Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20932 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20932 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
Rimborso parziale -silenzio rifiuto -termine impugnazione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22581/2022 R.G. proposto da: BANCA MONTE RAGIONE_SOCIALE SIENA RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli Avv. NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, e RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difese dal l’Avvocatura generale dello Stato,
-controricorrente –
avverso la sentenza della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA, n. 532/2022, depositata il 16/02/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 luglio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. (incorporante Banca Antonveneta s.p.a., a propria volta incorporante Credito Lombardo s.p.a.) ricorre per cassazione, nei confronti sia dell’Agenzia delle entr ate che dell’Agenzia entrate -Riscossione, che si difendono a mezzo controricorso, avverso la sentenza in epigrafe con la quale la CTR ha ritenuto inammissibile, in quanto tardivo, il ricorso spiegato avverso il silenzio rifiuto che riteneva formatosi su una propria istanza di rimborso.
1.1. La vicenda traeva origine da due avvisi di accertamento che erano stati dichiarati illegittimi con sentenza passata in giudicato e per i quali erano state emesse cartelle provvisorie alle quali era seguito il pagamento di quanto preteso, con conseguente successiva istanza di rimborso. La contribuente, più precisamente, per quanto ancora di rilievo, avanzava una prima istanza di rimborso il 5 ottobre 2009 ed una seconda istanza il 30 settembre 2014 . In data 29 aprile 2015 l’Ente di riscossione erogava un rimborso non totalmente satisfattivo rispetto a quanto richiesto dalla parte, sicché quest’ultima, in data 27 settembre 2019, reiterava la richiesta di ripetizione di tutte le residue somme spettanti e, decorsi novanta giorni, impugnava il silenzio-rifiuto oggetto dell’odierno giudizio.
1.2. La CTR, con la sentenza qui impugnata, riteneva che l’Ufficio avesse dato seguito all’istanza di rimborso riconoscendolo solo parzialmente, senza alcuna ulteriore comunicazione in ordine al residuo importo non corrisposto; che, pertanto, per il residuo, non riconosciuto, il provvedimento avesse valore di rigetto, ancorché implicito della
richiesta originariamente presentata dal contribuente; affermava di conseguenza, che il provvedimento costitutiva atto impugnabile, quale rifiuto espresso, nel termine di sessanta giorni dalla notificazione; che la successiva istanza di rimborso doveva ritenersi improponibile, stante il mancato integrale accoglimento della prima, con conseguente impossibilità di ritenere che sulla stessa si fosse formato un silenziorifiuto, a propria volta impugnabile. Concludeva, pertanto, affermando che la parte avrebbe dovuto impugnare l’atto di rimborso parziale del 29 aprile 2025 a nulla rilevando il sollecito del 26 settembre 2019.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 19, 21 e 68 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e degli artt. 2909 e 2953 cod. civ. per aver ritenuto inammissibile il ricorso in quanto tardivo.
Critica la sentenza impugnata per aver ritenuto applicabile alla fattispecie l’art. 21 d.lgs. n. 546 del 1992 ed il termine di decadenza ivi fissato, sebbene si fosse in presenza di una domanda di «restituzione», spettante sulla base del giudicato, alla quale doveva applicarsi l’art. 68 d.lgs. cit. volto a disciplinare l’indebito concernente versamenti a titolo provvisorio eseguiti in modo difforme rispetto ad una statuizione definitiva.
Osserva che il ricorso avverso il silenzio rifiuto può essere proposto entro il termine decennale di prescrizione ex art. 2946 cod. civ.., e che il termine è sospeso durante il tempo di formazione del silenzio-rifiuto a norma del l’art. 21 d.lgs. n. 546 del 1992, laddove la richiesta al Fisco di un rimborso s’intende respinta, a tutti gli effetti di legge, quando siano trascorsi novanta giorni dalla data della sua presentazione, senza che l’U fficio si sia pronunciato, e ciò anche vi sia stato rimborso parziale
senza evidenziare alcuna riserva o indicazione nel senso di una sua eventuale natura interlocutoria».
