Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30181 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 30181 Anno 2025
Presidente: LA COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15714/2016 R.G. proposto da
:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA RAGIONE_SOCIALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA, che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA SEZ.ST. BRESCIA n. 1044/67/16 depositata il 22/02/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 1044/67/16 del 22/02/2016 la Commissione tributaria regionale della Lombardia – Sezione staccata di Brescia (di
seguito CTR) accoglieva l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) avverso la sentenza n. 131/02/14 della Commissione tributaria provinciale di Cremona (di seguito CTP), la quale aveva respinto il ricorso proposto dalla società contribuente avverso un diniego di rimborso per IVA relativa all’anno d’imposta 2006.
1.1. Come si evince dalla sentenza impugnata, il credito IVA vantato dalla società contribuente conseguiva al versamento dell’imposta dovuta in ragione di uno splafonamento contestato dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (di seguito AE) e riconosciuto da RAGIONE_SOCIALE, che provvedeva ad un pagamento rateale e, quindi, chiedeva il rimborso con istanza non evasa.
1.2. La CTR accoglieva l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE evidenziando che la società contribuente aveva versato l’IVA a debito dovuta dal fornitore, sicché aveva il diritto di portare detta IVA in detrazione ovvero, come nel caso di specie, chiederne il rimborso, essendo già decorso il termine per la detrazione.
Avverso la sentenza della CTR AE proponeva ricorso per cassazione affidato a un unico motivo.
RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso e depositava memoria ex art. 380 bis .1 cod. proc. civ.
Con ordinanza interlocutoria n. 7764 del 22/03/2024 la causa è stata rinviata a nuovo ruolo.
RAGIONE_SOCIALE depositava altra memoria ex art. 380 bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso AE deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 17, 19, 21 e 60, settimo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (decreto IVA), per avere la CTR riconosciuto il diritto al rimborso senza considerare che l’avviso di accertamento,
con il quale è stato chiesto il pagamento dell’imposta non assolta, è divenuto definitivo in data anteriore al 24/01/2012, termine prima del quale troverebbe tuttora applicazione la disciplina dell’art. 60, settimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 nella versione antecedente alle modifiche apportate dall’art. 93 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. con modif. nella l. 24 marzo 2012, n. 27, essendo l’avviso di accertamento divenuto definitivo già nell’anno 2011 in ragione della mancata impugnazione.
1.1. Il motivo è infondato, sebbene la motivazione resa dalla CTR vada corretta e integrata nel modo che segue.
1.2. Deve premettersi, in punto di ricostruzione fattuale, che l’RAGIONE_SOCIALE, in data 25 agosto 2011, ha notificato alla società ricorrente l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, per l’anno 2006, con il quale è stato contestato, ai fini IVA, la violazione di acquisto o importazione di merci e servizi senza pagamento d’imposta in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge, per un importo imponibile complessivo di euro 2.032.538,00; la circostanza contestata si è verificata a causa di un errore materiale, essendo stata conteggiata due volte la fattura n. 5 del 25 gennaio 2006 ai fini della determinazione del cd. plafond IVA disponibile per la società ricorrente nella sua qualità di esportatore abituale; per effetto di tale errore, con l’avviso di accertamento indicato è stata accertata l’imposta all’aliquota ordinaria del 20%, nella misura di euro 406.507,60 ed irrogata la sanzione amministrativa unica di euro 508.135,00, successivamente ridotta ad un sesto (euro 84.689,17) in ragione dell’adesione all’accertamento nei termini di legge; la società ricorrente ha provveduto, quindi, al versamento dilazionato dell’imposta accertata e RAGIONE_SOCIALE sanzioni ridotte.
1.2.1. Per quanto attiene al versamento a mezzo modello F24 degli importi di cui alle scadenze fino al 10 gennaio 2013, a seguito
del tacito diniego dell’istanza di rimborso presentata in data 18 gennaio 2013, si è incardinato un contenzioso tributario che si è definito con la sentenza della CTR n. 1044/67/16 (è la sentenza oggi impugnata dall’Amministrazione finanziaria), con la quale è stato riconosciuto il diritto della società contribuente ad ottenere il rimborso IVA richiesto, con conseguente condanna di AE al pagamento di euro 238.198,20, a titolo di rimborso IVA.
1.2.2. RAGIONE_SOCIALE ha, poi, versato la somma di euro 239.607,28, a titolo di maggiore IVA accertata (oggetto di un separato contenzioso), così, adempiendo al pagamento di quanto statuito nel piano di ammortamento; la società ricorrente, in data 17 dicembre 2014, ha presentato ulteriore richiesta di rimborso dell’importo di euro 239.607,28, ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. g), del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e, all’esito del decorso del termine di novanta giorni previsto dall’art. 21, comma 2, del medesimo decreto, ha proposto ricorso avanti la Commissione tributaria provinciale di Cremona.
