Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33248 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33248 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28897/2022 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo STUDIO LEGALE TRIBUTARIO RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME GIORGIO (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. del LAZIO-ROMA n. 1999/2022 depositata il 03/05/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/10/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
La presente causa approda in cassazione per la seconda volta.
In punto di svolgimento del processo, dalla sentenza in epigrafe si evince quanto segue:
La RAGIONE_SOCIALE (in qualità di incorporante della “RAGIONE_SOCIALE” già “RAGIONE_SOCIALE‘, già “RAGIONE_SOCIALE), con sede in Lussemburgo, riassume il giudizio avverso il silenziorigetto dell’istanza di rimborso della maggior Iva versata in relazione ad un’operazione immobiliare con cui la contribuente aveva ceduto un’azienda e diversi immobili. L’istanza di rimborso era stata presentata a seguito della riduzione dell’imponibile delle operazioni rilevanti ai fini dell’Iva operata con avviso di rettifica e liquidazione emesso dall’Ufficio.
In particolare, premette la contribuente che la RAGIONE_SOCIALE (all’epoca denominata “RAGIONE_SOCIALE“) aveva ceduto alla società RAGIONE_SOCIALE (di seguito anche “RAGIONE_SOCIALE“), l’azienda alberghiera in Saint Vincent (AO) denominata “RAGIONE_SOCIALE” nonché altri beni immobili. La cessione di immobili era assoggetta ad Iva conseguentemente, la RAGIONE_SOCIALE ricevuta la fattura di vendita emessa dalla società cedente, con l’esposizione dell’Iva, provvedeva a saldarla corrispondendo alla società cedente anche l’Iva addebitatale in via di rivalsa, salvo il diritto della cessionaria alla detrazione dell’imposta.
Seguiva avviso di rettifica e liquidazione n. 20061V000022001/2006 dell’Agenzia delle Entrate-Ufficio di Aosta che accertava un maggior valore dei beni oggetto di trasferimento; con riguardo agli immobili compravenduti separatamente, li inseriva tra le attività aziendali. La società acquirente RAGIONE_SOCIALE ha sottoscritto con l’Agenzia delle Entrate-Ufficio di Aosta il 6.12.2007 verbale di accertamento con adesione , a seguito del quale, aderendo alla tesi dell’Ufficio, ha versato le imposte di registro, ipotecarie e catastali quantificate in euro 1.028.495,00.
L’Iva, pari ad euro 1.160.000,00, a suo tempo corrisposta da RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE si è rivelata non dovuta all’erario. La stessa società cessionaria RAGIONE_SOCIALE, a seguito della definizione concordata con l’Agenzia delle Entrate di Aosta, ha emesso la “nota di credito” n. 24 del 31.12.2008, pervenuta alla RAGIONE_SOCIALE il 2.3.2009.
Conseguentemente, in data 14.4.2009 la RAGIONE_SOCIALE ha presentato all’Agenzia delle Entrate-Ufficio di Roma 1 apposita istanza, ai sensi dell’art. 21, comma 2, del D.L.gs. n. 546/1992, di rimborso dell’imposta di € 1.160.000,00, in base a quanto definito con il citato atto di adesione. Avverso il silenzio-rigetto dell’Amministrazione, proponeva ricorso accolto dalla CTP (con compensazione delle spese) con sentenza n. 85/27/11 .
L’Agenzia proponeva appello, rigettato dalla CTR del Lazio con sentenza n. 294/38/12, depositata l’8.11.2011.
L’Agenzia proponeva ricorso per cassazione, accolto dalla Sez. 5 Civ. di questa Suprema Corte con ordinanza n. 20843 del 17/10/2019, dep. 2020, sulla base della seguente motivazione:
-con il primo motivo l’Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 21, settimo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 2697 c.c., per aver la sentenza impugnata riconosciuto il diritto della contribuente al recupero dell’i.v.a. versata in eccesso, benché quest’ultima non avesse previamente provveduto alla variazione dell’imponibile indicato in fattura ai sensi dell’art. 26, d.P.R. n. 633 del 1972;
-il motivo è fondato;
-occorre rammentare che, in tema d’IVA, l’emittente della fattura, in base al principio di cartolarità, è tenuto a versare l’imposta ivi liquidata a meno che non l’abbia tempestivamente corretta o annullata ai sensi dell’art. 26, d.P.R. n. 633 del 1972, sì da consentire l’applicazione dell’esatta imposta dovuta ed il corretto esercizio del diritto di detrazione da parte del destinatario, fermo restando che l’inottemperanza agli adempimenti richiesti dalla norma non consente all’Amministrazione finanziaria di pretendere il pagamento dell’imposta, né osta al riconoscimento del rimborso dell’i.v.a. indebitamente versata in eccedenza ove il giudice di merito abbia accertato che sia stato definitivamente eliminato il rischio che il destinatario abbia utilizzato o possa utilizzare tale documento ai fini della detrazione (cfr. Cass., ord.,
18 aprile 2019, n. 10974; Cass., ord., 26 settembre 2018, n. 22963; Cass. 27 maggio 2015, n. 10939);
-tale affermazione risulta coerente con la giurisprudenza eurounitaria, la quale ha affermato che, ai sensi dell’art. 21, n. 1, lett. c), della sesta direttiva (e, oggi, dell’art. 203, direttiva 2006/112/CE), chiunque esponga l’i.v.a. in una fattura o in ogni altro documento che ne fa le veci è debitore di tale imposta e, dunque, indipendentemente da qualsiasi obbligo di versarla in ragione di un’operazione soggetta ad i.v.a., in relazione all’esigenza di eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale derivante dall’esercizio del diritto a detrazione (cfr. Corte Giust., 8 maggio 2019, EN.SA ; Corte Giust., 31 gennaio 2013, Stroy trans; Corte Giust., 18 giugno 2009, Stadeco);
-ha precisato che quando colui che ha erroneamente emesso una fattura, in quanto relativa a prestazione non imponibile, abbia, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdita di gettito fiscale o, comunque, tale rischio sia definitivamente venuto meno per aver l’amministrazione fiscale negato definitivamente il diritto alla detrazione dell’i.v.a. esercitato dal committente o cessionario, non può essere negato all’emittente la fattura il diritto al rimborso dell’i.v.a. fatturata per errore e versata (cfr. Corte giust. 11 aprile 2013, NOME);
-la ricorrenza di un rischio di perdita del gettito erariale va esclusa quando la fattura erroneamente emessa è stata tempestivamente ritirata dal destinatario senza che questi ne abbia fatto uso fiscale, nel rispetto delle forme e dei termini previsti dall’art. 26, d.P.R. n. 633 del 1972 per l’emenda degli errori concernenti la emissione o la indicazione dei dati riportati nella fattura, funzionali ad assicurare il ripristino della corrispondenza tra realtà economica e rappresentazione cartolare della stessa e a consentire l’applicazione della esatta imposta dovuta ed il corretto esercizio del diritto a detrazione;
-in alternativa, il rischio di perdita del gettito fiscale può ritenersi insussistente solo quando risulti accertato che la fattura erroneamente emessa sia stata tempestivamente ritirata dal destinatario senza che questi ne abbia fatto uso fiscale (annotandola nel registro acquisti od in altre scritture contabili destinate ad evidenziare il diritto alla detrazione), ovvero ancora quando l’Amministrazione finanziaria (anche a seguito di segnalazione dello stesso emittente, ovvero nell’esercizio dei poteri di verifica di ufficio) abbia contestato e definitivamente disconosciuto con provvedimento divenuto definitivo -o riconosciuto legittimo con
accertamento passato in giudicato -il diritto alla detrazione vantato dal destinatario della predetta fattura;
-alla luce delle considerazioni che precedono deve intendersi l’affermazione, ricorrente nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui in ipotesi di indebito tributario in materia di i.v.a. il ricorso da parte del contribuente alla procedura di variazione ex art. 26, d.P.R. n. 633 del 1972 non è obbligatorio, ma è rimesso alla sua libera scelta, potendo egli, sempre optare per l’esercizio dell’azione generale di rimborso (cfr. Cass., ord., 7 giugno 2017, n. 14239; Cass. 11 maggio 2012, n. 7330);
-in quest’ultimo caso, dunque, il diritto alla restituzione dell’IVA erroneamente versata presuppone che sia offerta dimostrazione della definitiva eliminazione del rischio di perdita del gettito erariale derivante dall’utilizzo o dalla possibilità di utilizzo della fattura da parte del destinatario della fattura ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione.
La RAGIONE_SOCIALE conseguentemente formulava i seguenti principi di diritto:
-In tema di IVA, nel caso in cui sia erroneamente emessa fattura per operazioni non imponibili, il contribuente ha diritto al rimborso dell’imposta versata qualora provveda alla rettifica della fattura ai sensi dell’art. 26, d.P.R. n. 633 del 1972, ovvero qualora sia accertato il definitivo venir meno del rischio di perdita di gettito erariale derivante dall’utilizzo o dalla possibilità di utilizzo della fattura da parte del destinatario della fattura ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta dovuta o assolta in via di rivalsa;
-‘accertamento del definitivo venir meno di un siffatto rischio presuppone l’accertamento che la fattura erroneamente emessa sia stata tempestivamente ritirata dal destinatario senza che questi ne abbia fatto uso fiscale, annotandola nel registro acquisti od in altre scritture contabili destinate ad evidenziare il diritto alla detrazione, ovvero che l’Amministrazione finanziaria abbia contestato e definitivamente disconosciuto con provvedimento divenuto definitivo -o riconosciuto legittimo con accertamento passato in giudicato -il diritto alla detrazione vantato dal destinatario della predetta fattura;
-a domanda di rimborso dell’i.v.a. assolta in relazione ad un’operazione non imponibile avanzata ai sensi dell’art. 21, secondo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, presuppone che sia offerta dimostrazione della definitiva eliminazione del rischio di perdita del gettito erariale
derivante dall’utilizzo o dalla possibilità di utilizzo della fattura da parte del destinatario della fattura ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione.
La RAGIONE_SOCIALE riteneva l’inosservanza dei superiori principi da parte della CTR, aggiungendo:
on rilevante si rileva la circostanza, accertata nella sentenza impugnata, relativa al fatto che la cessionaria, a seguito di definizione concordata della sua posizione con l’Amministrazione finanziaria, aveva emesso nota di debito per il recupero della maggiore imposta versata alla contribuente e, quindi, a storno della stessa, aveva emesso corrispondente nota di credito, in quanto circostanze ambigue (non è chiaro se la successione delle note abbia, o no, evidenziato l’insussistenza del corrispondente diritto di detrazione) e, quindi, inidonee a dimostrare l’avvenuta rettifica della fattura emessa ai sensi e nelle forme di cui al menzionato art. 26 ovvero l’assenza di un danno per l’erario, attuale o potenziale, derivante dall’esercizio del diritto di detrazione del destinatario della fattura.
Riassunto dalla contribuente il giudizio, la CTR del Lazio, con la sentenza in epigrafe, accoglieva l’appello dell’Agenzia, compensando le spese.
5.1. In motivazione, ricostruito, con ampie citazioni, il tenore dell’ordinanza rescindente, osservava:
ileva il Collegio che non sono stati forniti né emergono dagli atti di causa elementi che escludono in modo inequivoco l’inesistenza del rischio di perdita di gettito erariale, qualora si accogliesse la pretesa vantata dal contribuente di restituzione dell’I.v.a. versata.
Gli stessi Giudici di legittimità non si sono limitati ad esprimere i principi di diritto applicabili nel caso di specie, ma si sono espressi anche sulla rilevanza probatoria, in. relazione ai principi espressi, degli elementi rappresentati dalla parte richiedente. Ha aggiunto, infatti, la S.C. che ‘non rilevante … si rileva la circostanza, accertata nella sentenza impugnata, relativa al fatto che la cessionaria, a seguito di definizione concordata della sua posizione con l’Amministrazione finanziaria, aveva emesso nota di debito ‘.
