Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16592 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16592 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3201 -20 24 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE e già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al controricorso, dall’avv. prof. NOME COGNOME (pec: EMAIL;
– controricorrente –
Oggetto: TRIBUTI -rimborso IVA -interessi diniego
avverso la sentenza n. 4113/04/2023 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del LAZIO, depositata il 04/07/2023; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26 febbraio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In controversia avente ad oggetto l’impugnazione del provvedimento dell’Agenzia delle entrate prot. n. 8068/2018 di diniego parziale del rimborso degli interessi maturati dalla Finmeccanica s.p.a., poi Leonardo s.p.a., in relazione al rimborso dell’IVA di gruppo effettuato con riferimento all’anno d’imposta 2011, stante i diversi periodi di sospensione della decorrenza degli stessi, con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio rigettava l’appello dell’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado.
1.1. I giudici di appello ritenevano, preliminarmente, privo di adeguata motivazione « l’impugnato avviso di riconoscimento del rimborso », ovvero il provvedimento di diniego del rimborso degli interessi, sul presupposto che « l’applicazione del periodo di sospensione costituisce a pieno titolo esplicazione del potere impositivo e dell’azione autoritativa dell’Amministrazione» che, pertanto, nel predetto provvedimento avrebbe dovuto indicare «se e quali periodi di sospensione abbia ritenuto di dover applicare a norma di legge, specificando quali e quanti siano i giorni che sono stati oggetto di sospensione, onde consentire al contribuente di poter verificare la sussistenza delle condizioni di sospensione e di poterle contestare in maniera consapevole nell’event uale fase contenziosa ».
1.2. Sostenevano, altresì, che la dichiarazione integrativa presentata dalla società contribuente in data 17/09/2013 aveva riguardato elementi diversi dal credito IVA chiesto a rimborso, che era rimasto immutato.
1.3. In relazione , poi, all’ applicabilità della sospensione nella maturazione degli interessi per il periodo compreso tra la richiesta di documenti del 30/09/2015 e la produzione degli stessi, effettuata il 04/07/2017, i giudici di appello sostenevano che nel caso di specie doveva escludersi che il ritardo nella consegna dei documenti, che ai sensi dell’art. 38 bis del d.P.R. n. 633 del 1972 è ascrivibile alla mancata collaborazione del contribuente, potesse essere configurato fino alla data del 4/07/2017 indicata dall’Agenzia e che la sospensione degli interessi prevista dalla citata disposizione andava limitata « agli eventuali ritardi afferenti la “fase istruttoria”, a nulla rilevando le modalità e i tempi della successiva fase, rappresentata dalla presentazione delle garanzie ».
Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui replica l’intimata con controricorso e memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della legge n. 212 del 2000 e 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, per avere i giudici di appello erroneamente applicato al provvedimento di diniego parziale di rimborso degli interessi maturati su credito IVA rimborsato, le disposizioni in materia di motivazione degli atti tributari.
1.1. Il motivo è fondato e va accolto.
1.2. Invero, il provvedimento con cui l’amministrazione finanziaria neghi il rimborso di un credito, sia esso riferibile a tributi o agli interessi dovuti sugli stessi, «non ha, neppure sostanzialmente, natura di avviso di accertamento (che presuppone necessariamente una pretesa tributaria nuova), sicché l’atto non deve avere una motivazione simile a quella prevista da specifiche disposizioni di legge
per gli atti costituenti esercizio della potestà impositiva» (Cass. n. 8998 del 2014).
1.3. E’ appena il caso di ricordare, al riguardo, il consolidato orientamento di questa Corte in materia, in base al quale, nelle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione del rigetto di un’istanza di rimborso, sia esso di un tributo o degli interessi sui tributi rimborsati (com’è nella specie), avanzata dal contribuente, quest’ultimo riveste la qualità di attore in senso non solo formale come nei giudizi di impugnazione di un atto impositivo -ma anche sostanziale, sicché grava sul contribuente l’one re di fornire la prova della propria domanda, mentre l’Ufficio, non esplicitando alcuna “pretesa” (impugnata dal contribuente), come avviene con l’avviso di accertamento o di liquidazione, o l’irrogazione di una sanzione, non incontra nella motivazione del provvedimento espresso di diniego gli obblighi impostigli dalle specifiche disposizioni in materia di motivazione degli atti impositivi, tant’è che nell’eventuale giudizio di impugnazione di quel provvedimento può prospettare, senza che si determini vizio di ultrapetizione, argomentazioni giuridiche ulteriori rispetto a quelle che hanno formato la motivazione di rigetto dell’istanza in sede amministrativa. Ne consegue che, non potendosi attribuire alla motivazione del provvedimento di rigetto (equivalente, peraltro, al cd. silenzio-rifiuto, del pari impugnabile) il carattere dell’esaustività, può ritenersi adeguata una motivazione del diniego che delinei gli aspetti essenziali delle ragioni del provvedimento, e che si fondi sull’insussistenza dei presupposti per il rimborso, richiamando altresì le norme di riferimento e gli eventuali provvedimenti adottati (Cass. n. 25999 del 2022; in termini anche Cass. n. 22620 del 2023, non massimata).
