Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8429 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8429 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/03/2025
ingiuntivo; oneri deducibili; art. 10 T.U.I.R.
NOME COGNOME
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere
COGNOME
Consigliere – Rel.
Ud. 1/26/02/2025 C.C. PU R.G. 13123/2022 –
Cro
R.G.N. 17987/2019
NOME COGNOME
Consigliere
COGNOME
Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 13123/2022 proposto da:
Banca Popolare di Vicenza s.p.a., in liquidazione coatta amministrativa, nella persona dei Commissari liquidatori, dott. NOME COGNOME, prof. avv. NOME COGNOME e dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME per procura speciale allegata al ricorso per cassazione, tutti elettivamente domiciliati presso lo Studio in Milano, INDIRIZZO
Pec: EMAIL
-ricorrente – contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la
cui sede è elettivamente domiciliata, in Roma, alla INDIRIZZO (PEC: EMAIL
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del VENETO n. 427/22, depositata in data 21 marzo 2022, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
1. La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dalla Banca Popolare di Vicenza, in liquidazione, avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso avente ad oggetto il silenziorifiuto opposto dall’Agenzia delle Entrate sull’istanza di rimborso presentata per ottenere la restituzione della somma versata come sostituto d’imposta su quanto liquidato a favore del dipendente COGNOME NOME a seguito di decreto ingiuntivo dichiarato definitivamente i nefficace dalla Corte d’appello di Venezia con sentenza del 18 aprile 2019.
2. I giudici di secondo grado hanno rigettato il gravame ritenendo che la somma erogata dalla Banca al dipendente in forza del decreto ingiuntivo emesso a suo favore era andata ad integrare l’imponibile del Sorato per l’annualità 2016; per tale annualità , hanno considerato, il COGNOME aveva certamente utilizzato il credito d’imposta (versato all’Erario dalla B anca erogante) nella corrispondente sua dichiarazione dei redditi, rispetto alla quale, peraltro, nessuna delle parti aveva fornito notizie e che, per assurdo, avrebbe potuto addirittura evidenziare un credito d’imposta a favore del S orato stesso; l’ imposta sostitutiva versata dalla Banca era entrata a far parte del contesto fiscale in capo al COGNOME, contesto estraneo e sconosciuto rispetto alla Banca appellante; non vi era prova che il COGNOME avesse restituito alla
Banca quanto indebitamente percepito, nemmeno al netto dell’imposta, e che quindi il suo imponibile si fosse conseguentemente ridotto (evidentemente ciò sarebbe comunque avvenuto in un anno d’imposta successivo al 2016) ; nei confronti della Banca, dunque, solo il COGNOME era debitore dell’intera somma, al lordo delle imposte versate dall’ente erogante e doveva essere poi il COGNOME stesso che, sulla base delle sue dichiarazioni fiscali, poteva richiedere la restituzione di un’imposta eventualmente versata in eccesso.
La Banca Popolare di Vicenza, in liquidazione coatta amministrativa, ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo motivo di ricorso deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 38, comma 1, d.P.R. n. 602 del 1973, dell’art. 10 comma 1, lett. dbis ), d.P.R. n. 917 del 1986, nonché dell’art. 2697 c.c. sull’istanza di rimborso dell’imposta sostitutiva ex art. 17, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 917 del 1986 da parte della Banca, sostituto d’imposta. La sentenza impugnata aveva violato le disposizioni di legge impugnate perché l’art. 38, commi 1 e 2, del d.P.R. n. 602 del 1973, consentiva tanto al soggetto che aveva effettuato il versamento diretto quanto al percipiente delle somme soggette a ritenuta di presentare istanza di rimborso del versamento di imposta « nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento », come confermato anche dalla giurisprudenza di legittimità più recente. Inoltre, l’ azione di rimborso di somme indebitamente versate aveva portata generale in materia tributaria e come tale non poteva, salvo espressa disposizione contraria, ritenersi preclusa in presenza di ulteriori modalità di recupero del pagamento indebito. Non esisteva, infine, un problema di onere della prova a carico della Banca dell ‘ avvenuta restituzione degli
imposti da parte del COGNOME ai fini del rimborso della ritenuta da parte dell’Ufficio, in quanto, a seguito della inefficacia del decreto ingiuntivo del Tribunale di Vicenza, la somma conferita al COGNOME era diventata un «indebito oggettivo» per quest’ultimo con la conseguenza che, per effetto della inefficacia, automaticamente erano venuti meno ex tunc anche i presupposti per la tassazione della citata somma con riflesso obbligo di restituzione dell’imposta da parte dell’Erario, a prescindere dal recupero da parte della Banca della somma versata al Sorato in sede monitoria. In ogni caso, a tutt’oggi, l’Ufficio non aveva contestato l’avvenuta utilizzazione in deduzione delle ritenute né la presentazione di istanza di rimborso da parte del Sorato e, dunque, in nessun caso vi era il pericolo di compromissione degli interessi erariali.
