Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5988 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5988 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/03/2025
Oggetto: Sisma Sicilia Rimborso del 90% dei tributi versati – Presupposti – Rispetto del regolamento de minimis -Criteri.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16727/2022 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro-tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato , presso i cui uffici è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO come da procura speciale in atti.
– controricorrente –
avverso la sentenza della C.T.R. della Sicilia, n. 3923/2022, depositata il 2.5.2022 e notificata il 12.5.2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19.2.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con ricorso proposto alla Commissione tributaria provinciale di Siracusa, COGNOME NOME impugnava il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza da lui presentata, per ottenere il rimborso del 90% delle imposte IRPEF e ILOR 1991-1992, ai sensi dell’art. 9, comma 17, della l n. 289 del 2002 per i soggetti residenti nelle province siciliane colpite dal terremoto del 1990.
In primo grado, la C.t.p. accoglieva il ricorso, dichiarando dovuto il rimborso richiesto.
Tale decisione veniva confermata dalla C.t.r., la quale evidenziava che il rimborso era ammissibile anche per imprenditori e professionisti, ove l’importo complessivo non fosse superiore alla somma di € 200.000 nel triennio.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate , sulla base di un motivo, cui resisteva il contribuente con controricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con l’unico motivo di doglianza, l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione de ll’art. 9, comma 17, della l. n. 289 del 2002; dell’art. 1, comma 665, della l. n. 190 del 2014; dell’art . 2697 c.c.; degli artt. 107 e 108 del TFUE; dei principi stabiliti dalla Commissione Europea con Decisione (UE) 2016/195, notificata con il n. C (2015) 5549 final, con riferimento agli artt. 11, 117 e 53 Cost., in relazione all’art . 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; nonché la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., avendo errato la C.t.r. nel ritenere rispettato nella specie il regolamento de minimis , valorizzando unicamente il mancato superamento della soglia di € 200.000, poiché, a prescindere dal l’entità, il diritto al rimborso era escluso per i contribuenti che avevano svolto attività di impresa, seppur con alcune deroghe, la cui ricorrenza non era stata dimostrata, tenuto
conto che il contribuente era anche titolare di redditi di partecipazione e non aveva provato di non aver fruito di altri aiuti di stato nei trienni di riferimento.
Con il controricorso, il contribuente eccepisce preliminarmente l’inammissibilità del motivo, con riferimento alla parte relativa all’asserita violazione di norme sovranazionali, che mai era stata oggetto di censure in appello. Analogamente, con riferimento alla violazione de ll’art. 9, comma 17, della l. n. 289 del 2002 e dell’art. 1, comma 665, della l. n. 190 del 2014, sostiene che in appello l’Agenzia delle entrate aveva eccepito soltanto che la non spettanza del rimborso, poiché il contribuente era titolare di reddito di lavoro dipendente. Deduce, in subordine, che il rimborso aveva ad oggetto la restituzione dell’Irpef 1991 -1992 e dell’Ilor 1992, che non integrano aiuto di Stato, ma rientrano nella fattispecie degli aiuti de minimis.
3. Il motivo di ricorso è ammissibile e fondato.
Quanto al primo profilo, le violazioni lamentate dall’Agenzia delle entrate, attenendo ai presupposti soggettivi per ottenere il rimborso e, quindi, ai fatti costitutivi del diritto fatto valere dal contribuente, dovevano essere valutate dal giudice di merito, a prescindere da ogni contestazione sollevata dalle parti e, dunque, anche d’ufficio , attesa la cogenza, per il giudice nazionale, delle norme unionali in materia.
Del resto, nel processo tributario, caratterizzato dall’impugnazione di una pretesa fiscale fatta valere mediante l’emanazione dell’atto impositivo nel quale i fatti costitutivi della richiesta sono già stati allegati, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato nell’atto impugnato (Cass. n. 16984/2023, Rv. 66825801). Ciò in quanto, nel processo tributario, il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. opera sul piano della prova e
non contrasta, né supera, il diverso principio per cui la mancata presa di posizione sul tema introdotto dal contribuente non può restringere il thema decidendum ai soli motivi contestati se sia stato chiesto il rigetto dell’intera domanda, né può aggirare il principio di sindacabilità limitata degli atti sottostanti adottati dall’Amministrazione finanziaria, autonomamente e obbligatoriamente impugnabili davanti al giudice tributario entro il termine di 60 giorni ex artt. 19 e 21 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass. n. 22616/2024, Rv. 67225601).
