Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21550 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21550 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al n. 1253/2023 R.G.) proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede in Milano, al INDIRIZZO (Codice Fiscale e Partita I.V.A.: P_IVA), in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che rappresenta e difende la società stessa, giusta procura speciale allegata al ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità (indirizzo p.e.c. del difensore : ‘ EMAIL ‘ );
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata ‘ ope legis ‘ presso gli uffici di quest’ultima, siti in Roma, alla INDIRIZZO (indirizzo p.e.c.: EMAIL) ;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 2318/07/2022, pubblicata il 1° giugno 2022;
n. 1253/2023 R.G.
COGNOME
Rep.
A.C. 13 marzo 2025
Diniego di rimborso credito IVA.
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 13 marzo 2025, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- In punto di fatto, si osserva che oggetto della controversia è un provvedimento di diniego del rimborso di un credito IVA notificato in data 8 luglio 2019 che la società RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto con il Modello IVA 2016 (anno di imposta 2015) per €. 368.750 ,00, credito nel frattempo ceduto alla società odierna ricorrente RAGIONE_SOCIALE con atto del 5 settembre 2016, comunicato all’amministrazione finanziaria.
Con ricorso proposto dinanzi la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, la RAGIONE_SOCIALE nella sua qualità di cessionaria del credito in oggetto, ha impugnato il predetto provvedimento di diniego, lamentandone, in diritto, il difetto di motivazione, e, nel merito, reclamando la spettanza del diritto al rimborso del credito IVA costituitosi in capo alla società cedente RAGIONE_SOCIALE
La CTP ha ritenuto la società RAGIONE_SOCIALE legittimata a impugnare il diniego, quale cessionaria del credito e ha accolto il ricorso ritenendo intrinsecamente ragionevoli le argomentazioni della ricorrente, assolutamente persuasive, a suo dire, nel merito. In particolare, i primi giudici hanno precisato che il credito si era formato in relazione ad una serie di fatture passive (costi sostenuti per beni e servizi: opere di sistemazione, abbellimento, ristrutturazione, gestione e valorizzazione degli immobili, muratura, recinzioni, verniciatura, impianti, stucchi, acquisto arredi, etc.) ricevute dalla RAGIONE_SOCIALE per l’attività di recupero di un’area (terreno e immobili siti in Milano, alla INDIRIZZO portata avanti nel 2010 e 2011 in vista della realizzazione di un progetto immobiliare (presentato anche da esponenti del Comune e nel quale erano state coinvolte banche, professionisti e istituzioni locali) che poi non si era mai realizzato, in quanto, medio tempore, era stato modificato e approvato un nuovo P.G.T.; con l’ulteriore conseguenza che gli ingenti costi sostenuti non avevano potuto determinare la realizzazione dei ricavi attesi (non per colpa della società o per difetto di inerenza dei costi ma per circostanze sopravvenute, indipendenti e imprevedibili per la società stessa) portando la società al fallimento. Siccome l’inerenza non doveva essere intesa in termini di stretta e necessaria correlazione a ricavi
effettivamente conseguiti ma in termini di connessione all’attività di impresa esercitata anche in funzione di una proiezione futura di ricavi attesi, secondo la CTP di Milano, il credito era da riconoscere in quanto i costi documentati avevano il requisito della inerenza.
