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Rimborso IVA indebita: la prova del rischio erariale

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 33248/2024, ha rigettato la richiesta di rimborso IVA indebita avanzata da una società. La Corte ha stabilito che il contribuente che chiede la restituzione dell’imposta erroneamente versata ha l’onere di dimostrare in modo inequivocabile l’assenza di un rischio di danno per l’Erario. Tale prova consiste nel dimostrare che la controparte non ha esercitato il diritto alla detrazione dell’IVA. In mancanza di questa prova, il rimborso non è concesso per prevenire una potenziale perdita di gettito fiscale per lo Stato.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rimborso IVA indebita: la prova del rischio erariale a carico del contribuente

Ottenere un rimborso IVA indebita può rivelarsi un percorso più complesso del previsto, anche quando l’errore nella fatturazione è palese. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: chi chiede la restituzione dell’imposta deve farsi carico di una prova cruciale, ovvero dimostrare che l’operazione non ha generato e non genererà alcun danno per le casse dello Stato. Analizziamo insieme questa importante decisione per capire quali sono gli obblighi del contribuente e come agire correttamente.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda una complessa operazione commerciale. Una società immobiliare aveva ceduto a un’altra impresa un’azienda alberghiera e altri beni immobili, applicando l’IVA in fattura. Successivamente, a seguito di un accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, l’operazione è stata riqualificata, determinando che l’IVA versata non era dovuta.

Di conseguenza, la società venditrice ha presentato un’istanza per ottenere il rimborso dell’IVA versata in eccesso. L’Amministrazione finanziaria ha però opposto un silenzio-rigetto, dando il via a un contenzioso tributario che, dopo vari gradi di giudizio, è giunto fino in Cassazione.

La Decisione della Corte e l’onere della prova nel rimborso IVA indebita

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando la decisione dei giudici di merito. Il fulcro della decisione non risiede nel se l’IVA fosse dovuta o meno, ma nell’onere della prova che grava sul soggetto che ne chiede la restituzione.

I giudici hanno chiarito che, per ottenere il rimborso IVA indebita, non è sufficiente dimostrare l’errore originario nella fatturazione. È indispensabile fornire la prova certa e inequivocabile che il rischio di un danno per l’Erario sia stato definitivamente eliminato. In termini pratici, questo significa dimostrare che la società acquirente (cessionaria) non ha portato in detrazione l’IVA erroneamente addebitatale. Se ciò non viene provato, lo Stato si troverebbe nella posizione di dover rimborsare l’imposta al venditore, pur avendo già concesso un credito d’imposta all’acquirente, subendo così una doppia perdita economica.

Le Motivazioni

La decisione della Corte si fonda su principi consolidati sia a livello nazionale che europeo. In primo luogo, vige il principio di cartolarità: chi emette una fattura esponendo l’IVA ne diventa debitore verso l’Erario. Questo meccanismo serve a neutralizzare il rischio che l’acquirente possa detrarsi un’imposta che il venditore non ha versato.

Per correggere un errore, il venditore ha due strade:

1. La procedura di variazione (art. 26 D.P.R. 633/72): Emettere una nota di variazione (nota di credito) per stornare l’IVA. Questa è la via maestra, perché neutralizza fiscalmente la fattura originaria.
2. L’azione generale di rimborso: Qualora la prima via non sia percorribile, è possibile chiedere direttamente il rimborso allo Stato. Tuttavia, in questo caso, come sottolineato dalla Corte, l’onere della prova si fa molto più stringente.

Nel caso specifico, la società ricorrente non è riuscita a fornire prove sufficienti a superare l'”ambiguità” della situazione. La documentazione prodotta, inclusa l’esistenza di un contenzioso civile tra le parti, non è stata ritenuta idonea a dimostrare in modo inconfutabile che la società acquirente non avesse beneficiato della detrazione IVA. Di conseguenza, persistendo il rischio di un danno per il gettito erariale, la richiesta di rimborso è stata legittimamente respinta.

Conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione invia un messaggio chiaro a imprese e professionisti. La gestione dell’IVA richiede la massima attenzione, e in caso di errore, la tempestività e la correttezza delle procedure di rettifica sono essenziali. Se si intende percorrere la strada del rimborso IVA indebita, è fondamentale essere preparati a fornire una prova solida e diretta del comportamento fiscale della controparte. Non basta affermare che l’acquirente non ha detratto l’imposta; bisogna dimostrarlo con documentazione contabile e fiscale certa, al fine di escludere ogni potenziale pregiudizio per l’Erario. In assenza di tale prova, il diritto al rimborso, pur teoricamente esistente, non potrà trovare concreta attuazione.

Chi deve provare che l’IVA indebitamente versata non ha causato un danno all’Erario?
La prova grava interamente sul contribuente che richiede il rimborso. Egli deve dimostrare in modo inequivocabile che il soggetto acquirente non ha esercitato il diritto alla detrazione dell’IVA erroneamente indicata in fattura.

È possibile chiedere il rimborso dell’IVA erroneamente fatturata senza emettere una nota di variazione?
Sì, è possibile. Tuttavia, la Corte chiarisce che in questo caso il richiedente deve offrire la prova certa della definitiva eliminazione del rischio di perdita di gettito per l’Erario, dimostrando che il destinatario della fattura non ha utilizzato né potrà utilizzare il documento per la detrazione.

Cosa succede se il contribuente non riesce a dimostrare che il rischio per l’Erario è stato eliminato?
Se la prova non è fornita in modo completo e inequivocabile, la richiesta di rimborso viene rigettata. La tutela del gettito erariale prevale, e lo Stato non restituirà l’imposta per evitare il rischio di una doppia perdita (rimborso al venditore e detrazione all’acquirente).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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