Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5778 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 5778 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/03/2024
ha emesso la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 11652/2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difes a dall’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, n. 4070/25/2019, depositata in data 17 ottobre 2019, non notificata;
udita la relazione della causa udita svolta nella pubblica udienza del 23 gennaio 2024, dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore RAGIONE_SOCIALE, AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
FATTI DI CAUSA
1. La RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso avverso il silenzio rifiuto formatosi a seguito di istanza di rimborso presentata ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. g), del d.P.R. n. 546 del 1992, avente per oggetto l’IVA versata per l’anno 2013 -2014, di euro 239.607,28, in esecuzione di avvisi di accertamento non impugnati ed adempiuti con pagamento rateale.
La Commissione tributaria provinciale di Cremona, con sentenza n. 36/2017, depositata in data 18 gennaio 2017, aveva rigettato il ricorso, compensando le spese processuali.
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello della società contribuente, ritenendo che l’inadempimento degli obblighi di versamento dell’imposta dovuta per acquisti eccedenti il limite del plafond di cui all’art. 8, comma 1, lett. c), del d .P.R. n. 633 del 1972, costituiva una violazione di carattere sostanziale che, quindi, non dava diritto alla detrazione illustrata nella circolare 35/E del 2013 dell’RAGIONE_SOCIALE e che, nel caso in esame, il pagamento della maggiore imposta era stato frutto di un avviso di accertamento e non di un spontaneo adempimento della società.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
La società RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I l primo motivo deduce l’omessa motivazione ai sensi e per gli effetti dell’art. 360, comma primo, nn. 4 e 5, cod. proc. civ.. La Commissione tributaria regionale non aveva fornito sufficienti elementi per poter ricostruire il percorso logico giuridico dalla stessa adottato per concludere con il rigetto dell’appello di RAGIONE_SOCIALE e aveva richiamato una «giurisprudenza recente della Suprema Corte» per argomentare la fondatezza RAGIONE_SOCIALE proprie asserzioni, senza, tuttavia, indicare alcun riferimento che potesse dare modo alle parti di verificare l’effettiva corrispondenza tra le affermazioni della Commissione tributaria regionale e il contenuto RAGIONE_SOCIALE decisioni della Suprema Corte dalla stessa richiamate.
Il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 8, primo comma, lett. c), e secondo comma e dell’art. 60 del d.P.R. n. 633 del 1972, ai sensi e per gli effetti dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., sulla legittimità del rimborso in favore de lla società ricorrente dell’Iva dalla stessa versata. Alla luce dei principi generali in materia di Iva l’impossibilità di procedere alla compensazione/detrazione dell’imposta versata rappresentava per la società ricorrente la lesione del proprio diritto a non rimanere «incisa» dall’imposta. La norma di legge richiamata sanzionava pecuniariamente il comportamento non corretto del contribuente (peraltro in misura variabile tra un minimo del 100% ed un massimo del 200% dell’Iva non assolta), con la conseguenza che il contribuente, saldato il suo debito con l’Erario e «pagato» in via pecuniaria il proprio errore sia in termini di sanzioni che di interessi, non poteva essere di fatto sanzionato una seconda volta e per la medesima violazione con la impropria sanzione dell’indetraibilità /non rimborsabilità dell’IVA assolta, sia pure in ritardo e dopo le
contestazioni dell’Ufficio. Ove si concludeva per l’indetraibilità e per la non rimborsabilità dell’imposta pagata anche a seguito dell’accertamento da parte dell’Ufficio, l’Erario si trovava a percepire, in ragione di un errore del contribuente, un’imposta non dovuta configurandosi un indebito arricchimento RAGIONE_SOCIALE finanze statali. Ed infatti, solo attraverso il rimborso dell’imposta versata si poteva scongiurare la frustrazione del principio generale della neutralità dell’imposta, principio statuito a livello nazionale e sovranazionale per assoggettare effettivamente ad IVA il solo valore aggiunto dell’operazione, nonché quella che era una duplice, impropria, sanzione dell’errore del contribuente (il pagamento della sanzione ed il pagamento di un’imposta