Sul punto, rileva il Collegio che non sono stati apportati in questa sede, né emergono dagli atti, elementi ulteriori rispetto a quelli rappresentati in sede di legittimità, che consentano di superare l’ambiguità delle suddette circostanze, come rilevata dalla S.C., sì da
escludere in modo inequivoco l’inesistenza del rischio di perdita di gettito erariale.
È, dunque, condivisibile quanto affermato dall’Agenzia secondo cui la ricorrente non ha fornito dati concreti e probanti in ordine alle modalità di contabilizzazione delle note di variazione emesse dalla cessionaria, come queste hanno concorso alla liquidazione dell’imposta. Le note di variazione devono essere emesse dal cedente -soggetto tenuto all’adempimento in quanto soggetto passivo d’imposta – entro lo stesso termine per l’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta sugli acquisti, con decorrenza dal momento in cui si verifica l’evento.
Ferma restando, dunque, la duplice via che può essere seguita dal contribuente, come precisato dalla Cassazione, che conferma la percorribilità dell’istanza di rimborso, deve pure condividersi quanto affermato dall’Agenzia in ordine allo specifico meccanismo previsto dall’art. 26 più volte citato che non prevede un termine perentorio per effettuare la variazione. Nel caso di specie, il presupposto per procedere alla variazione si è verificato al momento del perfezionamento dell’adesione all’accertamento emesso dall’Ufficio delle Entrate di Aosta, avvenuto in data 11/12/2007, con il deposito presso il predetto Ufficio del Mod. F23 attestante il pagamento di quanto concordato, atto di cui la Immobiliare Bosco del Baccano era a conoscenza.
Priva di pregio appare poi l’affermazione del richiedente secondo cui il rischio di perdita erariale sarebbe da escludere per la natura di soggetto pubblico della cessionaria RAGIONE_SOCIALE (di seguito, anche RAGIONE_SOCIALE) in quanto società partecipata totalmente dalla Regione Valle D’Aosta. Basti rilevare che controparte, l’Agenzia delle entrate, non persegue interessi privatistici ma è un’agenzia fiscale.
La contribuente propone ricorso per cassazione con tre motivi; resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.
Considerato che:
Primo motivo: ‘ Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5) del c.p.c.’.
1.1. Sin dal ricorso introduttivo la contribuente aveva rappresentato l’esistenza di un procedimento per ingiunzione di pagamento di euro 1.160.000,00 promosso dalla cessionaria innanzi al Tribunale Civile di Aosta per la restituzione dell’Iva
versata. Alla luce del ricorso per decreto ingiuntivo della cessionaria, ‘l’esistenza del credito Iva è stata riconosciuta: (i) dalla stessa Agenzia delle Entrate – Ufficio di Chatillon, secondo la quale la cessionaria avrebbe dovuto chiedere il rimborso alla cedente (come poi è stato fatto dalla RAGIONE_SOCIALE; (ii) dal Giudice Civile, il quale ha ordinato alla odierna ricorrente di versare tale importo alla RAGIONE_SOCIALE‘. ‘Ebbene tale circostanza, vale a dire la pendenza presso il Tribunale Civile di Aosta di un giudizio di ingiunzione per la restituzione da parte della odierna ricorrente del medesimo importo di Euro 1.160.000 -nel quale la società è stata già condannata in primo grado -promosso dalla RAGIONE_SOCIALE dopo l’avvenuta presentazione di preventiva istanza di rimborso alla stessa Agenzia delle Entrate di Chatillon, non è stato minimante esaminato dalla Commissione Tributaria Regionale. Nonostante la decisività di tale fatto per la risoluzione della controversia – in quanto, ovviamente se la cessionaria ha presentato istanza di rimborso all’Agenzia questo non può che dimostrare che la stessa non usato in detrazione l’Iva ovvero che, qualora lo avesse fatto ha tempestivamente rettificato un presunto utilizzo -la CTR ha, ingiustificatamente, omesso ogni valutazione e conseguente pronunciamento su tale questione come risulta dalla semplice lettura della sentenza ‘.
