Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31265 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31265 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
Avv. Acc. IRPEF 2011
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22181/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-ricorrente –
Contro
COGNOME, rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in San Severo (FG), INDIRIZZO. EMAIL
-controricorrente –
Avverso la sentenza della C.G.T. DI SECONDO GRADO PUGLIA n. 1852/26/2022, depositata in data 5 luglio 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 novembre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
Con l’avviso di accertamento n. TUTTUTM000134, notificato al dott.
NOME COGNOME il 16 maggio 2016, relativo all’anno d’imposta 2011, il competente Ufficio dell’Agenzia delle Entrate accertava in capo al predetto contribuente, ai sensi dell’art. 41bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, un reddito di lavoro dipendente pari a € 143.745,00 in luogo di quello dichiarato pari a € 132.290,00; ne conseguiva un maggior reddito di lavoro dipendente per € 11.455,00 da valere ai fini dell’IRPEF e delle relative addizionali. L’avviso di accertamento prendeva le mosse da una segnalazione effettuata dalla Direzione centrale accertamento sulla base dei dati in possesso dell’Anagrafe tributaria e dalla quale risultava che il sostituto d’imposta «Azienda ASL/FG» aveva corrisposto al COGNOME NOME compensi per redditi di lavoro dipendente pari a € 143.745,00 ed operato ritenute per € 54.980,00.
Avverso l’avviso di accertamento il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Foggia; si costituiva in giudizio anche l’Ufficio, che chiedeva la conferma del proprio operato.
La C.t.p., con sentenza n. 760/01/2017, accoglieva il ricorso del contribuente.
Contro tale decisione proponeva appello l’Agenzia delle Entrate dinanzi la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia; si costituiva in giudizio anche il contribuente, chiedendo la conferma di quanto statuito in primo grado.
Con sentenza n. 1852/26/2022, depositata in data 5 luglio 2022, la Corte adita rigettava l’appello dell’Ufficio.
Avverso la sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo mentre il contribuente ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 12 novembre 2024 per la quale l’ente erariale ha depositato memoria.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’articolo 51, commi 1, 2 e 5, dell’articolo 13,
comma 1, e dell’articolo 6, comma 2, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), ed erronea interpretazione dell’articolo 48 del dell’Accordo Collettivo Nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici specialisti ambulatoriali (360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.)» l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. ha affermato che le somme corrisposte alla controparte dovevano qualificarsi come percepite a titolo di indennità/risarcimento e non retributivo, con conseguente esenzione da tassazione e legittimità dell’istanza ex adverso formulata, mentre in realtà deve ritenersi che il regime delle trasferte non possa essere applicato al caso di specie in quanto esso trova luogo nella sola ipotesi in cui il lavoratore sia autorizzato a recarsi al luogo di missione, e non al luogo di lavoro, partendo dalla sua residenza.
Il motivo di ricorso proposto è fondato.
2.1. Con riferimento alla disposizione riguardante i cc.dd. “trasfertisti”, è recentemente intervenuta la disposizione di cui all’art. 7-quinquies del d.l. 22 ottobre 2016, n. 193 (convertito dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225) – che, secondo Cass., Sez. U., sentenza n. 27093 del 15/11/2017 (Rv. 646405 01), ‘ha introdotto una norma retroattiva autoqualificata di “interpretazione autentica” del comma 6 dell’art. 51 del TUIR, con la quale ha stabilito (comma 1) che i lavoratori rientranti nella disciplina prevista dal suddetto comma 6 sono quelli per i quali sussistono contestualmente le seguenti tre condizioni: a) la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro; b) lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente; c) la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione “in misura fissa”, attribuite senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove la stessa
si è svolta, aggiungendo che, in caso di mancata contestuale esistenza delle suindicate condizioni, è riconosciuto il trattamento previsto per le indennità di trasferta di cui al comma 5 del medesimo articolo 51’. Ed il Supremo consesso della Corte nella citata sentenza ha precisato che l’art. 7-quinquies del d.l. n. 193 del 2016 (convertito dalla legge n. 225 del 2016) ‘risulta conforme ai principi costituzionali di ragionevolezza e di tutela del legittimo affidamento nella certezza delle situazioni giuridiche, oltre che all’art. 117, primo comma, Cost., sotto il profilo del principio di preminenza del diritto e di quello del processo equo, consacrati nell’art. 6 della CEDU. Infatti, tale norma retroattiva ha attribuito alla norma interpretata un significato non solo compatibile con il suo tenore letterale ma più aderente alla originaria volontà del legislatore, con la finalità di porre rimedio ad una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, determinata un persistente contrasto tra la giurisprudenza di legittimità, le Pubbliche Amministrazioni del settore e la variegata giurisprudenza di merito’, precisando altresì che ‘in materia di trattamento contributivo dell’indennità di trasferta, alla stregua dei criteri di interpretazione letterale, storica, logico-sistematica e teleologica, l’espressione “anche se corrisposta con carattere di continuità” presente sia nell’art. 11 della legge 4 agosto 1984, n. 467 sia nel vigente art. 51, comma 6, del TUIR (così come nel comma 6 dell’art. 48 del TUIR, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 2 settembre 1997, n. 314) – deve essere intesa, nel senso che l’eventuale continuatività della corresponsione del compenso per la trasferta non ne modifica l’assoggettabilità al regime contributivo (e fiscale) meno gravoso (di quello stabilito in via generale per la retribuzione imponibile), rispettivamente previsto dalle citate disposizioni’. Da tali principi discende che nel caso di specie, indimostrata la ricorrenza delle tre condizioni di applicazione del disposto di cui al comma 6 dell’art. 51 TUIR, al
contribuente, che comunque ha dimostrato l’effettuazione di trasferte lavorative, spetta la detassazione prevista dal comma 5 della medesima disposizione».
2.2. Ancora si è rilevato che, in concreto, i commi da 5 a 8 dell’art. 51 del Tuir stabiliscono, in deroga al principio di onnicomprensività della retribuzione dettato dal precedente primo comma, una parziale non concorrenza alla formazione del reddito per alcune indennità erogate a dipendenti che svolgono, occasionalmente o abitualmente, attività lavorativa in luoghi diversi rispetto a quello individuato nel contratto di lavoro. Contrariamente, nel caso di specie, come in quelli decisi da questa Corte con le pronunce richiamate, si verte in tema di indennità corrisposte al medico per svolgere attività di ambulatorio al di fuori del proprio comune di residenza, fattispecie differente da quella della trasferta comandata al di fuori del comune della sede di lavoro, come evidenziato dall’Amministrazione ricorrente, che richiama a tale proposito la Risoluzione n. 106/E/2015 del 21/12/2015 dell’Agenzia delle Entrate. Riscontra quanto ora osservato il rilievo che l’istituto della trasferta al di fuori del comune della sede di lavoro contrattualmente prevista trova diversa ed autonoma disciplina nell’art. 32 dell’Accordo collettivo nazionale di lavoro per la disciplina dei rapporti con i medici specialisti ambulatoriali interni ed altre professionalità sanitarie (biologi, chimici, psicologi) ai sensi dell’art. 48 della legge n. 833/78 e dell’art. 8 del d. lgs. n. 502 del 1992 e successive modificazioni ed integrazioni, del 29.07.09, presente anche nel successivo Accordo del 17.12.15. Detto articolo, rubricato ‘Attività esterna e pronta disponibilità’, al comma 1, prevede che ‘L’azienda, per propri fini istituzionali o esigenze erogative, può fare svolgere allo specialista ambulatoriale o al professionista, incaricato ai sensi del presente Accordo, attività professionale anche al di fuori della sede di lavoro indicata nella lettera di incarico (attività esterna). In caso di incarico conferito per
lo svolgimento esclusivo di attività esterna, come sede di lavoro si intende quella dove avviene la rilevazione della presenza all’inizio dell’orario di servizio’ e, al comma 6, che ‘Per lo svolgimento di attività esterna al professionista è attribuito un emolumento forfetario aggiuntivo calcolato sul compenso orario (…)’. 2.3. Né l’emolumento in esame può essere ricondotto alla previsione derogatoria contemplata dal comma 2, lett. d) dell’art. 51 Tuir che, con specifico riferimento alle somme corrisposte e ai servizi prestati in relazione agli spostamenti per raggiungere dal luogo di residenza la sede di lavoro, prevede che: ‘Non concorrono a formare il reddito “le prestazioni di servizi di trasporto collettivo alla generalità o a categorie di dipendenti; anche se affidate a terzi ivi compresi gli esercenti servizi pubblici”. Tale fattispecie, infatti, non riguarda i rimborsi in oggetto, atteso che gli spostamenti in esame sono ‘individuali’ e non possono, evidentemente, essere ricondotti alle “prestazioni di servizi di trasporto collettivo”, previste dal menzionato articolo. In conclusione, deve darsi continuità all’orientamento recentemente espresso da questa Corte, che ha affermando che ‘il ‘rimborso spese di accesso’ previsto dall’art. 35 del d.P.R. n. 271 del 2000, il quale prevede la corresponsione di un ‘rimborso spese di accesso’ alla sede di lavoro che si trovi in un Comune diverso da quello di residenza del medico ambulatoriale convenzionato, rimborso determinato con il criterio forfettario della indennità chilometrica, è ontologicamente diverso dalle ‘indennità percepite per le trasferte’ di cui all’art. 51 comma 5 Tuir, le quali consistono in spostamenti temporanei del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa in comune diverso da quello ove essa è ordinariamente effettuata, spostamenti intervenuti su richiesta e nell’interesse del datore di lavoro; di conseguenza, il principio di onnicomprensività previsto dall’art. 51 comma 1 Tuir comporta che tale voce, non essendo riconducibile alla previsione di cui all’art. 51 comma 5 cit., debba essere ricompresa tra ‘le somme a qualunque
titolo percepite’ in relazione al rapporto di lavoro dipendente, pertanto soggette ad imposizione fiscale’ (Cass. nn. 2124, 2126, 2184, tutte del 22/01/2024)» (Cass. n. 12075/2024).
2.4. Nella fattispecie in esame la Corte ha fatto mal governo dei principi normativi e giurisprudenziali illustrati allorquando ha affermato la natura non retributiva dell’indennità in questione, conseguentemente riconoscendole la non imponibilità.
In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza va cassata; non essendo necessari ulteriori accertamento in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., con il rigetto dell’originario ricorso della società contribuente.
Si compensano le spese dei gradi di merito.
Le spese del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente. Compensa le spese dei gradi di merito.
Condanna il controricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma il 12 novembre 2024.