che, invece, avrebbe avuto il diritto di detrarre, e, da ultimo, un indebito arricchimento dell’Erario. Ancora, l’esportatore abituale cui fosse stato contestato lo splafonamento poteva esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il medesimo aveva provveduto al pagamento della imposta, della maggiore imposta, RAGIONE_SOCIALE sanzioni e degli interessi, come peraltro aveva anche affermato l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (Circolare RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE n. 34/E del 6 agosto 2012; Circolare n. 35/E del 17 dicembre 2013; risposta n. 28 del 2018 dell’RAGIONE_SOCIALE ad un interpello avente proprio ad oggetto la possibilità per un esportatore abituale di esercitare il diritto alla detrazione fiscale a seguito di contestato splafonamento e di integrale pagamento dell’imposta accertata). Per quanto concerneva, invece, la procedura che la società ricorrente avrebbe dovuto adottare per esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta accertata e pagata, la Commissione tributaria regionale, anche in questo caso in maniera del tutto generica e lacunosa, aveva affermato che la società avrebbe dovuto seguire le disposizioni contenute nell’art. 60 del d.P.R. n. 633 del 1972, nella sua formulazione in vigore dal 2012, ma non aveva specificato se il
mancato rispetto di tali disposizioni e l’adozione da parte della RAGIONE_SOCIALE della procedura alternativa dell’istanza di rimborso, fossero da considerarsi quali errores in procedendo incidenti in maniera definitiva sulla privazione del diritto di RAGIONE_SOCIALE alla detrazione dell’IVA versata a seguito di accertamento. In ogni caso, la RAGIONE_SOCIALE aveva optato per l’istanza di rimborso per evitare di incorrere in potenziali ulteriori accertamenti sia di carattere tributario che di carattere penale. In ultimo, la stessa Commissione tributaria regionale, all’esito del procedimento d’appello della «causa gemella», in pieno accoglimento RAGIONE_SOCIALE domande a suo tempo avanzate dalla società ricorrente, aveva disposto proprio sulla regolarità della procedura adottata da quest’ultima.
2.1 I motivi, che devono essere trattati unitariamente perché connessi, sono fondati.
2.2 Deve premettersi, in punto di ricostruzione fattuale, che l’RAGIONE_SOCIALE, in data 25 agosto 2011, aveva notificato alla società ricorrente l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, per l’anno 2006, con il quale era stato contestato, ai fini IVA, la violazione di acquisto o importazione di merci e servizi senza pagamento d’imposta in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge, per un importo imponibile complessivo di euro 2.032.538,00; la circostanza contestata si era verificata a causa di un errore materiale, ovvero poiché era stata conteggiata due volte la fattura n. 5 del 25 gennaio 2006 ai fini della determinazione del c.d. plafond IVA disponibile per la società ricorrente nella sua qualità di esportatore abituale; per effetto di tale errore, con l’avviso di accertamento indicato veniva accertata l’imposta all’aliquota ordinaria del 20%, nella misura di euro 406.507,60 e veniva irrogata la sanzione amministrativa unica di euro 508.135,00, successivamente ridotta ad un sesto (euro 84.689,17) in ragione dell’adesione all’accertamento nei termini di legge; la società ricorrente provvedeva, quindi, al versamento dilazionato dell’imposta accertata e RAGIONE_SOCIALE
sanzioni ridotte; per quanto attiene al versamento a mezzo moRAGIONE_SOCIALE F24 degli importi di cui alle scadenze fino al 10 Gennaio 2013, a seguito del tacito diniego dell’istanza di rimborso presentata in data 18 Gennaio 2013, si era incardinato un contenzioso tributario che si era definito con la sentenza n. 1044/67/2016 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la quale era stato riconosciuto il diritto ad ottenere il rimborso Iva richiesto, con conseguente condanna dell’RAGIONE_SOCIALE al pagamento di euro 238.198,20, a titolo di rimborso Iva; la società, poi, aveva versato la somma di euro 239.607,28, a titolo di maggiore IVA accertata, (oggetto del presente contenzioso) e così adempiendo al pagamento di quanto statuito nel piano di ammortamento; la società ricorrente, in data 17 dicembre 2014, aveva presentato richiesta di rimborso dell’importo di euro 239.607,28, ai sensi dell’art. 19, comma 1) lett. g), del d.P.R. n. 546 del 1992 e, all’esito del decorso del termine di novanta giorni previsto dall’art. 21, comma 2, del d.P.R. n. 546 del 1992 , aveva proposto ricorso avanti la Commissione tributaria provinciale di Cremona.
2.3 Come già precisato da questa Corte, il regime RAGIONE_SOCIALE operazioni relative a scambi con Paesi che si trovino fuori del territorio dell’Unione Europea, come configurato dall’art. 8 del d.P.R. n. 633 del 1972, è ispirato al principio della detassazione dei beni in uscita dal territorio comunitario, e dell’applicazione dell’Iva italiana a quelli in entrata; al fine di conciliare l’omessa applicazione dell’Iva alle operazioni di cessione di beni destinati al consumo all’estero, e non in territorio nazionale (art. 7 decreto cit.), col diritto, essenziale nel sistema comunitario dell’Iva, alla detrazione dell’imposta sugli acquisti, il legislatore ha introdotto talune operazioni concretamente non imponibili, sebbene astrattamente assoggettabili ad imposta (Cass. 22 ottobre 2014, n. 22430; Cass., 8 marzo 2013, n. 5894).
2.4 Più in particolare, le cessioni all’esportazione non difettano dell’elemento della territorialità, come conferma il loro
assoggettamento agli obblighi formali di fatturazione e dichiarazione, il che le renderebbe assoggettabili ad imposta, se non fossero state configurate dal legislatore, per quanto già rilevato, come non imponibili. In dettaglio, l’art. 8 del d.P.R. n. 633 del 1972 individua come cessioni all’esportazione, come tali non imponibili, le cessioni anche tramite commissionario – di beni che siano trasportati o spediti fuori del territorio comunitario, a cura o in nome del cedente o del suo commissionario (lett. a), oppure a cura o per conto del cessionario, purché questi non sia residente e l’invio avvenga entro novanta giorni dalla consegna (lett. b).
2.5 Di contro, estranea a questa disciplina ed alle ragioni che la sorreggono è la disposizione contenuta nella lett. c) dell’art. 8, la quale considera non imponibili – sebbene si tratti di merci o prestazioni di servizi destinate ad entrare o ad essere eseguite nel territorio comunitario anche le cessioni di beni (tranne i fabbricati e le aree edificabili) e le prestazioni di servizi fatte a soggetti che abbiano compiuto abitualmente cessioni all’esportazione od operazioni intracomunitarie, e chiedano al loro fornitore di non applicare l’imposta sull’operazione di acquisto e/o di importazione. In questo caso, chiarisce il secondo comma dell’art. 8, nel delineare il meccanismo del plafond, « le cessioni e le prestazioni di cui alla lettera c) sono effettuate senza pagamento dell’imposta ai soggetti indicati nella lettera a), se residenti ed ai soggetti che effettuano le cessioni di cui alla lettera b) del precedente comma su loro dichiarazione scritta e sotto la loro responsabilità, nei limiti dell’ammontare complessivo dei corrispettivi RAGIONE_SOCIALE cessioni di cui alle stesse lettere dai medesimi fatte nel corso dell’anno solare precedente». E, prosegue la norma, sono sempre i cessionari ed i commissionari che possono avvalersi del plafond «…integralmente per gli acquisti di beni che siano esportati nello stato originario nei sei mesi successivi alla loro consegna e, nei limiti della differenza tra esso e l’ammontare RAGIONE_SOCIALE cessioni dei beni effettuate nei
loro confronti nello stesso anno ai sensi della lettera a), relativamente agli acquisti di altri beni o di servizi», potendo altresì «…optare… per la facoltà di acquistare beni e servizi senza pagamento dell’imposta assumendo come ammontare di riferimento, in ciascun mese, l’ammontare dei corrispettivi RAGIONE_SOCIALE esportazioni fatte nei dodici mesi precedenti» (Cass., 24 marzo 2016, n. 5853, in motivazione).
2.6 In sintesi, il legislatore consente ai contribuenti che rivestono la qualifica d’esportatore abituale di acquistare beni e servizi senza applicazione dell’Iva nei limiti RAGIONE_SOCIALE esportazioni od operazioni assimilate registrate nell’anno solare precedente (c.d. «plafond fisso) o nei dodici mesi precedenti (c.d. «plafond mobile), per un ammontare superiore al 10% del complessivo volume d’affari (Cass. 15 febbraio 2013, n. 3788).
2.7 La «ratio» di tali previsioni è di agevole comprensione, ove si consideri che le cessioni all’esportazione -come le operazioni intracomunitarie -non limitano la detrazione dell’imposta sugli acquisti. Sicchè i soggetti che effettuino solo, o prevalentemente (esportatori abituali), operazioni di tal fatta finirebbero per trovarsi costantemente in credito con l’Erario, giacché l’esiguità RAGIONE_SOCIALE operazioni imponibili compiute (a debito) non varrebbe a compensare quelle sugli acquisti (a credito). Al fine, dunque, di evitare che taluni operatori siano in permanente attesa del rimborso dell’eccedenza d’imposta, il legislatore consente loro di effettuare acquisti senza applicazione dell’Iva, includendo tra le operazioni non imponibili anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi compiute nei loro confronti. (Cass., 15 giugno 2018, n. 15835; Cass. 19 giugno 2015, n. 12763).
2.8 Mentre le ipotesi contemplate dall’art. 8, comma 1, lett. a) e b), del d.P.R. n. 633 del 1972, concernono la sussistenza del debito Iva o, meglio, la sua insussistenza, giacché il legislatore ha scelto di configurare come non imponibili le operazioni ivi elencate che altrimenti lo sarebbero, la non imponibilità di cui all’articolo 8, comma
1, lett. c), e 2 comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, non riguarda la sussistenza del debito Iva (né la relativa responsabilità, principale o solidale), bensì la esecutività di esso, in ragione della possibilità della sua estinzione satisfattiva mediante compensazione con i crediti Iva dell’esportatore abituale (cfr. Cass. 14 marzo 2012, n. 4022, secondo cui la dichiarazione di intento, concernendo le condizioni dell’importatore, le quali rilevano ai soli fini del pagamento dell’imposta, che resta sospesa per coloro che versino nelle condizioni previste dalla legge e lo dichiarino sotto la propria responsabilità, incide soltanto sulla procedura di riscossione (Cass., 27 marzo 2013, n. 7720). In definitiva, il plafond disciplinato dall’art. 8, comma 1, lett. c, del d.P.R. n. 633 del 1972, rappresenta un semplice limite quantitativo monetario, pari all’ammontare complessivo dei corrispettivi RAGIONE_SOCIALE esportazioni utilizzabile nell’anno successivo per procedere ad acquisti in sospensione d’imposta (Cass. 6 marzo 2015, n. 4556; Cass., 15 giugno 2018, n. 15835, in motivazione).
2.9 Anche di recente è stato affermato che « La non imponibilità contemplata dall’art. 8, comma 1, lett. c) D.P.R. n. 633 del 1972, si differenzia dalle ipotesi previste dalle lettere a) e b) della medesima norma, le quali concernono la sussistenza del debito iva o, meglio, la sua insussistenza. Con la lett. c) il legislatore ha scelto di configurare come non imponibili le operazioni ivi elencate che altrimenti lo sarebbero, sicché la non imponibilità in quel caso non riguarda la sussistenza del debito iva (né la relativa responsabilità, principale o solidale), bensì l’esecutività di esso. E ciò in ragione della possibilità dell’estinzione satisfattiva di quel debito mediante compensazione con i crediti iva dell’esportatore abituale ». (Cass., 15 luglio 2020, n. 14979, in motivazione).
2.10 Tutto ciò premesso, eccentrico rispetto al regime descritto si rivela il richiamo, su cui ha fatto leva anche l’RAGIONE_SOCIALE, nella sentenza impugnata dell’art. 60, settimo comma, del d.P.R. n.
633 del 1972, introdotto dall’articolo 93, comma 1, del decreto legge n. 1 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, a norma del quale « Il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, RAGIONE_SOCIALE sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione ». In tal caso, la normativa Iva riconosce in capo al cedente/prestatore l’esercizio della rivalsa in via ordinaria, obbligatoriamente, ex art. 18 del d.P.R. n. 633 del 1972 ed anche facoltativamente, a seguito di accertamento ai sensi del successivo art. 60, comma 7, del medesimo decreto, che disciplina l’istituto della rivalsa c.d. «successiva». Dunque, il cessionario o il committente può esercitare il diritto di detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione. Il diverso momento di decorrenza del termine di decadenza biennale da tale norma previsto (coincidente con quello in cui il cessionario o il committente abbia corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa) si riferisce al tardivo esercizio del diritto di rivalsa in conseguenza dell’accertamento o della rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi. Ipotesi, questa, all’evidenza estranea al caso in esame, in cui la società ricorrente (esportatore abituale e società cessionaria) da un lato ha versato l’imposta accertata, quale maggiore Iva (per un importo complessivo di euro 405.507,60) in quanto aveva effettuato acquisti in
sospensione d’imposta per un importo superiore a quello consentito e complessivi euro 508.135,00 (poi ridotta ad un sesto in dall’altro ha versato l’intero ammontare della sanzione irrogata per euro 84.689,17), per poi chiedere il rimborso del credito Iva versato per l’importo di euro 239.607,28 (imposta pagata dal mese di aprile 2013 al mese di luglio 2014), avendo già ottenuto il rimborso del credito Iva pagato fino al 10 gennaio 2013, per un ammontare di euro 238.198,20.
