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Rimborso IVA fallimento: quando spetta alla società

Una società in fallimento ha richiesto un rimborso IVA per il periodo pre-fallimentare. L’Agenzia Fiscale lo ha negato per la mancata chiusura della Partita IVA. La Corte di Cassazione ha confermato il diritto della società, stabilendo che la dichiarazione IVA del curatore per il periodo ante-fallimento equivale a una cessazione di attività, legittimando così la richiesta di rimborso IVA fallimento.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rimborso IVA fallimento: la Cassazione conferma il diritto anche senza chiusura della Partita IVA

Il diritto al rimborso IVA fallimento rappresenta una questione di cruciale importanza per le procedure concorsuali, poiché incide direttamente sulla massa attiva da distribuire ai creditori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: la dichiarazione IVA presentata dal curatore per il periodo antecedente al fallimento è equiparabile alla cessazione dell’attività, facendo sorgere il diritto al rimborso del credito anche se la Partita IVA rimane formalmente aperta per le esigenze della procedura.

Il caso: Diniego di rimborso a una società in procedura concorsuale

Una società a responsabilità limitata semplificata, dichiarata fallita, vantava un significativo credito IVA maturato nell’anno d’imposta precedente alla sentenza di fallimento. Il curatore, agendo nell’interesse della massa dei creditori, presentava la dichiarazione IVA e richiedeva il rimborso di tale credito.

L’Agenzia delle Entrate negava il rimborso, basando la propria decisione su un presupposto formale: la società non aveva provveduto alla chiusura della Partita IVA. Secondo l’amministrazione finanziaria, la mancata cessazione formale dell’attività impediva il sorgere del diritto al rimborso. La curatela impugnava il diniego, ottenendo ragione sia in primo che in secondo grado. I giudici di merito sostenevano che il credito IVA, maturato prima del fallimento, dovesse essere riscosso dal curatore per la liquidazione del patrimonio e che la dichiarazione IVA presentata da quest’ultimo dovesse essere equiparata a una dichiarazione di cessazione attività, legittimando così la richiesta di rimborso. L’Agenzia delle Entrate, non soddisfatta, proponeva ricorso per cassazione.

La distinzione tra IVA pre e post-fallimento

La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso dell’Agenzia, ha confermato il proprio orientamento consolidato, basato su una netta distinzione tra la posizione IVA della società prima della dichiarazione di fallimento e quella successiva, gestita dal curatore per conto della massa dei creditori.

Sebbene la Partita IVA rimanga la stessa, le operazioni pre-fallimentari e quelle post-fallimentari hanno un’autonomia giuridica distinta. Le prime fanno capo al soggetto fallito, di cui il curatore è avente causa; le seconde sono riferibili alla massa dei creditori, nel cui interesse il curatore opera come gestore di un patrimonio altrui. Questa separazione impone la redazione di due distinte dichiarazioni IVA, come previsto dall’art. 74-bis del D.P.R. 633/1972.

Il valore della dichiarazione del curatore e il rimborso IVA fallimento

Il punto centrale della decisione risiede nel valore giuridico attribuito alla dichiarazione IVA che il curatore presenta per le operazioni anteriori all’apertura della procedura concorsuale. Secondo la Corte, questa dichiarazione è a tutti gli effetti equiparabile a una dichiarazione di cessazione di attività.

Chiudendo il rapporto tributario antecedente al fallimento, essa fa sorgere, a partire da quella data, il diritto al rimborso dei versamenti eccedenti, ai sensi dell’art. 30 del D.P.R. 633/1972. La circostanza che la Partita IVA non venga chiusa è irrilevante, poiché la sua sopravvivenza è funzionale esclusivamente alla gestione delle operazioni della procedura fallimentare (liquidazione dei beni, pagamento dei creditori), che costituiscono un periodo d’imposta separato e distinto da quello pre-fallimentare.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto infondato il motivo di ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando la sentenza impugnata. I giudici hanno chiarito che non vi è alcuna ragione per discostarsi dall’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità. La posizione IVA maturata in epoca precedente al fallimento è differente da quella successiva. La coincidenza della Partita IVA è una circostanza meramente occasionale che non intacca l’autonomia giuridica delle due gestioni. La dichiarazione presentata dal curatore per il periodo ante-fallimento, ai sensi dell’art. 74-bis, chiude definitivamente quel rapporto tributario. Di conseguenza, tale dichiarazione deve essere equiparata a quella di cessazione dell’attività, con la logica conseguenza che da quel momento sorge il diritto al rimborso del credito IVA, come stabilito dall’art. 30 del decreto IVA. Pertanto, la pretesa dell’amministrazione finanziaria di subordinare il rimborso alla chiusura formale della Partita IVA è stata giudicata erronea.

Le conclusioni: Implicazioni pratiche per le procedure concorsuali

Questa ordinanza consolida un principio di notevole importanza pratica per i curatori fallimentari e per la tutela dei creditori. Stabilisce con chiarezza che il diritto a recuperare il credito IVA maturato dalla società prima del fallimento non può essere ostacolato da un mero adempimento formale, quale la chiusura della Partita IVA, che è incompatibile con le esigenze di gestione della procedura stessa. La decisione garantisce che le risorse finanziarie derivanti dai crediti fiscali possano essere effettivamente recuperate e destinate alla massa attiva, nel pieno rispetto del principio della ‘par condicio creditorum’. Si tratta di una vittoria della sostanza sulla forma, che assicura maggiore efficienza e certezza giuridica nella gestione delle crisi d’impresa.

Una società in fallimento può chiedere il rimborso del credito IVA maturato prima della dichiarazione di fallimento?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la dichiarazione IVA presentata dal curatore fallimentare per il periodo che precede l’apertura della procedura concorsuale chiude quel rapporto tributario e fa sorgere il diritto al rimborso del credito maturato.

La mancata chiusura della Partita IVA impedisce il rimborso del credito IVA maturato prima del fallimento?
No. La Corte ha stabilito che la mancata chiusura formale della Partita IVA è irrilevante ai fini del rimborso del credito pre-fallimentare, poiché la Partita IVA resta attiva solo per le necessità della gestione della procedura concorsuale, che rappresenta un periodo d’imposta distinto.

Che valore ha la dichiarazione IVA presentata dal curatore fallimentare per il periodo antecedente al fallimento?
Questa dichiarazione, prevista dall’art. 74-bis del D.P.R. 633/1972, è giuridicamente equiparabile a una dichiarazione di cessazione dell’attività. Essa cristallizza la posizione fiscale dell’impresa fino a quel momento, consentendo di definire il credito e chiederne il rimborso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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