Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7613 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7613 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5595/2018 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI SALERNO
-intimato-
Avverso la SENTENZA DELLA COMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA CAMPANIA SEZ.DIST. SALERNO n. 8778/2017 depositata il 19/10/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/01/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale della Campania, sez. dist. Salerno ( hinc: CTR), con sentenza n. 8778/2017 depositata in data 19/10/2017, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 2997/2015, con cui la Commissione Tributaria Provinciale di Salerno aveva, a sua volta, accolto il ricorso proposto dalla società contribuente contro l’atto di diniego del rimborso pari a Euro 95.00 0 relativo all’anno d’imposta 2013.
La CTR ha rilevato che, nel caso in esame, RAGIONE_SOCIALE aveva svolto lavori di ristrutturazione di un immobile non di sua proprietà, ma detenuto in comodato. I lavori di ristrutturazione non costituivano, quindi, acquisto di beni ammortizzabili, in quanto -in assenza di prova contraria -si trattava di un’acquisizione patrimoniale del proprietario dell’immobile che, nel caso di specie, era il comodante. Di conseguenza, tale ristrutturazione non poteva esser oggetto di rimborso dell’IVA da parte del comodatario. Non potevano essere richiesti, allo stesso modo, i rimborsi IVA da parte
delle cd. società di comodo o non operative . Nell’ambito di un triennio l’ufficio aveva, infatti, rilevato la non operatività della società contribuente. Quest’ultima si era limitata a sollevare eccezioni generiche circa la sua non operatività, senza dare la prova concreta di essersi trovata nella situazione di oggettiva e imprevedibile impossibilità di conseguimento del reddito minimo. A tal fine devono essere riscontrati elementi tali da configurare situazioni imprevedibili e straordinarie nella gestione di una società costituita per la gestione di un immobile a fini imprenditoriali (di tipo turistico-alberghiero). Sul punto, ad avviso della CTR, non era stato, tuttavia, dedotto alcunché dal contribuente, neppure in primo grado. Dalla oggettiva non operatività triennale della società appellata derivava, quindi, la sua qualifica come società di comodo, con la conseguente non rimborsabilità dell’IVA.
Contro la sentenza della RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso in cassazione con tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
…
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso è stata denunciata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 3, lett. c), d.P.R. n. 633 del 1972, nonché la violazione e falsa applicazione della Direttiva 2006/112/CE del 28/11/2006.
2. Con il secondo motivo è stata denunciata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 30 legge n. 724 del 1994 e dell’art. 2, commi da 36 -decies a 36duodecies , d.l. n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 138 del 2011.
2.1. La ricorrente rileva che il giudice di appello abbia dato rilievo al conseguimento di perdite fiscali per il triennio 2010-2011 e 2012, sebbene l’art. 30 legge n. 724 del 1994 imponga di valutare le situazioni dedotte dalla parte contribuente a dimostrazione della circostanza che la società, nonostante le perdite fiscali, non sia di comodo. Nel caso in esame il giudice d’appello ha, tuttavia, disatteso il dettato della norma, liquidando come generiche le eccezioni dell’odierna parte ricorrente. La CTR non ha considerato la fase di avvio dell’impresa in cui si trovava la società contribuente (Cass., 22/05/2017, n. 12829). Tale circostanza, ad avviso della contribuente, vince la presunzione relativa posta dall’art. 30 cit. , dal momento che l’inizio dell’attività prevista dall’oggetto sociale è stato
procastinato a causa del mancato rilascio tempestivo di autorizzazioni amministrative e di finanziamenti. La società ha ampiamente dimostrato di trovarsi in una fase preparatoria e funzionale all’inizio dell’attività, assolvendo l’onere probatorio necessario a superare la presunzione iuris tantum ex art. 30, comma 1, legge n. 794 del 1994.
I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati.
3.1. Nel caso in esame il provvedimento impugnato riguarda la richiesta di rimborso per l’IVA eccedente, pari a Euro 95.000, chiesta dal contribuente con la dichiarazione mod. Unico/2014, presentata per l’anno d’imposta 2013. L’amministrazione finanziaria, con provvedimento del 01/10/2014 non ha accolto la richiesta, sia per la ritenuta carenza dei requisiti di cui all’art. 30, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972 (in quanto il rimborso riguardava spese effettuate per la ristrutturazione di una struttura altrui ricevuta in comodato), sia perché la società contribuente era considerata non operativa ai sensi della legge n. 724 del 1994 e del d.l. n. 138 del 2011, in quanto risultava in perdita per tre periodi d’imposta consecutivi.
3.2. Partendo dall’art. 30, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972, posto a fondamento del primo motivo di ricorso, la norma prevede che: « Il contribuente può chiedere in tutto o in parte il rimborso dell’eccedenza detraibile, se di importo superiore a € 2.538,27, all’atto della presentazione della dichiarazione: … c) limitatamente all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili, nonché di beni e servizi per studi e ricerche.»
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che l’esercente attività d’impresa o professionale ha diritto al rimborso dell’IVA per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di immobili dei quali non è proprietario, ma che detiene in virtù di un diritto personale di
godimento, purché sia presente un nesso di strumentalità tra tali beni e l’attività svolta (Cass., Sez. U, 14/05/2024, n. 13162). In particolare, le Sezioni Unite hanno precisato che: « il concetto di “bene ammortizzabile” non può essere correttamente inteso nel contesto giuridico dell’IVA con riferimento alle previsioni normative in materia di imposte dirette (artt. 102, 103, dPR 917/1986) e nemmeno risultano ermeneuticamente dirimenti le disposizioni sul bilancio contenute nel codice civile ovvero i principi contabili. Piuttosto bisogna fare riferimento alla nozione -ampia e sostanzialmente economica – di «beni di investimento» che è quella utilizzata nella direttiva “rifusa” (artt. 174, comma 2, lett. a) e comma 3, 188, comma 1, secondo periodo, e comma 2, 189, lett. a), 190, direttiva 2006/112/CEE) e che quindi risulta essere l’unico parametro al quale un’interpretazione “conforme” deve affidarsi. Ed allora appare chiaro che l’applicazione della disposizione legislativa de qua va necessariamente estesa ai beni che, pur stricto sensu non ammortizzabili, sono comunque destinati all’esercizio dell’impresa per un periodo di tempo medio-lungo, appunto quali “investimenti” (beni strumentali). »
La sentenza impugnata non è conforme alla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, avendo ritenuto che i lavori di ristrutturazione costituivano acquisizione patrimoniale del proprietario dell’immobile che nella specie era il comodante e, di conseguenza, non la società contribuente, senza valutare il nesso di strumentalità tra i beni ammortizzabili e l’attività svolta . Tale omessa verifica dovrà essere condotta nell’ambito del giudizio di rinvio.
3.3. Passando all’esame della questione inerente all’art. 30 legge n. 724 del 1994, occorre rilevare, in via preliminare, che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza 07/03/2024, (C341/22, RAGIONE_SOCIALE Gregorio RAGIONE_SOCIALE ), ha stabilito in sede
pregiudiziale che: 1) l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che esso non può condurre a negare la qualità di soggetto passivo dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) al soggetto che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettui operazioni rilevanti ai fini dell’IVA il cui valore economico non raggiunge la soglia fissata da una normativa nazionale e corrispondente ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui tale persona dispone; 2) l’articolo 167 della direttiva 2006/112 nonché i principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale in forza della quale il soggetto passivo è privato del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte, a causa dell’importo, considerato insufficiente, delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate da tale soggetto passivo a valle.
La CGUE cit. (§§ 32, 33 e 34) ha rilevato che: « il diritto alla detrazione dell’IVA può essere negato al soggetto passivo qualora sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che esso è invocato fraudolentemente o abusivamente. Occorre infatti ricordare che la lotta contro frodi, evasione fiscale ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva IVA e che la Corte ha dichiarato in più occasioni che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione. Pertanto, quand’anche siano soddisfatte le condizioni sostanziali del diritto a detrazione, le autorità e i giudici nazionali devono negare il beneficio di tale diritto se è dimostrato, sulla base di elementi obiettivi, che detto diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo [v., in tal senso, sentenze del 3 marzo 2005, Fini H, C-32/03, EU:C:2005:128, punti 34 e 35, nonché del 25
maggio 2023, Dyrektor Izby Administracji Skarbowej w Warszawie (IVA -Acquisto simulato), C-114/22, EU:C:2023:430, punto 41 e giurisprudenza ivi citata]. Poiché il diniego del diritto a detrazione è un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, incombe alle autorità tributarie dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in una tale evasione. Spetta poi ai giudici nazionali verificare se le amministrazioni finanziarie interessate abbiano dimostrato l’esistenza di detti elementi oggettivi . »
3.2. A seguito dell’intervento della CGUE questa Corte ha recentemente precisato che, in tema di società di comodo, l’art. 30 della l. n. 724 del 1994, nell’escludere il diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte per le società i cui introiti siano inferiori ad una determinata soglia (presumendone il carattere non operativo), si pone in contrasto con gli artt. 9, par. 1, e 167 della dir. 2006/112/CE e va, quindi, disapplicato da parte del giudice nazionale, in conformità ai principi espressi dalla sentenza della Corte di giustizia UE n. 341 del 7 marzo 2024, secondo cui le misure adottate dagli Stati membri per la lotta contro frodi, evasione fiscale ed abusi non devono eccedere quanto necessario per raggiungere tale obiettivo ed essere utilizzate in modo da mettere in discussione il principio di neutralità dell’IVA (Cass., 06/08/2024, n. 22249, v. anche Cass., 11/09/2024, n. 24442).
3.3. Alla luce delle coordinate fornite dalla giurisprudenza unionale deve ritenersi, quindi, che il diritto alla detrazione dell’IVA
non può essere ricollegato a dati meramente quantitativi come quelli derivanti dall’applicazione dei coefficienti previsti nell’art. 30, comma 4, legge n. 724 del 1994, pena la rottura del principio di neutralità che caratterizza l’imposta. È pertanto necessario non sovrapporre il piano della ratio legis che presiede alla disciplina contenuta nell’art. 30 legge n. 794 del 1994, funzionale ad assicurare la repressione di possibili situazioni di abuso ed elusione, con la necessità che quest’ultime siano accer tate in concreto (senza essere meramente presunte), al fine di disconoscere il diritto alla detrazione dell’IVA, in modo da non creare alcuna criticità con il principio di neutralità che caratterizza l’imposta.
Di conseguenza, il diritto alla detrazione nel caso delle società di comodo può essere escluso solo nelle ipotesi in cui le stesse non assumano la qualifica di soggetto passivo ai sensi e per gli effetti del d.P.R. n. 633 del 1972 (e devono essere, quindi, i soggetti sui quali si ripercuote, in via definitiva, il pagamento dell’imposta sui consumi) oppure quando la costituzione della società (di comodo) abbia assolto alla finalità di ottenere un risparmio di imposta indebito (detraendo l’IVA che sarebbe, al trimenti, dovuta ricadere per intero sui consumatori finali) oppure per il difetto di inerenza.
4 . Con il terzo motivo è stato censurato, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame da parte del giudice d’appello di un fatto decisivo per il giudizio che è stato reso oggetto di discussione tra le parti.
4.1. La ricorrente espone di aver contestato, nel ricorso, nella memoria integrativa e nella memoria di costituzione in grado di appello la ritenuta non operatività della società, deducendo che le perdite fiscali per tre anni consecutivi fossero da imputare a precisi e circostanziati fatti e situazioni e cioè:
-l’attività turistico -alberghiera doveva essere iniziata e svolta in un antico casale, risalente al 1400, che doveva essere necessariamente interessato da lavori di ristrutturazioni per renderlo idoneo all’attività ricettiva;
la possibilità di reperire ingenti risorse finanziarie per realizzare i lavori si è presentata con i bandi POR, indetti dalla Regione Campania nel 2006 e la società ha presentato istanza che ha portato alla concessione del finanziamento con decreto dirigenziale emesso in data 27/09/2009, comunicato con nota del 23/01/2013;
i lavori di ristrutturazione hanno avuto inizio immediatamente e la società ha sostenuto le spese necessarie a rendere fruibile il casale secondo l’uso previsto dal bando;
nel triennio 2010-2011 e 2012 la società ha sostenuto costi per diritti camerali, tassa di concessione governativa, oneri bancari per la gestione del conto corrente e compensi professionali.
4.2. La CTR ha, peraltro, omesso di considerare (secondo quanto rilevato a pag. 42 ss. del ricorso in cassazione) un ulteriore e dirimente elemento ai fini del decidere -di per sé assorbente -e costituito dalla presentazione, in data 01/07/2016 di una duplice istanza di interpello ex art. 11 Statuto del contribuente, rappresentando i fatti per cui è causa, con riguardo alla disapplicazione della normativa sulle società in perdita sistematica e alla disapplicazione della normativa sulle società non operative. Tanto l’Agenzia delle Entrate che la Direzione Regionale della Campania, hanno espressamente e chiaramente accolto le istanze della società contribuente, considerata l’indicazione di circostanze oggettive, giustificanti le perdite reiterate riguardanti il quinquennio (essendo, medio tempore , intervenuto il d.lgs. n. 175 del 2014, che ha modificato l’art. 2, commi da 36 -decies a 36-duodecies d.l. n. 138 del 2011 convertito nella legge n. 148 del 2011, prevedendo un arco
temporale non più triennale, ma bensì quinquennale). La Direzione Regionale ha, in particolare, ricondotto le perdite registrate nel periodo 2010-2014 al ritardo con cui sono stati erogati i contributi regionali, dimostranti l’inevitabilità della formazione delle perdite. Ha sostenuto che, con l’inizio dell’attività, la società avesse dimostrato che l’inattività fosse giustificata dal suo impegno nell’ultimazione dei lavori di ristrutturazione dell’immobile destinato all’attività d’impresa.
4.3. Il terzo motivo di ricorso è da considerare assorbito alla luce dell’accoglimento dei primi due motivi di ricorso.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato i primi due motivi di ricorso sono fondati e devono essere accolti, con il conseguente assorbimento del terzo motivo.
5.1. La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania che, in diversa composizione deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
…
P.Q.M.
accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione e dichiara assorbito il terzo motivo;
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, sez. dist. di Salerno, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 30/01/2025.