Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15278 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 15278 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 12270/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, domiciliate in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che le rappresenta e difende;
-ricorrenti-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. delle Marche n. 1545/2021 depositata il 10/12/2021.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Sentiti l’avv. dello Stato NOME COGNOME per le ricorrenti e l’avv. NOME COGNOME su delega dell’avv. COGNOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE ha impugnato l’atto di diniego di rimborso delle tasse erariali e portuali, versate dal 20/08/2009 al 06/11/2009 sulle merci caricate sui traghetti diretti in Grecia e non dovute a seguito delle modifiche di cui all’art. 2 del d.P.R. n.107/2009; l’Agenzia delle dogane e dei monopoli aveva negato il rimborso, secondo quanto previsto dall’art. 19 del d.l. n. 688/1982 conv. con l. n. 873/1982, in quanto tali oneri erano stati traslati su terzi.
La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Ancona, in causa instaurata anche nei confronti dell’Agenzia delle entrate e dall’Autorità Portuale di Ancona che non si costituiva, con sentenza n. 773/2015 ha accolto il ricorso, mentre la Commissione Tributaria Regionale (CTR) delle Marche, con la sentenza in epigrafe, ha ritenuto infondati i motivi di impugnazione dell’Agenzia delle dogane « in quanto tutti basati sull’errato presupposto dell’applicazione dell’art. 19 del D.L. n. 688/1982 » e ha dichiarato dovuto il rimborso con interessi e rivalutazione monetaria.
Il giudice d’appello, per quel che interessa in questa sede, ha ritenuto l’inapplicabilità dell’art. 19 cit. in quanto i tributi portuali in questione sono assoggettati al diritto eurounitario cosicché la norma di riferimento deve essere individuata nell’art. 29 comma 3, l. n. 428/1990. In particolare, la CTR ha rilevato che i tributi di cui trattasi, previsti dall’art. 2 d.l. n. 47/1974 conv. con l. n. 117/1974 e sostituiti dalle tasse portuali sulle merci sbarcate e imbarcate di cui all’art. 2 d.P.R. n. 107/2009, sono assoggettati al regime del diritto comunitario, come risulta dall’ordinanza di rimessione alla Corte di giustizia, n. 417/1981, delle Sezioni Unite della Corte di cassazione e confermato dal giudice sovranazionale con la sentenzadel 16 marzo 1988 (in causa C-266/81) che ha stabilito i limiti di compatibilità delle norme interne con la libertà di transito all’interno del sistema
comunitario, cosicché si deve ritenere che tali tributi abbiano rilevanza eurounitaria.
Inoltre, la CTR ha dichiarato inammissibile, in quanto nuova, la domanda dell’appellante di manleva da parte dell’Autorità Portuale di Ancona.
Avverso questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle dogane e l’Agenzia delle entrate che si sono affidate a tre motivi.
Ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE che ha depositato memoria.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., violazione dell’art. 29, l. n. 428/1990 e dell’art. 19, d.l. n. 688/1982, conv. con modificazioni in l. n. 873/1982, laddove il giudice del gravame ha affermato l’inapplicabilità dell’art. 19 cit., con conseguente irrilevanza della circostanza dell’eventuale traslazione dell’imposta a carico di altri soggetti, sul presupposto del rilievo unionale della fattispecie. Osservano le ricorrenti che, quando la richiesta di rimborso sia motivata non dall’incompatibilità col diritto dell’Unione della norma interna bensì per effetto dell’abrogazione di questa, si applica l’art.19, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 novembre 1982, n.873, secondo quanto disposto dall’art. 29, comma 3, cit. Aggiungono che comunque, a seguito degli interventi della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, le norme hanno ormai contenuto analogo, per cui il rimborso delle tasse portuali indebitamente versate è in ogni caso precluso dalla traslazione dell’onere di imposta in capo ad altri soggetti ed è sempre subordinato alla comunicazione all’Agenzia delle entrate prescritta dall’art. 29 comma 4.
