Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15719 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15719 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/06/2025
Oggetto: Tributi – Rimborso oneri fideiussori
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 14800/2023 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’ avvocato NOME COGNOME in forza di procura speciale allegata al ricorso (PEC: EMAIL;
– ricorrente –
Contro
Agenzia delle Entrate , nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della regione Toscana n. 1688/05/22, depositata il 30/12/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 febbraio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTP di Firenze rigettava il ricorso della società RAGIONE_SOCIALE avverso il silenzio rifiuto dell’Agenzia delle entrate in ordine
all’istanza di rimborso degli oneri fideiussori sostenuti a seguito della sottoscrizione della polizza fideiussoria stipulata dalla contribuente per ottenere il rimborso IVA in relazione all’anno d’imposta 2008 ;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Toscana rigettava l’appello proposto dal contribuente, rilevando che:
il rifiuto implicito al rimborso doveva essere confermato in quanto vi erano dubbi sulla tempestiva presentazione del l’istanza di rimborso, da ritenersi tardiva rispetto al termine biennale di cui all’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 (essendo stata presentata in data 4.08.2017, mentre il rimborso dell’ IVA era avvenuto il 29.01.2010), non essendo applicabile il termine ordinario decennale di prescrizione ; l’istanza di rimborso era anche infondata, tenuto conto di quanto stabilito dall’ art. 7 della legge n. 167/17 (cd. legge europea), che ha previsto un rimborso forfettario a decorrere dal 2018;
la società RAGIONE_SOCIALE impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati con memoria;
-l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo, la contribuente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 21, comma 2, e 19, comma 1, lett. g, del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per aver il giudice di appello ritenuto erroneamente che la richiesta di restituzione degli oneri fideiussori sostenuti dalla contribuente per ottenere un rimborso IVA ex art. 38-bis del d.P.R. n. 633/72 fosse soggetta al termine di decadenza biennale di cui all’art. 21, comma 2, del d.lgs. cit., escludendo vi l’applicazione del termine ordinario decennale di prescrizione; precisa che gli oneri fideiussori
non rientrano fra gli ‘accessori non dovuti’ di cui all’art. 19, comma 1, lett. g) del d.lgs. n. 546 del 1992, al cui rimborso si applica il predetto termine di decadenza biennale, ma riguardano un rapporto autonomo rispetto a quello dell’imposta ;
con il secondo motivo, denuncia la nullità della sentenza per omessa motivazione, in violazione degli artt. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, 132 cod. proc. civ. e 111 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per avere il giudice di appello ritenuto non fondata la richiesta di restituzione degli oneri fideiussori omettendo di enunciare le ragioni a sostegno della propria statuizione;
con il terzo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 8 della l. n. 212 del 2000 e 38-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CGT di secondo grado ritenuto non spettante la restituzione degli oneri fideiussori sostenuti dal contribuente per ottenere il rimborso dell’IVA a proprio credito, senza considerare che detti oneri non devono definitivamente gravare sul contribuente, anche perché il sistema dei rimborsi non può comportare, in forza dei principi unionali, un danno finanziario, anche solo potenziale, per lo stesso.
per esigenze di priorità logica va prima esaminato il secondo motivo che è infondato;
come hanno sottolineato le Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 7.04.2014), l’anomalia motivazionale denunciabile in Cassazione è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;
-deve trattarsi, dunque, di un’anomalia che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico, ma anche nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra
affermazioni inconciliabili o nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, non essendo più ammissibili mere censure di contraddittorietà ed insufficienza motivazionale (Cass. n. 23940 del 12/10/2017);
solo in tali casi la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo” , in quanto, benchè graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. S.U. 3.11.2016, n. 22232);
la sentenza impugnata non è affetta da tale grave vizio, in quanto presenta una motivazione che, a prescindere dalla sua correttezza o meno, palesa l’ iter logico seguito dai giudici di appello, che hanno ritenuto di confermare il rigetto del ricorso introduttivo sulla base degli argomenti indicati nella sentenza, per cui eventuali profili di insufficienza della motivazione, anche se sussistenti, non la viziano in modo così radicale da renderla meramente apparente, dovendosi ritenere che il giudice tributario di appello abbia assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (Cass. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053);
il primo motivo è fondato;
-sul punto va preliminarmente disattesa l’eccezione della controricorrente di inammissibilità del motivo, in relazione della asserita novità della questione prospettata dalla ricorrente circa l’esclusione degli oneri fideiussori dall’elenco previsto dall’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992 e il carattere accessorio o meno della polizza fideiussoria, trattandosi di mera argomentazione difensiva avente carattere giuridico, che sviluppa rilievi già originariamente contestati.
– ciò posto, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, da cui non vi è ragione di discostarsi, « La polizza fideiussoria di cui all’art. 38-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, avendo la funzione di porre le parti nella posizione anteriore al rimborso e non quella di sostituire e garantire il versamento d’imposta, non è accessoria, ma autonoma rispetto al rapporto d’imposta, sicché alla relativa azione di rimborso non si applica il termine biennale di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto riferito al richiamato art. 19 e, quindi, alla restituzione di tributi e di sanzioni » (Cass. 28 febbraio 2020, n. 5508);
-va quindi ribadito il principio, secondo il quale il termine di decadenza biennale non si applica all’azione di rimborso dei costi per la fideiussione, che, assolvendo una funzione qualitativamente diversa rispetto all’obbligazione tributaria, è esclusa dal richiamo all’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, operato dal successivo art. 21, comma 2, da intendersi come riferito al tributo e alle sanzioni (Cass. 3 agosto 2023, n. 23724; Cass. 22 agosto 2023, n. 25003; Cass. 22 settembre 2020, n. 19756, Cass. 13 luglio 2023, n. 20024, Cass. 6 marzo 2024, n. 6069);
anche il terzo motivo è fondato;
come ha già affermato questa Corte (Cass. 5.08.2015, n. 16409), l’art. 8, comma 4, della l. n. 212 del 2000, che impone all’Amministrazione finanziaria di rimborsare il costo delle garanzie fideiussorie richieste dal contribuente per ottenere la sospensione del pagamento o la rateizzazione o il rimborso dei tributi, comprende i costi di tutte le garanzie che il contribuente ha richiesto, in quanto l’espressione “ha dovuto richiedere” si deve intendere non nel senso dell’esistenza di un ipotetico obbligo normativo in tal senso, bensì con riferimento alla necessità (intesa come onere) della richiesta della
garanzia in rapporto allo scopo perseguito (ottenere la sospensione del pagamento di tributi o la rateizzazione o il rimborso);
già in precedenza era stata riconosciuta una portata generale al diritto al rimborso dei costi per le polizze fideiussorie (Cass. 28.08.2013, n. 19751), indipendentemente dalla fisionomia della controversia tributaria ‘(sia che la stessa debba individuarsi con riferimento al credito d’imposta vantato dal contribuente, sia che debba invece individuarsi, come nella specie, con riferimento alla imposta o maggiore imposta pretesa dall’Amministrazione finanziaria in seguito all’avvenuto rimborso del credito IVA)” ;
il principio è stato successivamente ribadito (Cass. n. 5508/2020 cit.), avendo questa Corte precisato che, in tema di IVA, il diritto al rimborso dei costi relativi alla garanzia fideiussoria, chiesta dal contribuente per ottenere la sospensione, la rateizzazione o il rimborso dei tributi, ha portata generale ed è indipendente dalla fisionomia della controversia tributaria, stante l’esigenza ad essa sottesa di preservare l’integrità patrimoniale dei contribuenti, in caso di infondatezza della pretesa impositiva o di legittimità della pretesa di rimborso di somme dovute, che una diversa interpretazione frustrerebbe, oltre a porsi in contrasto con il diritto unionale;
in base al consolidato orientamento della Corte di giustizia europea, infatti, il sistema di rimborso dell’eccedenza di IVA, che può essere liberamente adottato dagli Stati membri, non deve fare correre alcun rischio finanziario al soggetto passivo (Corte giust. 28 febbraio 2018, causa C-387/16, punto 24; 6 luglio 2017, causa C-254/16, RAGIONE_SOCIALE , punto 20; 12 maggio 2011, causa C-107/10, RAGIONE_SOCIALE, punto 33);
-anche questo collegio ritiene di condividere il richiamato orientamento giurisprudenziale, in quanto l’interpretazione dell’art. 8,
comma 4, della l. n. 212 del 2000, come delineata da questa Corte, si pone in linea con la giurisprudenza unionale;
in conclusione, vanno accolti il primo e il terzo motivo, rigettato il secondo; la sentenza impugnata va cassata con riferimento ai motivi accolti e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decidendo nel merito, va accolto il ricorso introduttivo della lite;
-le spese dei gradi di merito, stante l’evoluzione della giurisprudenza, anche unionale, devono essere compensate tra le parti, mentre quelle di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso, rigetta il secondo; cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della lite;
compensa le spese dei gradi di merito e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie e accessori di legge.
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale del 28 febbraio 2025