1.2.3. Quest’ultimo contenzioso è stato definito con sentenza di questa Corte n. 5778 del 04/03/2024, con la quale, accogliendosi il ricorso introduttivo di RAGIONE_SOCIALE, si è riconosciuta la legittimità della richiesta di rimborso proposta da quest’ultima.
1.3. Le ragioni che hanno condotto questa Corte a riconoscere il buon diritto della società contribuente possono essere integralmente riproposte in questa sede, essendo le due fattispecie del tutto assimilabili.
1.4. Come già precisato dalla S.C., il regime RAGIONE_SOCIALE operazioni relative a scambi con Paesi che si trovino fuori del territorio dell’Unione Europea, come configurato dall’art. 8 del decreto IVA, è ispirato al principio della detassazione dei beni in uscita dal territorio comunitario, e dell’applicazione dell’IVA italiana a quelli in entrata; al
fine di conciliare l’omessa applicazione dell’IVA alle operazioni di cessione di beni destinati al consumo all’estero, e non in territorio nazionale (art. 7 del decreto IVA), col diritto, essenziale nel sistema comunitario dell’IVA, alla detrazione dell’imposta sugli acquisti, il legislatore ha introdotto talune operazioni concretamente non imponibili, sebbene astrattamente assoggettabili ad imposta (Cass. n. 22430 del 22/10/2024; Cass. n. 5894 del 08/03/2013).
1.5. Più in particolare, le cessioni all’esportazione non difettano dell’elemento della territorialità, come conferma il loro assoggettamento agli obblighi formali di fatturazione e dichiarazione, il che le renderebbe assoggettabili ad imposta, se non fossero state configurate dal legislatore, per quanto già rilevato, come non imponibili. In dettaglio, l’art. 8 del decreto IVA individua come cessioni all’esportazione, come tali non imponibili, le cessioni -anche tramite commissionario -di beni che siano trasportati o spediti fuori del territorio comunitario, a cura o in nome del cedente o del suo commissionario (lett. a), oppure a cura o per conto del cessionario, purché questi non sia residente e l’invio avvenga entro novanta giorni dalla consegna (lett. b).
1.6. Di contro, estranea a questa disciplina ed alle ragioni che la sorreggono è la disposizione contenuta nella lett. c) dell’art. 8, la quale considera non imponibili -sebbene si tratti di merci o prestazioni di servizi destinate ad entrare o ad essere eseguite nel territorio comunitario -anche le cessioni di beni (tranne i fabbricati e le aree edificabili) e le prestazioni di servizi fatte a soggetti che abbiano compiuto abitualmente cessioni all’esportazione od operazioni intracomunitarie, e chiedano al loro fornitore di non applicare l’imposta sull’operazione di acquisto e/o di importazione.
1.6.1. In questo caso, chiarisce il secondo comma dell’art. 8, nel delineare il meccanismo del plafond, «le cessioni e le prestazioni di
cui alla lettera c) sono effettuate senza pagamento dell’imposta ai soggetti indicati nella lettera a), se residenti ed ai soggetti che effettuano le cessioni di cui alla lettera b) del precedente comma su loro dichiarazione scritta e sotto la loro responsabilità, nei limiti dell’ammontare complessivo dei corrispettivi RAGIONE_SOCIALE cessioni di cui alle stesse lettere dai medesimi fatte nel corso dell’anno solare precedente».
1.6.2. E, prosegue la norma, sono sempre i cessionari ed i commissionari che possono avvalersi del plafond «…integralmente per gli acquisti di beni che siano esportati nello stato originario nei sei mesi successivi alla loro consegna e, nei limiti della differenza tra esso e l’ammontare RAGIONE_SOCIALE cessioni dei beni effettuate nei loro confronti nello stesso anno ai sensi della lettera a), relativamente agli acquisti di altri beni o di servizi», potendo altresì «(…) optare (…) per la facoltà di acquistare beni e servizi senza pagamento dell’imposta assumendo come ammontare di riferimento, in ciascun mese, l’ammontare dei corrispettivi RAGIONE_SOCIALE esportazioni fatte nei dodici mesi precedenti» (Cass. n. 5853 del 24/03/2016, in motivazione).
1.7. In sintesi, il legislatore consente ai contribuenti che rivestono la qualifica d’esportatore abituale di acquistare beni e servizi senza applicazione dell’IVA nei limiti RAGIONE_SOCIALE esportazioni od operazioni assimilate registrate nell’anno solare precedente (cd. plafond fisso) o nei dodici mesi precedenti (cd. plafond mobile), per un ammontare superiore al 10% del complessivo volume d’affari (Cass. n. 3788 del 15/02/2013).
1.8. La ratio di tali previsioni è di agevole comprensione, ove si consideri che le cessioni all’esportazione -come le operazioni intracomunitarie -non limitano la detrazione dell’imposta sugli acquisti. Sicché i soggetti (esportatori abituali) che effettuino solo o prevalentemente operazioni di tal fatta finirebbero per trovarsi
costantemente in credito con l’erario, giacché l’esiguità RAGIONE_SOCIALE operazioni imponibili compiute (a debito) non varrebbe a compensare quelle sugli acquisti (a credito). Al fine, dunque, di evitare che taluni operatori siano in permanente attesa del rimborso dell’eccedenza d’imposta, il legislatore consente loro di effettuare acquisti senza applicazione dell’IVA, includendo tra le operazioni non imponibili anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi compiute nei loro confronti (Cass. n. 15835 del 15/06/2018; Cass. n. 12763 del 19/06/2015).
1.9. Mentre le ipotesi contemplate dall’art. 8, primo comma, lett. a) e b), del decreto IVA, concernono la sussistenza del debito IVA o, meglio, la sua insussistenza, giacché il legislatore ha scelto di configurare come non imponibili le operazioni ivi elencate che altrimenti lo sarebbero, la non imponibilità di cui all’articolo 8, primo comma, lett. c), e secondo comma, del decreto IVA, non riguarda la sussistenza del debito IVA (né la relativa responsabilità, principale o solidale), bensì la esecutività di esso, in ragione della possibilità della sua estinzione satisfattiva mediante compensazione con i crediti IVA dell’esportatore abituale (cfr. Cass. n. 4022 del 14/03/2012, secondo cui la dichiarazione di intento, concernendo le condizioni dell’importatore, le quali rilevano ai soli fini del pagamento dell’imposta, che resta sospesa per coloro che versino nelle condizioni previste dalla legge e lo dichiarino sotto la propria responsabilità, incide soltanto sulla procedura di riscossione; si veda anche Cass. n. 7720 del 27/03/2013).
1.9.1. In definitiva, il plafond disciplinato dall’art. 8, primo comma, lett. c), del decreto IVA rappresenta un semplice limite quantitativo monetario, pari all’ammontare complessivo dei corrispettivi RAGIONE_SOCIALE esportazioni utilizzabile nell’anno successivo per
procedere ad acquisti in sospensione d’imposta (Cass. n. 4556 del 06/03/2015; Cass. n. 15835 del 15/06/2018, in motivazione).
1.9.2. Anche di recente è stato affermato che « La non imponibilità contemplata dall’art. 8, comma 1, lett. c) D.P.R. n. 633 del 1972, si differenzia dalle ipotesi previste dalle lettere a) e b) della medesima norma, le quali concernono la sussistenza del debito iva o, meglio, la sua insussistenza. Con la lett. c) il legislatore ha scelto di configurare come non imponibili le operazioni ivi elencate che altrimenti lo sarebbero, sicché la non imponibilità in quel caso non riguarda la sussistenza del debito iva (né la relativa responsabilità, principale o solidale), bensì l’esecutività di esso. E ciò in ragione della possibilità dell’estinzione satisfattiva di quel debito mediante compensazione con i crediti iva dell’esportatore abituale ». (Cass. n. 14979 del 15/07/2020, in motivazione).
1.10. Tutto ciò premesso, eccentrico rispetto al regime descritto si rivela il richiamo effettuato da AE all’art. 60, settimo comma, del decreto IVA, introdotto dall’articolo 93, comma 1, del d.l. n. 1 del 2012, secondo il quale «Il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, RAGIONE_SOCIALE sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione».
1.10.1. In tal caso, la normativa IVA riconosce in capo al cedente/prestatore l’esercizio della rivalsa in via ordinaria, obbligatoriamente, ex art. 18 del decreto IVA ed anche
facoltativamente, a seguito di accertamento ai sensi del successivo art. 60, settimo comma, del medesimo decreto, che disciplina l’istituto della rivalsa cd. successiva.
1.10.2. Dunque, il cessionario o il committente può esercitare il diritto di detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione. Il diverso momento di decorrenza del termine di decadenza biennale da tale norma previsto (coincidente con quello in cui il cessionario o il committente abbia corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa) si riferisce al tardivo esercizio del diritto di rivalsa in conseguenza dell’accertamento o della rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi.
