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Rimborso IVA e fallimento: la Cassazione sui termini

Una società fallita si è vista negare un rimborso IVA poiché la richiesta era stata presentata oltre il termine di decadenza biennale. La Corte di Cassazione ha confermato che la scelta iniziale di destinare il credito alla compensazione, e non al rimborso, vincola il contribuente a tale termine breve, anche in caso di successivo fallimento. La sentenza sottolinea la distinzione cruciale tra le due opzioni e le relative conseguenze temporali.

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Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rimborso IVA e fallimento: la Cassazione chiarisce i termini

La gestione dei crediti fiscali è un aspetto cruciale per ogni impresa, ma diventa vitale quando si affronta una procedura concorsuale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di rimborso IVA, specificando le conseguenze della scelta tra l’utilizzo del credito in compensazione e la richiesta di rimborso diretto, soprattutto quando interviene un fallimento. Comprendere questa distinzione è essenziale per evitare la perdita di ingenti somme. Questo caso chiarisce che la scelta operata nella dichiarazione annuale ha effetti vincolanti e che il successivo stato di insolvenza non riapre i termini per cambiare idea.

I Fatti del Caso: una Lunga Attesa per un Credito IVA

La vicenda riguarda una società che, dichiarata fallita nel 2017, ha cercato di recuperare un cospicuo credito IVA. Tale credito, originatosi nel 2007, era stato indicato per l’ultima volta nella dichiarazione dei redditi del 2010 (relativa all’anno d’imposta 2009) come credito da utilizzare in compensazione con altri debiti fiscali.

Nel 2018, il curatore fallimentare, impossibilitato a utilizzare il credito in compensazione data la cessazione dell’attività, ne ha richiesto il rimborso all’Amministrazione Finanziaria. Di fronte al silenzio dell’ufficio, interpretato come un diniego (silenzio-rifiuto), il fallimento ha adito la Commissione Tributaria Provinciale, che ha accolto il ricorso ritenendo la richiesta tempestiva. L’Amministrazione Finanziaria ha però impugnato la decisione davanti alla Commissione Tributaria Regionale, che ha ribaltato il verdetto, giudicando tardiva l’istanza di rimborso. Il caso è così giunto all’attenzione della Corte di Cassazione.

La Scelta tra Compensazione e Rimborso IVA: un Bivio Decisivo

Il fulcro della questione legale risiede nella differenza tra due opzioni che il contribuente ha a disposizione per un credito IVA: chiederne il rimborso o destinarlo alla compensazione. La Corte di Cassazione, consolidando il proprio orientamento, ha chiarito che si tratta di due domande distinte con regimi temporali diversi.

Quando il contribuente, compilando la dichiarazione annuale, indica l’eccedenza IVA nel quadro destinato alla compensazione, manifesta una volontà precisa. Se, in un secondo momento, cambia idea e decide di chiedere il rimborso di quel credito, deve farlo entro il termine di decadenza di due anni. Questo termine, previsto dall’art. 21 del D.Lgs. n. 546/92, decorre dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione, che in questo caso coincide con la presentazione della dichiarazione stessa.

Diversamente, se il contribuente chiede direttamente il rimborso nella dichiarazione, il suo diritto è soggetto al termine di prescrizione ordinario di dieci anni.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del fallimento, confermando la legittimità del diniego del rimborso IVA. I giudici hanno stabilito che la scelta di destinare il credito alla compensazione nella dichiarazione del 2010 era vincolante. La successiva richiesta di rimborso, presentata nel 2018, era palesemente tardiva rispetto al termine biennale di decadenza, che era scaduto da tempo.

La Corte ha specificato che il fallimento della società, intervenuto nel 2017, non poteva avere l’effetto di ‘convertire’ la precedente opzione per la compensazione in una richiesta di rimborso soggetta al più lungo termine decennale. La cessazione dell’attività, infatti, era avvenuta molti anni dopo l’ultima dichiarazione in cui il credito era stato esposto per la compensazione. Di conseguenza, non si poteva applicare il principio secondo cui, in caso di cessazione dell’attività, la richiesta di rimborso si considera presentata con la dichiarazione stessa ed è soggetta a prescrizione decennale. In questo caso, il diritto a chiedere il rimborso si era già estinto per decadenza ben prima della dichiarazione di fallimento.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce un messaggio chiaro per i contribuenti e i loro consulenti: la scelta sulla destinazione di un credito IVA in dichiarazione è strategica e ha conseguenze non trascurabili. Optare per la compensazione implica accettare che un’eventuale successiva richiesta di rimborso debba essere presentata entro il termine perentorio di due anni. Il successivo stato di insolvenza o la cessazione dell’attività non costituiscono una ‘sanatoria’ per recuperare un diritto ormai decaduto. Questa decisione sottolinea l’importanza di una pianificazione fiscale attenta e di una gestione proattiva dei crediti d’imposta, per evitare di perdere il diritto al loro recupero a causa del decorso dei termini.

Se una società indica un credito IVA da usare in compensazione, entro quanto tempo può chiederne il rimborso?
La richiesta di rimborso deve essere presentata entro il termine di decadenza di due anni dalla data di presentazione della dichiarazione in cui il credito è stato destinato alla compensazione.

La dichiarazione di fallimento cambia i termini per richiedere un rimborso IVA?
No, secondo questa ordinanza, il fallimento non modifica i termini. Se il diritto a chiedere il rimborso era già estinto per decadenza prima del fallimento, la procedura concorsuale non può farlo ‘rivivere’ né convertirlo in un diritto soggetto al più lungo termine di prescrizione decennale.

Qual è la differenza tra termine di decadenza biennale e prescrizione decennale per il rimborso IVA?
Il termine di prescrizione decennale si applica quando la richiesta di rimborso viene effettuata direttamente nella dichiarazione annuale o in caso di cessazione dell’attività. Il termine di decadenza biennale, invece, si applica quando il contribuente prima sceglie la compensazione e solo in un secondo momento decide di chiedere il rimborso dello stesso credito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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