Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6756 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 6756 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 2016 -20 24 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’ avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL, giusta procura in calce al presente atto;
– ricorrente –
Oggetto: TRIBUTI -doppia imposizione- rimborso IVA -art. 11-quater d.l. n. 35 del 2005 – termine biennale decorrenza
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– resistente – avverso la sentenza n. 3505/02/2023 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del LAZIO, depositata in data 12/06/2023;
udita la relazione svolta alla pubblica udienza del giorno 11/12/2024 dal Cons. NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
udito, per la società ricorrente, l’ avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato dello Stato dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
La controversia ha ad oggetto l’impugnazione del provvedimento di diniego del rimborso dell’IVA che la società contribuente, quale rappresentante fiscale della società di diritto svizzero RAGIONE_SOCIALE aveva richiesto con riferimento alle cessioni intracomunitarie ‘a distanza’ effettuate negli anni d’imposta dal 2012 al 2015 a soggetti privati residenti in Olanda. Sul presupposto che la società rappresentata in relazione a ta li cessioni aveva versato l’IVA oltre che in Olanda anche in Italia, ove invece tali operazioni erano non imponibili, ricorrendo le condizioni di cui a ll’art. 41, comma 2, del d.l. n. 331 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 431 del 1993, una volta ottenuto dall’agenzia fiscale olandese, in data 23 agosto 2018, il certificato di regolarità fiscale, in data 29 ottobre 2019 avanzava
istanza di rimborso all ‘Agenzia delle entrate che la rigettava con il provvedimento impugnato perché presentata oltre il termine biennale di decadenza di cui all’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 che, secondo la tesi agenziale, non poteva farsi decorrere dalla data di rilascio di un certificato (quello di regolarità fiscale) la cui richiesta all’Autorità fiscale estera era di fatto rimessa alla mera discrezionalità della parte contribuente.
Con la sentenza impugnata la Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio rigettava l’appello proposto dalla società contribuente avverso la sfavorevole sentenza della CTP di Roma.
2.1. I giudici di appello, pur dando atto che non sussisteva alcun dubbio sulla doppia imposizione IVA subita dalla società estera e, quindi, sulla sussistenza in capo alla stessa del diritto al rimborso dell’IVA erroneamente versata all’autorità fiscale nazionale, con conseguente irrilevanza della questione pregiudiziale posta dalla società contribuente con richiesta di rinvio alla Corte di giustizia UE ex art. 267 TFUE, sostenevano che nel caso di specie l’istanza di rimborso era stata avanzata tardivamente, oltre il termine biennale del versamento dell’IVA spontaneamente effettuato nello Stato estero, precisando al riguardo che il certificato di regolarità fiscale rilasciato alla società dall’Autorità olandese non poteva essere equiparato, quoad effectum , ad un atto impositivo dell’Autorità estera dalla cui data di notifica l’art. 11 -quater, comma 2, del d.l. n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2005, fa decorrere il termine biennale per avanzare richiesta di rimborso all’A utorità fiscale italiana. Secondo i giudici di appello, « Essendo mancato nella specie l’atto di accertamento si ritenere che il momento in cui il contribuente avuto piena contezza della doppia imposizione cui era soggetto la richiesta di attribuzione della partita IVA olandese e il versamento spontaneo dell’IVA maturata in Olanda avvenuto il 10 aprile 2015, da tale data
decorre il termine per la richiesta di rimborso dell’IVA sulle stesse operazioni versata in Italia», perché «Ove si accogliesse la prospettazione del ricorrente, (ossia considerare quale termine di decorrenza l’emissione di detto certificato), si rimetterebbe alla discrezionalità del contribuente (che quel certificato ha richiesto e potrebbe richiedere in ogni tempo) la decorrenza della decadenza. In altri termini, il principio della certezza del diritto, sotteso alla previsione normativa del termine di decadenza, verrebbe vanificato dall’arbitraria scelta del contribuente, che potrebbe spostare nel tempo ad libitum detto termine in ragione del momento di presentazione della richiesta di rilascio del certificato all’autorità straniera».
Avverso la sentenza d’appello la società propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui l’intimata non replica per iscritto limitandosi a depositare atto di costituzione al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la «illegittimità della sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art. 11 -quater , comma 2 del d.l. n. 35 del 2005, degli artt. 203 e 204 della direttiva 2006/112/CE, 19 del d.p.r. n. 633 del 1972 e dell’art. 4, par. 3 del t.u.e.».
1.1. Con tale primo motivo la ricorrente censura la statuizione d’appello che, rigettando «frettolosamente» ed «immotivatamente» la richiesta di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea , «si pone in aperto contrato con i principi di neutralità dell’Imposta sul Valore Aggiunto e di effettività ex art. 4, par. 3 del T.U.E.».