1.4. I giudici di appello, con la statuizione censurata, hanno disatteso tali principi erroneamente qualificando come espressione di ‘potere impositivo’ nonché ‘dell’azione autoritativa’
dell’amministrazione finanziaria l’individuazione del periodo di sospensione posto a base del provvedimento di diniego di rimborso impugnato.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 6 bis, del d.lgs. n. 322 del 1988, per avere i giudici di appello escluso l’effetto sostitutivo della dichiarazione integrativa, presentata dalla società contribuente, assegnando rilevanza alla circostanza che essa non avesse comportato modifiche ricadenti su elementi essenziali della stessa, essendo rimaste immutate la volontà di chiedere il rimbor so dell’IVA a credito e l’entità dello stesso.
2.1. Sostiene la ricorrente che la presentazione della dichiarazione integrativa comporta la sostituzione della dichiarazione emendata a quella originaria, senza che a ciò osti la natura dell’errore emendato.
2.2. Va premesso, in fatto, che la società contribuente in data 20/06/2012 presentava la dichiarazione IVA per l’anno d’imposta 2011, chiedendo il rimborso di una parte dell’IVA maturata a credito.
2.3. Successivamente, in data 27/09/2013 presentava dichiarazione integrativa immodificata sia nella richiesta di rimborso del credito IVA sia nell’entità dello stesso.
2.4. L’Agenzia delle entrate ha calcolato il termine di inizio della decorrenza degli interessi di cui all’art. 38 -bis, comma 1, seconda parte, del d.P.R. n. 633 del 1972 («novantesimo giorno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione») dalla data della presentazione della dichiarazione integrativa, e ciò è stato ritenuto illegittimo dal giudice di appello sul rilievo che la dichiarazione integrativa di fatto non aveva incis o sugli ‘elementi essenziali’ della prima dichiarazione.
Il motivo è infondato e va rigettato ancorché per ragioni diverse da quelle addotte dai giudici di appello, sicché deve procedersi, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., alla sola correzione della motivazione della sentenza impugnata la cui statuizione sul punto è conforme a diritto.
3.1. Secondo un consolidato orientamento di questa Corte, sebbene le denunce dei redditi costituiscono di norma delle dichiarazioni di scienza e possono, quindi, essere modificate ed emendate, anche in sede giudiziale, in presenza di errori che espongano il contribuente al pagamento di tributi maggiori di quelli effettivamente dovuti (cfr. Cass., Sez. U, n. 13378 del 30/06/2016), le scelte che il contribuente può operare, in quest’ambito, attraverso la compilazione di un modulo predisposto dall’erario, ad esempio per avvalersi di un beneficio fiscale o per optare per il rimborso piuttosto che per l’utilizzazione in compensazione di un credito d’imposta, implicano una manifestazione di volontà, cui la concessione del beneficio o quell’opzione è subordinata, a vente valore di atto negoziale, la quale è, in quanto tale, irretrattabile anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall’amministrazione (arg. da Cass., Sez. 5, sentenza n. 31237 del 29/11/2019, Rv. 656287 -01; vedi anche Cass., Sez. Trib., ordinanza n. 33373 del 19/12/2024, punto 4.5).
3.2. Il principio di generale emendabilità della dichiarazione, sia essa dei redditi che dell’IVA, si riferisce, infatti, all’ipotesi ordinaria nella quale la stessa rivesta carattere di mera dichiarazione di scienza, mentre, nelle parti in cui abbia carattere negoziale lo stesso non opera, salvo che il contribuente dimostri il carattere essenziale ed obiettivamente riconoscibile dell’errore in cui sia incorso, ai sensi degli artt. 1427 e ss. c.c. (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 35133 del 29/11/2022, Rv. 666409 -01; in termini, Cass. n. 7294 del 2012 e Cass. n. 1117 del 2018).
3.3. Pertanto, la scelta operata dal contribuente di chiedere a rimborso il credito d’imposta, piuttosto che utilizzarlo in compensazione, ha carattere negoziale. Come tale è irretrattabile e non può, pertanto, essere oggetto di dichiarazione integrativa.
3.4. Se, pertanto, la dichiarazione integrativa presentata dalla società contribuente non era idonea ad incidere sulla richiesta di rimborso «fatta con la dichiarazione annuale» (art. 38-bis, comma 1, cit.), certamente quest’ultima lo era per attivare in capo all’amministrazione finanziaria i poteri di verifica della sussistenza del credito chiesto a rimborso, sicché è alla data di presentazione dell’originaria dichiarazione che l’Agenzia delle entrate avrebbe dovuto far riferimento ai fini della decorrenza degli interessi di cui all’art. 38 -bis, comma 1, seconda parte, del d.P.R. n. 633 del 1972, non essendo giustificata una diversa decorrenza.
3.5. Una tale conclusione non è contraddetta dalla pronuncia di questa Corte n. 7983 del l’ 11/03/2022 (Rv. 664133 – 01) in cui, con riferimento a dichiarazione di successione, si è affermato che «in caso di dichiarazione presentata oltre i termini di decadenza previsti dall’art. 27 del d.lgs. n. 346 del 1990, l’obbligo di pagamento si ricollega alla spontanea presentazione della dichiarazione integrativa, con la conseguenza che solo da tale momento l’imposta potrà essere liquidata e diverrà esigibile e si potranno far decorrere gli interessi in caso di ritardato pagamento, ove esso avvenga oltre sessanta giorni dall’avviso di liquidazione; decorrenza che non può avvenire da una data anteriore, e segnatamente dalla scadenza del termine per presentare la dichiarazione originaria, atteso che a tale data l’ufficio non aveva attivato il potere di accertamento relativo a omissione o infedeltà della dichiarazione nel termine di decadenza previsto dalla legge, né vi era, in assenza di liquidazione, un credito liquido ed esigibile sul quale computare gli interessi, o una mora rispetto alla scadenza dell’obbligo di pagamento».
3.6. Invero, nella fattispecie esaminata dalla Corte in quel giudizio, la dichiarazione integrativa era stata presentata al fine di sanare l’omesso inserimento nell’originaria dichiarazione di altri cespiti immobiliari caduti in successione, sicché l’amministrazione finanziaria fino alla presentazione della dichiarazione integrativa non aveva conoscenza dell’esistenza di tali ulteriori cespiti rientranti nella successione ereditaria e della loro incidenza ai fini della liquidazione dell’imposta e della sua esigibilità.
3.7. Diversamente, nel caso di specie l’esistenza di un credito IVA e la sua eventuale rimborsabilità era già nota all’amministrazione finanziaria con la presentazione dell’originaria dichiarazione , che la CGT-2, con incontestato accertamento in fatto, ha affermato essere rimasta « del tutto immutata », avendo la dichiarazione integrativa « riguardato elementi diversi e non rilevanti ai fini di cui si discute », consistendo nella rappresentazione dell’avvenuto spontaneo versamento dell’IVA indetraibile originariamente indicata in eccesso e, dunque, « nella semplice illustrazione di un dato già ‘sterilizzato’ e privo di effetti sull’entità dell’imposta da rimborsare e sulla relativa istruttoria » (così nella memoria depositata dalla controricorrente non contestata dalla ricorrente). In questo caso, dunque, la variazione apportata alla dichiarazione originaria con l’integrativa avrebbe potuto al più legittimare la richiesta alla società contribuente da parte dell’amministrazione finanziaria di produrre eventuale ulteriore documentazione, ove strettamente necessaria ai fini dell’erogazione del rimborso.
3.8. Il rigetto del motivo rende, infine, superfluo il rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE che è stato richiesto dalla controricorrente in relazione alla questione dedotta nel motivo in esame.
Il terzo motivo, con cui la ricorrente deduce la medesima questione posta nel secondo motivo, ma veicolata attraverso la
deduzione del vizio logico di motivazione ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., è da ritenersi assorbito, ed è comunque inammissibile perché formulato in violazione del disposto di cui all’attuale art. 360, quarto comma, cod. proc. civ. (già art. 348 -ter cod. proc. civ.), vertendosi nella specie in ipotesi di doppia pronuncia di merito conforme sulla medesima questione, peraltro senza che la ricorrente abbia assolto l’onere di indicare i profili di divergenza tra le ragioni di fatto a base della decisione di primo grado e quelle a base del rigetto dell’appello, com’era invece necessario per dar ingresso alla censura proposta (cfr. Cass. n. 26774 del 2016, Cass. n. 5528 del 2014 e Cass. n. 8515 del 2020, e più recentemente Cass. n. 5947 del 2023 e n. 35893 del 2023) emergendo comunque dal contenuto del ricorso che identica è la quaestio facti esaminata dai due giudici di merito.