Con una seconda censura critica la sentenza impugnata per aver ritenuto, nel caso concreto, che il rimborso parziale valesse diniego implicito da impugnare entro sessanta giorni, versandosi in una fattispecie di «indebito di restituzione».
Con il secondo motivo, la contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 19, 21 e 68 d.lgs. n. 546 del 1992 cit. e dell’art. 7 legge 27 luglio 2000, n. 212.
La contribuente critica comunque, proponendo una rimeditazione della questione, l’esegesi che si pone alla base dell’ indirizzo opposto al proprio assunto . Osserva che l’art. 19, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992 prevede rispetto al rifiuto espresso (atto di diniego), l’ applicazione dell’art. 21, comma 1 d.lgs. n. 546 del 1992, a mente del quale «il ricorso deve essere proposto a pena di inammissibilità entro sessanta giorni dalla data di not ificazione dell’atto impugnato» mentre r ispetto al rifiuto tacito, il medesimo art. 21 prevede la diversa regola secondo cui il ricorso può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda di restituzione presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto»; che, pertanto, non si prevede alcuna sanzione d’improponibilità dell’istanza successiva ad un rimborso parziale, né tantomeno l’inidoneità della stessa alla formazione del nuovo silenzio in relazione alla quota parte del credito rimasta inevasa dall’Amministrazione. Aggiunge che qualificare il rimborso parziale come diniego implicito è erroneo, potendo quest’ultimo derivare anche dalla temporanea indisponibilità di risorse dell’Amministrazione ; che, se il rifiuto è implicito, deve trovare applicazione solo l’art. 21, comma 2, primo periodo d.lgs. n. 546 del 1992, ove si prevede la possibilità di
rinnovare la richiesta per la restante parte e, quindi, l’impugnazione del nuovo silenzio-rifiuto formatosi in relazione a tale istanza entro il termine di prescrizione; che il fatto materiale del rimborso parziale non è atto giuridico, suscettibile di identificare una manifestazione di volontà, di scienza o di giudizio idonea a produrre altro effetto giuridico; che il rimborso parziale non è oggetto di notifica, ma si risolve soltanto nell’esecuzione di una parte della prestazione dovuta, con la conseguenz a che l’atto espresso, non notificato, è insuscettibile di generare alcun effetto nella sfera giuridica del destinatario ai fini processuali; che l’at to tributario per potersi dire espresso deve avere una motivazione; che , l’errore dell’orientamento risiede nella sedimentazione di un principio che poteva valere nella vigenza dell’a rt. 16, d.P.R. n. 636 del 1972, ma che non è più attuale in ragione dell’abrogazione della norma secondo la quale «si considera imposizione il rifiuto di restituzione della somma pagata». Aggiunge che, alla luce del sistema processuale tributario, la tesi secondo cui il rimborso parziale equivarrebbe a un diniego implicito, ma avrebbe gli effetti processuali di un diniego espresso (con conseguente attitudine a far decorrere il termine di impugnazione di 60 giorni) risulta contraddetta anche dai principi generali in materia di garanzie predisposte in favore dei contribuenti e, segnatamente, in relazione al requisito richiesto dal citato art. 19, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 e dall’art. 7 dello Statuto del contribuente, alla cui stregua si esprime un principio di necessaria riconoscibilità degli atti impugnabili e delle modalità e dei tempi di impugnazione; che la tesi risulta sproporzionata rispetto agli scopi d’interesse pubblico (certezza del diritto) nel riconoscere un termine breve (sessanta giorni) rispetto ad una fictio iuris risultante dal permanere dell’inerzia (immotivata) dell’Ufficio in relazione alla parte non rimborsata (per la quale invece si dovrebbe ritenere operante la regola secondo cui il ricorso deve
essere proposto entro il termine di prescrizione del diritto). Infine, evidenzia che la stessa è contraria ad una lettura costituzionalmente orientata della disciplina in esame, risultando in violazione dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità (art. 3 e 53 Cost.), oltre che del principio di effettività della tutela (artt. 24 e 113 Cost.); che la totale assenza di chiarezza circa l’impugnabilità del rimborso parziale comporta anche una violazione dell’art. 6 della CEDU, il quale esige che i litiganti dispongano di un rimedio giudiziario effettivo, tale da consentire loro di fare valere i loro diritti in modo pieno; che la soluzione esegetica sposata dalla CTR contraddice anche l’orientamento di Cassazione secondo cui la mancata indicazione del termine di impugnazione comporta la remissione in termini e, quindi, l’inoperatività del termine di decadenza di sessanta giorni e l’ impugnabilità entro il termine decennale di prescrizione.
I motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati, nei termini di seguito esposti.
3.1. Questa Corte ha chiarito che, nel quadro del contenzioso tributario, che è giudizio di carattere impugnatorio e che non conosce domande di mero accertamento, il diritto al rimborso di importi indebitamente corrisposti dal contribuente deve essere azionato giudiziariamente attraverso l’impugnazione di un provvedimento dell’Agenzia, che sia espresso o tacito. Ne consegue che il contribuente non può adire direttamente il giudice tributario, conseguenza alla quale dovrebbe logicamente pervenirsi seguendo la tesi della contribuente volt a a distinguere il rimborso dalla restituzione dell’indebito; al contrario, deve prima sollecitare il rimborso in sede amministrativa, e solo successivamente impugnare il diniego, espresso o anche tacito, ai sensi dell’art. 19, c omma 1, lett. g), d.lgs. n. 546 del 1992. Da ciò consegue che anche la restituzione di somme, pagate in ragione di una provvisoria iscrizione a ruolo, per essere azionata in via giudiziale deve
essere preceduta da un’istanza di rimborso con conseguente applicazione del disposto di cui agli artt. 19 e 21 d.lgs. n. 546 del 1992 Questa Corte, infatti, ha chiarito che poiché l’art. 68, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 (nella formulazione, applicabile ratione temporis , antecedente al d.lgs. n. 156 del 2015 che ha introdotto la possibilità di richiedere l’ottemperanza ) prevede il rimborso d’ufficio del tributo corrisposto in eccedenza entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza che ha accolto il ricorso del contribuente, quest’ultimo, ove non lo riceva, non può adire direttamente il giudice tributario, ma deve prima sollecitare il rimborso in sede amministrativa, e solo successivamente può impugnare il relativo diniego, anche tacito, ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. g), del detto d.lgs. n. 546 del 1992. (Cass. 03/09/2024, n. 23067, Cass. 23/11/2018, n. 30368, Cass, 24/03/ 2023, n. 8500, con riguardo al rimborso officioso dell’imposta di successione regolato dall’art. 40, D.lgs. 31 ottobre 1 990, n. 346 in modo analogo a quanto previsto dall’art. 68, comma 2, d.lgs. n. 546).
Questa soluzione è coerente con il carattere impugnatorio del processo tributario e con la «conseguente sussistenza di necessari meccanismi di instaurazione del processo, come previsti dall’art. 19, d.lgs. n. 546», compresa la proposizione del ricorso a fronte del diniego tacito di rimborso (Cass. 23/11/ 2018, n. 30368).
3.3. Nella fattispecie in esame, non si pone il problema della tardività dell’istanza di restituzione, con riferimento alla quale il ricorrente richiama il consolidato principio di diritto per il quale nella vigenza della disciplina anteriore all’applicabilità del giudizio di ottemperanza, posto che l’art. 68, comma 2, d.lgs. n. 56 del 1992 prevede il rimborso d’ufficio del tributo corrisposto in eccedenza entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza che ha accolto il ricorso del contribuente, resta esclusa l’assoggettabilità dell’istanza ai termini di decadenza previsti dal l’art. 21, comma 2l d.lgs. n. 546 del
1992, ritenuta comunque necessaria -prima della novella del 2015 -per poter adire l’autorità giudiziaria in caso di inadempimento dell’Amministrazione (cfr. sul punto Cass. 24/03/2023, n. 8500).
