Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 704 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 704 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
Oggetto: sisma Sicilia Ottemperanza rimborso
O
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30195/2021 R.G. proposto da Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME
-intimato- avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della Sicilia, n. 5139/05/2021, pronunciata il 23 dicembre 2020 e depositata il 27 maggio 2021, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11 ottobre 2023 e del 4 dicembre 2023 dal Co: NOME COGNOME
RILEVATO
Il contribuente impugnava il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso avente ad oggetto il 90% degli importi versati a titolo di Irpef in relazione al triennio 1990-1992 ed in virtù di quanto previsto dall’art. 9, co. 17, n. 289/2017, ritenendo la disciplina invocata applicabile anche in ipotesi di versamenti già effettuati. La sentenza di accoglimento del ricorso veniva confermata dalla CTR. L’Amministrazione finanziaria ricorreva così per la cassazione della decisione di secondo grado: il ricorso veniva respinto giusta ordinanza di questa Corte n. 29903/2017.
Acclarato definitivamente il diritto del contribuente al rimborso della somma di euro 7.235,7 0 oltre interessi, l’Ufficio erogava la minor somma di 3.617,75, pari al 50% del dovuto.
Il contribuente agiva dunque per l’ottemperanza, censurando l’operato dell’Ufficio e rilevando come l’art. 16 -octies del d.l. n. 91/2017, convertito con modificazioni dalla legge n. 123/2017 non potesse trovare applicazione in caso di diritti di credito accertati con sentenza ormai passata in giudicato. La CTR, pur riconoscendo l’applicabilità del ius superveniens alla fattispecie in esame, riteneva non assolto l’onere probatorio da parte dell’Ufficio in ordine all’incapienza dei fondi disponibili. Nominava pertanto un commissario ad acta al fine di liquidare in misura integrale il rimborso, rigettando financo la richiesta di sospensione del giudizio in attesa della pronuncia della Corte costituzionale, chiamata a scrutinare la legittimità costituzionale della disciplina in commento, e con dannava l’Ufficio al pagamento delle spese di lite.
Invoca la cassazione della sentenza impugnata l’Amministrazione finanziaria che si affida a due motivi di ricorso, mentre il contribuente è rimasto intimato;
CONSIDERATO
Con il primo motivo di ricorso il patrono erariale lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché dell’art. 70 d.lgs. 546/1992 in riferimento all’art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c.
1.1 In altri termini, afferma che la CTR avrebbe erroneamente interpretato il quadro giuridico sostanzial-processuale in tema di onere probatorio e corretto governo della valutazione della prova. Deduce di aver adempiuto all’onere richiesto richiamando il provvedimento diretto riale del 26.09.2017 e dell’art. 29 del d.l. n. 162/2019, convertito con la legge n. 8/2020, emanato sul presupposto dell’insufficienza delle risorse stanziate.
Con il secondo motivo l’Amministrazione finanziaria denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 1, comma 665, legge 23 dicembre 2014, n. 190, come modificato dall’art. 16 -octies del d.l. 20 giugno 2017, n. 91, convertito con modificazioni dalla l. 3 agosto 2017, n. 123, dall’art. 29 del d.l. 30 dicembre 2019 n. 162 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2020 n. 8 in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
2.1 In particolare lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui la CTR non ha circoscritto la condanna nei limiti di cui all’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014. Deduce l’applicabilità al caso di specie dello ius superveniens di cui alle citate disposizioni, in base alle quali alla ricorrente, soggetto residente nelle zone colpite dal sisma siciliano del 13 e 16 dicembre 1990, non spettava il rimborso integrale delle imposte dirette versate negli anni 1990, 1991 e 1992 nella misura del 90 per cento, bensì nei limiti di cui alle citate disposizioni, ossia in forma dimidiata.
I due motivi, strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati nei limiti di cui in motivazione.
