Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33444 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33444 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26676 -20 20 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE C.F. P_IVA, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale in atti , dall’avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL;
– controricorrente –
Oggetto:
Tributi –
rimborso IVA –
società
non operativa
–
giudicato
avverso la sentenza n. 3401/03/2020 della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA, depositata in data 01/07/2020; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23 ottobre 2024 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
In controversia relativa ad impugnazione di un diniego di rimborso del credito IVA per acquisto di beni strumentali, che la società contribuente aveva richiesto con riferimento all’anno d’imposta 20 16 e che l’Agenzia delle entrate aveva negato sul presupposto che la predetta società contribuente versasse in situazione di non operatività, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) della Campania accoglieva l’appello proposto dalla società avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sostenendo che questa aveva fornito la prova contraria idonea a superare la presunzione legale posta dalla legge in favore dell’amministrazione finanziaria emergendo dagli atti di causa che la stessa versava in oggettiva situazione di impossibilità al conseguimento di ricavi, posto che il contratto con cui le era stato erogato il finanziamento Fesr Campania 2007/2013 prevedeva che l’azienda beneficiaria dovesse attendere l’esito dell’istruttoria per iniziare l’attività e ciò si era verificato soltanto nel settembre 2016.
Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui replica l’intimata con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 324 e 329 cod. proc. civ., per avere i giudici di appello omesso di rilevare il giudicato interno formatosi in relazione alla statuizione di primo grado, non impugnata dalla società contribuente, che «si era
pronunciata sull’accertata compensazione del credito in questione mediante esposizione del medesimo nella dichiarazione dell’anno successivo».
Il motivo, diversamente da quanto sostiene la controricorrente, è ammissibile in quanto correttamente veicola la ritenuta sussistenza di un giudicato interno attraverso la deduzione di un error in procedendo per violazione delle disposizioni processual-civilistiche dettate in materia e correttamente dedotte.
In ogni caso, il motivo è infondato e va rigettato.
3.1. Invero, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, l’affermazione cui fa riferimento la ricorrente non costituisce ratio decidendi della statuizione di primo grado in quanto i giudici nel relativo passaggio motivazionale si limitano a riportare la tesi sostenuta in giudizio da ll’Agenzia delle entrate, ovvero che la società poteva operare solo la compensazione e che ciò aveva fatto riportando il credito quale eccedenza nella dichiarazione relativa all’anno d’imposta successivo. A ciò aggiungasi che è lo stesso g iudice d’appello ad affermare che la società contribuente aveva chiesto «il rimborso di € 39.168,00 a fronte di un maggior credito quale IVA corrisposta ai propri fornitori», peraltro sull’assunto della parte contribuente che nell’atto di appello , in parte qua trascritto per autosufficienza nel ricorso (pag. 9), aveva espressamente affermato di aver inoltrato all’Agenzia delle entrate, con la dichiarazione IVA 2016, richiesta di rimborso del minor importo di € 39.168,00 «a fronte di un credito complessivo di € 81.583,00».
Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 in combinato disposto dagli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 118 disp. att cod. proc. civ.
4.1. La ricorrente deduce la nullità della sentenza per motivazione apparente sostenendo che «Palese è il difetto di
motivazione della impugnata sentenza che ha accolto l’appello sul presupposto errato dell’esistenza di una condizione sospensiva di inizio attività, indipendente dalla volontà societaria».
Il motivo è inammissibile e comunque infondato. Invero, le argomentazioni svolte in sentenza, anche se per ipotesi errate, sono comunque idonee a rendere palese il ragionamento seguito dai giudici di appello, mentre l’erronea interpretazione di un documento non può esser dedotta attraverso la deduzione del vizio di difetto di motivazione sub specie di motivazione apparente, quanto, piuttosto, di travisamento del contenuto del documento che, però, nella specie, neppure viene adombrato o, nel caso di interpretazione di clausole contrattuali, come nella specie, attraverso la deduzione della violazione dei canoni ermeneutici stabiliti dagli artt. 1362 e seg. cod. civ.
Pare comunque opportuno osservare che la ricorrente non contesta che la società contribuente, costituita nel giugno 2014 e che nel luglio 2014 aveva acquisito in locazione un immobile commerciale per svolgervi l’attività di gestione di palestre , era stata ammessa ad un finanziamento regionale e che nel 2016, all’esito dell’istruttoria da parte della finanziaria, aveva effettivamente iniziato l’attività . La ricorrente, infatti, si limita a sostenere che l’inizio dell’attività non fosse subordinata all’esito positivo di un sopralluogo della finanziaria e che, quindi, nella specie non sussistevano situazioni oggettive e straordinarie di non operatività della società che consentisse di superare la presunzione di cui all’art. 30 della legge 724 del 1994 . Da ciò, però, discende che nella specie il diniego di rimborso non trova più ragionevole giustificazione alla luce della sentenza della Corte di giustizia dell’unione europea del 7 marzo 2024 in causa C-341/22, (RAGIONE_SOCIALE San Gregorio RAGIONE_SOCIALE s.p.a.), secondo cui la qualità di soggetto passivo ai fini IVA e, quindi, il diritto di quest’ultimo alla
detrazione o al rimborso di tale imposta, non può essere subordinata alla condizione che una persona effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA il cui valore economico superi una soglia di reddito previamente fissata, la quale corrisponde ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone; ciò che rileva è esclusivamente il fatto che detta persona eserciti effettivamente un’attività economica, a meno che non sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che tale diritto (alla detrazione o al rimborso) sia stato invocato in un contesto di frode o evasione (cfr., al riguardo, Cass. 11 settembre 2024, n. 24416 e Cass. 11 settembre 2024, n. 24442). Circostanza nella specie neppure dedotta.
In estrema sintesi, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese processuali che liquida in euro 4.300,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15 per cento dei compensi e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma il 23 ottobre 2024