Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17825 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17825 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
Rimborso Irpef- Spese trasferta – Dipendente ENEL
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13306/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è difesa;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura allegata al controricorso;
– controricorrente e ricorrente incidentale – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Messina, n. 419/2020 depositata in data 24/01/2020, notificata in data 21/03/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/03/2025 dal relatore consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate ricorre avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (CTR) della Sicilia, sezione staccata di Messina, con cui è stato rigettato l’appello erariale, proposto contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale (CTP) di Messina che aveva accolto il ricorso contro il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso IRPEF per gli anni 2004, 2005 e 2006, formulata da NOME COGNOME in relazione alle ritenute operate dal suo datore di lavoro, Enel, sulle somme versate -a titolo di spese di viaggio- per recarsi quotidianamente da Messina, dove abitava, alla città di Catania, dove era stato comandato.
La sentenza della CTR ha ritenuto estranee alla determinazione della base imponibile per il reddito da lavoro dipendente le spese di viaggio, anche nella forma di indennità chilometrica e di trasporto che siano rimborsate sulla base di idonea documentazione, avuto riguardo alla loro natura risarcitoria, e ha compensato le spese di lite.
Contro tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate in base a un motivo.
Il contribuente resiste con controricorso e propone ricorso incidentale affidato ad un motivo.
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 21 marzo 2025 per la quale il contribuente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c., l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 51 t.u.i.r.
Essa lamenta che la CTR abbia erroneamente ritenuto che i rimborsi richiesti dal contribuente rientrassero nella categoria dei rimborsi di spesa analitici, laddove, invece, essi vanno qualificati come rimborsi forfettari delle spese sostenute per recarsi continuamente in un diverso
luogo di lavoro. Osserva che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’indennità di trasferta riveste duplice funzione, da un lato, risarcitoria, dall’altro, retributiva, sicché, stante il principio di onnicomprensività del reddito da lavoro dipendente, sancito ai fin i fiscali dall’art. 51 d.P.R. 917/1986, incombe sul lavoratore la prova che le somme percepite siano da imputarsi a rimborsi di spese sostenute nell’unico interesse del datore di lavoro. Rileva che l’art. 51, comma 2 , lett. d) d.P.R. cit. limita la non imponibilità delle somme ricevute a titolo di rimborso di spese di viaggio alle sole «prestazioni di servizi di trasporto collettivo», ciò escludendo i rimborsi forfettariamente commisurati alla distanza chilometrica fra il Comune di residenza e quello di svolgimento dell’incarico. Sottolinea che, nel caso di specie, le spese di viaggio dalla residenza alla sede di lavoro sono state sostenute quotidianamente, il che rende evidente che i costi del trasporto non derivavano dalle esigenze del datore di lavoro, ma da quelle del lavoratore, che ben avrebbe potuto spostare la propria dimora nella città ove svolgeva la prestazione lavorativa. Siffatta circostanza renderebbe inconciliabile il caso di specie con la disciplina di cui all’art. 51, comma 5 c it. ed assoggettabili le somme corrisposte alla determinazione del reddito imponibile, con le detrazioni di imposta di cui all’art. 13 t.u.i.r.
Il ricorso erariale è in parte inammissibile e in parte infondato, come deciso in alcuni recenti precedenti (Cass. n. 32925/2024; Cass. n. 26229/2022; Cass. n. 19099/2022).
2.1. Con il controricorso il contribuente eccepisce l’inammissibilità del motivo, sotto due distinti profili.
In primo luogo, ai sensi dell’art. 360 -bis c.p.c., per avere la sentenza della CTR deciso in conformità con la giurisprudenza di legittimità (in particolare: Cass. S.U. n. 27093/2017 e Cass. L. n. 2419/2012).
Tale eccezione è infondata, in quanto la giurisprudenza citata si riferisce alla fattispecie diversa dei trasfertisti abituali, regolata dal comma 6 dell’art. 51 t.u.i.r.
In secondo luogo, l’inammissibilità conseguirebbe all’ avere l’Agenzia delle Entrate richiamato nel ricorso la disciplina dell’art. 51, comma 2, lett. d) e d)bis t.u.i.r., cui non aveva fatto riferimento negli atti difensivi dei giudizi di merito, così introducendo questioni nuove non affrontate né in primo né secondo grado.
Anche tale eccezione è infondata, in quanto si verte in tema di rimborso, ove il contribuente è onerato della prova dei fatti costitutivi della domanda e l’Agenzia può sempre introdurre difese, ma soprattutto poiché il riferimento alle predette disposizioni è funzionale semplicemente a negare che possa ricorrere una fattispecie di esenzione da imposta.
2.2. Il contribuente rileva , inoltre, che l’Ufficio mai in precedenza aveva contestato che la prestazione svolta nella sede Enel di Catania fosse da qualificarsi come trasferta, posto che era pacifico che il contribuente avesse prestato attività presso la sede Enel di Messina per 23 anni, ricevendo successivamente il comando di prestare attività presso la sede Enel di Catania, fino al 2007, per poi essere impiegato nuovamente a Messina, con la conseguenza dell’applicabilità dell’art. 51, comma 5, t.u.i.r., trattandosi di trasferta al di fuori del territorio comunale e non di trasferimento come preteso dalla ricorrente.
Per dare soluzione alla controversia, occorre preliminarmente evidenziare che alcune affermazioni introdotte dall’Amministrazione ricorrente non trovano riscontro nella sentenza impugnata.
Invero, nella premessa in fatto della decisione si legge che NOME COGNOME ebbe il «comando» da parte del suo datore di lavoro di prestare quotidianamente attività presso la sede di Catania.
Non può esservi dubbio, pertanto, che il giudice di merito abbia ritenuto che la prestazione lavorativa presso quella sede rientrasse nell’interesse del datore di lavoro.
Del resto, la volontà datoriale di assegnare il lavoratore solo temporaneamente ad altra sede è dimostrata dall’erogazione di somme a quella collegata. Ma anche perché, ai sensi dell’art. 2103 c .c., spetta al datore di lavoro determinare il contenuto della propria scelta organizzativa nel senso della provvisorietà o definitività dell’assegnazione. Siffatta scelta datoriale se può essere contestata dal lavoratore che lamenti un trasferimento non sorretto dalle ragioni tecniche ed organizzative che lo giustificano, o che lamenti la mancata corresponsione delle indennità o dei rimborsi previsti in caso di temporaneità effettiva della prestazione in altra sede lavorativa, non può, invece, essere diversamente qualificata dall’amministrazione fiscale, laddove siano erogate al lavoratore delle somme corrisposte per la «trasferta», sia che esse costituiscano rimborsi, sia che esse trovino ragione nella maggiore onerosità della prestazione.
Inoltre, la qualificazione dell’assegnazione del prestatore a diversa sede lavorativa come trasferimento o trasferta è riservata al giudice di merito, la cui valutazione costituisce giudizio di fatto, non censurabile in sede di legittimità (cfr. ex multis : Cass. n. 18479/2014).
Ne deriva che le considerazioni svolte con il ricorso, in ordine all’interesse sottostante all’erogazione delle somme (esigenza del datore di lavoro di modificare temporaneamente la sede lavorativa, ovvero scelta del lavoratore di non modificare il luogo di dimora), appaiono inammissibili, sia perchè generiche sia perchè in realtà attinenti sostanzialmente alla ricostruzione del fatto, esulando però da quanto effettivamente deducibile sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di legge.
2.3. La quaestio iuris se le somme percepite dal prestatore di lavoro a titolo di trasferta contribuiscano o no alla determinazione del reddito imponibile è stata oggetto di numerose pronunce di questa Corte che ha, anche recentemente, chiarito che in tema di imposte sui redditi, il rimborso delle spese di trasferta ex art. 51, comma 5, d.P.R. n. 917 del 1986, può essere analitico, se ancorato agli esborsi, per vitto, alloggio e viaggio, effettivamente sostenuti e adeguatamente documentati dal dipendente, ovvero forfettario, se operato attraverso il riconoscimento di una provvista di denaro per sostenere le spese di vitto e alloggio, con la conseguenza che, mentre nel primo caso il rimborso non determina alcuna tassazione in capo al dipendente, nel secondo l’importo che oltrepassi il limite massimo previsto dall’art. 51 cit. concorre alla formazione del reddito di lavoro (Cass. n. 8489/2020; cfr. anche: Cass. n. 2124/2024, che seppure pronunciata in tema di assegno di accesso previsto per i medici ambulatoriali chiarisce la differenza fra l’indennità di trasferta ed il rimborso spese).
Nel caso di rimborso analitico quindi non si determina alcun riflesso di tassazione in capo al dipendente, poiché il riconoscimento di detti costi avviene sulla base della documentazione fornita dallo stesso dipendente e non può mai essere superiore alla spesa effettivamente sostenuta; invece, nell’ipotesi in cui si utilizzi il metodo forfettario, il citato art. 51, comma 5, t.u.i.r. prevede un limite massimo oltre il quale l’importo forfettario riconosciuto al dipendente concorre alla formazione del reddito di lavoro dipendente (Cass. n. 8489/2020, in motivazione).
In entrambi i casi, infatti, si tratta di spese sostenute per rendere la prestazione richiesta, il cui rimborso si impone per evitare il depauperamento retributivo, al di là delle modalità prescelte per ristorare il dipendente dei costi affrontati per eseguirla.
Ora, la CTR nell’escludere, nel caso di specie, la concorrenza delle somme percepite a titolo di trasferta nella determinazione del reddito imponibile ha osservato che, in armonia con la giurisprudenza di merito e di legittimità, «i rimborsi di spesa analitici delle spese di viaggio, anche sotto forma di indennità chilometrica e di trasporto (…) non formano comunque reddito quando le spese siano rimborsate sulla base di idonea documentazione, attesa la natura squisitamente risarcitoria di esse» mentre sono tassati, invece, «i rimborsi di spese in aggiunta all’indennità di trasferta non ricadendosi tuttavia nell’ipotesi in esame ».
Se ne trae che la sentenza ha equiparato il rimborso c.d. delle spese di viaggio a piè di lista e il rimborso sotto forma di indennità chilometrica, così negando la natura reddituale delle somme erogate a tale titolo, in ambedue i casi.
Seppure la sentenza non si occupi di analizzare nel dettaglio le singole voci delle somme riconosciute per la trasferta ed assoggettate a tassazione, vi è che il giudice di secondo grado ha escluso che quanto erogato dal datore di lavoro includesse voci diverse da quelle relative all’indennità chilometrica o comunque correlate al viaggi o mentre l ‘Agenzia nel proprio motivo di ricorso non ha neanche specificato di quali spese si trattasse e soprattutto non ha allegato che fossero stati superati i limiti oltre i quali il rimborso forfettario sia imponibile.
Il ricorso principale è quindi infondato e va respinto.
C on l’unico motivo del ricorso incidentale, NOME COGNOME lamenta invece la violazione dell’art. 15 d.lgs. n. 546/1992, in combinato disposto con l’art. 91 c.p.c., per aver la C.T.R. compensato integralmente le spese di lite, così affermando: «Le spese di giudizio vanno compensate tra le parti in virtù della specificità della materia e delle questioni tecniche trattate»; rileva il ricorrente incidentale che la motivazione adottata vìoli le suddette disposizioni e sia comunque
apodittica, non sussistendo né la soccombenza reciproca, né quelle gravi ed eccezionali ragioni che, sole, consentono di compensare le spese
3.1. Il motivo è fondato.
In origine l’art. 15, comma 1, d. lgs. n. 546 del 1992 disponeva che 1. La parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza. La commissione tributaria può dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, a norma dell’art. 92, secondo comma, del codice di procedura civile .
Nella versione emendata dalla legge n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, lett. a), come modificata dalla legge n. 51 del 2006, art. 39quater , l’art. 92, secondo comma, richiedeva per ritenere la compensazione delle spese, la concorrenza di altri giusti motivi, esplicitamente indicati in motivazione ; la disposizione si applicava ai giudizi instaurati dopo l’1/03/2006 (art. 2, comma 4, legge n. 263 del 2005).
La l. n. 69 del 2009, all’art. 45, comma 11, ha novellato l’art. 92, secondo comma, prevedendo che la compensazione possa avvenire quando ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione . L’art. 58, comma 1, prevede che le nuove disposizioni si applichino ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore (quindi dopo il 4/07/2009)
Il testo dell’art. 15 d. lgs. n. 546/1992 è stato poi sostituito dall’art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 156/2015, che dispone che 1. La parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza. 2. Le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate , regolando quindi la materia autonomament e senza più il rinvio all’art. 92 del codice di rito.
Tale disciplina è in vigore dall’1/01/2016 e si applica al caso di specie.
È evidente come la motivazione adottata dalla CTR non rispetti alcuno di detti parametri, in quanto del tutto generica, risolvendosi in un riferimento a un generico carattere «tecnico» delle questioni trattate.
In definitiva, il ricorso principale è rigettato, mentre il ricorso incidentale è accolto; la sentenza impugnata deve dunque essere cassata in relazione al ricorso accolto, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, sezione staccata di Messina, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
La soccombenza di una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, determina che non si applichi nei suoi confronti l’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass. n. 1778/2016).
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, sezione staccata di Messina, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2025.