Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8820 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 8820 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 03/04/2025
SENTENZA
Sul ricorso n. 5826-2024, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , c.f. 09339391006, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv. NOME COGNOME EMAIL e NOME COGNOME EMAIL, presso i cui indirizzi pec elettivamente domicilia – ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 4866/11/2023 della Corte di giustizia tributaria di II grado del Lazio, depositata il 13 agosto 2023;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell ‘ 11 dicembre 2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Iva -Rimborsi -OgdSE -Natura degli oneri -Legittimazione del cessionario
sentite le conclusioni della Procura Generale, nella persona del Sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME sentite le conclusioni delle parti presenti,
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza impugnata e dagli atti difensivi si evince che la ricorrente chiese il rimborso dell’Iva ritenuta indebitamente versata per l e annualità 2017/2018. Il versamento era considerato indebito perché nella base imponibile risultavano compresi gli Oneri Generali afferenti al Sistema Elettrico ( cd. OGdSE), inclusione che, nella prospettazione della ricorrente, era stata operata erroneamente da parte dei propri fornitori di energia elettrica. Il diniego di rimborso, opposto dall’Agenzia delle entrate, fu impugnato dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, che con sentenza n. 3579/26/2022 accolse il ricorso.
L’appello proposto dalla società dinanzi alla Corte di giustizia tributaria di II grado del Lazio fu invece accolto con sentenza n. 4866/11/2023.
Nel riformare le statuizioni del collegio provinciale, il giudice di secondo grado, illustrando le rispettive posizioni difensive, si è soffermato sulla questione ritenuta assorbente, ossia quella della legittimazione del cessionario, pur quando soggetto Iva, a richiedere direttamente il rimborso all’Agenzia delle entrate. Sulla questione, dopo aver mostrato consapevolezza della non univocità delle soluzioni offerte dalla giurisprudenza, ha ritenuto più corretta la ricostruzione emersa più di recente nella giurisprudenza di legittimità, ossia del difetto di legittimazione della società, cessionaria dell’energia erogata, e pertanto soggetto estraneo al rapporto tra fisco e cedente, quest’ultimo da identific arsi quale soggetto giuridico eventualmente titolato a richiedere il rimborso.
La società ricorrente ha censurato la sentenza e ne ha chiesto la cassazione, sulla base di un unico motivo, ulteriormente illustrato da memoria, e in subordine, ove ritenuto non condivisibile, ha sollecitato una rimessione alla Corte di giustizia dell’Unione europea, acché sia valutato se «possa ritenersi conforme ai principi di neutralità e di effettività in materia di IVA un ordinamento che, interpretato nel senso di attribuire esclusivamente al cedente il dovere di rimborsare al cessionario quanto da
quest’ultimo indebitamente versato in via di rivalsa, non disciplini adeguati strumenti volti ad evitare che il cedente (i) debba anticipare le somme richieste dal cessionario per un lasso di tempo sostanzialmente indeterminato, (ii) senza avere la certezz a che l’eventuale condanna al rimborso decretata dal giudice civile possa costituire un valido titolo per recuperare le somme in discorso presso l’Agenzia delle Entrate ».
L ‘Agenzia delle entrate s i è costituita con controricorso.
All’esito della discussione , tenutasi nella pubblica udienza dell’11 dicembre 2024, sentite le conclusioni della Procura Generale e delle parti presenti, la causa è stata discussa e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo la società ha denunciato la nullità della sentenza per violazione degli artt. 9 e 167 della direttiva 2006/112/CE, 17 e 18 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, 2 del d.lgs. n. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all ‘ art. 360 cod. proc. civ. La Corte avrebbe malgovernato le invocate disposizioni per aver escluso la legittimazione attiva della società a richiedere direttamente all’Erario il rimborso dell’Iva indebitamente versata al cedente/prestatore (nel caso di specie, alla CVA RAGIONE_SOCIALE). Ciò, tanto più considerando che la società cessionaria è soggetto passivo Iva, per svolgere attività d’impresa , ma di tipo esente ai fini dell’imposta sul valore aggiunto e dunque impossibilitato a poter detrarre l’imposta .