Si pone, invece, la questione del termine entro il quale impugnare il provvedimento espresso o tacito reso dall’Amministrazione in fattispecie in cui a seguito dell’istanza quest’ultima ha disposto un rimborso parziale.
La CTR, infatti -se pure nel secondo paragrafo della sentenza ha richiamato l’art. 21, comma 2, d.l.gs. n. 546 del 1992 ha espresso la propria ratio decidendi nel terzo paragrafo, nel quale ha «invece» ricondotto la fattispecie in esame a quella di un rimborso parziale ed ha precisato che l’orientamento giurisprudenziale rilevante al quale fare riferimento è quello per il quale detto ultimo ha il valore di un rigetto implicito per la parte residua, sicché il ricorrente, vista insoddisfatta la pretesa di rimborso integrale, avrebbe dovuto impugnarlo nel termine ordinario di sessanta giorni.
3.4. Il Collegio ritiene di dare continuità al principio secondo il quale, qualora, a fronte di un’istanza di rimborso d’imposta, l’Amministrazione finanziaria si limiti ad emettere un provvedimento di rimborso parziale, senza evidenziare alcuna riserva o indicazione nel senso di una sua eventuale natura interlocutoria, il provvedimento, per la parte relativa all’importo non rimborsato, ha valore di rigetto -sia pure implicito -della richiesta originariamente presentata dal contribuente. Ne consegue che detto provvedimento costituisce atto impugnabile quale rifiuto espresso, nel termine di sessanta giorni dalla notificazione, ai sensi degli artt. 19 e 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, ed è improponibile una seconda istanza di rimborso per il mancato accoglimento integrale della prima, con conseguente inidoneità della stessa alla formazione di un silenzio-rifiuto impugnabile (Cass. 22/10/2020, n. 23157).
Del resto, si è evidenziato che la riproposizione della medesima istanza, ormai rivolta contro un provvedimento definitivo, corrisponde ad una richiesta di esercizio del potere di autotutela da parte dell’Amministrazione finanziaria, il quale presuppone l’esistenza di un interesse di rilevanza generale alla rimozione (Cass. 23/04/2025, n. 10732).
Non colgono nel segno le censure mosse dal ricorrente al consolidato orientamento di legittimità, in quanto le medesime non tengono conto del dato che un rimborso parziale è, a tutti gli effetti, un provvedimento di rigetto per la parte non accolta, stante la diretta correlazione con l’unitarietà della richiesta e la mancanza di elementi che inducano a ritenere che l’Ufficio si sia riservato di provvedere per la parte ulteriore o abbia emesso un provvedimento interlocutorio. Non è dato ravvisare, pertanto, alcuna lesione del diritto di difesa o del diritto al giusto processo, entrambi garantiti dall’impugnabilità del provvedimento di rimborso non satisfattivo, d né dei principi costituzionali nella materia tributaria (cfr. Cass. 21/07/2023, n. 21915).
Deriva dalle precedenti considerazioni, da un lato, che il provvedimento in questione costituisce atto impugnabile quale rifiuto espresso, ai sensi dell’art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992 (in precedenza, art. 16 d.P.R. n. 636 del 1972), e, dall’altro, che, in presenza dell’ adozione di un atto -sia pur parzialmente -positivo (e non di una totale inerzia) dell’Amministrazione in relazione alla richiesta di rimborso, la successiva istanza di restituzione presentata dalla contribuente deve ritenersi improponibile, non essendo ammessa dalla legge una seconda istanza di rimborso per mancato accoglimento integrale della prima.
4. Il ricorso deve essere, pertanto rigettato in quanto la CTR si è attenuta a questi principi.
Alla soccombenza segue la condanna al pagamento delle spese del giudizio, oltre quelle prenotate a debito.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere alle controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.600,00 complessivi a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2025.