43 d.P.R. 600/1973, mediante la rinotifica dello stesso avviso di accertamento. In altri termini, il merito della pretesa inverata nel detto avviso non è stato minimamente affrontato, né, giocoforza, scalfito, dalla pronuncia della quale oggi si invoca l’autorità di cosa giudicata nel presente giudizio.
Il ricorso va, per tutto quanto esposto, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte
del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , delle spese processuali che si liquidano in complessivi euro 8.200,00 oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 febbraio 2025.