Questa Corte, sulla scorta di giurisprudenza costante ed uniforme, ha affermato che «Nella sostanza, quindi, l’avente diritto al rimborso che, per effetto della descritta disciplina di attuazione,
sia stato soddisfatto solo per metà del suo credito, o addirittura non sia stato affatto soddisfatto, non perde comunque il diritto all’integrale adempimento del rimborso, così come accertato ormai irrevocabilmente. A tale conclusione conduce innanzitutto la stessa lettera delle disposizioni in questione, che si riferiscono unicamente all'”effettuazione dei rimborsi” e non al diritto sostanziale che ne è oggetto. Del resto, anche il giudice delle leggi (con riferimento alla fattispecie, ante già richiamata, della c.d. ‘legge COGNOME‘, assimilabile a quella sub iudice ), ha concluso nello stesso senso, chiarendo che «La denunciata L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 7 (previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’art. 375 c.p.c.) – nel testo risultante dalla modifica da ultimo introdotta dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, art. 55, comma 1, lett. c) (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 stabilisce che “l’erogazione degli indennizzi (per irragionevole durata del processo) agli aventi diritto avviene nei limiti delle risorse disponibili”. Tale disposizione, ovviamente, non comporta che l’esaurimento dei fondi destinati (in bilancio dell’amministrazione erogante) al pagamento degli indennizzi in questione, escluda in via definitiva l’adempimento dei giudicati di condanna ex lege n. 89 del 2001, con riguardo ai quali non vi siano al momento risorse disponibili. Comporta bensì unicamente che, in conseguenza di quella attuale indisponibilità, il pagamento degli indennizzi di che trattasi sia differito al momento in cui sia ripristinata la disponibilità delle correlative risorse, ed avvenga, quindi, in ritardo rispetto alla data di intervenuta definitività del titolo» (Corte cost. 15 luglio 2015, n. 157). Più in generale, sia pur con riferimento a fattispecie diversa, la stessa Corte costituzionale ha del resto affermato che «Una decisione di giustizia che non possa essere portata ad effettiva esecuzione (eccettuati i casi di impossibilità dell’esecuzione in forma specifica) altro non sarebbe che un’inutile enunciazione di principi,
con conseguente violazione degli artt. 24 e 113 Cost., i quali garantiscono il soddisfacimento effettivo dei diritti e degli interessi accertati in giudizio nei confronti di qualsiasi soggetto» (Corte. Cost., sent. n. 419 del 1995). E, con riferimento ai limiti introdotti dalla medesima ‘legge Pinto’, anche la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha espresso il principio secondo il quale la mancanza di risorse finanziarie non può costituire di per sé sola la ragione per non adempiere un debito riconosciuto giudizialmente (Corte EDU, 29 marzo 2006, COGNOME RAGIONE_SOCIALE, p. 90; cfr. anche Corte EDU, 21 dicembre 2010, Gaglione c. Italia, p. 35). Infine, il contenimento della rilevanza dei limiti di stanziamento alla sola fase procedimentale di attuazione del rimborso corrisponde anche ad un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 1, comma 665, l. n. 190/2014, come modificato dal più volte citato art. 16octies d.l. n. 91/2017, come convertito, per evitare la possibile dispari tà di trattamento, contrastante con l’art. 3 Cost., che verrebbe altrimenti a crearsi tra i contribuenti i quali, per effetto della legge n. 289/2002, art. 9, comma 17, non hanno versato il 90% dell’IRPEF di cui agli anni d’imposta 1990, 1991 e 1992, godendo integralmente della relativa agevolazione, ed i contribuenti che, avendo a loro volta diritto allo stesso beneficio, hanno invece integralmente versato l’IRPEF relativa ai medesimi periodi, e debbono pertanto anch’essi poter recuperare interamente il 90% dell’imposta, pagato in eccedenza……Deve escludersi peraltro che, per effetto della sopravvenienza e dell’applicazione (con gli effetti di cui al paragrafo che precede) dell’art. 16 -octies del d.l. n. 91/2017, come convertito, e del conseguente provvedimento di attuazione del direttore dell’Agenzia delle entrate, sia configurabile una lesione dei diritti del contribuente che evidenzi profili di illegittimità costituzionale. Innanzitutto, per le ragioni già chiarite, il complesso normativo in questione non incide sull’ an e sul quantum del diritto sostanziale del contribuente al rimborso, come accertato dalla sentenza passata in