2.11 Chiara sul punto, in verità, è anche la Circolare n. 35/E del 2013 (alla quale hanno fatto seguito numerosi altri documenti, ex multis, circolare n. 23/E del 25 settembre 2017, circolare n. 6/E dell’1 aprile 2019 e n 10/E del 15 maggio 2019, risposte ad interpelli nn. 128, 129 e 339 del 2019; risposte ad interpelli nn. 422 e 510 del 2021; risposta ad interpello n. 569 del 2022), richiamata dai giudici di secondo grado, dove si legge « Pertanto, sebbene l’art. 60, settimo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1973, n. 633 preveda l’esercizio della detrazione da parte del cessionario o del committente a seguito della rivalsa operata in fattura dal cedente o dal prestatore, la tutela del principio di neutralità del tributo impone che la facoltà di detrarre l’IVA pagata in sede di accertamento, sia riconosciuta anche nelle ipotesi in cui, in deroga alle comuni regole di funzionamento del tributo, sia debitore d’imposta il cessionario/committente in luogo del cedente/prestatore. L’esportatore abituale cui sia stato contestato lo splafonamento potrà esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il medesimo ha provveduto al pagamento dell’imposta, della maggiore imposta, RAGIONE_SOCIALE sanzioni e degli interessi »; dunque, è stato affermato che il meccanismo dell’esportazione abituale altera la regola ordinaria, sulla quale incide l’art. 60 del d.P.R. n. 633 del 1972, nel senso che in caso di splafonamento il soggetto passivo è il cessionario, perché in questo caso è il cessionario che deve versare l’Iva al posto del cedente e da ciò sorge il credito Iva, a tutela anche della neutralità dell’Iva, che poi
il contribuente può detrarre, riportare in eccedenza o chiedere a rimborso.
2.12 La restituzione dell’imposta versata all’Erario per acquisti in sospensione d’imposta oltre il plafond , risponde ai principi tutelati anche in ambito comunitario secondo il quale il sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto è inteso a garantire la perfetta neutralità del l’imposizione fiscale per tutte le attività economiche e far sì che il produttore dei beni non resti inciso da un’imposta sui consumi quale è l’Iva che, proprio per la sua finalità, deve gravare esclusivamente su consumatore finale dei beni. Al riguardo, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, a nche, di recente, ha precisato che il diritto a detrazione previsto dagli articoli 167 e seguenti della direttiva 2006/112/CE costituisce parte integrante del meccanismo dell’Iva e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni e che il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’Iva di cui sono debitori in relazione al l’imposta dovuta o versata a monte per i beni acquistati e per i servizi loro prestati, costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’Iva e che il meccanismo RAGIONE_SOCIALE detrazioni di cui all’art. 168 è inteso a esonerare interamente l’imprenditore dall’Iva dovuta o assolta nell’ambito di tutte le sue attività economiche, con il conseguente corollario che la neutralità si estende a tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di tali attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all’Iva (Corte di Giustizia, 15 settembre 2002, causa C-227/21; anche Corte di Giustizia, 12 luglio 2012, causa C-284/11; Corte di Giustizia, 11 aprile 2013, causa C-138/12). Il principio di neutralità è, dunque, un elemento essenziale dell’Iva, generalmente riconosciuto dagli Stati membri (Corte di Giustizia, 2 agosto 1993, causa C-111/92), che consente di limitare il diritto alla detrazione dell’imposta unicamente in presenza di una comprovata frode o abuso (Corte di Giustizia, 15 settembre 2002, causa C-227/21, citata).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata e, decidendo la causa nel merito, va accolto il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
3.1 Le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata, tenuto conto della specificità della materia trattata, giustificano la compensazione RAGIONE_SOCIALE spese processuali dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
Compensa interamente fra le parti le spese dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2024.