Il secondo motivo lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza in violazione dell’art. 112 c.p.c. con riferimento alla richiesta di condanna dell’Ufficio al risarcimento per responsabilità processuale ex art. 96, comma 1, c.p.c. La sentenza pronunciata dalla Commissione tributaria regionale di Venezia era viziata da nullità, in quanto il Giudice non si era pronunciato sulla richiesta di condanna dell’Ufficio al risarcimento per responsabilità processuale ex art. 96, comma primo, c.p.c. avanzata dalla Banca fin dal primo grado del giudizio ed anche in appello. L’eccezione in esame risultava documentalmente sollevata nelle memorie illustrative di primo grado dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Vicenza e lo stesso rilievo era stato ribadito anche nel ricorso d’appello e quindi ripreso in modo ancora più preciso e puntuale nelle memorie illustrative di secondo grado. In ogni caso, ricorrevano anche i presupposti per la condanna dell’Ufficio al risarcimento dei danni, così come disposto dall’art. 96, comma primo, c.p.c.
L’esame delle esposte censure porta all’accoglimento del primo motivo, con assorbimento del secondo motivo.
3.1 La questione in esame è stata oggetto di vari interventi normativi che è necessario illustrare anche per individuare la disciplina normativa applicabile alla vicenda oggetto del presente giudizio.
In primo luogo, viene in rilievo l’art. 10, comma 1, lett. d -bis), T.u.i.r., richiamato dalla difesa della Banca ricorrente, che, nella versione vigente fino all’anno di imposta 2012, disponeva che « Dal reddito complessivo si deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo, i seguenti oneri sostenuti dal contribuente le somme restituite al soggetto erogatore, se hanno concorso a formare il reddito in anni precedenti ».
La lett. dbis) citata è stata inserita dall’art. 5 del d.lgs. 2 settembre 1997, n. 314 che ha introdotto un nuovo onere deducibile, pari, appunto, all’importo delle somme che in un periodo d’imposta sono state assoggettate a tassazione e, successivamente, sono state rimborsate all’ente erogatore.
Per effetto della lettera h) del comma 2 del nuovo articolo 48 (ora 51 T.u.i.r.), come sostituito dall’art. 3 del d.lgs. n. 314 del 1997, il predetto onere deducibile poteva anche essere riconosciuto direttamente dal sostituto di imposta e non concorrere a formare il reddito imponibile, evitando così che il contribuente dovesse presentare la dichiarazione dei redditi per ottenere il riconoscimento di tale onere. Detta disposizione, infatti, prevede che non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente le somme trattenute al dipendente per oneri di cui all’art. 10 T.u.i.r.
Dal punto di vista oggettivo, l’articolo 10, comma 1, lettera d -bis), T.u.i.r., nel testo originario, si applica alle somme oggetto di restituzione, sia assoggettate a ritenuta a titolo di imposta (ovvero ad imposta sostitutiva) o a titolo di acconto, sia a quelle assoggettate ad Irpef in sede di dichiarazione dei redditi. Tali somme, pertanto costituiscono un onere deducibile indipendentemente dalla modalità di tassazione (anche separata) subìta. Con tale onere deducibile (di
importo pari alla somma precedentemente assoggettata a tassazione e, successivamente, rimborsata al soggetto erogatore) il contribuente recupera le imposte pagate al momento della percezione delle somme. L’art. 10, comma 1, lettera d -bis), T.u.i.r. è stato modificato dall’art. 1, comma 174, legge 27 dicembre 2013, n. 147, (legge di stabilità 2014), a decorrere dall’anno di imposta 2013. Al fine di consentire il recupero delle imposte versate al momento della percezione delle somme, anche qualo ra il reddito complessivo del periodo d’imposta in cui sono restituite fosse risultato incapiente, la nuova disposizione, nel confermare la deducibilità delle somme restituite al soggetto erogatore, se assoggettate a tassazione in anni precedenti, ha previsto che « l’ammontare, in tutto o in parte, non dedotto nel periodo d’imposta di restituzione può essere portato in deduzione dal reddito complessivo dei periodi d’imposta successivi; in alternativa, il contribuente può chiedere il rimborso dell’imposta corrisponden te all’importo non dedotto secondo modalità definite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze ».
