Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10070 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10070 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30199/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO
-ricorrente- contro
PRANNO NOME
-intimata- per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria n. 1786/2021, depositata il 20 maggio 2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Con ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Cosenza, NOME COGNOME impugnava il diniego al rimborso opposto
dall’Agenzia delle entrate -Direzione provinciale di Cosenza, in relazione alla richiesta di rimborso del credito IVA riportato nel Modello Unico 2002 (anno d’imposta 2001) e alla successiva istanza di rimborso presentata in data 19 gennaio 2012 e reiterata il 7 maggio 2015, ritenendo che il diritto al rimborso si prescrivesse nel termine ordinario di dieci anni, anziché in quello ritenuto dall’ Ufficio di due anni, di cui all’art. 21 del d.lgs. 546/92.
Si costituiva l’ Ufficio, evidenziando nel merito che il rimborso non era dovuto poiché la domanda di restituzione doveva essere presentata entro due anni dal pagamento, ai sensi dell’articolo 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, atteso che il credito era stato esposto nella dichiarazione per l’anno 2001 non come credito da rimborsare, bensì da utilizzare in compensazione/detrazione. L’amministrazione, pertanto, non era stata posta in grado di verificare la sussistenza dei requisiti essenziali per la restituzione dell’imposta, nulla avendo depositato neppure in sede giudiziale a riprova della debenza dell’imposta.
La Commissione tributaria provinciale di Cosenza, con la sentenza n. 6838/18, accoglieva il ricorso.
-Avverso tale sentenza, proponeva appello l’Agenzia delle entrate.
La contribuente si costituiva in giudizio.
La Commissione tributaria regionale della Calabria rigettava l’appello dell’ufficio.
-L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
La contribuente non ha svolto attività difensiva.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 21 del d.lgs. 546/92 e dell’art. 30 e 38 del
d.P.R. n. 633/72, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Parte ricorrente denuncia l’erroneità della sentenza che ha respinto l’appello dell’ufficio sul rilievo che l’esposizione del credito IVA in dichiarazione, denegato dall’amministrazione finanziaria per decadenza del termine biennale di cui all’art. 21 del d.lgs. 546/92, legittima il contribuente, in assenza di contestazione dell’ufficio, a richiedere – entro il termine di prescrizione decennale – il rimborso del tributo. Sul punto si evidenzia che, secondo la costante giurisprudenza, la manifestazione della volontà di ottenere la restituzione dell’imposta deve emergere dalla dichiarazione dei redditi, essendo facoltà della parte contribuente optare per il rimborso immediato dell’imposta ovvero per l’utilizzo del credito d’imposta in compensazione/detrazione con altri debiti verso l’Erario. Nel caso in esame, il giudice dell’appello ha ritenuto applicabile il termine decennale di prescrizione del diritto alla restituzione dell’imposta, indipendentemente dalla esposizione in dichiarazione del credito IVA come credito da richiedere a rimborso ovvero da utilizzare in detrazione/compensazione, ritenendo sufficiente a far scattare il più lungo termine ordinario di prescrizione del diritto la sua mera esposizione. La stessa contribuente, come dedotto dall’ufficio appellante, aveva provato, con l’allegazione della dichiarazione dei redditi annuale della contribuente, che il credito IVA esposto era stato indicato come utilizzabile per la compensazione e/o la detrazione e non per il rimborso. Ne conseguirebbe che, diversamente da quanto ritenuto dalla Commissione tributaria regionale, trova applicazione non già l’ordinario termine di prescrizione decennale, bensì il più breve termine di decadenza biennale previsto dal d.lgs. n. 546 del 1992, art. 21, pacificamente decorso già alla data della presentazione della prima istanza di rimborso del 19 gennaio 2012.
1.1. -Il motivo è inammissibile.
In tema di IVA, la richiesta di rimborso dell’eccedenza d’imposta, formulata dalle imprese cessate o fallite, le quali, non proseguendo l’attività, non possono portare in detrazione l’eccedenza l’anno successivo, è regolata dall’art. 30, secondo comma (ora primo comma), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, sicché è soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale e non a quello biennale di cui all’art. 21 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, applicabile in via sussidiaria e residuale, in mancanza di disposizioni specifiche (Cass., Sez. VI-5, 12 marzo 2015, n. 5024; Cass., Sez. VI-5, 6 novembre 2013, n. 24889) e il diritto al rimborso dell’eccedenza IVA per cessazione dell’attività, ai sensi dell’art. 30, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, sorge al momento della cessazione effettiva (Cass., Sez. V, 28 agosto 2024, n. 23273).
Nel caso di specie, la censura formulata dall’Agenzia delle entrate non si confronta con ratio decidendi poiché la Commissione tributaria regionale ha ritenuto di applicare il termine ordinario di prescrizione decennale in ragione della cessazione dell’attività di impresa, evidenziando altresì che la contribuente, per vicissitudini giudiziari, non è stata in grado di presentare dichiarazioni riferite agli anni successivi al 2001.
-Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 e dell’art. 30 del d.P.R. 633/72 e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., ritenendo erronea la pronuncia impugnata laddove non ha espresso alcun giudizio in ordine alla presenza dei requisiti formali di riconoscimento del diritto al rimborso.
2.1. -Il motivo è infondato.
In tema di IVA, anche nell’ipotesi di domanda di rimborso presentata a seguito della cessazione dell’attività l’Amministrazione finanziaria è tenuta a verificare la sussistenza del credito del contribuente che dovrà assolvere, in caso di contestazione, all’onere
probatorio sullo stesso gravante (Cass., Sez. V, 23 gennaio 2019, n. 1822).
Nel caso di specie, la Commissione tributaria regionale ha evidenziato come il credito IVA 2001 non sia stato mai contestato dall’Ufficio, che si è limitato a negarne il rimborso, adducendone la decadenza. A fronte di tale mancata contestazione, i giudici del gravame hanno evidenziato che i documenti che la contribuente avrebbe dovuto presentare non sono mai stati richiesti. Non sussiste pertanto alcuna inversione dell’onere della prova.
-Con il terzo motivo si deduce l’ omesso esame su una circostanza rilevante ai fini della decisione in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c. in merito alla contestazione da parte dell’amministrazione finanziaria circa la debenza dell’imposta .
3.1. -Il motivo è inammissibile.
Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348ter , comma 5, c.p.c., il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., Sez. III, 20 settembre 2023, n. 26934; Cass., Sez. III, 28 febbraio 2023, n. 5947).
Nel caso di specie, al di là del fatto che la mancata dimostrazione dei requisiti sostanziali per il riconoscimento del credito d’imposta non costituisce un fatto storico, non sussiste nella specie alcuna divergenza tra la pronuncia di primo grado e quella d’ appello, avendo entrambe basato l’accoglimento della pretesa della contribuente sull’applicazione del termine ordinario di prescrizione nel caso di cessazione dell’attività di impresa. Il ricorso sembrerebbe in realtà adombrare un ‘ omessa pronuncia sulla questione giuridica della contestazione del credito, nella specie non sussistente, essendovi stata sul punto una pronuncia espressa. In tema di ricorso per cassazione, il vizio di omessa pronuncia, censurabile ex art. 360,
comma 1, n. 4, c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c., ricorre ove il giudice ometta completamente di adottare un qualsiasi provvedimento, anche solo implicito di accoglimento o di rigetto ma comunque indispensabile per la soluzione del caso concreto, sulla domanda o sull’eccezione sottoposta al suo esame, mentre il vizio di omessa motivazione, dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia stato, ma sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico oppure si sia tradotto nella mancanza assoluta di motivazione, nella motivazione apparente, nella motivazione perplessa o incomprensibile o nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili (Cass., Sez. V, 23 ottobre 2024, n. 27551).
4. -Il ricorso va dunque rigettato.
Non si deve provvedere sulle spese, stante la mancata costituzione della contribuente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione