Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 28588 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 28588 Anno 2025
Presidente: LA COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25066/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DEL LAZIO n. 1345/2021 depositata il 05/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE presentava il modello IVA NUMERO_DOCUMENTO richiedendo un rimborso da liquidare in parte mediante procedura semplificata e in parte mediante procedura ordinaria. L’Ufficio riconosceva l’integrale spettanza del rimborso richiesto, dando mandato all’agente della
riscossione di erogarlo. La contribuente, ritenendo che alla data del 4 giugno 2012 fossero maturati interessi per un importo cospicuo, in data 16 febbraio 2016 presentava istanza di sollecito e rimborso volta alla restituzione dell’ammontare dovuto a titolo di interessi, di cui una parte collegata al ritardo nel riconoscimento delle somme di spettanza e l’altra parte connessa a un ritardo nell’erogazione. L’Ufficio notificava al contribuente un provvedimento di diniego parziale, ritenendo effettivamente dovuti i soli interessi correlati al ritardo con il quale l’agente della riscossione aveva provveduto alla liquidazione del rimborso mediante procedura semplificata, riconoscendo interessi al 2% per giorni 94 in luogo di giorni 153 indicati dalla contribuente.
La società presentava istanza di annullamento in autotutela, che veniva rigettata dall’Amministrazione che confermava la legittimità del diniego della differenza di euro 33.782,55 richiesti dalla parte.
Avverso il provvedimento di diniego parziale, la contribuente proponeva ricorso, che veniva accolto solo in parte, ritenendo il giudice di prime cure che l’Ufficio dovesse corrispondere un ulteriore ammontare di euro 28.131,83.
L’Ufficio proponeva appello, che veniva rigettato.
Il ricorso per cassazione dell’RAGIONE_SOCIALE è affidato a due motivi. Resiste la contribuente con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la nullità della sentenza per difetto di motivazione in violazione degli artt. 36 e 61 del D.Lgs. n. 546 del 1990, per avere la CTR rigettato l’appello limitandosi ad asserire che i motivi di gravame erano privi di pregio giuridico, senza indicare la valutazione compiuta al riguardo, né tantomeno l’iter logico -giuridico che ha condotto alla decisione sfavorevole.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 20, comma 5, DM n. 567/1993 e
dell’art. 78, comma 33, L. n. 413 del 1991, per avere la CTR violato la norma di diritto sostanziale che, a seguito dell’istituzione del cosiddetto ‘conto fiscale’, disciplina il pagamento dei rimborsi in materia di IVA, laddove ha individuato la decorrenza degli interessi dopo venti giorni dalla trasmissione delle disposizioni di pagamento da parte dell’amministrazione finanziaria al concessionario della riscossione, dovendosi invece ritenere che gli interessi maturano dopo sessanta giorni dalla disposizione di pagamento.
Il primo motivo è infondato.
Ancorché stringata, la motivazione della sentenza d’appello lascia cogliere la ratio decidendi a supporto delle statuizioni assunte. Detta ratio attiene alla ritenuta mancanza, durante il decorso dei 60 giorni previsti per l’erogazione del rimborso, di una sospensione del corso degli interessi di mora. In altri termini, per il giudice d’appello, gli interessi moratori maturerebbero in costanza del decorso del termine utile a liquidare il rimborso in adempimento della relativa richiesta.
Va, pertanto, rammentato che non sono ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del « minimo costituzionale » richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 7090 del 2022; Cass. n. 22598 del 2018). Questa Corte ha incisivamente affermato che ‘ In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel
ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi -che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia ‘ (Cass. n. 23940 del 2017). Nella specie, la soglia del ‘ minimo costituzionale ‘ non è infranta.
Il secondo motivo è invece fondato.
Viene in rilievo principio di diritto, affermato a più riprese da questa Corte, secondo cui: ” In tema di rimborso IVA, nel caso di ritardo nell’erogazione del rimborso infrannuale, il termine di decorrenza degli interessi moratori spettanti al contribuente ai sensi dell’art. 78, comma 33, della L. n. 413 del 1991 e dell’art. 20 del d.m. n. 567 del 1993, è di sessanta giorni dalla richiesta del contribuente al concessionario ovvero dalla disposizione dell’Ufficio, non trovando applicazione l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 175 del 2014 (che ha riformulato l’art. 78, comma 3, lett. a), della L. n. 413 del 1991), giacché il successivo comma 2 del citato art. 14 espressamente stabilisce che detta disposizione si applica solo ai rimborsi erogati a partire dal 1 gennaio 2015 ” (Cass. n. 18798 del 2017).
La L. n. 413 del 1991, istitutiva del conto fiscale, ha introdotto e disciplinato (cfr. commi da 33 a 37) un sistema di erogazione dei rimborsi alternativo rispetto a quello stabilito in via generale,
autorizzando il concessionario della riscossione, nella qualità di gestore del conto, ad erogare con celerità, mediante accredito bancario regolamentato dall’art. 20 DM n. 567 del 1993 (” Regolamento di attuazione dell’art. 78, commi da 27 a 38, della legge 30 dicembre 1991 n. 413 concernente l’istituzione del conto fiscale “), i rimborsi spettanti al contribuente per i crediti d’imposta sorti dopo il primo gennaio 1994 o risultanti dalle dichiarazioni presentate successivamente a tale data e, quanto all’IVA, quelli spettanti all’Ufficio per crediti risultanti da dichiarazioni presentate in data anteriore (Cass. n. 5496 del 2003; Cass. n. 14506 del 2004; Cass. n. 11077 del 2006).
Secondo quanto evidenziato dalla sopra richiamata giurisprudenza di legittimità, l’art. 20 del citato DM n. 567 del 1993 è stato modificato dall’art. 1, DM n. 309 del 2003, il quale ha cambiato il comma 4 (che originariamente includeva sia l’ipotesi della richiesta diretta al concessionario sia quella del rimborso disposto dall’Ufficio), ed ha introdotto il comma 4 -bis (” I rimborsi dei tributi disposti dall’Ufficio finanziario sono erogati dal concessionario entro venti giorni dalla ricezione della disposizione di pagamento, con le modalità di cui al comma 4. “), allo scopo di accelerare le procedure di rimborso, mediante la previsione di termini più stringenti, ove il contribuente non abbia esercitato, come previsto dal comma 1 dell’art. 20 DM n. 309 del 2003, la facoltà ” di richiedere direttamente al concessionario il rimborso dei tributi e delle altre somme di cui all’art. 3 “.
Ciò non ha influito sull’individuazione del termine per la mora ex re per l’intempestivo rimborso, che è rimasto quello di sessanta giorni decorrenti dalla richiesta diretta del contribuente al concessionario, ovvero dalla disposizione dell’Ufficio, in coerenza con i criteri direttivi enunciati dal legislatore nell’art. 78, comma 33, della L. n. 413 del 1991, sui quali non può certamente incidere, in via derogatoria, la sopravvenuta disciplina regolamentare (cfr. Cass. n.
18798 del 2017, la quale sottolinea il ” carattere meramente interno alla procedura e ai rapporti tra uffici e contribuente ” del termine di giorni venti di cui all’art. 4 -bis, DM n. 567 del 1993). Infatti, l’individuazione nel concessionario del soggetto autorizzato all’espletamento delle attività dirette al pagamento sia dei crediti d’imposta sia degli eventuali interessi già maturati, con la fissazione di un breve termine per la materiale erogazione delle somme, costituisce una previsione senz’altro funzionale alla velocizzazione dei rimborsi, e la norma regolamentare contenuta nell’art. 20, comma 5, DM n. 567 del 1993, il cui testo -non a caso -è rimasto inalterato, ” da un lato, non si discosta dai criteri direttivi prefissati, giacché si limita a modulare il termine stabilito per i rimborsi in relazione ai tempi occorrenti all’esame delle richieste dei contribuenti o delle disposizioni dell’Ufficio, all’acquisizione di eventuali garanzie ed alla formazione della provvista necessaria per i pagamenti, e, dall’altro, con il richiamo al tasso di interessi moratori previsti dall’art. 38 bis, d.p.r. n. 633/72, nessuna discriminazione opera tra i rimborsi eseguiti direttamente dall’Ufficio e quelli erogati dal concessionario ” (Cass. n. 14506 del 2004 citata).
Alla luce del quadro normativo tracciato, i crediti del contribuente cessano di produrre interessi dalla data di comunicazione della disposizione di pagamento al concessionario, che gestisce il conto fiscale nel comune interesse dell’Amministrazione finanziaria e del contribuente, e soltanto dopo il decorso del termine dilatorio per l’accredito delle somme sul conto bancario dell’avente diritto, il ritardo nell’adempimento, per effetto di una mancanza di provvista, vale a costituire in mora ex re l’Amministrazione medesima, sicché l’attribuzione del termine di sessanta giorni per l’erogazione dei rimborsi, trascorso il quale gli interessi riprendono a decorrere, comporta una indiscriminata sterilizzazione dei crediti nel periodo di tempo concesso al gestore del conto per l’approntamento e
l’effettuazione dei pagamenti dovuti, senza differenziazioni di sorta ai fini qui considerati, prescindendo dal sistema di rimborso dei tributi adottato, atteso che l’art. 78, comma 33, L. n. 413 del 1991, si risolve in ogni caso in un indubbio vantaggio per il creditore, mercé l’utilizzo del concessionario anche per il pagamento dei rimborsi a lui non direttamente richiesti (v. in tal senso anche Cass. n. 20115 del 2018).
In accoglimento del secondo ricorso e respinto il primo, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di II Grado del Lazio.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del secondo motivo del ricorso e respinto il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di II Grado del Lazio.
Così deciso in Roma, il 10/07/2025.
Il Presidente NOME COGNOME