Il richiamo è al d.m. 5 aprile 2016, che, all’art. 1, comma 4, prevede che « In alternativa alla deducibilità dal reddito complessivo dei periodi d’imposta successivi, il contribuente può chiedere, entro il termine di cui all’articolo 2, comma 1, il rimborso dell’importo determinato applicando all’intero ammontare delle somme non dedotte l’aliquota corrispondente al primo scaglione di reddito di cui all’articolo 11 del citato TUIR. La richiesta di rimborso è irrevocabile ».
L’art. 2 detta puntualmente le modalità di rimborso prevedendo che « 1. L’istanza di rimborso di cui all’art. 1, comma 4, è presentata in carta libera agli uffici territoriali dell’Agenzia delle entrate nel termine biennale indicato nell’art. 21, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, decorrente dalla data di scadenza del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel quale sono state restituite le somme. 2. Per i contribuenti
non obbligati alla presentazione della dichiarazione dei redditi il termine biennale di presentazione dell’istanza di rimborso di cui al comma 1 decorre dalla data di scadenza del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel quale è avvenuta la restituzione, ancorché l’importo restituito non sia stato prioritariamente dedotto dal reddito complessivo ».
L’art. 3, contenente la disciplina transitoria, prevede che « i contribuenti che negli anni 2013 e 2014 hanno restituito al soggetto erogatore somme assoggettate a tassazione in anni precedenti e che per le stesse somme non hanno fruito, in tutto o in parte, della deduzione dal reddito complessivo possono presentare l’istanza di rimborso di cui all’art. 2, comma 1, dell’importo determinato applicando alle somme non dedotte l’aliquota corrispondente al primo scaglione di reddito di cui all’art. 11 del citato TUIR . In tal caso, il termine biennale di cui all’art. 21, comma 2, del citato decreto legislativo n. 546 del 1992 decorre dalla data di entrata in vigore del presente decreto ».
Da ultimo, l’articolo 150 del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. decreto Rilancio), convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, ha introdotto nell’articolo 10 T.u.i.r. il comma 2-bis con il quale è stata espressamente prevista la cosiddetta modalità di restituzione al netto in aggiunta a quella al lordo della ritenuta stabilita dall’articolo 10, lettera d -bis), T.u.i.r.
Detta disposizione si applica alle somme restituite dal 1° gennaio 2020, facendo salvi i rapporti già definiti alla data di entrata in vigore del decreto, ovvero al 19 maggio 2020.
3.2 Tanto premesso, va rilevato che alla fattispecie in esame si applicano le modifiche apportate alla legge di stabilità del 2014, in quanto l’istanza di rimborso è stata presentata il 9 novembre 2018, dunque in data successiva al decreto ministeriale 5 aprile 2016, che ne ha dettato la disciplina di attuazione anche con riferimento alle annualità pregresse.
3.3 Ciò posto, questa Corte ha chiarito che l’impossibilità di recuperare per intero, mediante il meccanismo dell’onere deducibile, le imposte trattenute e non dovute, non esclude il legittimo ricorso alla procedura di rimborso. E’ stato precisato, infatti, che l’art. 10 T.u.i.r. riconosce al contribuente esclusivamente la facoltà di utilizzare, nella dichiarazione dei redditi, il meccanismo della deduzione dell’onere dalla complessiva base imponibile (e cioè, in sostanza, una forma di restituzione per compensazione), ma che il mancato esercizio di tale facoltà non preclude affatto il ricorso all’ordinario strumento della procedura di rimborso, mediante presentazione della relativa domanda nel termine previsto a pena di decadenza. Va ribadito, pertanto che l’azione di rimborso di somme indebitamente versate non può, salvo espressa disposizione contraria, ritenersi preclusa in presenza di ulteriori modalità di recupero del pagamento indebito, la cui utilizzazione è prevista a più limitati fini ed è rimessa alla libera scelta del contribuente (Cass., 9 novembre 2023, nn. 31205 e 31198, Cass. 14 settembre 2021, n. 24650; Cass., 1 agosto 2019, n. 29744).
