Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8275 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8275 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8706/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro-tempore, con sede legale in Napoli, INDIRIZZO rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al ricorso,
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio n. 591/18/2023, depositata il 6 febbraio 2023;
AVVISO DI ACCERTAMENTO -IRES-IRAP-IVA 2012.
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di consiglio del 17 dicembre 2024 dal consigliere relatore dott. NOME COGNOME
– Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale di Latina notificava, in data 25 ottobre 2016, alla società RAGIONE_SOCIALE, l’avviso di accertamento n. TKF031502259/2016, con il quale venivano accertate maggiori imposte IRES, IRAP ed IVA relativamente all’anno d’imposta 2012.
La società RAGIONE_SOCIALE, a ristretta base partecipativa, faceva integralmente capo a COGNOME NOME, all’epoca della notificazione dell’accertamento ristretto in custodia cautelare sulla base di provvedimento emesso in data 30 settembre 2012 ne ll’àmbito di un procedimento penale che vedeva coinvolto il legale rappresentante della società, dott. NOME COGNOME anch’egli sottoposto a misura cautelare.
La società ricorrente effettuava il pagamento delle imposte scaturenti dal predetto avviso di accertamento, per l’importo di € 2.691.713,00.
Avverso tale avviso di accertamento la RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Latina la quale, con sentenza n. 560/01/2018, depositata il 16 maggio 2018, lo dichiarava inammissibile, essendo stato esso proposto tardivamente e non ritenendo sussistent i le condizioni per l’invocata istanza di rimessione in termini.
Interposto gravame dalla società contribuente, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, con sentenza n. 591/18/2023, pronunciata il 23 gennaio 2023 e depositata in
segreteria il 6 febbraio 2023, rigettava l’appello, condannando la ricorrente alla rifusione delle spese di lite.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE sulla base di due motivi (ricorso notificato il 20 aprile 2023).
Resiste con controricorso l’Age nzia delle Entrate.
In data 27 febbraio 2024 il Consigliere delegato emetteva proposta di definizione accelerata del ricorso ex art. 380bis , comma 1, c.p.c., ritenendo entrambi i motivi manifestamente infondati.
In data 21 marzo 2024 la ricorrente proposta istanza di trattazione e decisione ex art. 380bis , comma 2, c.p.c.
Con decreto del 1° agosto 2024 è stata quindi fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio del 17 dicembre 2024, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1 cod. proc. civ.
La ricorrente ha depositato memoria.
– Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 153, comma 2, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3) e 4), dello stesso codice.
Deduce, in particolare, la ricorrente che, nella fattispecie in esame, sussistevano le condizioni perché la Corte territoriale di primo grado disponesse la rimessione in termini ai fini della proposizione del ricorso originario, in considerazione della peculiarità del regime detentivo cui era sottoposto il sig. NOME COGNOME nelle more della decorrenza del termine per la proposizione dello stesso ricorso, posto che il G.I.P. presso
il Tribunale di Latina aveva impedito qualsiasi contatto dell’indagato con la sua famiglia, rigettando altresì la richiesta di colloquio con il suo difensore in merito a diversi procedimenti civili che coinvolgevano lo stesso COGNOME.
Il motivo è infondato.
Come già evidenziato nella proposta di definizione accelerata depositata il 27 febbraio 2024, lo stato di detenzione del sig. COGNOME è irrilevante ai fini della tempestività della proposizione del ricorso ex art. 21 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (e quindi ai fini di un’eventuale rimessione in termini) , in quanto il legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, al momento della notificazione dell’avviso di accertamento, era il dott. NOME COGNOME il quale, pur ristretto agli arresti domiciliari, era comunque in grado di conferire mandato ai difensori per proporre tempestivo ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, anche in considerazione del fatto che la società, durante la pendenza del termine per la proposizione del ricorso, ha effettuato il pagamento di quanto dovuto, ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. 15 giugno 1997, n. 218; peraltro, come ammesso dalla stessa ricorrente, lo stato di detenzione del socio totalitario COGNOME non aveva impedito comunque a quest’ultimo di i nterloquire, attraverso i suoi difensori, con gli organi sociali, consigliando loro di definire gli avvisi di accertamento al fine di ottenere un alleviamento della misura cautelare in atto. In ogni caso, la C.G.T., con valutazione di fatto insindacabile in questa sede, ha accertato che la società volontariamente non aveva tempestivamente impugnato l’accertamento, «per non peggiorare la situazione processuale del sig. COGNOME titolare
effettivo delle azioni della società», come peraltro emerge anche dall’atto di appello della contribuente. Ciò conferma che, nella specie, il mancato rispetto dei termini non sia riconducibile ad un evento che sfuggiva dalla sfera di controllo dell’istante, ma sia stato il frutto di una scelt a deliberata degli organi societari.
Ne discende, pertanto, che correttamente la Corte regionale ha escluso la sussistenza delle condizioni per la concessione dell’invocata rimessione in termini, confermando la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 92, comma 2, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso codice.
Rileva, in particolare, che la complessiva analisi della vicenda processuale avrebbe potuto giustificare la compensazione integrale delle spese di lite, tenuto conto dell’atteggiamento soggettivo del soccombente.
Anche tale motivo è infondato.
La totale soccombenza della ricorrente in secondo grado giustifica, infatti, la condanna della stessa alla rifusione delle spese di lite, in applicazione dell’art. 92, comma 1, c.p.c.
Consegue il rigetto del ricorso.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza della ricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la ricorrente tenuta al pagamento di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Ai sensi dell’art. 380 -bis , comma 3, c.p.c., la ricorrente deve essere condannata al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata ex art. 96, comma 3, c.p.c. in € 7.000,00, nonché al pagamento di una somma in favore della C assa delle ammende, che viene determinata in € 5.000,00.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 13.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente, di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, dell’ulteriore somma di € 7.000,00, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, dell’ulteriore somma di € 5.000,00, ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c.
Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2024.