giudicato, e non si determina, pertanto, una violazione dell’art. 24 Cost. e (per comparazione con i contribuenti che non avevano versato ab origine il 90% dell’imposta) dell’art. 3 Cost. Inoltre, come questa Corte ha già avuto modo di rilevare, il legittimo affidamento del contribuente, nel caso di specie all’attuazione integrale del rimborso attraverso il procedimento in questione, non si traduce nell’aspettativa di intangibilità della relativa normativa, tanto meno in settori (quale quello fiscale) in cui è necessario – e di conseguenza ragionevolmente prevedibile – che le norme in vigore vengano continuamente adeguate alle variazioni della congiuntura economica (cfr. Cass. 24 febbraio 2020, n. 4848; Cass. 20 febbraio 2020, n. 4411, e giurisprudenza comunitaria ivi citata in motivazione). Infine, attraverso il complesso della normativa di attuazione de qua, il legislatore, preso atto della limitatezza delle risorse finanziarie erariali in un dato contesto temporale e considerate le superiori finalità pubbliche cui esse sono destinate, ha realizzato un legittimo bilanciamento tra queste ultime ed i diritti del singolo contribuente. Bilanciamento raggiunto peraltro approntando un sistema procedimentale che, operando l'”effettuazione” dei rimborsi in considerazione non solo delle risorse disponibili, ma anche del complesso delle domande proposte in un determinato periodo di tempo, incide proporzionalmente su ciascuna di queste ultime ed esclude, pertanto, sperequazioni tra i singoli aventi diritto nel medesimo contesto procedimentale, cronologico e finanziario. Fermo restando che, come si è detto, la limitazione dello specifico stanziamento non comprime il diritto sostanziale al rimborso già accertato e, come si dirà, neppure ne preclude, definitivamente o sine die, l’attuazione. Rimane peraltro da chiarire quali siano i criteri con i quali il giudice dell’ottemperanza deve provvedere ad attuare la disciplina sinora illustrata. Invero il Collegio è consapevole che, con precedenti arresti, è stato ritenuto che l’applicazione dei limiti al rimborso, nella fase esecutiva e quale concreta modalità di
attuazione della medesima sentenza di ottemperanza, presupponga che sia «allegato dall’Amministrazione quali e quante domande di rimborso siano state presentate o integrate» (Cass. 15 marzo 2019, n. 7368, in motivazione) e che il giudice dell’ottemperanza «avrebbe dovuto verificare se era stata provato dall’Agenzia delle entrate che l’ammontare delle istanze di rimborso presentate eccedesse le complessive risorse stanziate dall’art. 16- octies citato, e, quindi, provvedere di conseguenza» (Cass. 23 marzo 2021, n. 8380, in motivazione). Tuttavia, tali conclusioni vanno coniugate con la considerazione della peculiarità della fattispecie controversa e dello stesso giudizio di ottemperanza. Deve infatti innanzitutto considerarsi che, per tutto quanto sinora argomentato, i limiti al rimborso di cui si discute non sono elementi costitutivi, e neppure impeditivi, modificativi o estintivi, del diritto sostanziale al rimborso accertato nel giudizio di cognizione, integrando piuttosto delle modalità attuative e procedimentali di tale diritto, dettate direttamente dalla legge. Pertanto, la verifica dei presupposti e delle modalità con i quali essi devono operare appartiene piuttosto al procedimento di attuazione del comando giudiziale, e non è riducibile alla rigorosa applicazione degli oneri di allegazione e di prova rimessi alle parti. Deve inoltre considerarsi la peculiare natura “attuativa” del giudizio di ottemperanza, ed in particolare di quello tributario, nel senso che (Cass. 20 giugno 2019, n. 16569, in motivazione): «5.4. Tale giudizio presenta, quindi, connotati del tutto diversi rispetto al corrispondente giudizio esecutivo civile, dal quale si differenzia, perché il suo scopo non è quello di ottenere l’esecuzione coattiva del comando contenuto nella decisione passata in giudicato, quanto piuttosto quello di dare concreta attuazione a quel comando, anche se questo non contenga un precetto dotato dei caratteri propri del titolo esecutivo (Cass. n. 646 del 18/1/2012; Cass. n. 4126 del 1/3/2004; Cass. n. 20202 del 24/9/2010), compiendo gli accertamenti indispensabili a delimitare l’effettiva portata precettiva
della sentenza. Ciò comporta che, se da un lato, il potere del giudice dell’ottemperanza sul comando definitivo inevaso non può che essere esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita con il giudicato, non potendo essere attribuiti alle parti diritti nuovi ed ulteriori rispetto a quelli riconosciuti con la sentenza da eseguire (cd. “carattere chiuso del giudizio di ottemperanza”), dall’altro lato, può – e deve – essere enucleato e precisato da quel giudice il contenuto degli obblighi scaturenti dalla sentenza da eseguire, chiarendosene il reale significato (Cass. n. 22188 del 24/11/2004; Cass. n. 28944 del 10/12/2008; Cass. n. 11450 del 25/5/2011; Cass. n. 15827 del 29/7/2016). La sentenza e gli obblighi che da essa scaturiscono segnano, dunque, il limite dell’oggetto del giudizio in questione, potendo il ricorso per ottemperanza essere proposto solo per far valere le statuizioni che sono contenute nel giudicato o, comunque, per conseguire posizioni giuridiche che dallo stesso discendono come autonoma conseguenza di legge, ma non per trattare questioni nuove o indipendenti rispetto al giudizio conclusosi con la sentenza di cui si chiede la esecuzione; il giudice dell’ottemperanza, tuttavia, al fine di assicurare la piena attuazione del giudicato, può enucleare e precisare il contenuto degli obblighi nascenti dalla sentenza passata in giudicato (come, ad esempio, può avvenire con riguardo agli accessori del credito consacrato nel decisum che, per loro natura, devono essere considerati ricompresi nella pronuncia da eseguire). In sostanza, anche quando il comando non risulta ben definito, il giudice dell’ottemperanza può compiere un’attività cognitiva e ricostruttiva degli obblighi sanciti dalla sentenza ormai definitiva, che non è, invece, consentita nel giudizio esecutivo civile». E’ dunque in tale contesto dell’attività cognitiva e ricostruttiva degli obblighi sanciti dalla sentenza, ormai definitiva, che il giudice dell’ottemperanza ha, in ogni caso, il potere ed il dovere di compiere gli accertamenti indispensabili a delimitare l’effettiva portata precettiva della
decisione da attuare, che nel caso di specie si estendono alla verifica di tutti i presupposti e di tutte le condizioni che determinano, nel senso sinora precisato, il rimborso da erogare, in considerazione delle risorse disponibili, ai sensi dell’art. 16 -octies del d.l. n. 91/2017, conv. dalla legge n. 123/2017, e del conseguente provvedimento direttoriale. Si tratta, del resto, della medesima verifica che dovrebbe inderogabilmente compiere ex lege l’Amministrazione in sede di effettuazione del rimborso accertato dalla sentenza de qua, alla quale si sostituisce quindi il giudice dell’ottemperanza, servendosi, se necessario, del commissario ad acta. Peraltro, proprio l’esigenza che, in sede di ottemperanza, vengano adottati – in luogo dell’ufficio che li ha omessi e nelle forme amministrative per essi prescritti dalla legge -tutti quei provvedimenti indispensabili per l’attuazione effettiva del comando giudiziale reso nei confronti dell’Amministrazione, rende necessario che il giudice dell’ottemperanza non si limiti, nella sentenza, a riprodurre genericamente il testo di cui all’art. 70, comma 7, del d.lgs. n. 546/1992, o altra formula generica e di stile ad essa equivalente, ma, ove necessario, disponga specificamente anche in ordine al quomodo della stessa attuazione (cfr., da ultimo, Cass. 19 maggio 2022, nn. 16289 e 16290). L’eventuale verificata incapienza, con riferimento al momento dell’effettiva attuazione, delle risorse stanziate sugli ordinari capitoli di spesa utilizzati per il rimborso delle imposte sui redditi e dei relativi interessi, nel limite di cui all’art. 1, comma 665, l. n. 190/2014 (come, da ultimo, modificato dal d.l. n. 162/2019) e di eventuali successivi ulteriori stanziamenti, se preclude, in tutto o in parte, l'”effettuazione” del rimborso ai sensi della medesima norma e del relativo provvedimento direttoriale che l’ha integrata, non determina, per quanto già argomentato, l’estinzione, parziale o integrale, del relativo diritto sostanziale del contribuente, e non preclude quindi definitivamente, né procrastina sine die, la sua integrale attuazione, secondo gli strumenti a