Nel ricorso la società, ben consapevole della interpretazione elaborata dalla giurisprudenza di legittimità, sulla base di significativi e pertinenti arresti della giurisprudenza unionale, con un unico complesso motivo pone in discussione le conclusioni medesime, quando volte ad escludere il diritto della società cessionaria di proporre direttamente nei confronti dell’Amministrazione finanziaria la domanda di ripetizione di quanto versato a titolo di Iva al proprio cedente, e ritenuto non spettante.
La questione, che rispetto alla natura tributaria degli oneri generali afferenti al sistema elettrico nazionale, si pone come logicamente prioritaria e assorbente, è proprio quella della legittimazione del cessionario/committente a richiedere direttamente nei confronti dell’Agenzia il rimborso dell’Iva che si assume indebitamente versata al cedente.
Le censure della società si rivelano infondate.
Intanto deve tenersi conto che nel caso di specie ci si trova di fronte ad un contratto di fornitura di energia elettrica, nel quale la cessionaria è società che acquista la materia da un fornitore (il cd. trader). Essa è sua volta in rapporto diretto con l’amministrazione finanziaria, e dunque, a propria volta, soggetto passivo ai fini IVA, in quanto esercente attività nel settore bancario -ma con preclusione del diritto alla detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti, così da non poter neutralizzare gli effetti di quella indebita imposizione-.
Ciò chiarito, in tema di rimborso dell’IVA che si sostiene indebitamente versata, la giurisprudenza unionale ha affermato che «in mancanza di disciplina comunitaria in materia di domande di rimborso delle imposte, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti al ricorrere dei quali tali domande possano essere presentate, purché i requisiti in questione rispettino i principi di equivalenza e di effettività, vale a dire, non siano meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi di natura interna e non siano congegnati in modo da rendere praticamente impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (cfr. sentenze 17 giugno 2004, causa C-30/02, RAGIONE_SOCIALE, Racc. pag. I-6051, punto 17, e 6 ottobre 2005, causa C-291/03, RAGIONE_SOCIALE, Racc. pag. I-8477, punto 17)» (così CGUE, sentenza del 15 marzo 2007, RAGIONE_SOCIALE, C-35/05, EU:C:2007:167, p. 37; da ultimo, CGUE, sentenza 11 aprile 2024, Gabel RAGIONE_SOCIALE, C-316/22, p. 33).
Si è quindi affermato che «i principi di neutralità, effettività e non discriminazione non ostano ad una legislazione nazionale, quale quella in esame nella causa principale», ovvero quella italiana, «secondo cui soltanto il prestatore di servizi è legittimato a chiedere il rimborso delle somme indebitamente versate alle autorità tributarie a titolo di IVA, mentre il destinatario dei servizi può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del prestatore. Tuttavia, nel caso in cui il rimborso dell’IVA divenga impossibile o eccessivamente difficile, gli Stati membri devono prevedere, in ossequio al principio di effettività, gli strumenti
necessari per consentire a tale destinatario di recuperare l’imposta indebitamente fatturata» (CGUE, sentenza del 15 marzo 2007, RAGIONE_SOCIALE, C-35/05, punto 42; sentenza 11 aprile 2024 RAGIONE_SOCIALE, C-316/22, p. 33).
La carenza di legittimazione dell’utilizzatore finale ad agire direttamente nei confronti dell’amministrazione finanziaria è pacificamente affermata anche dalla Corte di legittimità (cfr., ex multis , Cass., 17 novembre 2021, n. 34957; Cass., 21 giugno 2023, n. 24220).
Tuttavia, per le ipotesi di impossibilità od eccessiva difficoltà ad ottenere il rimborso direttamente dal fornitore, la deroga è stata riconosciuta dalla Corte di giustizia nella decisione già richiamata (sentenza 11 aprile 2024 RAGIONE_SOCIALE, C-316/22), nella quale si è affermato che «Il principio di effettività deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che non permette al consumatore finale di chiedere direttamente allo Stato membro il rimborso dell’onere economico supplementare sopportato a causa della ripercussione operata da un fornitore, in base ad una facoltà riconosciutagli dalla normativa nazionale, di un’imposta che tale fornitore aveva indebitamente versato, consentendogli unicamente di intentare un’azione civilistica per la ripetizione dell’indebito contro detto fornitore, qualora il carattere indebito di tale versamento sia la conseguenza della contrarietà dell’imposta in parola ad una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non trasposta o non correttamente trasposta e tale motivo di illegittimità non possa essere validamente invocato nell’ambito di tale azione, in ragione dell’impossibilità di invocare in quanto tale una direttiva in una controversia tra privati».
Con tali chiarimenti la Corte di giustizia, pur confermando che il destinatario dei servizi può richiedere il rimborso dell’IVA indebitamente versata unicamente al prestatore, esercitando la relativa azione di ripetizione dell’indebito, mentre non ha legittimazione direttamente nei confronti dell’amministrazione finanziaria se non in limitate ipotesi, ha riconosciuto al consumatore finale il diritto a rivolgere direttamente a tale amministrazione l’istanza di rimborso di una imposta, qualora contraria «ad una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non
trasposta o non correttamente trasposta». Ciò per l’evidente ragione che tale direttiva non può essere validamente invocata nell’ambito di un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito contro il fornitore (cd. inefficacia «orizzontale» o diretta di una direttiva non attuata, costantemente affermata dalla Corte unionale -cfr. CGUE, C-316/22, punto 27; CGUE, 22 dicembre 2022, RAGIONE_SOCIALE e Commune de Farciennes, C-383/21 e C-384/21, punto 36, CGUE; 22 novembre 2017, Cussens, C-251/16, punto 26; CGUE, 12 dicembre 2013, Portgás, C-425/12, punti 18 e 22).
Si tratta di principi e precedenti unionali ampiamente richiamati nella giurisprudenza di legittimità più recente (Cass., 9 settembre 2024, n. 24208, in tema di imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui all’art. 6 del d.l. n. 511 del 1988 -nel testo vigente ratione temporis -). In tale pronuncia si è avvertito che la presenza di una imposta incompatibile con il diritto dell’Unione, a causa di una direttiva non attuata o, come nel caso ivi esaminato, solo tardivamente attuata dallo Stato italiano, ripercossa a titolo di rivalsa dal fornitore sul consumatore finale, costituisce titolo per procedere nei confronti dell’ente impositore con azione di ripetizione di indebito oggettivo, stante l’impossibilità per il consumatore finale di invocare n ei confronti del fornitore (anche in quel caso, di energia elettrica) l’efficacia orizzontale della direttiva tardivamente attuata dallo Stato italiano.
Il precedente appena richiamato, sorretto dall’elaborazione giurisprudenziale euro-unitaria, segna dunque uno sviluppo significativo rispetto agli arresti già citati (l’ultimo dei quali Cass., n. 24220 del 2023) perché -in forza del principio unionale di effettività della tutela- ha allargato il perimetro dell’azione direttamente indirizzata nei confronti dell’amministrazione finanziaria, dall’ambito delle ipotesi in cui il consumatore dimostri l’impossibilità o l’eccessiva difficoltà dell’azione civilistica, da riferire alle condizioni in cui si trova il fornitore, a quello in cui le difficoltà di attuazione del proprio diritto al rimborso siano causate da ll’impossibilità del consumatore finale di invocare, in una azione civilistica nei confronti del fornitore di energia elettrica, l’efficacia orizzontale della direttiva tardivamente attuata dallo Stato italiano. Dunque, il limes della azione diretta del cessionario/committente nei confronti dell’erario si è
esteso all’ulteriore ipotesi in cui emerga l’impossibilità di invocare a fondamento della ripetizione dell’indebito la mancata o irregolare trasposizione della direttiva nell’ordinamento interno, senza la necessità di accertare l’eccessiva difficoltà dovut a alla condizione del fornitore.