Peraltro, la Suprema Corte ha anche affermato che, in tema di contenzioso tributario, ove la controversia abbia ad oggetto l’impugnazione del rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo, il contribuente è attore in senso non solo formale ma anche sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato e che le argomentazioni con cui l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita, costituiscono mere difese, non soggette ad alcuna preclusione processuale. Ne consegue che l’esclusione del diritto al rimborso, derivante dall’adesione del contribuente al condono, può essere dedotta per la prima volta anche in appello dall’Amministrazione finanziaria, trattandosi di questione che, pur non esclusivamente processuale, partecipa di tale natura ed è, dunque, rilevabile d’ufficio (Cass. n. 1906/2020, Rv. 65678401).
4. Acclarata l’ammissibilità del motivo, va osservato che q uesta Corte ha avuto modo di precisare che l’art. 9, comma 17, della l. n. 289 del 2002 (recante benefici fiscali in favore delle vittime del sisma del 13 e 16 dicembre 1990 in Sicilia) non è applicabile ai contribuenti che svolgono attività d’impresa, costituendo un aiuto di Stato illegittimo, ai sensi dell’art. 108, par. 3, del TFUE, come stabilito dalla decisione della Commissione (UE) 2015/5549 del 14 agosto 2015, la quale ha pure precisato che, per quanto riguarda gli aiuti individuali già concessi prima della data di avvio della decisione e
dell’ingiunzione di sospensione, il regime va considerato compatibile con il mercato interno se, in virtù della deroga prevista dall’art. 107, par. 2, lett. b) del T.F.U.E., può essere stabilito un nesso chiaro e diretto tra i danni subiti dall’impresa in seguito alla calamità naturale e l’aiuto di Stato concesso, dovendosi evitare i casi di sovracompensazione rispetto ai danni subiti, dovuta al cumulo di aiuti, oppure se i benefici risultino in linea con il regolamento de minimis applicabile (Cass. n. 644/2025; Cass. n. 27053/2022, Rv. 66586001; Cass. n. 30373/2019, Rv. 65593401; Cass. n. 2208/2019, Rv. 65236901).
È, pertanto, necessario che il beneficiario abbia sede operativa nell’area colpita dalla calamità naturale al momento dell’evento e che sia evitata una sovracompensazione rispetto ai danni subiti dalla impresa, scorporando dal danno accertato l’importo compensato da altre fonti (assicurative o altre misure di aiuto: p. 148 della decisione della Commissione). Inoltre, per il rispetto del principio de minimis , non basta che l’importo chiesto in recupero ed oggetto del singolo procedimento sia inferiore alla s oglia fissata dal diritto dell’UE (€ 200.000,00 nel triennio), dovendo invece la relativa prova riguardare l’ammontare massimo totale dell’aiuto rientrante nella categoria de minimis su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo (Cass. n. 14465/ 2017, non massimata).
Di conseguenza, il giudice del merito è tenuto a verificare in concreto che il beneficio individuale sia in linea con il regolamento de minimis applicabile.
Nel caso in esame, la controversia attiene esclusivamente al rimborso di imposte versate su redditi da lavoro autonomo (ed in particolare, medico oculista nell’esercizio del proprio studio professionale, esclusi i redditi di lavoro dipendente). Ha, quindi, errato la C.t.r. nel dichiarare la spettanza del diritto al rimborso, valorizzando la sola circostanza del mancato superamento della soglia di € 200.000, non avendo effettuato alcun accertamento per
verificare il rispetto in concreto del regolamento de minimis e mancando ogni considerazione in ordine ad eventuali importi compensati da altre fonti, assicurative o altre misure di aiuto (cfr. Cass. n. 3070/2018, Rv. 647113-01).
Pertanto, in accoglimento del l’unico motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice a quo per la valutazione dei presupposti per il riconoscimento del diritto al rimborso chiesto dal contribuente, alla luce di quanto sopra esposto, nonché per il regolamento delle spese di lite anche del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte , in accoglimento dell’unico motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria della Sicilia, in diversa composizione, per le ragioni di cui in parte motiva e per il regolamento delle spese di lite anche del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione