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Rimborso IVA: la prova del pagamento è essenziale

Una società immobiliare ha richiesto un rimborso IVA per canoni di leasing. L’Agenzia delle Entrate ha concesso solo un rimborso parziale, contestando la mancanza di prova del pagamento di tutti i canoni. La Corte di Cassazione ha stabilito che per ottenere il rimborso IVA, il contribuente ha l’onere di dimostrare non solo la registrazione delle fatture, ma anche l’effettivo pagamento, poiché questo è un fatto costitutivo del diritto al credito.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rimborso IVA e Canoni di Leasing: Non Basta la Fattura, Serve la Prova del Pagamento

Con l’ordinanza n. 3620 del 2024, la Corte di Cassazione torna su un tema cruciale per le imprese: l’onere della prova nelle richieste di rimborso IVA. La sentenza chiarisce in modo inequivocabile che, per ottenere la restituzione di un credito IVA derivante da canoni di leasing, la sola registrazione delle fatture non è sufficiente. Il contribuente deve dimostrare l’effettivo pagamento dei canoni, confermando un principio fondamentale del diritto tributario.

I Fatti del Caso: Una Richiesta di Rimborso IVA Parzialmente Accolta

Una società immobiliare in liquidazione presentava la dichiarazione IVA per l’anno 2017, chiedendo il rimborso di un credito di circa 110.000 euro. Tale credito derivava principalmente dall’IVA assolta sui canoni di un contratto di locazione finanziaria (leasing) per un immobile.

L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, riconosceva il rimborso solo per un importo inferiore, pari a circa 46.190 euro. La motivazione del diniego parziale risiedeva nella contestazione mossa alla società: non aver fornito la prova dell’effettivo pagamento di una parte dei canoni di leasing fatturati. L’Amministrazione Finanziaria sosteneva, quindi, che il diritto al rimborso sussistesse solo per la quota di cui era stato dimostrato il pagamento.

Il Giudizio nei Primi Gradi: La Tesi della “Cartolarità”

La società impugnava il provvedimento di diniego parziale dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, che accoglieva il ricorso. Successivamente, l’Agenzia delle Entrate proponeva appello, ma la Commissione Tributaria Regionale confermava la decisione di primo grado, rigettando le argomentazioni dell’ufficio.

Secondo i giudici d’appello, ai fini della detrazione e del conseguente rimborso, vigeva il “principio di cartolarità”: la fattura, regolarmente ricevuta e registrata, costituiva prova sufficiente del diritto, salvo i casi di operazioni inesistenti. Di conseguenza, ritenevano legittima la richiesta di rimborso integrale basata sulla sola documentazione contabile, senza necessità di provare l’avvenuto pagamento.

La Decisione della Cassazione: L’Onere della Prova per il Rimborso IVA

L’Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso per cassazione, basandolo su due motivi. La Suprema Corte ha ritenuto fondato il secondo motivo, assorbendo il primo, e ha ribaltato la decisione dei giudici di merito.

Il punto centrale della controversia, secondo la Corte, è la violazione delle norme sull’onere della prova (art. 2697 c.c.) in materia di rimborso IVA (art. 30 d.P.R. 633/1972). La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: nelle cause relative al rimborso di un’imposta, il contribuente agisce come attore sostanziale. Pertanto, spetta a lui l’onere di allegare e provare tutti i fatti che costituiscono il fondamento della sua pretesa.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha spiegato che la sola indicazione del credito nella dichiarazione IVA non è sufficiente a provarne l’esistenza e il diritto alla sua restituzione. L’Amministrazione finanziaria può contestare la sussistenza dei presupposti per il rimborso in qualsiasi momento, e tali contestazioni costituiscono mere difese, non soggette a preclusioni processuali.

Nel caso specifico, l’Agenzia non negava in astratto il diritto al rimborso per i canoni di leasing, ma contestava la sua effettiva entità per mancata prova del pagamento. La Corte ha ritenuto errata la posizione della Commissione Tributaria Regionale, la quale aveva considerato sufficiente la mera registrazione delle fatture. I giudici di legittimità hanno sottolineato che, per ottenere il completo rimborso, il contribuente deve dimostrare i “fatti costitutivi dell’esistenza del credito IVA”. Tra questi fatti rientra non solo l’esistenza di un’operazione imponibile documentata da fattura, ma anche, in questo contesto, l’effettivo esborso finanziario che giustifica la richiesta di restituzione dell’imposta.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per i Contribuenti

La decisione della Corte di Cassazione ha importanti implicazioni pratiche. Le imprese che richiedono un rimborso IVA devono essere consapevoli che l’onere probatorio è interamente a loro carico. Non basta avere una contabilità formalmente ineccepibile; è necessario essere in grado di dimostrare, con documentazione adeguata (es. estratti conto, quietanze di pagamento), la sostanza delle operazioni che hanno generato il credito. Questo principio è particolarmente rilevante in contesti come quello dei canoni di leasing, dove il pagamento periodico è l’elemento che concretizza il costo e, di riflesso, il diritto alla detrazione e al rimborso. In sintesi, la sentenza rafforza il principio secondo cui la forma (la fattura) deve sempre essere supportata dalla sostanza (l’effettiva operazione economica e il relativo pagamento).

Per ottenere un rimborso IVA è sufficiente presentare le fatture regolarmente registrate?
No, secondo la Corte di Cassazione non è sufficiente. Il contribuente, che agisce come attore sostanziale, deve provare tutti i fatti costitutivi del suo diritto al rimborso, inclusa la prova dell’effettivo pagamento delle operazioni che hanno generato il credito, come i canoni di leasing.

Su chi grava l’onere di provare il diritto al rimborso IVA?
L’onere di provare i fatti che fondano la richiesta di rimborso IVA grava interamente sul contribuente. La sola indicazione del credito nella dichiarazione fiscale non è di per sé una prova sufficiente.

L’Agenzia delle Entrate può contestare la richiesta di rimborso anche se non nega in astratto il diritto del contribuente?
Sì. L’Agenzia può riconoscere il diritto al rimborso in linea di principio ma contestarne l’entità, come nel caso di specie, dove ha riconosciuto il rimborso solo per la parte dei canoni di cui era stato provato l’effettivo pagamento. Tali contestazioni sono considerate mere difese.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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