Se questi sono i principi che segnano l’attuale perimetro entro il quale il raccordo tra disciplina, interna e unionale, e giurisprudenza, di legittimità e unionale, consente l’emersione della legittimazione del l’utilizzatore/cessionario a rivolgere le proprie istanze di rimborso direttamente nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, tornando al caso oggetto della presente controversia, non è tuttavia questa l’ipotesi per la quale quella legittimazione possa trovare un certo sistematico ed immediato ingresso.
Nella fattispecie che occupa questo collegio, infatti, gli oneri generali di sistema non sono affatto incompatibili con il diritto unionale, come conferma il fatto che la Corte di giustizia UE si è anche occupata della loro natura giuridica (cfr. CGUE, sentenza 18 gennaio 2017, nella causa C-189/2015, IRCCS Santa Lucia) e ciò pure ha fatto questa Corte in sede di regolamento di giurisdizione (cfr. Cass. Sez. U., n. 35282/2023).
La ricorrente vorrebbe rimettere in discussione i principi e le conclusioni appena enunciati, ampliando definitivamente ed indistintamente l’azione diretta del cessionario nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
A tal fine, nel tratteggiare i limiti intrinseci della ricostruzione resa dalla sentenza impugnata, in realtà evidenzia quelli che ritiene i limiti della ricostruzione giurisprudenziale richiamata. Ciò fa, intanto, rilevando che nella costruzione della fattispecie non si pone una questione di carenza di legittimazione attiva del cessionario, ma sembra che si metta in discussione la titolarità dell’obbligazione di restituzione in capo all’Agenzia delle entrate.
Sennonché tale assunto, pur suggestivo, evidenzia i suoi limiti quando si osservi che la questione della legittimazione processuale, attiva o passiva, deve essere vista in rapporto alle effettive parti del processo nel quale un diritto viene azionato. In questo caso, sebbene sia indiscutibile che il soggetto eventualmente obbligato alla restituzione dell’imposta non spettante sia l’erario, tuttavia nei suoi confronti ha legittimazione ad agire
chi di quel rapporto è parte, e nel caso di specie tale soggetto va identificato in chi ha versato l’iva all’erario, perché soggetto passivo dell’imposta.
Pertanto, per l’imposta non dovuta la legittimazione attiva appartiene al cedente, non al cessionario, che è il soggetto percosso dall’imposta (nel rispetto del principio di neutralità). Questi è il cessionario/utilizzatore del bene ceduto, ma non il sogge tto passivo verso l’amministrazione finanziaria. Il suo rapporto giuridico è stato instaurato con il cedente, non certo con l’Agenzia delle entrate, e su tale assetto non incide affatto che sia a sua volta un soggetto Iva, soprattutto quando, come in quella per cui è causa, si tratti di soggetto che pone in essere operazioni esenti.
Nelle difese si afferma poi che la giurisprudenza di legittimità in tema andrebbe rivisitata, per aver equivocato il senso delle pronunce della giurisprudenza unionale.
Questo collegio intende ribadire e confermare quella che, alla luce della lettura delle sentenze della Corte di giustizia, si ritiene una interpretazione giurisprudenziale corretta e compatibile con i principi unionali, ossia quella secondo cui l’azione di rimborso per ipotesi di versamento di Iva ritenuta non spettante debba essere azionata in via civilistica nei confronti del cedente, che è soggetto passivo d’imposta (e che a sua volta è legittimato a ripetere l’imposta non spettante dall’amministrazione finanziaria), salvo quelle ipotesi derogatorie per le quali l’utilizzatore finale, percosso dalla imposta che si ritiene indebitamente versata, non possa azionare utilmente una azione civilistica nei confronti del cedente, per condizioni proprie di quest’u ltimo, oppure qualora si riveli impossibile invocare nei confronti del fornitore del bene ceduto o del servizio prestato l’efficacia orizzontale della direttiva tardivamente attuata dallo Stato italiano.
Rispetto a tale ricostruzione nessuna incidenza può poi assumere se l’obbligazione di restituzione dell’indebito abbia natura pubblicistica e tributaria. Ciò, infatti, discendendo dalla natura della rivalsa, ossia se a questa sia attribuibile natura privatistica o pubblicistica, non incide per quanto qui di interesse. A i fini dell’azione di rimborso nei riguardi dell’ente impositore, quello che qui rileva è il rapporto tra quest ‘ultimo ed il soggetto passivo d’imposta (il cedente), salve le ipotesi derogato rie, per le quali al
soggetto percosso in rivalsa dell’imposta sia riconosciuta una azione diretta nei confronti della amministrazione.
Evidenziare gli inconvenienti, il dispendio di tempo e di risorse che la ricostruzione giurisprudenziale implicherebbe, su cui diffusamente si spende la difesa della società, sottolinea certamente degli inconvenienti, che tuttavia non giustificano una interpretazione diversa della disciplina che presidia la regolarità dei rapporti tra Amministrazione e titolare dell’eventuale credito nei confronti della amministrazione stessa.
Per completezza, va sottolineato che altrettante incongruenze e difficoltà potrebbero insorgere con la ricostruzione auspicata dalla ricorrente. Innanzitutto, per il cessionario che -fuori dalle ipotesi derogatorie già riconosciute- richieda direttamente il rimborso all’Agenzia delle entrate, che non è sua debitrice diretta, si porrebbe un problema di prova della effettività del diritto azionato. Non sarebbe certo una prova impossibile, ma si aggiungerebbe intanto una necessità di allegazione di prova.
Inoltre, l’Amministrazione finanziaria non sarebbe a conoscenza se il cedente nelle more abbia già provveduto a restituire al cessionario la frazione di Iva non spettante. Sarebbe pertanto necessaria l’allegazione di altra prova (con le conseguenti difficoltà della prova negativa per il cessionario e/o della verifica da parte dell’Amministrazione finanziaria) . Tutto ciò complica, non semplifica.
Peraltro, tutte le perplessità manifestate dalla ricorrente sono superabili sol che si tenga conto che il cedente, nei cui confronti il cessionario abbia spiegato la domanda civilistica di ripetizione di indebito, può a sua volta attivarsi, direttamente e contestualmente, nei confronti dell’erario per la ripetizione dell’imposta non spettante, e questa azione assumerebbe eventualmente funzione pregiudiziale alla definizione della controversia civilistica cessionario/cedente.
Anche sotto questo profilo le ragioni della ricorrente vanno disattese.
Per tutto quanto chiarito ritiene, infine, il Collegio che non sussistono i presupposti per la rimessione della questione alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE, come sollecitato in sede di discussione dal difensore della società e richiesto dalla Procura Generale.
La questione posta nel presente giudizio è stata già ampiamente esaminata dalla Corte di giustizia unionale e risolta nel senso già chiarito nelle argomentazioni sopra illustrate. Le ragioni prospettate dalla difesa, infatti, rispetto all’orientamento giur isprudenziale consolidato, non scalfiscono quelle riferibili alla posizione esclusiva del fornitore e agli eventuali ‘inconvenienti’ che si potrebbero verificare per tale soggetto, per non assumere rilievo in questo giudizio. In ogni caso non sono idonee a giustificare la necessità di un’azione diretta del consumatore finale nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
In conclusione, il motivo è infondato, perché, nel decidere nei termini esposti, la Corte di giustizia tributaria di II grado ha tenuto conto dei principi di diritto enunciati.
Il ricorso in definitiva va rigettato. Le spese vanno compensate in ragione della complessità della questione e del suo carattere di novità rispetto all’epoca in cui è insorta la controversia.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese processuali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 11 dicembre 2024