1.1. Il motivo è inammissibile.
1.1.1. Secondo l’art. 19 della l. n. 873/1982 «Chi ha indebitamente corrisposto diritti doganali all’importazione, imposte di fabbricazione, imposte di consumo o diritti erariali, anche
anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ha diritto al rimborso delle somme pagate quando prova documentalmente che l’onere relativo non è stato in qualsiasi modo trasferito su altri soggetti, salvo il caso di errore materiale». L’art. 29 comma 2 l. n. 482/1990, invece, prevede, nella versione applicabile ratione temporis , che « I diritti doganali all’importazione, le imposte di fabbricazione, le imposte di consumo, il sovrapprezzo dello zucchero e i diritti erariali riscossi in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie sono rimborsati a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti, circostanza che non può essere assunta dagli uffici tributari a mezzo di presunzioni»; la stessa disposizione al comma 3 stabilisce che « L’articolo 19 del decreto legge 30 settembre 1982, n. 688, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 novembre 1982, n. 873, è applicabile quando i tributi riscossi non rilevano per l’ordinamento comunitario »; al comma 4, poi, si prevede che « La domanda di rimborso dei diritti e delle imposte di cui ai commi 2 e 3, quando la relativa spesa ha concorso a formare il reddito d’impresa, deve essere comunicata, a pena di inammissibilità, anche all’ufficio tributario che ha ricevuto la dichiarazione dei redditi dell’esercizio di competenza ».
1.1.2. Va peraltro osservato che, a seguito degli interventi della Corte costituzionale (con sentenza n. 114 del 21 aprile 2000, che ha dichiarato illegittimo l’art. 19 cit. nella parte in cui dispone che la prova ivi prevista possa essere data solo documentalmente, e con la sentenza 9 luglio 2002 n.332, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale del primo comma dello stesso art. 19 nella parte in cui prevede che sia l’attore in ripetizione a dover provare che il peso economico dell’imposta non é stato in qualsiasi modo trasferito su altri soggetti), « le due norme hanno ormai un contenuto analogo », come riconoscono le stesse Agenzie.
1.1.3. Parte ricorrente avrebbe dovuto argomentare, quindi, sugli effetti giuridici, a sé favorevoli, che derivano dall’applicazione dell’art. 19 invece che dall’art. 29. Nel giudizio di cassazione, l’interesse a impugnare discende dalla possibilità di conseguire, attraverso il
richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole, sicché è necessario, anche in caso di denuncia di un errore di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., che la parte ottemperi al principio di autosufficienza del ricorso, correlato all’estraneità del giudizio di legittimità all’accertamento del fatto, indicando in maniera adeguata la situazione fattuale della quale chiede una determinata valutazione giuridica, diversa da quella compiuta dal giudice a quo , asseritamente erronea (Cass. n. 21230 del 2023; Cass. n. 14279 del 2017).
1.2. La questione è comunque infondata.
1.2.1. Il d.P.R. n. 107/2009, concernente la «revisione della disciplina delle tasse e dei diritti marittimi a norma dell’articolo 1, comma 989, della legge 27 dicembre 2006, n. 296», ha proceduto alla « riformulazione, nei limiti dei relativi criteri direttivi, della vigente normativa in materia di tasse e diritti marittimi, nell’ottica di un riordino e di una razionalizzazione della disciplina tramite l’accorpamento di taluni di detti tributi e delle relative procedure di riscossione e con l’obiettivo di una semplificazione della normativa e di una riduzione del numero delle tasse e dei diritti marittimi ». In particolare, all’art. 2 comma 3 del d.P.R. n. 107/2009 si è prevista l’estensione delle « esenzioni di cui all’articolo 3, comma 3, del decreto-legge 13 marzo 1988 n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988 n. 153», originariamente contemplata per i collegamenti nazionali, « alle merci caricate sui carri ferroviari e sui veicoli che accedono alle navi traghetto adibite ai collegamenti marittimi tra porti comunitari, nonché alle merci contenute nei contenitori caricati su navi porta contenitori adibite a collegamenti marittimi tra porti comunitari ».