1.2. La ricorrente «insiste» perché sia questa Corte di legittimità a disporre il chiesto rinvio.
1.3. Il motivo è proposto con riferimento all’affermazione dei giudici di appello secondo i quali nel caso in esame la questione, prettamente di merito, involgendo il principio di neutralità dell’imposta, prospettata dalla società contribuente ai fini dell a richiesta di rinvio pregiudiziale ex art. 276 TFUE, era irrilevante giacché nel caso di specie, pur non sussistendo alcun dubbio sulla doppia incisione IVA dell’appellante, veniva in rilievo soltanto la questione della decorrenza del termine entro il quale richiedere il rimborso dell’imposta versata in duplicazione su cui non era necessario l’intervento della CGUE .
1.4. Sostiene la ricorrente che i giudici di appello avevano travisato la rilevanza della questione che atteneva, più che all’astratto riconoscimento della sussistenza di un fenomeno di doppia imposizione, «alla evidente illegittimità di una norma interna ( i.e. l’art. 11 -quater , comma 2 del D.L. n. 35 del 2005) a garantire la neutralità dell’imposta anche qualora il contribuente non abbia ricevuto alcun atto impositivo (con l’aggravio di sanzioni ed interessi) ma, al contrario, si sia fatto parte diligente chiedendo all’Autorità fiscale estera di ottenere, relativamente alla propria posizione, un certificato di regolarità fiscale ( i.e. provvedimento amministrativo emesso all’esito di un procedimento)». ha chiesto, quindi, porsi alla CGUE le seguenti questioni pregiudiziali:
«-se il principio di neutralità dell’IVA, quale concretizzato dalla giurisprudenza relativa all’art. 203 della Direttiva 2006/112/CEE, debba essere interpretato nel senso che esso osti a che, in base ad una disposizione nazionale intesa a recepire tale articolo, l’Amministrazione finanziaria possa negare ad un contribuente che effettua una cessione intracomunitaria il rimborso dell’IVA erroneamente assolta nello Stato italiano e versata in altro stato estero, anche in relazione all’art. 4, par. 3 T.U.E.;
se, in caso di risposta positiva, il combinato disposto di cui all’art. 11 -quater del D.L. n. 35 del 2005 (che consente la richiesta di rimborso dell’Iva erroneamente assolta nel termine di due anni dalla data della emissione, da parte dell’Autorità fisc ale estera, di un atto impositivo (con relative sanzioni ed interessi) e all’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 sia sufficiente a garantire il rispetto della neutralità dell’imposta, atteso che la Società rischia di vedere cristallizzata una doppia imposizione, avendo erroneamente versato l’IVA in Italia e provveduto a versarla anche in Olanda prima ancora che la relativa Autorità fiscale estera emettesse qualsiasi atto impositivo, ottenendo così due certificati di regolarità fiscale».
Il motivo e la richiesta di rinvio pregiudiziale sono manifestamente infondati.
O ccorre premettere che l’art. 11 -quater del d.l. n. 35 del 2005, conv, con modif., dalla legge n. 80 del 2005, al comma 2, che qui viene in rilievo, prevede, con riferimento alle vendite cd. ‘a distanza’ negli scambi intracomunitari, in cui vanno ricomprese quelle per le quali la ricorrente ha chiesto il rimborso dell’IVA, che «se lo Stato membro di destinazione del bene richiede il pagamento dell’imposta ivi applicabile sul corrispettivo dell’operazione già assoggettata ad imposta sul valore aggiunto nel territorio dello Stato, il contribuente può chiedere la restituzione dell’imposta assolta, entro il termine di due anni, ai sensi dell’articolo 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, decorrente dalla data di notifica dell’atto impositivo da parte della competente autorità estera. Su richiesta del contribuente, il rimborso dell’imposta può essere effettuato anche tramite il riconoscimento, con provvedimento formale da parte del competente ufficio delle entrate, di un credito di corrispondente importo utilizzabile in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241».
3.1. In buona sostanza, in ipotesi di doppia imposizione, come quella pacificamente verificatasi nella fattispecie in esame, la parte contribuente che sia stata duplicemente incisa può avanzare l’istanza di rimborso nel termine biennale di cui all’art. 21, comma 2, d.lgs. citato.
3.2. Sulla compatibilità di tale termine con il diritto unionale si è più volte pronunciata la Corte di Giustizia UE, osservando che, in mancanza di una disciplina eurounitaria in materia di ripetizione di imposte nazionali indebitamente riscosse, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro prevedere termini di prescrizione o decadenza per la presentazione delle domande di rimborso, alla sola condizione che si tratti di termini ragionevoli e non lesivi dei principi di effettività e non discriminazione (cfr. Corte di Giustizia sentenza 15 dicembre 2011 nella causa C- 427/10, Banca Antoniana Popolare Veneta spa; 21 gennaio 2010 nella causa C472/08, RAGIONE_SOCIALE e che un termine di decadenza biennale, come quello in discussione, è da ritenersi ragionevole (Sentenza 8 maggio 2008 nelle cause C- 95/07 e 96/07, RAGIONE_SOCIALE).
3.3. Principi ribaditi dalla CGUE nella sentenza del 19 dicembre 2019, in causa C-360/18, RAGIONE_SOCIALE che, nel ribadire (al p. 46) che «Secondo costante giurisprudenza, in assenza di norme armonizzate che disciplinano il rimborso di tributi imposti in violazione del diritto dell’Unione, gli Stati membri mantengono il diritto di applicare le modalità procedurali previste dal loro ordinamento giuridico interno, in particolare in materia di termini di prescrizione o di decadenza, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività (v., in tal senso, sentenza dell’8 settembre 2011, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, C -89/10 e C -96/10, EU:C:2011:555, punto 34, nonché del 20 dicembre 2017, RAGIONE_SOCIALE, C -500/16, EU:C:2017:996, punto 37)», ha
affermato che «Il rispetto di detti principi impone che tali modalità di procedura non devono essere meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi fondati su disposizioni di diritto nazionale (principio di equivalenza) né essere congegnati in modo tale da rendere praticamente impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (v., in tal senso, sentenza del 27 settembre 2012, RAGIONE_SOCIALE e a., C -113/10, C -147/10 e C -234/10, EU:C:2012:591, punto 61, nonché giurisprudenza ivi citata)».
3.4. Ancor più chiaramente, la CGUE nella recente sentenza del 14 dicembre 2023, in causa C -655/22, RAGIONE_SOCIALE, al p. 44 ha precisato che «Per quanto riguarda il rispetto del principio di effettività, risulta da una costante giurisprudenza della Corte che la fissazione di termini ragionevoli di prescrizione o di decadenza rispetta, in linea di principio, il requisito di effettività, nella misura in cui quest’ultimo costituisce un’applicazione del principio fondamentale della certezza del diritto che tutela, al tempo stesso, l’interessato e l’amministrazione coinvolta, anche se la scadenza di tali termini può, per sua natura, impedire alle persone interessate di far valere i propri diritti in tutto o in parte (sentenza del 19 dicembre 2019, RAGIONE_SOCIALE, C -360/18, EU:C:2019:1124, punto 52 e la giurisprudenza ivi citata)».
3.5. Poste tali premesse, è del tutto evidente come nella specie non vi sia alcuna necessità di disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE perché pronunci su questioni, quali quelle dedotte dalla ricorrente, su cui si è già più volte pronunciata ritenendo conforme al diritto unionale e rispettoso dei principi di equivalenza ed effettività, il termine biennale di decadenza per la presentazione di domande di rimborso, anche se, come precisato dalla CGUE nella pronuncia da ultimo richiamata, il suo decorso possa impedire alle persone interessate di far valere i propri diritti, ovvero, come nel
caso in esame, per quanto si dirà appresso, di ottenere il rimborso richiesto.
3.6. La conclusione cui si è pervenuta è suffragata anche dal principio affermato da questa Corte secondo cui «In tema di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE, non sussiste alcun obbligo del giudice nazionale di ultima istanza di rimettere la questione interpretativa del diritto unionale, ogni volta in cui – vertendosi in ipotesi di “acte clair” -la corretta interpretazione del diritto dell’Unione europea è così ovvia da non lasciare spazio a nessun ragionevole dubbio, nonché nel caso – configurante un “acte éclairé” – nel quale la stessa Corte ha già interpretato la questione in un caso simile, od in materia analoga, in un altro procedimento in uno degli Stati membri» (Cass., Sez. L, ordinanza n. 36776 del 15/12/2022, Rv. 666224 – 01; in termini già Cass. n. 19880 del 2021, Rv. 661726 – 02, e Cass. n. 22103 del 2007, Rv. 599710 -01).
Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la «illegittimità della sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 41 del d.l. n. 331 del 1993, 11quater , comma 2 del d.l. n. 35 del 2005, dell’art. 21, comma 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, degli artt. 19 del d.p.r. n. 633 del 1972 e 4, par. 3 del t.u.e.».