disposizione dell’Amministrazione e, dunque, del commissario ad acta nominato dal giudice dell’ottemperanza, che nella relativa sentenza deve precisare il quomodo dell’intervento sostitutivo. A tal fine, va considerato che secondo la stessa prassi amministrativa (nota n. 32882 del 25 marzo 2002 del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato del Ministero dell’Economia e delle Finanze; nota n. 2002/81152 del l’11 aprile 2002 della Direzione Centrale Amministrativa dell’Agenzia delle Entrate; circolare dell’Agenzia delle entrate 4 febbraio 2003, n. 5/E, p. 4; circolare della Ragioneria generale dello Stato n. 24/2014, p. 6 e 7, con specifico riferimento alle Agenzie fiscali ed al giudizio di ottemperanza tributario; cfr. altresì circolare della Ragioneria generale dello Stato n. 24/2015, con riferimento alla dematerializzazione dello speciale ordine di pagamento), l’Agenzia delle entrate, ed in sostituzione di quest’ultima il commissario ad acta , allo scopo di consentire che il giudicato trovi attuazione, sono eventualmente legittimati anche all’emanazione dello speciale ordine di pagamento in conto sospeso di cui all’art. 14, comma 2, del d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, conv. dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30 (ed integrato dai DD.MM. del 1 ottobre 2002 e 24 giugno 2015, relativamente alle modalità ed alle caratteristiche dell’ordine di pagamento), con il quale l’Amministrazione dello Stato può eseguire comunque il pagamento mediante emissione di uno speciale ordine rivolto all’istituto tesoriere (Banca d’Italia), al quale chiede di “anticipare” le somme necessarie ad effettuarlo, registrandolo in conto sospeso, in attesa della regolarizzazione contabile, che avverrà non appena saranno rese disponibili le necessarie risorse sul pertinente capitolo, con conseguente ripianamento dell’anticipazione…… Va quindi formulato il seguente principio di diritto: Nel giudizio tributario di ottemperanza di cui all’art. 70 del d.lgs. 546/1992, il giudice dell’ottemperanza, adito dal contribuente per l’esecuzione del giudicato scaturente da decisione ricognitiva del diritto al rimborso
d’imposte per effetto di benefici fiscali accordati in conseguenza di eventi calamitosi, deve accertare la disponibilità degli appositi fondi stanziati ai sensi dell’art. 1, comma 665, della legge n. 190/2014, come modificato dall’art. 16 -octies del d.l. n. 91/2017, conv. dalla legge n. 123/2017, e successivamente dall’art. 29, comma 1, del d.l. n. 162/2019, conv. dalla legge n. 8/2020 – e, in caso di verificata incapienza, deve attivare, con determinazioni specifiche anche tramite la nomina di un commissario ad acta, le procedure particolari previste dalla normativa di contabilità pubblica per dare completa esecuzione alla decisione del giudice di merito, compresa l’emissione dello speciale ordine di pagamento in conto sospeso, non essendo desumibile dalla normativa di riferimento, interpretata alla luce dei principi costituzionali e convenzionali, alcuna possibile falcidia di diritti patrimoniali del contribuente giudizialmente accertati» (Cass., V, n. 1159/2023).
3. Nel caso di specie, la C.t.r. non ha fatto buon governo dei principi sinora illustrati, finendo col negare l’applicabilità dell’art. 16 -octies d.l. 20 giugno 2017, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2017, n. 123 in sede di ottemperanza, pure in astratto affermata, in ragione di un inadempiuto onere dell’Amministrazione di dimostrare l’incapienza delle risorse stanziate al soddisfacimento delle istanze di rimborso, mentre avrebbe dovuto ritenere la stessa disposizione applicabile -nei modi e con gli effetti sinora chiariti- in quanto vigente, dal 13 agosto 2017, nella fase di esecuzione ed attuazione del rimborso, che è diretta a disciplinare, e dunque nella pendenza del giudizio di ottemperanza (che, come risulta dalla sentenza impugnata, è stato introdotto dopo l’entrata in vigore della ridetta normativa). Il giudice dell’ottemperanza avrebbe pertanto dovuto verificare l’effetto, nel senso già precisato, della disposizione in questione sulle modalità di attuazione del rimborso nel caso di specie, adottando di conseguenza i provvedimenti specifici indispensabili all’ottemperanza, ovvero
determinando il quomodo dell’attuazione stessa, a seconda della capienza o meno delle risorse stanziate, applicando il principio appena illustrato.
In conclusione, il ricorso va accolto nei termini precisati e la sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, affinché provveda in conformità al prefato principio, ad essa demandandosi anche la disciplina delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per la Sicilia in diversa composizione, cui demanda altresì la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, lì 11 ottobre e, in riconvocazione, il 4 dicembre