1.2. Il motivo è per un verso inammissibile e per altro infondato.
È inammissibile perché (al netto di quel che si dirà subito in appresso circa le ragioni dell’infondatezza) il fatto dedotto non ha valenza decisiva. Sulla premessa che un’operazione assoggettata ad IVA determina l’insorgere di tre distinti ed autonomi rapporti giuridici: un primo, tra Amministrazione e cedente/prestatore, quanto all’obbligazione di pagamento, gravante esclusivamente in capo a questi, dell’imposta; un secondo, tra cedente/prestatore e cessionario/committente, quanto alla rivalsa; ed un terzo, tra
Amministrazione e cessionario/committente, quanto alla detrazione dell’imposta assolta in via di rivalsa (cfr. già Cass. n. 4020 del 2012), la circostanza che la contribuente, quale cedente, sia (viepiù provvisoriamente, giusta lo stato del giudice civile) riconosciuta debitrice della cessionaria attiene unicamente al secondo dei rapporti indicati, ossia quello, meramente privatistico, tra cedente/prestatore e cessionario/committente, senza nulla dire in riferimento al mancato esercizio della detrazione da parte della cessionaria, in modo da doversi scongiurare pregiudizio per l’erario nei termini indicati dall’ordinanza rescindente.
Né utile argomento in senso contrario può trarsi dalla considerazione che il ricorso per decreto ingiuntivo della cessionaria fa seguito a diniego di rimborso dalla medesima richiesto all’Agenzia. In disparte che, rispetto all’allegazione di tale circostanza, il ricorso cade in difetto di precisione, anche sotto il profilo dell’autosufficienza, perché non trascrive con congrua ampiezza (sì da consentirne un completo inquadramento) gli atti del procedimento monitorio da cui essa dovrebbe evincersi, specificando se tra essi figuri anche il provvedimento di diniego e, in tal caso, riportandone la motivazione, la locuzione, di cui al motivo, che, ‘ se la cessionaria ha presentato istanza di rimborso all’Agenzia questo non può che dimostrare che la stessa non usato in detrazione l’Iva ovvero che, qualora lo avesse fatto ha tempestivamente rettificato un presunto utilizzo’ è meramente ipotetica, in definitiva dando per dimostrato quel che invece avrebbe dovuto esserlo.
Il motivo è altresì infondato perché non corrisponde al vero l’affermazione che la CTR non avrebbe considerato il fatto dedotto nel motivo.
La CTR dà espressamente atto delle posizioni della contribuente in sede di riassunzione, siccome ribadite ancora nel motivo, ricordando: ‘ Ad ulteriore conforto della spettanza del credito Iva
richiesto a rimborso, la odierna ricorrente ha, altresì, rappresentato la pendenza presso il Tribunale Ordinario di Aosta del giudizio per ingiunzione di pagamento proposto dalla cessionaria RAGIONE_SOCIALE contro la ricorrente avente ad oggetto proprio la restituzione dell’Iva di euro 1.160.000,00 versata in sede di acquisto del complesso aziendale . Aggiunge pure la contribuente con riferimento alla inesistenza di qualsivoglia pericolo e danno erariale che non c’è stata nessuna detrazione operata dalla cessionaria dell’Iva corrisposta alla odierna ricorrente. La stessa ha presentato pressa l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Chatillon, istanza di rimborso; tale rimborso non è stato erogato non già perché l’Agenzia ha contestato resistenza del credito bensì, come risposto, perché la società avrebbe dovuto richiedere detta somma alla cedente’.
Talché, quando, più oltre, la CTR scrive che ‘non sono stati forniti né emergono dagli atti di causa elementi che escludono in modo inequivoco l’inesistenza (‘recte’, l’esistenza) del rischio di perdita di gettito erariale’, siffatto assunto, concorrendo le varie parti di una sentenza a comporre un corpo unico, si riferisce anche alle vicende del ricorso per decreto ingiuntivo presentato dalla cessionaria.
Secondo motivo: ‘ Violazione e falsa applicazione del principio della prossimità della prova e dell’art. 7, comma 1, D.Lgs n. 546/1992 -in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.’.
2.1. In subordine, la sentenza impugnata viola il principio di vicinanza della prova. ‘La ricorrente è stata chiamata a fornire una prova impossibile: (i) la dimostrazione di una prova negativa (vale a dire che la cessionaria non avesse utilizzato in detrazione l’Iva corrisposta in sede di acquisto o l’avesse tempestivamente rettificata); (ii) che non è e non poteva essere nella sua disponibilità, trattandosi del comportamento fiscale ed i connessi
adempimenti relativi ad un diverso soggetto ossia la cessionaria RAGIONE_SOCIALE
2.1. Il motivo è infondato.
L’esclusione del rischio di perdite di gettito per l’erario è elemento costitutivo del rimborso, con la conseguenza che, secondo l’art. 2697 cod. cv., la relativa prova grava, indefettibilmente, sul richiedente il rimborso.
Di tale principio la giurisprudenza di legittimità fa costante applicazione (cfr., ad es., la già citata Cass. n. 4020 del 2012, che, massimata sub Rv. 622057 -01 nel senso che ‘il cedente del bene o il prestatore del servizio è legittimato a pretendere il rimborso per la somma versata in relazione ad imposta indebitamente fatturata solo se sia completamente escluso il rischio di perdita di entrate fiscali da parte dell’Erario’, in motiv., par. 3.5, p. 9, scrive: ‘Orbene, facendo applicazione di tali affermazioni di principio al caso concreto, deve rilevarsi che, benché sia del tutto incontroverso che il Fondo Pensioni del Personale della BNL sia un ente non commerciale e, pertanto, non soggetto all’IVA, in quanto non svolgente attività di impresa, non risulta in alcun modo acquisita agli atti la dimostrazione, da parte dell’intimato , che i conduttori che avevano corrisposto il canone locativo per gli immobili concessi loro in locazione dall’ente non avessero portato in detrazione l’importo dell’IVA loro addebitata in rivalsa. Per il che la dimostrazione della mancanza di danno per l’Erario, che possa derivare dal rimborso dell’imposta indebitamente corrisposta, non risulta acquisita agli atti’).
3. Terzo motivo: ‘ Violazione e falsa applicazione del principio di neutralità dell’IVA desumibile dalla direttiva 2006/112 del Consiglio dell’Unione europea, applicabil in Italia in virtù dell’art. 117, c. 1, Cost. -indebito arricchimento dell’Erario in violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.’.
3.1. ‘Nella sentenza, ulteriormente, si legge che: ‘Ferma restando, dunque, la duplice via che può essere seguita dal contribuente, come precisato dalla Cassazione, che conferma la percorribilità dell’istanza di rimborso, deve pure condividersi quanto affermato dall’Agenzia in ordine allo specifico meccanismo previsto dall’art. 26 più volte citato che non prevede un termine perentorio per effettuare la variazione ‘. Tale statuizione va censurata in quanto, anche a voler ammettere la possibilità per la cedente (allora denominata) RAGIONE_SOCIALE COGNOME delle note di variazione ex art. 26, D.P.R n. 633/1972 nella sostanza, alla odierna ricorrente è impedito di percorrere tale via in quanto la società è stata cancellata in data 26.7.2016 dal Registro delle Imprese per trasferimento della propria sede in Lussemburgo (cfr. visura camerale in All. n. 19 del ricorso in riassunzione nel fascicolo della riassunzione della contribuente) ed stata incorporata dalla RAGIONE_SOCIALE (cfr. Estratto Registro delle Imprese Lussemburgo, in All. n. 20 del ricorso in riassunzione nel fascicolo giudizio di riassunzione della contribuente). Quindi, ad oggi non potrebbe essere utilizzato lo strumento di cui al citato art. 26. La società può solo ottenere il rimborso dell’IVA versata all’Erario. Rimborso che è stato, però, negato, a fronte di contestazioni sulla possibile avvenuta detrazione dell’IVA da parte della cessionaria. Quanto statuito dalla Commissione sentenza merita, quindi, censura anche perché determina la violazione del principio di neutralità in materia IVA ‘.
3.2. Il motivo è inammissibile.
Lo è laddove, in difetto di autosufficienza, non esplicita essere già stata la censura sottoposta ai giudici di rinvio ed anzi, ancor prima, a questa S.C. nel primo giudizio di legittimità, tenuto conto che l’evento della cancellazione risale al 26 luglio 2016, mentre l’ordinanza n. 20843 del 2020, cit., al 17 ottobre 2019.
Lo è altresì perché non coglie l’effettiva ‘ratio decidendi’ della sentenza impugnata, sotto un duplice profilo.
Anzitutto, l’affermazione della sentenza impugnata, censurata nel motivo, va ricollegata a quella precedente, secondo cui ‘la ricorrente non ha fornito dati concreti e probanti in ordine alle modalità di contabilizzazione delle note di variazione emesse dalla cessionaria’.
In buona sostanza, quel che la CTR rimprovera alla contribuente è la sua inerzia di fronte alle note di variazione della cessionaria.
Secondariamente, proprio in considerazione di ciò, siffatta affermazione deve essere letta nella sua interezza, in specie laddove evidenzia che, ‘nel caso di specie, il presupposto per procedere alla variazione si è verificato al momento del perfezionamento dell’adesione all’accertamento emesso dall’Ufficio delle Entrate di Aosta, avvenuto in data 11/12/2007, con il deposito presso il predetto Ufficio del Mod. F23 attestante il pagamento di quanto concordato, atto di cui la Immobiliare Bosco del Baccano era a conoscenza’.
In buona sostanza, quel che la CTR vuole evidenziare è che, sebbene lo ‘specifico meccanismo previsto dall’art. 26 più volte citato non preved un termine perentorio per effettuare la variazione’, ciò vale (solo) per la percorribilità del meccanismo in sé e per sé, in dipendenza da un presupposto che può sopravvenire in qualsiasi tempo (a differenza del caso tipizzato in cui la variazione sia conseguenza del sopravvenuto accordo tra le parti o di un errore del contribuente, posto che, in questo caso, ai sensi dell’art. 26, comma 3, DPR n. 633 del 1972, è previsto il limite di un anno dall’emissione della fattura originaria per l’emissione del documento rettificativo) , ma non vale certamente per la tempestività della variazione una volta che
il presupposto si sia verificato e sia entrato nella sfera di conoscenza dell’interessato .
Ed invero, così enunciandosi principio di diritto, anche qualora la nota di variazione consegua a presupposto svincolato da limitazioni temporali (nella specie – secondo il ragionamento della CTR – il perfezionamento della procedura di adesione, pur dopo il quale può ‘in limine’ rilevare l’emissione delle note di rettifica da parte della cessionaria: eventi di cui la contribuente ha avuto conoscenza) , comunque, il fatto che il diritto alla detrazione può essere esercitato al massimo con la dichiarazione annuale comporta in parallelo che la variazione, ben lungi dal poter essere formalizzata ‘sine die’, debba esserlo medesimamente entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale riferita all’anno di verificazione del presupposto .
Sicché, con il passaggio oggetto di censura, la CTR in realtà osserva che la contribuente (nell’espressione societaria che in allora possedeva, a prescindere dall’attuale), pur a conoscenza dell’adesione all’accertamento della cessionaria e, ad ogni modo, pur ricevute le note rettificative della medesima, non ha dato prova di aver minimamente (ed ‘a fortiori’ tempestivamente, cioè entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno) adeguato (con note di variazione o comunque di recepimento delle rettificative) la sua situazione contabile: ragion per cui la protesta, nel motivo, di non poter oggi essa farlo non coglie affatto nel segno, neppure laddove lamenta la vulnerazione del principio di neutralità. Una tale vulnerazione, invero, non sussiste, sol che si consideri che la lamentazione della contribuente di non poter ‘percorrere’ la ‘via’ ‘ delle note di variazione ex art. 26, D.P.R n. 633/1972’, siccome ‘cancellata in data 26.7.2016 dal Registro delle Imprese’, implica il riconoscimento della mancata (per recuperare le eloquenti parole della S.C. nella pronuncia
rescindente) ‘avvenuta rettifica della fattura’: rettifica che costituisce l’unico necessario antecedente per eliminare l’intrinseca idoneità della fattura (in ragione del principio di cartolarità) a produrre effetti.
In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia le spese di lite, liquidate in euro 13.900, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 9 ottobre 2024.