4.1. «Con tale secondo ed ultimo motivo di ricorso, la Società denuncia l’illegittimità della Sentenza per violazione di legge. A ben vedere, infatti, nella decisione estesa la CTR adita ha fatto mal governo dei principi in materia dettati dalla disciplina unionale, della giurisprudenza comunitaria, oltre che dello spirito della norma di cui all’art. 11 -quater citato, ancorando immotivatamente il dies a quo per la richiesta di restituzione dell’imposta dalla data del suo erroneo versamento. È la stessa prassi erariale, tuttavia, ad escludere che il dies a quo per la restituzione dell’IVA (nelle vendite a distanza) possa decorrere dalla data versamento del tributo di cui si chiede la
restituzione. L’effetto distorsivo più evidente dell’interpretazione estesa dal Giudice del gravame è pertanto rappresentato dalla circostanza che l’IVA è stata applicata due volte sulle medesime operazioni, sia in Italia che in Olanda, in spregio anche al principio comunitario di effettività, a mente del quale le norme interne non devono rendere ‘impossibile o eccessivamente difficile’ l’esercizio dei diritti riconosciuti dall’ordinamento giuridico comunitario. Conseguentemente merita essere riformata la Sentenza resa dal Giudice del gravame che trae una interpretazione evidentemente erronea, tale da viziare la tenuta dell’intera decisione assunta ».
5. Il motivo è infondato e va rigettato.
5.1. Va ribadito, innanzitutto, sulla scorta di quanto detto esaminando il primo motivo di ricorso, che il termine biennale di decadenza dalla facoltà di presentare richiesta di rimborso dell’IVA va ritenuto ragionevole (CGUE, sentenza 8 maggio 2008 nelle cause C- 95/07 e 96/07, RAGIONE_SOCIALE) e, come tale, idoneo a consentire alla parte contribuente di esercitare quel diritto.
5.2. Ciò ribadito, va detto che tale termine decorre dal giorno in cui si è verificato il presupposto del rimborso, ossia dal giorno in cui è stato effettuato il pagamento (nella specie, nello Stato estero) che dà diritto alla restituzione del versato. Nella specie, come correttamente affermato dai giudici di appello, nel «momento in cui il contribuente ha avuto piena contezza della doppia imposizione cui era soggetto», ovvero dal «versamento spontaneo dell’IVA maturata in Olanda avvenuto il 10 aprile 2015». Al riguardo deve osservarsi che sono pienamente condivisibili le argomentazioni svolte al riguardo dai giudici di appello secondo cui il dies a quo non può individuarsi in quello in cui la società contribuente ha ottenuto il certificato di regolarità fiscale da parte dell’amministrazione finanziaria olandese, perché ciò significherebbe rimettere «alla discrezionalità del contribuente (che quel certificato ha richiesto e
potrebbe richiedere in ogni tempo) la decorrenza della decadenza», con conseguente vanificazione del principio di certezza del diritto, sotteso alla previsione normativa del termine in questione.
5.3. Altrettanto condivisibili sono le ulteriori argomentazioni svolte al riguardo nella sentenza impugnata secondo cui « Dall’esame delle due proposizioni di cui si compone il secondo capoverso del comma 2 dell’art. 21 e della ratio ad esso sottesa, emerge come ordinariamente venga applicata la regola contenuta nel primo capoverso, che àncora il termine iniziale alla data del versamento e che, solo se il presupposto si verifica successivamente al versamento stesso, tale ultimo fatto consente di individuare nel sopravenuto presupposto il dies a quo . Ebbene, tale elemento, nella logica e soprattutto nella lettera dell’art. 11 -quater del D.L. 35 del 2005, risiede nella data di notifica dell’atto impositivo da parte dell’Amministrazione estera. Ma laddove tale atto, come è pacifico nel caso di specie, non c’è, è evidente come l’unica interpretazione plausibile sia quella di tornare alla regola ordinaria, ossia quella che individua il termine inziale nella data del versamento».
5.4. D’altro canto, è evidente che la parte contribuente già al momento in cui effettua il versamento dell’imposta nello Stato estero acquista la piena consapevolezza di aver subito una doppia imposizione e di avere diritto al rimborso. È in tale momento che si verifica il presupposto che fa sorgere il diritto al rimborso. Non è così, invece, nell’ipotesi in cui tale versamento la parte contribuente non lo effettua spontaneamente. In tal caso il diritto al rimborso sorge, ai sensi dell’art. 11 quater citato , « dalla data di notifica dell’atto impositivo da parte della competente autorità estera», perché è soltanto in tale momento che la parte contribuente acquisisce la consapevolezza di subire una doppia imposizione.
Conclusivamente, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali nella misura
liquidata in dispositivo con riferimento all ‘ attività concretamente espletata dalla resistente , di partecipazione all’udienza di discussione orale della causa.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 5.200,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma in data 11 dicembre 2024