1.2.2. La normativa si colloca, evidentemente, in ambiente eurounitario, ispirandosi ai principi fissati dal Regolamento (CEE) n. 4055/86 del Consiglio del 22 dicembre 1986 che prevede la libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi tra Stati membri e tra Stati membri e Paesi terzi: « Per quanto riguarda, più specificamente, i trasporti marittimi, l’ art. 84, n. 2, del trattato prevede che il Consiglio
potrà decidere se, in quale misura e con quale procedura potranno essere prese opportune disposizioni per questa categoria di trasporti. Ora, si deve constatare che gli atti necessari alla realizzazione della libera prestazione dei servizi nel settore dei trasporti marittimi fra Stati membri sono stati emanati dal Consiglio, sulla base dell’art. 84, n. 2, del trattato, solo col regolamento 22 dicembre 1986, n. 4055» ( CGUE 13 dicembre 1989, Corsica Ferries, C-49/89, punti 12 e 13). Va altresì osservato che « Le disposizioni del regolamento n. 4055/86 sono parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’insieme degli Stati parti contraenti dell’accordo SEE in virtù dell’articolo 7, lettera a), dell’accordo SEE nonché del suo allegato XIII. Detto regolamento e dette disposizioni dell’accordo SEE contengono le norme relative all’applicabilità del principio della libera prestazione dei servizi nel settore dei trasporti marittimi tra Stati parti contraenti dell’accordo SEE e tra questi ultimi e i paesi terzi » (CGUE 8 luglio 2014, RAGIONE_SOCIALE, C83/13, punto 24).
1.2.3. Quindi, il d.P.R. n. 107/2009 ‘rileva’ sul piano dell’ordinamento comunitario (v. art. 29, comma 3, cit.) e provvede, con la modifica introdotta all’art. 2 comma 3 cit. che parifica porti nazionali e porti comunitari, ad eliminare una distinzione non conforme ai principi unionali.
1.2.3.1. Quanto all’asserita violazione dell’art. 29 cit., l’Amministrazione afferma, con riguardo al giudizio di primo grado, di aver dimostrato, attraverso l’esame delle scritture contabili, la traslazione ai clienti degli importi versati a titolo di tasse portuali (v. espositiva pag. 2 del ricorso), ma non risulta alcun accertamento in sentenza. Inoltre, la parte ricorrente si limita ad evidenziare la necessità della comunicazione dell’istanza di rimborso all’Agenzia delle entrate, ritenuta nel giudizio di merito equipollente alla trasmissione della istanza di rimborso al Ministero dell’economia e delle finanze,
senza considerare che « l’onere della comunicazione della istanza di rimborso all’Agenzia delle entrate non opera indiscriminatamente, ma solo ‘quando la relativa spesa ha concorso a formare il reddito d’impresa’ » (Cass. n. 7259 del 2020, par. 5.4.); con riguardo a questo profilo manca qualsiasi deduzione e la censura difetta di autosufficienza.
1.2.3.2. Sull’ingiustificato arricchimento che preclude il rimborso, in particolare, va osservato che la prova grava sull’Amministrazione trattandosi di fatto impeditivo (Cass. n. 32982 del 2024, Cass. n. 31679 del 2022; Cass. n. 24777 del 2023) -e, secondo i principi unionali, essa non si identifica necessariamente con la prova della traslazione del peso del tributo su terzi, cosicché non è condivisibile la prospettazione erariale, secondo cui stante la traslazione del tributo su terzi un eventuale rimborso da parte dell’Erario determinerebbe un ingiustificato arricchimento.
1.2.3.3. Viene in evidenza il principio di effettività che rinviene il suo fondamento nell’art. 4, paragrafo 3, Trattato UE, in base al quale le norme interne non devono rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti riconosciuti dall’ordinamento giuridico comunitario, e impone la leale cooperazione tra l’Unione e gli Stati Membri per assicurare l’adempimento degli obblighi posti dalle norme comunitarie. A questa stregua, secondo l’orientamento interpretativo della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il diritto di ottenere il rimborso delle somme riscosse da uno Stato membro in violazione di norme del diritto dell’Unione costituisce la conseguenza e il complemento dei diritti attribuiti agli amministrati dalle disposizioni del diritto dell’Unione, nell’interpretazione loro data dalla Corte (v., in particolare, CGUE 9 novembre 1983, San Giorgio, C – 199/82, punto 12, nonché dell’8 marzo 2001, CGUE 8 marzo 2001 Metallgesellschaft e a., C-397/98 e C-410/98, punto 84). Gli Stati membri sono quindi tenuti, in linea di principio, a rimborsare i tributi riscossi in violazione del diritto dell’Unione (CGUE 14 gennaio 1997, Comateb e a., da C -192/95 a C-218/95, punto 20; CGUE 8 marzo 2001 Metallgesellschaft e a., cit., punto 84; CGUE RAGIONE_SOCIALE 2 ottobre 2003, World e a.,
C-147/01, punto 93, nonché CGUE 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation, C-446/04, punto 202). Inoltre, qualora uno Stato membro abbia prelevato tributi in violazione delle disposizioni del diritto dell’Unione, i singoli hanno diritto al rimborso non solo del tributo indebitamente riscosso, ma altresì degli importi pagati allo Stato o da esso trattenuti in rapporto diretto con tale tributo. Tale rimborso comprende altresì le perdite derivanti dall’indisponibilità di somme di danaro a seguito dell’esigibilità anticipata del tributo (v. sentenze citate supra RAGIONE_SOCIALE e a., punti 87-89, nonché Test Claimants in the FII Group Litigation, punto 205).
1.2.3.4. Né la traslazione dell’imposta su terzi comporta automaticamente l’arricchimento del soggetto che chiede e ottiene il rimborso: « Anche quando è provato che l’onere dell’imposta indebitamente riscossa è stato parzialmente o totalmente ripercosso sui terzi, il rimborso di questa all’operatore non gli procura necessariamente un arricchimento senza causa (v. sentenze Comateb e a., cit., punto 29, e 21 settembre 2000, cause riunite C-441/98 e C442/98, Michailidis, Racc. pag. 1-7145, punto 34). Infatti, anche qualora l’imposta sia completamente inserita nel prezzo praticato, il soggetto passivo potrebbe subire un danno dovuto ad una diminuzione di volume delle sue vendite (v. cit. sentenze Comateb e a., punto 29, e Michailidis, punto 35). Pertanto, l’esistenza e la misura dell’arricchimento senza causa che il rimborso di un tributo indebitamente riscosso con riguardo al diritto comunitario causerebbe per un soggetto passivo potranno essere stabiliti soltanto al termine di un’analisi economica che tenga conto di tutte le circostanze pertinenti. Di conseguenza, il diritto comunitario osta a che uno Stato membro neghi di rimborsare a un operatore un’imposta riscossa in violazione del diritto comunitario solo perché questa è stata inserita nel prezzo di vendita al dettaglio praticato da detto operatore e, pertanto, trasferita su terzi, il che implicherebbe necessariamente che il rimborso dell’imposta causerebbe un arricchimento senza causa dell’operatore» e ha concluso che affermando che «le norme del diritto comunitario relative alla ripetizione dell’indebito devono essere interpretate nel
senso che esse ostano a una normativa nazionale che rifiuti – il che tocca al giudice nazionale verificare – il rimborso di un’imposta incompatibile con il diritto comunitario solo perché questa è stata trasferita sui terzi, senza esigere che sia stabilita la misura dell’arricchimento senza causa che causerebbe per l’operatore il rimborso di detta imposta » (CGUE 2 ottobre 2003, RAGIONE_SOCIALE, C -147/2001; nello stesso senso, più recentemente, CGUE 12 settembre 2024, Chaudfontaine Loisirs, C-73/23, punti 73-74).
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n.4 c.p.c., violazione dell’art.57 del d.lgs. n. 546/1992 e dell’art. 112 c.p.c., censurandosi la dichiarazione di inammissibilità della domanda dell’Ufficio ad essere tenuto indenne da ogni responsabilità in caso di accoglimento del ricorso, perché domanda nuova, mentre la stessa era già stata formulata nella comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado, come dimostrato dalla trascrizione delle relative conclusioni, riportate per autosufficienza in ricorso, che comprendevano anche la domanda di manleva: « In estremo subordine, l’Autorità Portuale di Ancona deve in ogni caso essere ritenuta obbligata a garantire e comunque a tenere indenne l’Ufficio delle Dogane di Ancona dalle conseguenze derivanti dall’accoglimento del ricorso ».
2.1. Il motivo è inammissibile, riguardando un tema estraneo alla giurisdizione tributaria, afferente al terzo beneficiario del gettito e non al rapporto fisco -soggetto passivo: la domanda di manleva non è espressione del potere impositivo e attiene ad un rapporto diverso da quello relativo alla pretesa tributaria. Si veda, in proposito, l’art. 2 comma 3 del d.P.R. n. 107/09, il quale prevede l’applicazione delle procedure di riscossione previste dall’art. 1, comma 119, della l. n. 244/07 e, nelle more dell’adozione del decreto del Capo del Dipartimento delle finanze, rimanda alle procedure di accertamento e di riscossione stabilite dall’art. 36 del d.P.R. n. 1340/66, secondo cui « Le tasse di cui agli articoli 33, 34 e 35 della legge sono accertate e riscosse dalla Dogana su documenti che scortano la merce con separata bolletta » (sulla natura tributaria della tassa in questione, v.
Cass. sez. un. n. 28621 del 2023); ne deriva che il successivo riversamento degli importi così riscossi dall’Agenzia all’Autorità portuale afferisce ai loro rapporti interni. Né può esservi giudicato implicito sulla giurisdizione perché non vi è stata decisione sul merito, tanto è vero che con il motivo in esame si censura la pronuncia di inammissibilità della domanda; va rammentato, in proposito, che soltanto quando «il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione e le parti abbiano prestato acquiescenza, non contestando la relativa sentenza sotto tale profilo, non è consentito al giudice della successiva fase impugnatoria rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione, trattandosi di questione ormai coperta dal giudicato implicito » (Cass., sez. un. n. 27531 del 2008; Cass. n. 6966 del 2013; Cass. n. 19792 del 2011; Cass. n. 27094 del 2024). Quindi, si può evitare di sanare il difettoso contraddittorio, con riguardo all’Autorità portuale, rimasta estranea al presente giudizio di legittimità, poiché i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, che hanno fondamento nell’art. 111, comma 2, Cost. e nell’art. 6, par. 1, CEDU, impongono, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso o qualora questo sia prima facie infondato, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio e non essendovi, in concreto, esigenze di tutela del contraddittorio, delle garanzie di difesa e del diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (Cass. n. 11287 del 2018; Cass. n. 18890 del 2021).
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art.360, comma 1, n.4 c.p.c., violazione dell’art.112 c.p.c. per vizio di ultrapetizione, in quanto i giudici del gravame hanno ritenuto dovuta d’ufficio anche la rivalutazione monetaria nonostante la statuizione del giudice di primo grado relativa alla condanna delle somme in favore della società maggiorata dei soli interessi legali, non fosse stata oggetto di impugnazione.
3.1. Il motivo è fondato.
3.2. E’ pacifico che la società non aveva proposto appello avverso il mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria da parte del giudice di prime cure (« con esclusione della rivalutazione monetaria per mancata prova del maggior danno subito per l’indisponibilità del denaro »). La CTR è andata, quindi, ultrapetita , non rilevando i principi citati dalla controricorrente e dal PG sul rilievo officioso della rivalutazione in materia di obbligazioni risarcitorie e di debito di valore perché si tratta di obbligazione di valuta: « nell’azione di ripetizione dell’indebito trova applicazione il principio nominalistico, secondo cui l’obbligazione deve essere adempiuta mediante la restituzione della medesima quantità di moneta, salvo ex art. 1224 cod. civ., il riconoscimento degli interessi moratori in misura legale quale danno presunto (con decorrenza dalla data della domanda amministrativa di restituzione, costituente nella indicata ipotesi condizione di proponibilità dell’azione giudiziaria) nonché il risarcimento del danno maggiore che il creditore provi di aver subito in conseguenza della mora, ivi compreso il danno da svalutazione monetaria ma solo per la parte eccedente rispetto a quella risarcita con gli interessi legali » (Cass. n. 11440 del 1996; Cass. n. 5282 del 1999; v. anche Cass. n. 4401 del 2008, secondo cui il maggior danno da svalutazione non matura in via automatica per effetto della liquidità ed esigibilità del credito, poiché non scaturisce ex se , in tema di debito di valuta, dal ritardato adempimento, ma postula espressa richiesta e prova ex art. 1224 c.c., comma 2).
Conclusivamente, accolto il terzo motivo e rigettati gli altri, la sentenza deve essere cassata senza rinvio, potendosi decidere nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., dichiarando non dovuta la rivalutazione monetaria.
Deve provvedersi alla regolamentazione delle spese della causa, come previsto dall’art. 385 c.p.c., secondo quanto stabilito da Cass. sez. un. n. 32061 del 2021, per cui « l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un
unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, comma 2, c.p.c. » In questo caso, tenuto conto della relativa novità delle questioni, sussistono i presupposti per la compensazione integrale delle spese relative al giudizio di merito nonché delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata con riferimento al profilo accolto e decidendo compensa le spese delle fasi di merito nonché le spese di lite nel merito dichiara non dovuta la rivalutazione monetaria; relative al presente giudizio di legittimità. Roma, 11/02/2025.