Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13392 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13392 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2342/2022 R.G. proposto da :
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente principale-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della TOSCANA n. 900/2021 depositata il 21/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/03/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 9 gennaio 2018 COGNOME NOME in qualità di socia della disciolta RAGIONE_SOCIALE (estinta nel 2012), presentava
richiesta di rimborso IVA relativa all’anno 2011 (anno con riguardo al quale aveva formulato richiesta di compensazione), adducendo la mancata erogazione dell’importo di euro 32.497,00 indicato in dichiarazione IVA 2012 come IVA a credito e inserito tra i crediti societari nel verbale del 30 novembre 2012 in sede di bilancio finale di liquidazione.
All’esito dell’istruttoria, si riferisce nella sentenza impugnata, l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Grosseto negava il rimborso ravvisando la tardività dell’istanza, l’infondatezza nel merito per mancanza di documentazione idonea, nonché la non erogabilità del rimborso ai sensi della disciplina sulle società non operative di cui all’art. 30 comma 4 legge n. 724/1994.
La CTP di Grosseto con sentenza n. 185/2019 accoglieva il ricorso della contribuente, escludendo la decadenza e, segnatamente, ritenendo che il credito esposto in dichiarazione fosse soggetto all’ordinaria prescrizione decennale e non al termine biennale di decadenza previsto dall’art. 21 comma 2 D.Lgs. n. 546/1992.
L’Agenzia ricorreva dinanzi alla CTR della Toscana che, con sentenza n. 900/2021 del 7 luglio 2021 e depositata il 21 luglio 2021, respingeva l’appello dell’Ufficio sull’eccezione della decadenza dai termini di presentazione dell’istanza di rimborso, considerava tempestiva la domanda della ricorrente e confermava sul punto la sentenza di primo grado. Nel merito, riteneva fondato l’appello dell’Ufficio, in assenza della prova in atti che la contribuente avesse prodotto la documentazione idonea a dimostrare la spettanza del rimborso; nonché in base alla circostanza accertata che la società avesse maturato il credito anteriormente agli anni compresi tra il 2002 e il 2010, durante i quali la stessa non risultava operativa ‘ ai sensi dell’art. 30 comma 4 DPR n. 602/1973 ‘. In conclusione, il giudice d’appello riteneva legittimo il diniego di rimborso IVA.
La contribuente propone ora ricorso per cassazione affidato a tre motivi e deposita memoria illustrativa ai sensi dell’art. 380 bis comma 1 c.p.c.
Resiste l’Agenzia con controricorso con ricorso incidentale condizionato affidato ad un unico motivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si contesta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., in relazione all’omessa valutazione dell’esistenza di specifici elementi di fatto pertinenti la prova del diritto al rimborso. In altri termini, la CTR avrebbe mancato di prendere in considerazione i fatti storici e i relativi documenti che la parte avrebbe rappresentato nei precedenti gradi di giudizio evidenziandone, erroneamente, la mancata produzione.
Con il secondo motivo di ricorso si censura la falsa applicazione di legge di cui all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., in relazione all’art. 30 comma 4 DPR n. 602/1973, per aver la CTR ritenuto di applicare al caso di specie una norma inidonea a regolarlo rendendo incomprensibile la regola giuridica applicata al caso in esame.
Col terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione di legge ai sensi dell’art. 360 comma 1 n.3 in relazione agli articoli 15 D.Lgs n. 546/1992 e art. 4 DM n. 55/2014 del Ministero di Grazia e Giustizia per la mancata indicazione dei parametri di valutazione delle spese di lite nelle relative fasi giudiziali, per aver la CTR accolto la tesi dell’Amministrazione finanziaria e imputato alla ricorrente le spese di lite del doppio grado di merito.
Con il motivo di ricorso incidentale si contesta l’omesso esame di un fatto discusso e decisivo relativo all’omessa presentazione di qualsivoglia istanza di rimborso, ai fini dell’individuazione del termine applicabile. In altri termini, la pronuncia emessa dalla CTR risulterebbe viziata laddove conferma la decisione di primo grado in
punto di annullamento del diniego di rimborso sotto il profilo della tardività.
Il primo motivo è inammissibile per convergenti aspetti.
Il mezzo di ricorso pecca innanzitutto di mancanza di specificità, inciampando in un deficit di autosufficienza, nella misura in cui assume un’omessa valutazione di fatti storici che non precisa e di elementi fattuali che non identifica.
Benché deduca l’omesso esame di un fatto decisivo, quest’ultimo genericamente afferisce alla documentazione asseritamente prodotta.
Per costante orientamento di questa Corte, l’ omesso esame di elementi istruttori non è di per sé sindacabile in sede di legittimità in quanto non integra, per ciò stesso, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (tra varie, Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014; n. 21257 del 2014; n. 27415 del 2018; n. 35366 del 2023).
Nel caso in esame, la ricorrente si è limitata a riferire di aver depositato il 19 luglio 2019 una memoria illustrativa ‘con allegata la documentazione già prodotta in sede amministrativa a sostegno del diritto alla restituzione dell’IVA ed attestante quindi la prova della esistenza del credito e della operatività della società; tutta la documentazione offerta in allegato alla memoria si aggiungeva, e riguardava, quindi, i documenti attestanti l’esistenza del credito già offerti con l’istanza del 9 gennaio 2018 e non esaminati dall’Ufficio’; ma del contenuto della documentazione manca qualsivoglia specificazione (in controricorso, peraltro -a pag. 7-, l’Agenzia sottolinea che la documentazione in questione era comunque incompleta).
La motivazione della decisione avversata non scende quindi al di sotto del ‘minimo costituzionale’. La sentenza d’appello, infatti,
reca a proprio supporto una trama argomentativa idonea a sorreggerla sul piano della ratio decidendi . Quest’ultima attiene, in particolare, alla mancata prova dei presupposti del rimborso invocato. Mette in conto evidenziare che ‘ in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali ‘ (Cass. n. 7090 del 2022; Cass. n. 22598 del 2018).
Il secondo motivo rimane assorbito.
Il rigetto del primo comporta l’assorbimento di tale mezzo, che invero concerne l’altra ratio alla base della sentenza resa dal giudice del gravame di merito.
Il terzo motivo è infondato.
Anzitutto, va segnalato, il giudice d’appello ha condannato l’appellata ‘al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio liquidate in € 3000 per ciascun grado’: risulta per conseguenza inconferente il precedente di questa Corte citato in ricorso (Cass. n. 18905 del 2017), che ha affermato la necessità di calibrare la liquidazione per ogni grado di giudizio.
In realtà, si è chiarito, la parte, la quale intenda impugnare per cassazione la liquidazione per pretesa violazione dei minimi tariffari, ha l’onere di specificare analiticamente le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in
errore, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile il ricorso che contenga il semplice riferimento a prestazioni che sarebbero state liquidate in eccesso rispetto alla tariffa massima (Cass. n. 18584 del 2021); e ovviamente, si è aggiunto, lo stesso principio non può che valere nel caso inverso, nel quale il ricorrente lamenti liquidazione superiore ai parametri di legge. Qui non viene mossa censura di tal fatta: non si contesta l’entità della liquidazione, bensì la sua onnicomprensività (in termini, nel senso dell’inammissibilità di analoga censura, Cass. n. 11657 del 2024). Il ricorso incidentale condizionato dell’Agenzia rimane assorbito.
Le spese del giudizio vanno poste a carico della ricorrente principale in ragione della soccombenza. La misura delle spese è esposta in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso avanzato in via principale; dichiara assorbito il ricorso avanzato in via incidentale; condanna la parte ricorrente principale al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12/03/2025.