Si tratta di una soluzione ermeneutica che trova ulteriore conforto nella successiva modifica apportata dalla legge di stabilità del 2014 (applicabile al caso in esame) che ha espressamente contemplato, in alternativa allo strumento di trattare le ritenute alla stregua di un costo deducibile, il diritto al rimborso dettando una specifica disciplina attuativa.
3.4 Va ulteriormente precisato che l’azione di rimborso, nella fattispecie in esame, è governata dall’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973 e dall’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992 che costituisce norma di chiusura in ipotesi di mancata previsione di un termine specifico.
L’art. 38 citato, in particolare, prevede che « il soggetto che ha effettuato il versamento diretto può presentare istanza di rimborso, entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso, nel caso di errore materiale, duplicazione ed
inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento » e questa Corte, con consolidata giurisprudenza, ha precisato che in tema di rimborso delle imposte dirette il termine di decadenza previsto dall’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973 ha portata generale e si riferisce a qualsiasi ipotesi di indebito correlato all’adempimento dell’obbligazione tributaria, qualunque sia la ragione per cui il versamento è in tutto o in parte non dovuto, e, quindi, ad errori tanto connessi ai versamenti quanto riferibili all’ an o al quantum del tributo, mentre l’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 costituisce norma residuale e di chiusura del sistema, in virtù della quale « la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione » (Cass., 9 novembre 2023, nn. 31205 e 31198, Cass., 16 maggio 2023, n. 13332; Cass., 14 settembre 2021, n. 24650; Cass., 1 agosto 2019, n. 20744; Cass., 7 agosto 2015, n. 16617).
Nella locuzione « inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento », di cui all’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, rientra anche il caso di pagamento eseguito erroneamente perché non dovuto per carenza della supposta obbligazione tributaria, integrandosi così un indebito oggettivo. Il testuale tenore della norma non autorizza un’interpretazione diversa e, in particolare, non consente di distinguere tra versamenti diretti in relazione ai quali il contribuente faccia valere l’inesistenza dell’obbligo legislativo di versamento e quelli per i quali lo stesso deduca l’inesistenza in concreto dell’obbligazione tributaria. Si è precisato, infatti, che non è sostenibile che l’art. 38 sia applicabile alle sole ipotesi di pagamento ab origine non dovuto e non in quelli in cui, come nella specie, l’insussistenza dell’obbligazione tributaria e, quindi dell’obbligo di versamento, sopravvenga in un momento successivo al pagamento (Cass., 1 agosto 2019, n. 20744).
Va ribadito, pertanto, che, anche qualora il tributo, originariamente dovuto su una prestazione effettivamente percepita e corrisposto dal soggetto erogatore a mezzo di ritenuta alla fonte, diventi indebito a seguito dell’obbligo di restituire la prestazio ne conseguente all’accertamento che quest’ultima non era dovuta, l’ azione di ripetizione resta comunque soggetta alla disposizione, di carattere generale, di cui all’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, norma che, dunque, presidia il rimborso dell’imposta o riginariamente non dovuta e dell’imposta che, pur legittimamente corrisposta al momento del versamento, acquisisca in un momento successivo i connotati dell’indebito (Cass., 25 marzo 2024, n. 7936).
3.5 Quanto al soggetto legittimato all’azione di rimborso, va ribadito che quest’ultimo si identifica tanto col sostituto d’imposta (nella specie la Banca Popolare di Vicenza), che ha effettuato il versamento a seguito di ritenuta, quanto co l sostituito; infatti, ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, sono legittimati a richiedere alla Amministrazione finanziaria il rimborso delle somme non dovute e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario, sia il soggetto che ha effettuato il versamento (c.d. sostituto di imposta), sia il percipiente delle somme assoggettate a ritenuta (c.d. sostituito) (cfr., tra le altre, (Cass., 25 marzo 2024, n. 7936; Cass., 9 novembre 2023, nn. 31205 e 31198; Cass., 13 novembre 2019, n. 29399; Cass., 29 settembre 2015, n. 16105; Cass., 12 marzo 2014, n. 5653).
Come evidenziato da questa Corte, l’azione di restituzione e riduzione in pristino, che venga proposta a seguito della riforma o cassazione della sentenza contenente il titolo del pagamento, si collega ad un’esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore a detta sentenza e di prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti, e, dunque, giuridicamente di un pagamento non dovuto e quali che siano i rimedi esperibili dal contribuente/lavoratore nei
confronti dell’amministrazione finanziaria, è evidente che il solvens non può ripetere dal lavoratore accipiens più di quanto quest’ultimo abbia effettivamente percepito, e cioè di quanto versato, sia pure in esecuzione di sentenza provvisoriamente esecutiva (o decreto ingiuntivo esecutivo come nel caso in esame), suscettibile di riforma o cassazione nell’ambito degli ordinari mezzi di impugnazione previsti dall’ordinamento, ad un terzo (ente fiscale) (Cass., 14 settembre 2021, n. 24650, in motivazione, che richiama Cass., 20 ottobre 2011, n. 21699 e Consiglio di Stato. 4 luglio 2011, n. 3984).
3.6 Deve, altresì, escludersi che l’istanza di rimborso presentata richieda la prova dell’avvenuta integrale restituzione alla Banca dell’importo al lordo delle ritenute effettuate, in quanto dalla riconosciuta alternatività della legittimazione ad agire per la ripetizione delle imposte indebitamente versate, discende la sostanziale autonomia dei rapporti tra sostituto e sostituito rispetto al rapporto fiscale e, conseguentemente, la mancanza di interesse specifico dell’Agenzia ricorrente per detto rapporto tra le parti (Cass., 14 settembre 2021, n. 24650).
3.7 Al riguardo, di recente, sono stati statuiti i seguenti principi di diritto: 1) « In tema di restituzione delle somme non dovute versate dal sostituto d’imposta, l’impossibilità per il contribuente di recuperare per intero le imposte indebitamente trattenute mediante il meccanismo compensativo della deduzione dell’onere dalla complessiva base imponibile, nei limiti della capienza, previsto dall’art. 10, comma 1, lett. d-bis), t.u.i.r. (vigente ratione temporis), ovvero il mancato esercizio di tale facoltà, non preclude il ricorso all’ordinaria procedura di rimborso dei versamenti diretti ex art. 38 d.P.R. n. 602 del 1972, mediante presentazione della relativa domanda nel termine decadenziale (stabilito, in via residuale, dall’art. 21, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992), trattandosi di azione avente portata generale in materia tributaria, non preclusa, salvo contraria disposizione di legge,
da ulteriori modalità di recupero del pagamento indebito, la cui utilizzazione è prevista a più limitati fini ed è rimessa alla libera scelta del contribuente »; 2) « In tema di rimborso di imposte dirette, si applica l’art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e non l’art 21 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 avente carattere residuale -per l’ipotesi di imposta che, pur legittimamente corrisposta, a mezzo di ritenuta alla fonte, all’atto del pagamento della prestazione che ne costituisce il presupposto, sia risultata indebita in ragione del successivo accertamento che quest’ultima non è dovuta, con conseguente obbligo di restituzione al soggetto erogatore. Il dies a quo per la domanda di rimborso non coincide con quello in cui è stata eseguita la ritenuta, ma con quello in cui il contribuente è tenuto alla restituzione della prestazione principale » (Cass., 25 marzo 2024, n. 7936).
3.8 La sentenza impugnata non è conforme ai principi esposti nella parte in cui ha ritenuto che la somma erogata dalla Banca era andata ad integrare l’imponibile del Sorato per l’annualità del 2016 , che non vi era prova che il Sorato avesse restituito alla Banca quanto indebitamente percepito, nemmeno al netto dell’imposta e che il Sorato, sulla base delle sue dichiarazioni fiscali, poteva richiedere la restituzione dell’imposta eventualmente versata in eccesso (cfr. pagine 2 e 3 della sentenza impugnata ; d’altronde, quanto all’utilizzo del credito, la stessa Agenzia in controricorso si è limitata ad affermare che « … l’unico legittimato a richiedere il rimborso delle ritenute, nel caso in cui le somme restituite non fossero state dallo stesso utilizzate in deduzione dal reddito complessivo, è il sig. COGNOME »).
Per le ragioni di cui sopra, va accolto il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo motivo; la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 26 febbraio 2025.