1.10.3. Ipotesi, questa, all’evidenza estranea al caso in esame, in cui la società ricorrente (esportatore abituale e società cessionaria), da un lato, ha versato l’imposta accertata, quale maggiore IVA (per un importo complessivo di euro 405.507,60) in quanto ha effettuato acquisti in sospensione d’imposta per un importo superiore a quello consentito e, dall’altro, ha versato l’intero ammontare della sanzione irrogata per complessivi euro 508.135,00 (poi ridotta ad un sesto in euro 84.689,17), per poi chiedere, in due distinti momenti, il rimborso del credito IVA versato.
1.10.4. Chiara sul punto, in verità, è anche la Circolare n. 35/E del 2013 (alla quale hanno fatto seguito numerosi altri documenti, ex multis , circolare n. 23/E del 25 settembre 2017, circolare n. 6/E dell’1 aprile 2019 e n 10/E del 15 maggio 2019, risposte ad interpelli nn. 128, 129 e 339 del 2019; risposte ad interpelli nn. 422 e 510 del 2021; risposta ad interpello n. 569 del 2022), dove si legge «Pertanto, sebbene l’art. 60, settimo comma, del D.P.R. 26 ottobre
1973, n. 633 preveda l’esercizio della detrazione da parte del cessionario o del committente a seguito della rivalsa operata in fattura dal cedente o dal prestatore, la tutela del principio di neutralità del tributo impone che la facoltà di detrarre l’IVA pagata in sede di accertamento, sia riconosciuta anche nelle ipotesi in cui, in deroga alle comuni regole di funzionamento del tributo, sia debitore d’imposta il cessionario/committente in luogo del cedente/prestatore. L’esportatore abituale cui sia stato contestato lo splafonamento potrà esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il medesimo ha provveduto al pagamento dell’imposta, della maggiore imposta, RAGIONE_SOCIALE sanzioni e degli interessi».
1.10.5. È stato, dunque, affermato che il meccanismo dell’esportazione abituale altera la regola ordinaria, sulla quale incide l’art. 60 del d.P.R. n. 633 del 1972, nel senso che in caso di splafonamento il soggetto passivo è il cessionario, perché in questo caso è il cessionario che deve versare l’IVA al posto del cedente e da ciò sorge il credito IVA, a tutela anche della neutralità dell’IVA, che poi il contribuente può detrarre, riportare in eccedenza o chiedere a rimborso.
1.11. La restituzione dell’imposta versata all’erario per acquisti in sospensione d’imposta oltre il plafond, risponde ai principi tutelati anche in ambito comunitario secondo il quale il sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto è inteso a garantire la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche e far sì che il produttore dei beni non resti inciso da un’imposta sui consumi quale è l’IVA che, proprio per la sua finalità, deve gravare esclusivamente su consumatore finale dei beni.
1.11.1. Al riguardo, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, anche, di recente, ha precisato che il diritto a detrazione previsto
dagli articoli 167 e seguenti della direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 (direttiva IVA) costituisce parte integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni e che il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui sono debitori in relazione all’imposta dovuta o versata a monte per i beni acquistati e per i servizi loro prestati, costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA e che il meccanismo RAGIONE_SOCIALE detrazioni di cui all’art. 168 è inteso a esonerare interamente l’imprenditore dall’IVA dovuta o assolta nell’ambito di tutte le sue attività economiche, con il conseguente corollario che la neutralità si estende a tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di tali attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all’IVA (CGUE 15 settembre 2002, causa C-227/21; si vedano anche CGUE 12 luglio 2012, causa C-284/11; CGUE 11 aprile 2013, causa C-138/12).
1.11.2. Il principio di neutralità è, dunque, un elemento essenziale dell’IVA, generalmente riconosciuto dagli Stati membri (CGUE 2 agosto 1993, causa C-111/92), che consente di limitare il diritto alla detrazione dell’imposta unicamente in presenza di una comprovata frode o abuso (Corte di Giustizia, 15 settembre 2002, causa C227/21, citata).
1.12. Le superiori indicazioni inducono al rigetto del motivo proposto da NOME e alla conferma della sentenza impugnata.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
2.1. Le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata, tenuto conto della specificità della materia trattata, giustificano la compensazione RAGIONE_SOCIALE spese del presente procedimento di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate tra le parti le spese del presente procedimento.
Così deciso in Roma, il 10/07/2025.
Il Presidente
NOME LA COGNOME