Con il quarto motivo la ricorrente, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 ( rectius n. 3), cod. proc. civ., censura «per violazione di legge», in particolare dell’art. 38 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, il capo di sentenza concernente la sospensione degli interessi -in relazione al periodo compreso tra la richiesta di documenti del 30 settembre 2015 e il 4 luglio 2017 sull’assunto che il ritardo nella consegna dei documenti non potesse essere ascrivibile alla mancata collaborazione della parte contribuente, precisando, poi, quanto all’ulteriore sospensione disposta nelle more dell’acquisizione della garanzia fideiussoria, che la sospensione della decorrenza degli interessi, prevista dal citato art. 38-bis, doveva ritenersi nella specie « limitata agli eventuali ritardi afferenti la ‘fase istruttoria’ a nulla rilevando le modalità ed i tempi della successiva fase, rappresentata dalla presentazione delle garanzie ».
Il motivo, che è ammissibile in quanto con lo stesso non si richiede a questa Corte, come sostiene la controricorrente, un nuovo apprezzamento delle risultanze processuali, ma la verifica dell’esatta
interpretazione dell’art. 38 -bis citato da parte dei giudici di merito, è fondato e va accolto nei termini di cui appresso si dirà.
6.1. L’art. 38 -bis, comma 1, seconda parte, del d.P.R. n. 633 del 1972, prevede la non computabilità degli interessi nel periodo intercorrente fra la data di notifica della richiesta di documenti e la data della loro consegna, quando superi quindici giorni.
6.2. Come affermato già da Cass. n. 14930 del 2011, la disposizione censurata, nel prevedere la sospensione degli interessi sui rimborsi nel periodo intercorrente tra la data della notifica della richiesta di documenti e la data della loro consegna, individua un istituto la cui funzione è quella di non far gravare sull’Amministrazione gli oneri ricollegabili ad un ritardo ascrivibile, presuntivamente, alla mancata collaborazione del creditore.
6.3. Il principio è stato ribadito da Cass. n. 20510 del 06/09/2013 (seguita da Cass. n. 25164 del 2022), secondo cui «Da tale previsione normativa si evince, senza possibilità di equivoci che il contribuente deve rimettere all’A.F. i documenti richiesti, nel termine di gg. 15, scaduti i quali il contribuente è in mora, con conseguente sospensione della maturazione degli interessi legali sulle somme rimborsande. La riportata interpretazione della norma in esame è l’unica compatibile con il sistema tributario vigente, non potendosi ipotizzare una stasi dell’attività amministrativa a discrezione del contribuente e non potendosi addossare all’A.F. l’onere di corrispondere gli interessi su somme che non può liquidare per fatto addebitabile al richiedente. La sospensione del decorso degli interessi agisce quindi come stimolo alla produzione dei documenti effettivamente necessari per la definizione della pratica di rimborso».
6.4. E, d’altro canto, se già su un piano generale la mora va esclusa quando è lo stesso creditore a non cooperare per l’esecuzione del rapporto obbligatorio, omettendo quanto necessario per rendere possibile l’attività dovuta (Cass. n. 28257 del 2013 che richiama Cass.
19 gennaio 1956, n. 159 e Cass. 16 dicembre 1950), allo stesso modo essa va esclusa quando il creditore è inadempiente agli obblighi posti a suo carico per ottenere l’esecuzione del rimborso richiesto (Cass. n. 24031 del 2023 e Cass. n. 24295 del 2023, in motivazione).
Cass. n. 11418 del 2019 ha anche affermato che la disposizione in esame «non si pone in contrasto con il principio, affermato nella giurisprudenza unionale, per il quale l’art. 183 della direttiva 2006/112/CE, letto alla luce del principio di neutralità fiscale, non consente di ridurre gli interessi, e quindi l’effettività del rimborso, in danno del contribuente, per cause non imputabili allo stesso, atteso che, anzi, l’art. 38-bis del d.P.R. citato concede al contribuente un termine di quindici giorni durante il quale, pur dovendosi attivare per integrare la domanda, gli interessi continuano a decorrere in suo favore». Contrasterebbe difatti col diritto unionale, in base al quale il funzionamento normale del sistema comune dell’iva presuppone l’esatta riscossione dell’imposta, dar vita a un credito in realtà inesistente. Sicché il soggetto passivo che non collabori con l’amministrazione fiscale nel fornire la prova del credito e ostacoli in tal modo lo svolgimento della procedura di verifica, causando il ritardo del rimborso dell’eccedenza di iva, non può chiedere il versamento di interessi dovuti al suddetto ritardo (Corte giust., causa C-254/16, RAGIONE_SOCIALE, punto 26).
6.5. La sospensione del rimborso e dei correlati interessi risponde, quindi, all’esigenza di non far gravare sull’amministrazione le conseguenze di un ritardo nell’esecuzione del rimborso ascrivibile alla mancata collaborazione del creditore (cfr. Cass. n. 14930 del 2011 e Cass. n. 28257 del 2013).
6.6. Orbene, nel caso di specie la ricorrente ha dedotto, senza essere sul punto contraddetta dalla controricorrente, che una prima richiesta di produzione documentale venne fatta in data 09/10/2013 e la società contribuente vi adempì in data 04/10/2014, mentre una
seconda richiesta venne fatta in data 30/09/2015 e, in questo caso, la società contribuente provvide alla produzione dei documenti richiesti solo in data 04/07/2017. Per stessa ammissione della società contribuente (v. pag. 3 del controricorso) l’istruttor ia ‘volta alla verifica del credito’ si concluse il 31/07/2017.
6.7. S ulla base di tali pacifici dati di fatto, la statuizione d’appello si pone in insanabile contrasto con l’interpretazione che questa Corte ha fatto della disposizione censurata, negando valenza all’inadempimento da parte di della società contribuente all’obbligo di fornire la documentazione richiestale ai fini dell’istruttoria dell’istanza di rimborso, peraltro in assenza di una specifica contestazione circa la rilevanza determinante dei documenti richiesti ai fini dell’erogazione del rimborso o della prova della non imputabilità del ritardo.
6.8. Da quanto detto consegue che, nel caso di specie, gli interessi di mora non dovevano essere applicati sul ritardo superiore ai 15 giorni dalle due richieste di produzione documentale (del 09/10/2013 e del 30/09/2015).
6.9. A diverse conclusioni si perviene con riguardo all’ulteriore periodo di sospensione, intercorso tra la successiva richiesta di prestare la garanzia e la data in cui la garanzia è stata fornita (si riferisce in ricorso -pag. 2- che la richiesta è avvenuta il 3 novembre 2017 e la garanzia è stata fornita il 19 gennaio 2018).
6.10. Anzitutto, emerge dalla sentenza impugnata che era già intervenuto un ‘provvedimento di sospensione per carichi pendenti’ (pag. 4 della sentenza, ultimo capoverso); e, allora, la richiesta e l’ottenimento della garanzia si sono tradotti in una ingiustificata duplicazione della cautela in favore dell’amministrazione e in un carico eccessivo per la contribuente, in violazione del principio di collaborazione e buona fede posto dall’art. 10, comma 1, l. n. 212 del 2000, nonché del principio di solidarietà sancito dall’art. 2 Cost. che
deve ispirare anche i rapporti tra Pubblica amministrazione e cittadino (Cass., Sez. Un., sentenza n. 2320 del 31/01/2020).
Il che comporta che la duplicazione, in quanto ingiustificata, non può determinare la sospensione del corso degli interessi nel tempo volto a conseguirla (in termini, Cass. n. 24031 del 7/08/2023 e Cass. n. 3986 del 13/02/2024; da ultimo, v. Cass. n. 15328 del 9/06/2025).
6.11. Inoltre, va ribadito, l’obbligo di costituzione della cauzione o della garanzia, che di norma è prestata a titolo oneroso, produce, in realtà, unicamente l’effetto di sostituire l’onere finanziario relativo all’immobilizzazione dei fondi corrispondenti all’eccedenza dell’iva per la durata del procedimento di verifica con quello corrispondente all’immobilizzazione dell’importo della cauzione o al costo della garanzia (Corte giust. in causa C-107/10, punto 60; Cass., Sez. 5, sentenza n. 16097 del 22/5/2022).
In estrema sintesi, vanno accolti il primo e quarto motivo di ricorso, nei limiti dinanzi espressi, rigettato il secondo e assorbito il terzo, con cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, che rivaluterà la vicenda processuale alla stregua dei principi sopra enunciati e provvederà, altresì, alla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo e quarto motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione, rigettato il secondo ed assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 26 febbraio 2025.