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Rimborso IVA: la Cassazione sulle società di comodo

Una società si vede negare il rimborso IVA per lavori su un immobile in comodato e perché ritenuta ‘di comodo’. La Cassazione accoglie il ricorso, stabilendo che il diritto al rimborso IVA dipende dalla strumentalità del bene e che la normativa sulle società di comodo va disapplicata se contrasta con il diritto UE, che richiede prova di abuso.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rimborso IVA e Società di Comodo: La Cassazione Sancisce i Principi UE

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato due temi cruciali per le imprese: il diritto al rimborso IVA per lavori su immobili non di proprietà e la compatibilità della normativa sulle cosiddette ‘società di comodo’ con il diritto dell’Unione Europea. La decisione chiarisce che il diritto alla detrazione non dipende dalla proprietà del bene, ma dal suo uso strumentale per l’attività d’impresa, e che le presunzioni di non operatività non possono negare automaticamente i diritti IVA senza una prova concreta di abuso o frode.

I Fatti del Caso: Ristrutturazione e Diniego del Fisco

Una società operante nel settore turistico aveva richiesto un cospicuo rimborso IVA, derivante da ingenti spese sostenute per la ristrutturazione di un antico casale destinato a diventare una struttura ricettiva. L’immobile, tuttavia, non era di proprietà della società, ma detenuto tramite un contratto di comodato.

L’Amministrazione Finanziaria aveva negato il rimborso per due motivi principali:
1. I lavori di ristrutturazione su un bene altrui non potevano, a suo avviso, essere considerati come acquisto di ‘beni ammortizzabili’, requisito richiesto dalla normativa nazionale per il rimborso.
2. La società era stata classificata come ‘società di comodo’ (o non operativa), poiché aveva registrato perdite fiscali per tre periodi d’imposta consecutivi. Questa qualifica, secondo la legge italiana, comporta significative limitazioni, tra cui l’impossibilità di ottenere il rimborso dell’eccedenza IVA.

La Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione al Fisco, ma la società ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Cassazione: Due Punti Chiave sul rimborso IVA

La Suprema Corte ha accolto i motivi di ricorso della società, cassando la sentenza impugnata e rinviando il caso a un nuovo giudice di merito. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi che allineano il diritto interno ai principi fondamentali del diritto europeo.

Il Concetto di “Bene Ammortizzabile” ai Fini IVA

La Corte ha chiarito che, ai fini del rimborso IVA, il concetto di ‘bene ammortizzabile’ deve essere interpretato in modo più ampio rispetto alla disciplina delle imposte dirette. Facendo riferimento a una precedente pronuncia delle Sezioni Unite e alla Direttiva IVA europea, i giudici hanno affermato che ciò che conta non è la proprietà giuridica del bene, ma il ‘nesso di strumentalità’.
In altre parole, se i lavori di ristrutturazione sono funzionali e necessari all’esercizio dell’attività d’impresa (in questo caso, l’attività turistico-alberghiera), l’IVA relativa a tali spese è detraibile e rimborsabile. Il giudice di merito aveva errato nel non valutare questo aspetto cruciale.

La Disapplicazione della Normativa sulle Società di Comodo

Il secondo e più dirompente punto riguarda la disciplina delle società di comodo. La Cassazione, richiamando una recente e fondamentale sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa C-341/22), ha stabilito che la normativa nazionale che nega automaticamente il diritto alla detrazione o al rimborso IVA sulla base di presunzioni quantitative (come il test dei ricavi minimi) è in contrasto con il diritto europeo.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione della Corte si basa sul principio di neutralità dell’IVA, un cardine del sistema fiscale europeo. Tale principio impone che l’IVA non gravi sulle imprese, ma solo sul consumatore finale. Negare il diritto alla detrazione sulla base di una presunzione legale, senza che l’Amministrazione Finanziaria dimostri l’esistenza di un’operazione fraudolenta o abusiva, costituisce una violazione di questo principio.
Di conseguenza, il giudice nazionale ha il dovere di ‘disapplicare’ la norma interna (l’art. 30 della L. 724/1994) in quanto incompatibile con la Direttiva IVA. Il diritto al rimborso IVA può essere negato solo se il Fisco fornisce la prova concreta che il contribuente ha agito in modo fraudolento o ha abusato del sistema per ottenere un vantaggio fiscale indebito.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza rappresenta una vittoria significativa per i contribuenti e rafforza la preminenza del diritto europeo in materia fiscale. Le conclusioni pratiche sono due:
1. Ristrutturazioni su beni di terzi: Le imprese che investono su immobili non di proprietà (ad esempio, in locazione o comodato) possono legittimamente chiedere la detrazione e il rimborso dell’IVA, a condizione che possano dimostrare il nesso di strumentalità tra le spese e la propria attività economica.
2. Società di comodo: La qualifica di ‘società di comodo’ non è più sufficiente per negare automaticamente i diritti IVA. L’onere della prova si sposta sull’Amministrazione Finanziaria, che dovrà dimostrare, con elementi oggettivi, l’intento elusivo o fraudolento del contribuente. Questo principio tutela le imprese in fase di avvio o che attraversano periodi di difficoltà economica, le quali non possono essere penalizzate da presunzioni automatiche.

Una società che ristruttura un immobile non di sua proprietà, ma in comodato, ha diritto al rimborso IVA?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, il diritto al rimborso IVA non dipende dalla proprietà del bene ma dal suo ‘nesso di strumentalità’ con l’attività d’impresa. Se i lavori sono necessari per svolgere l’attività economica, l’IVA è detraibile e rimborsabile.

La qualifica di ‘società di comodo’ può causare la perdita automatica del diritto al rimborso IVA?
No. La normativa nazionale che prevede tale conseguenza automatica deve essere disapplicata perché contrasta con il diritto dell’Unione Europea. Per negare il rimborso, l’Amministrazione Finanziaria deve dimostrare, sulla base di elementi oggettivi, che il contribuente ha agito in modo fraudolento o abusivo.

Cosa significa che una norma nazionale deve essere ‘disapplicata’ dal giudice?
Significa che, in caso di conflitto tra una legge nazionale e i principi fondamentali del diritto dell’Unione Europea (come la neutralità dell’IVA), il giudice italiano è tenuto a non applicare la norma interna e a decidere la controversia basandosi direttamente sul diritto europeo, che prevale su quello nazionale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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