2.- La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, investita dall’appello proposto dall’amministrazione finanziaria , lo ha accolto con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, affermando che: « Passando al merito (violazione e falsa applicazione dell’art. 30 comma 4 DPR 633/72 e art. 109 comma 5 DPR 917 /1986), deve effettivamente prendersi atto del fatto che il difetto di inerenza riscontrato dall’Ufficio, che porta alla conclusione che non esiste il credito di imposta di cui si pretende il rimborso, non è determinato tanto dalla natura dei costi sostenuti (che sono – ma solo astrattamente – coerenti con l’attività di impresa che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto esplicare) bensì dal fatto che non è stato documentato il trasferimento (o conferimento) dell’area immobiliare, che è stata interessata dall’imponente progetto di ristrutturazione, in capo alla stessa RAGIONE_SOCIALE. Di fatto, quindi, la società RAGIONE_SOCIALE ha sostenuto ingenti costi per la ristrutturazione, valorizzazione e recupero di immobili che non facevano parte del proprio patrimonio e quindi che non potevano considerarsi mezzi destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, ma piuttosto risultavano di proprietà personale di soggetti terzi (precisamente del socio unico NOME COGNOME). Il principio di inerenza richiede infatti, ai fini della deducibilità dei costi, che gli stessi siano strettamente correlati ad attività, e quantomeno idonei concretamente a generare reddito anche se non immediatamente legati a ricavi; e quindi come tali relativi alla attività imprenditoriale svolta dalla società in vista della realizzazione (anche in proiezione futura) di un reddito di impresa. Nel caso di specie, invece, i costi di recupero dell’immobile di Milano INDIRIZZO hanno interessato i beni di proprietà di terzi (ossia un terreno e un fabbricato di proprietà personale del socio); né la parte ha provato che così non era incombendo sul contribuente l’onere di dimostrare certezza e inerenza dei costi di cui pretende la deduzione. Questa circostanza viene prima e prescinde dal fatto che il progetto immobiliare finale non si sia realizzato per la variazione del piano urbanistico territoriale (circostanza effettivamente indipendente dalla volontà della società). Le conclusioni
appena esposte non sono peraltro inficiate dal fatto che sia stato versato in atti un preliminare di conferimento tra la proprietaria dell’immobile e la rappresentante legale della società per un valore di 40 milioni di euro. A parte il fatto che si tratta di una scrittura privata non autenticata, sottoscritta dalla socia e legale rappresentante COGNOME per entrambe le parti (se stessa in qualità di promissaria conferente e la società in qualità di promissaria conferitaria), si tratta in ogni caso di un preliminare mai registrato e quindi privo di data certa opponibile ai terzi nonché, soprattutto, mai seguito dalla formalizzazione dell’atto definitivo; con l’ulteriore conseguenza che rimane una scrittura che ha una mera efficacia obbligatoria fra le parti (indipendentemente dal fatto che la parte promissaria conferitaria possa essere stata immessa anticipatamente nel godimento del bene). La circostanza che, dai bilanci della RAGIONE_SOCIALE, risulti che i costi sostenuti sono stati capitalizzati e le perdite di esercizio coperte interamente da finanziamenti del socio, nulla sposta; e in ogni caso è stato prodotto unicamente un preliminare di finanziamento effettuato con Unicredit, cui non è mai seguito – neppure in questo caso – il definitivo; con la conseguenza c he il finanziamento non è mai stato erogato. (…). ».
3.- Avverso la menzionata sentenza d’appello , la società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
4.L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
5.- La ricorrente ha depositato altresì memoria illustrativa, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 168, lett. a), Direttiva UE n. 112 del 2006, 109, comma 5, TUIR, 30, comma 4 e 19 bis.1, lett. i), d.P.R. n. 633 del 1972.
Si duole della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso il requisito dell’inerenza dei costi – e, dunque, il diritto al rimborso del credito IVA – sul rilievo che non sarebbe stato dimostrato, da parte della medesima ricorrente, il trasferimento (e anzi, a ben vedere, il trasferimento preventivo) in proprietà del bene oggetto della riqualificazione.
La sentenza risulterebbe viziata da ‘ error in iudicando ‘ perché introduce, al fine di ritenere e sussistente il requisito dell’inerenza, un presupposto (cioè il trasferimento preventivo della proprietà, in capo all’imprenditore, dei beni oggetto dell’intervento di riqualificazione immobiliare) del tutto ultroneo rispetto a quanto previsto dalla normativa di riferimento (sia quella nazionale che quella unionale, che esalta il principio di ‘neutralità’ dell’IVA), indicata nella rubrica del motivo, finendo così per porsi in aperto contrasto con la giurisprudenza di RAGIONE_SOCIALE, divenuta oramai granitica a seguito della pronunzia delle Sezioni Unite Civili n. 1153 3 dell’11 maggio 2018, secondo cui « L’esercente attività d’impresa o professionale ha diritto alla detrazione IVA anche per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di immobili di proprietà di terzi, purché sia presente un nesso di strumentalità tra tali beni e l’attività svolta, anche se potenziale o di prospettiva e pur se, per cause estranee al contribuente, detta attività non possa poi in concreto essere esercitata » .
2.- Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio , che hanno formato oggetto di discussione tra le parti.
In particolare, si sostiene che il già rilevato ‘ error in iudicando ‘ -avente carattere assorbente e consistente nell’aver la CTR ritenuto escluso il requisito dell’inerenza dei costi e della strumentalità dei beni sol perché non sarebbe stato dimostrato il preventivo trasferimento in proprietà del bene in capo alla società RAGIONE_SOCIALE (originaria contribuente) avrebbe anche comportato il mancato accertamento di fatto di elementi, già presenti e documentati in giudizio, alla luce dei quali l ‘ inerenza dei costi (generativi dell’IVA a rimborso) al progetto imprenditoriale della RAGIONE_SOCIALE e non già alle ragioni personali del socio unico NOME NOME non sarebbe seriamente contestabile.
Tale accertamento sarebbe mancato, essendosi la CTR concentrata unicamente sulla questione della proprietà dei beni, così omettendo di esaminare una serie di decisive circostanze desumibili dalla lettura degli articoli di stampa e dai registri fatture IVA (versate in atti in prime cure) che dimostrano, come detto, l’effettiva e concreta destinazione degli immobili di INDIRIZZO allo sviluppo del progetto della RAGIONE_SOCIALE ed
escludono la preoccupazione (sottesa alla decisione impugnata) di supposti comportamenti abusivi o elusivi.
3.- Le predette censure , senz’altro suscettibili di essere scrutinate congiuntamente, sono inammissibili e infondate.
Ed invero, questa Corte regolatrice, ha recentemente chiarito che « L’esercente attività d’impresa o professionale ha diritto al rimborso dell’IVA per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di immobili dei quali non è proprietario, ma che detiene in virtù di un diritto personale di godimento, purché sia presente un nesso di strumentalità tra tali beni e l’attività svolta. » (Cass. civ., Sez. U, sentenza n. 13162 del 14 maggio 2024, Rv. 671381-01).
In particolare, nella motivazione dell’arresto giurisprudenziale appena menzionato, si legge che: « all’espressione «acquisto … di beni ammortizzabili», utilizzata dal legislatore IVA interno (art. 30, terzo comma, lett. c), dPR 633/1972), va attribuito il significato -lato- di disponibilità di tali beni in virtù di un titolo giuridico che ne garantisca il possesso ovvero la detenzione per un periodo di tempo apprezzabilmente lungo (quale appunto è, di norma, non solo quello derivante dall’acquisizione della proprietà ovvero di un diritto reale, ma anche da un contratto di locazione/comodato), ferma in ogni caso la necessaria “strumentalità” dei beni stessi all’esercizio dell’impresa (che comunque è presupposto generale della detraibilità dell’IVA ex art. 19, comma 1, dPR 633/1972). » (cfr., all’uopo, sempre Cass. civ., Sez. U, sentenza n. 13162 del 14 maggio 2024, Rv. 671381-01, in motivazione, al paragrafo 14., pag. 11).
Orbene, con espresso riguardo al caso di specie, non è chi non veda come la CTR Lombardia, con la sentenza impugnata, abbia escluso il requisito dell’inerenza dei costi non soltanto sulla base del rilievo secondo cui non sarebbe stato dimostrato, da parte della medesima ricorrente, il trasferimento in proprietà del bene oggetto della riqualificazione, ma altresì valorizzando il dato secondo il quale nemmeno poteva ritenersi dimostrata l’esistenza, in favore della società contribuente (RAGIONE_SOCIALE, di un titolo valevole a giustificare il diritto personale di godimento di quest’ultima (e, dunque, una disponibilità a titolo di possesso o di detenzione per un lasso temporale « apprezzabilmente lungo »), posto che
il contratto preliminare intercorso tra questa e la socia COGNOME NOME COGNOME peraltro sottoscritto da quest’ultima nella duplice qualità di ‘promissaria conferente’ e ‘promissaria conferitaria’, aveva assunto la forma di una scrittura privata semplice non registrata e, dunque, priva di data certa suscettibile di essere opposta ai terzi, giusta il disposto dell’art. 2704 c.c.
Tale affermazione, del resto, nemmeno ha formato oggetto di specifica impugnazione da parte dell’odierna ricorrente, cosicché lo stesso esibisce altresì un profilo d’inammissibilità , trovando senz’altro applicazione il principio, più volte affermato da questa Corte regolatrice e secondo cui « Ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza. » (Cass. civ., Sez. 1, sentenza n. 18641 del 27 luglio 2017, Rv. 645076-01).
Peraltro, con particolare riguardo al secondo motivo di ricorso, deve evidenziarsi come anch’esso presenti un indubbio profilo d’inammissibilità, posto che non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, dalla cui lettura e disamina emerge, in maniera evidente, come il requisito dell’inerenza dei costi di cui si tratta, fosse stato escluso in ragione della mancata dimostrazione non soltanto di un diritto di proprietà, ma altresì di un titolo valevole a giustificare, in favore della contribuente, il possesso o la detenzione dell’immobile che aveva formato oggetto di lavori di ristrutturazione per un periodo temporale apprezzabilmente lungo, requisiti, i predetti, che, come già sopra chiarito, costituivano indispensabile presupposto per la disamina del profilo attinente al nesso di strumentalità tra il bene e l’attività imprenditoriale esercitata dalla contribuente. In tale ottica, dunque, deve senz’altro escludersi che gli elementi non esaminati fossero dotati del carattere della decisività, atteso che alla stregua dell’orientamento nomofilattico già sopra richiamato -l’inerenza dei costi doveva essere già esclusa in base alla mancata dimostrazione di un titolo idoneo a giustificare l’esistenza, in favore della
contribuente, di un diritto reale sul bene, ovvero di un diritto personale di godimento tradotto in possesso o detenzione per un periodo temporale di durata non trascurabile.
Del resto, è appena il caso di evidenziare come, secondo quanto chiarito da questa Corte regolatrice, l’omesso esame di elementi istruttori (quali certamente erano da considerarsi i documenti menzionati nelle pagg. 21-31 del ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità) non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr., in tal senso, Cass. civ., Sez. U, sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, Rv. 629831-01; conf. Cass. civ., Sez. 2, ordinanza n. 17005 del 20 giugno 2024, Rv. 671706-01).
Infine, sempre con riguardo al secondo motivo di ricorso, non è chi non veda come tutte le considerazioni sviluppate nelle pagg. 21-31 del ricorso ed attinenti alla documentazione prodotta nelle fasi di merito ed alla loro capacità dimostrativa del requisito dell’inerenza dei costi, appaiano chiaramente confliggenti con il principio secondo cui « In tema di scrutinio di legittimità del ragionamento sulle prove adottato del giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante – costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C. (con la conseguenza che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione di merito), restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali. » (Cass. civ., Sez. 3, sentenza n. 37382 del 21 dicembre 2022, Rv. 666679-05).
Aggiungasi, con espresso riguardo alle considerazioni sviluppate nelle pagg. 29-31 del ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità e tendenti ad accreditare l’assunto secondo cui la data certa del contratto preliminare sarebbe stata suscettibile di essere desunta da una serie di
emergenze documentali prodotte nella fase di merito, che, come chiarito da questa Corte regolatrice, « In tema di scrittura privata non avente data certa, la prova storica o critica del momento della redazione non rientra tra i fatti equipollenti a quelli specificamente indicati nell’art. 2704 c.c., poiché inidonea a dare obiettiva certezza della data del documento. » (Cass. civ., Sez. 3, ordinanza n. 31874 del 16 novembre 2023, Rv. 669482-01).
4.- Con il terzo (e ultimo) motivo, la ricorrente denuncia l’illegittimità della condanna alle spese subita in appello, auspicando come la stessa possa essere « superata » dall’accoglimento dei motivi di ricorso già sopra scrutinati.
5.- La disamina di tale censura resta, con tutta evidenza, assorbita, giacché essa, per come è formulata, postula necessariamente l’accoglimento dei pregressi motivi di ricorso che, come già ampiamente chiarito, è da escludersi in ragione della loro inammissibilità e infondatezza.
6.- In conclusione, alla stregua delle considerazioni finora sviluppate, il ricorso dev’essere senz’altro rigettato.
7.- Le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in favore della sola parte costituita.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in €. 8.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria,