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Rimborso IVA: chi può chiederlo se pagata per errore?

Una società ha pagato l’IVA ai propri fornitori per servizi poi rivelatisi esenti. Dopo che l’Agenzia Fiscale ha recuperato l’IVA indebitamente detratta, la società ha richiesto il rimborso per evitare una doppia imposizione. La Corte di Cassazione ha negato la richiesta di rimborso IVA, chiarendo che il cliente può agire direttamente contro lo Stato solo se dimostra, con un tentativo concreto, l’impossibilità di recuperare la somma dal fornitore, anche se quest’ultimo è fallito.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rimborso IVA: a chi spetta chiederlo in caso di pagamento errato?

L’ordinanza in esame affronta una questione cruciale per le imprese: la gestione del rimborso IVA in caso di imposta erroneamente addebitata da un fornitore poi dichiarato fallito. La Corte di Cassazione chiarisce i confini della legittimazione ad agire del cliente finale nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria, stabilendo un principio di rigore probatorio.

I Fatti del Caso

Una società immobiliare aveva detratto l’IVA pagata in rivalsa a diverse società associate per prestazioni di servizi relative agli anni 2001-2003. Successivamente, l’Agenzia Fiscale, con avvisi di accertamento divenuti definitivi, ha contestato tale detrazione, ritenendo che le operazioni fossero in realtà esenti da IVA. Di conseguenza, l’Amministrazione ha recuperato l’imposta indebitamente detratta.

La società contribuente si è quindi trovata in una situazione di palese svantaggio economico: aveva pagato l’IVA una prima volta ai suoi fornitori (che avrebbero dovuto versarla allo Stato) e una seconda volta direttamente all’Agenzia Fiscale a seguito dell’accertamento. Per porre rimedio a questa evidente doppia imposizione, la società ha presentato istanza di rimborso all’Amministrazione Finanziaria.

Tale istanza è stata respinta, poiché secondo l’Ufficio, il diritto al rimborso dell’IVA erroneamente versata spetta unicamente al fornitore (il cedente), il quale ha poi l’obbligo civilistico di restituire la somma al proprio cliente (il cessionario).

La Questione Giuridica: Legittimazione e Rimborso IVA

Il nucleo della controversia ruota attorno a una domanda fondamentale: quando il cliente che ha pagato un’IVA non dovuta può bypassare il fornitore e chiedere il rimborso IVA direttamente all’Erario?

La regola generale, consolidata sia a livello nazionale che europeo, prevede una netta separazione dei rapporti:
1. Rapporto Fiscale: tra il fornitore (soggetto passivo d’imposta) e lo Stato. Solo il fornitore può chiedere il rimborso dell’imposta erroneamente versata.
2. Rapporto Civilistico: tra il fornitore e il cliente. Il cliente ha il diritto di chiedere al fornitore la restituzione di quanto pagato indebitamente a titolo di rivalsa.

Esiste, tuttavia, un’importante eccezione, dettata dai principi di effettività e neutralità dell’IVA: il cliente può agire direttamente contro lo Stato quando l’azione di recupero verso il fornitore risulti “impossibile o eccessivamente difficile”, in particolare nel caso di insolvenza di quest’ultimo.

Nel caso specifico, una delle società fornitrici era stata dichiarata fallita, circostanza su cui la società ricorrente ha basato la propria pretesa di legittimazione diretta.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sul Rimborso IVA

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando le decisioni dei giudici di merito. Il ragionamento della Corte si basa su un’interpretazione rigorosa del concetto di “impossibilità” del recupero del credito.

Secondo gli Ermellini, la possibilità per il cliente di chiedere il rimborso diretto all’Amministrazione Finanziaria è un’eccezione e, come tale, deve essere provata in modo rigoroso. Non è sufficiente allegare una situazione astratta di difficoltà, come la semplice dichiarazione di fallimento del fornitore. È necessario, invece, che il cliente dimostri di aver concretamente esperito l’azione civilistica per la restituzione dell’indebito e che tale azione si sia rivelata infruttuosa.

La Corte ha specificato che l’impossibilità o l’eccessiva difficoltà non possono essere valutate ex ante (in astratto), ma devono essere accertate ex post (in concreto), all’esito di un effettivo tentativo di ottenere la restituzione dal fornitore. Nel caso di specie, la società ricorrente non aveva fornito alcuna prova di aver tentato di insinuarsi nel passivo fallimentare della società fornitrice o di aver intrapreso altre azioni per recuperare le somme. La sua affermazione era rimasta a livello di “mera asserzione”, insufficiente a integrare i presupposti per l’azione diretta contro l’Erario.

Conclusioni

La decisione della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di rimborso IVA: la via maestra per il recupero di un’imposta non dovuta è l’azione civilistica del cliente verso il proprio fornitore. L’azione diretta contro l’Amministrazione Finanziaria rimane una via eccezionale e residuale, accessibile solo a fronte di una prova rigorosa e concreta dell’impossibilità di percorrere la strada principale. La sola dichiarazione di fallimento del debitore non basta; il creditore deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile per recuperare il proprio credito per le vie ordinarie. Questa pronuncia serve da monito per le imprese, che devono agire tempestivamente per tutelare i propri diritti nei confronti dei fornitori insolventi, senza poter fare automatico affidamento su un’azione diretta verso lo Stato.

Chi ha il diritto di chiedere il rimborso dell’IVA pagata per errore?
In linea di principio, il diritto di chiedere il rimborso dell’IVA erroneamente versata spetta unicamente al soggetto che ha emesso la fattura (il fornitore/cedente) e ha effettuato il versamento all’Erario.

Il cliente che ha pagato un’IVA non dovuta può mai chiederne il rimborso direttamente allo Stato?
Sì, ma solo in via eccezionale. Il cliente (cessionario) può agire direttamente nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria solo se dimostra che l’azione di recupero dell’importo verso il fornitore è diventata “impossibile o eccessivamente difficile”, come nel caso di insolvenza comprovata del fornitore.

La semplice dichiarazione di fallimento del fornitore è sufficiente per giustificare la richiesta di rimborso IVA da parte del cliente?
No. Secondo la Corte, la sola dichiarazione di fallimento non è sufficiente. Il cliente deve dimostrare di aver concretamente tentato di recuperare la somma (ad esempio, esperendo un’azione civilistica) e che tale tentativo sia risultato vano. L’impossibilità deve essere provata “ex post”, cioè a seguito di un effettivo e documentato tentativo di recupero.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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