Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3873 Anno 2025
Oggetto: Tributi
Diniego di rimborso Iva- Relatore: COGNOME NOME
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3873 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Data pubblicazione: 15/02/2025
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 31344 del ruolo generale dell’anno 2018, proposto
Da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv.to NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso lo studio del difensore in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
Contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, n. 570/03/2018, depositata in data 23 marzo 2018, non notificata.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30 gennaio 2025 dal Relatore Cons. NOME COGNOME di Nocera.
RILEVATO CHE
Con avvisi di accertamento- divenuti definitivi a seguito di contenzioso conclusosi con le sentenze della Corte di cassazione n. 20977, 23734 e 23330 del 2013 -l’Agenzia delle entrate riprendeva nei confronti di RAGIONE_SOCIALE l’Iva indebitamente detratta , per gli anni 20012003, sulle fatture emesse da società (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ad essa legate da contratti di associazione in partecipazione relative a corrispettivi per prestazioni che, ad avviso dell’Amministrazione, avrebbero dovuto essere esenti dal tributo.
In data 24.12.2013, la società contribuente chiedeva il rimborso di tale imposta rappresentando di averla corrisposta, una prima volta, sulle fatture che aveva ricevuto dalle società associate in partecipazione e, una seconda volta, in relazione agli avvisi di accertamento divenuti definitivi, con violazione del principio di neutralità dell’Iva e del divieto di doppia imposizione.
Le istanze venivano respinte dall’Ufficio con tre provvedimenti in quanto, se l’operazione, come nella specie, era stata erroneamente assoggettata all’Iva, il cedente aveva il diritto di chiedere all’Amministrazione il rimborso dell’Iva indebitamente versata e il cessionario/ committente di chiedere al cedente la restituzione dell’Iva versata in rivalsa avendo l’Ufficio il potere/dovere di escludere la detrazione dell’imposta da parte di quest’ultimo .
Avverso i suddetti provvedimenti di diniego, la società ricorreva dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Torino che, con sentenza n. 319/05/2016, lo rigettava atteso che -premesso che l’Iva chiesta a rimborso non poteva essere quella recuperata con gli avvisi di accertamento divenuti definitivi ma
quella indebitamente corrisposta in via di rivalsa alle società associate in partecipazione in relazione a fatture emesse da queste ultime per operazioni che avrebbero dovuto essere esenti dal tributo -soltanto le cedenti- associate in partecipazione avev ano la legittimazione al rimborso dall’Amministrazione dell’Iva erroneamente esposta in fattura con relativo obbligo di restituzione della stessa alla committente- società contribuente cui era stata addebitata.
La decisione di primo grado veniva confermata in sede di appello dalla Commissione tributaria regionale del Piemonte, con sentenza n. 570/03/2018, depositata in data 23 marzo 2018.
In punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha osservato che: 1) soltanto il cedente/prestatore di servizi aveva titolo per agire per il rimborso dell’Iva nei confronti dell’Amministrazione la quale, essendo estranea al rapporto tra cedente e cessionario, non poteva essere tenuta a rimborsare direttamente a quest’ultimo quanto dallo stesso versato in rivalsa, potendo il cessionario, invece, richiedere al cedente il rimborso di quanto indebitamente pagato senza che quest’ultimo potesse opporgli di avere versato l’imposta all’Amministrazione (sono richiamate Cass. SU n. 12590 del 1991, Cass. n. 3306 del 2004; Cass. n. 6419 del 2003 e altre pronunce successive); 2) la contestazione della società contribuente in ordine alla impossibilità o difficoltà del rimborso da parte del prestatore (nella specie, l’associata RAGIONE_SOCIALE a favore del committente con conseguente legittimazione da parte di quest’ultimo ad agire a tal fine direttamente nei confronti d ell’Amministrazione era rimasta a livello di mera asserzione atteso che, essendo mancato a monte il tentativo da parte della contribuente di ottenere la rifusione delle somme indebitamente corrisposte a titolo di Iva, non era ravvisabile in concreto il presupposto dell’insolvenza del prestatore.
Avverso la suddetta sentenza RAGIONE_SOCIALE propone ricorso affidato a cinque motivi.
L ‘Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
La società contribuente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dei principi di effettività e neutralità sanciti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea nonché del secondo comma dell’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992 e degli artt. 17,18,19 e 30 del d.P.R. n. 633 del 1972 per avere la CTR negato la legittimazione della contribuente a richiedere direttamente all’ E rario il rimborso dell’Iva – corrisposta in rivalsa alle società associate (tra cui RAGIONE_SOCIALE) e poi pagata integralmente in forza degli atti impositivi (con cui si era recuperata l’imposta detratta indebitamente sulle fatture emesse dalle società associate) divenuti definitivi in forza delle sentenze della Corte di cassazione n.n. 20977, 23734 e 23330 del 2013 -atteso che la stessa non aveva esperito previamente le azioni per ottenere dalle società associate-cedenti (in particolare dalla RAGIONE_SOCIALE la restituzione dell’imposta versata in via di rival sa; con ciò, ad avviso della ricorrente, il giudice di appello avrebbe violato le norme richiamate in rubrica e i principi di neutralità dell’Iva e di effettività sanciti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE in base alla quale nel caso in cui il rimborso dell’Iva divenga impossibile o eccessivamente difficilecome nell’ipotesi di insolvenza del prestatore/cedente (nel caso di specie, come dedotto in giudizio, RAGIONE_SOCIALE, incorporante RAGIONE_SOCIALE era stata dichiarata fallita nel 2010) -gli Stati membri dovevano prevedere, in ossequio al principio di effettività, gli strumenti necessari per consentire al destinatario di servizi di recuperare l’imposta indebitamente fatturata, garantendo a quest’ul timo la legittimazione ad agire direttamente per il rimborso nei confronti delle autorità tributarie.
1.1.Il motivo è infondato.
1.2.Dalla sentenza impugnata si evince in punto di fatto che: 1) RAGIONE_SOCIALE detraeva, in relazione agli anni 20012003, l’Iva addebitatale in rivalsa sulle fatture emesse da alcune società legate ad essa da contratti di associazione in
partecipazione; 2) con avvisi di accertamento – divenuti definitivi nel 2013 a seguito di sentenze n.n. 20977, 23734 e 23330 del 2013 della Corte di cassazione -l’Agenzia riprendeva l’Iva detratta dalla contribuente in relazione alle fatture emesse dalle associate in partecipazione trattandosi di operazioni esenti dal tributo; 3)la contribuente provvedeva al pagamento dell’imposta in forza degli avvisi divenuti definitivi; 4) in data 24.12.2013 la contribuente presentava istanze di rimborso dell’imposta nei confronti dell’Amministrazione che venivano respinte con provvedimenti oggetto di impugnativa nel presente giudizio.
1.3.Il principio di neutralità dell’IVA richiede che il soggetto che abbia versato l’imposta non dovuta, in quanto erroneamente liquidata in fattura, possa recuperare tale importo, occorrendo considerare al riguardo che il soggetto “obbligato al pagamento della imposta” non coincide con il soggetto “obbligato in rivalsa”, disponendo l’art. 21, paragr. 1, lett. c), della Sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio in data 17.5.1977, applicabile “ratione temporis”, che soggetto passivo d’imposta è esclusivamente colui che ” indichi l’imposta sul valore aggiunto in una fattura o in altro documento che ne fa le veci ” ” profilandosi pertanto una divergenza tra il rapporto di diritto civile, instaurato tra cedente/prestatore e cessionario/committente avente ad oggetto l’adempimento dell’obbligazione in rivalsa, ed il rapporto di diritto tributario, instaurato tra cedente/prestatore (emittente fattura e soggetto -passivo d’imposta) ed Amministrazione finanziaria, avente ad oggetto l’obbligazione di pagamento del tributo.
1.4.La giurisprudenza comunitaria ha osservato che in tali casi, in difetto di una specifica disciplina dettata dalla Sesta direttiva, spetta agli Stati membri adottare, nei rispettivi ordinamenti interni, le norme idonee a consentire la rettifica e la correzione di eventuali errori formali o materiali, concernenti la esatta liquidazione della imposta in fattura, mediante misure idonee a realizzare
il principio della neutralità dell’IVA (consentendo il recupero della imposta erroneamente indicata in fattura, ed indebitamente versata al Fisco dal soggetto passivo ovvero non potuta portare in detrazione dal soggetto che l’aveva versata in rivalsa) e che, comunque, garantiscano la Comunità dal rischio di perdita del gettito fiscale determinato da condotte fraudolente (cfr. Corte giustizia sentenza 19.9.2000 in causa C-454/98, RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, punti 47-49; id. Corte di giustizia sentenza 18.6.2009, causa C-566107, Stadeco BV ), dovendo in ogni caso tali misure -laddove impongano l’adempimento di specifici oneri probatori e formali- non eccedere rispetto a tale scopo (principio di proporzionalità), dovendo limitarsi a quanto è necessario ad assicurare la esatta riscossione della imposta ed evitare le frodi (cfr. Corte giustizia sentenza 21.3.2000, in cause riunite C-110/98 e C-147/98, Gabalfrisa, punto 52) così da realizzare un bilanciamento dei contrapposti interessi dei singoli operatori e della Comunità. Rimane fermo che il recupero della imposta indebitamente versata all’Erario dal soggetto passivo è subordinato alla verifica della buona fede del contribuente, ovvero alla condizione che questi abbia fornito la prova di avere oggettivamente eliminato ogni potenzialità dannosa per l’Erario (perdita di gettito fiscale) determinata dalla erronea fatturazione della imposta (o perché la fattura, che rechi la indicazione della imposta superiore od inferiore a quella effettivamente dovuta, sia stata ritirata o distrutta dall’emittente, o perchè quest’ultimo si sia tempestivamente attivato presso gli Uffici finanziari per elidere in concreto gli effetti della imposta indebitamente fatturata: cfr. Corte di giustizia sentenza in data 19.9.2000, in causa C-454/98 RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, punti 58-61 e 70; Corte di giustizia sentenza 18.6.2009, causa C-566/07, RAGIONE_SOCIALE, punto 28-32; Corte di giustizia sentenza in data 11.4.2013, C-138/12, Rusedespred, punti 23-30). Quanto alla azionabilità della pretesa restitutoria della imposta indebitamente versata, direttamente nei confronti della Amministrazione finanziaria, questa Corte ha affermato che in tema di IVA, una corretta lettura degli artt. 17 e 18 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, consente di identificare nel cedente del bene (o nel prestatore del servizio) il soggetto, da un lato, legittimato a pretendere il rimborso
dall’amministrazione finanziaria e, dall’altro, obbligato a restituire al cessionario (o al committente) la somma pagata a titolo di rivalsa. Infatti, i tre rapporti che discendono dal compimento dell’operazione imponibile (1-tra l’amministrazione finanziaria e il cedente, relativamente al pagamento dell’imposta; 2-tra il cedente ed il cessionario, in ordine alla rivalsa; 3-tra l’amministrazione ed il cessionario, per ciò che attiene alla “detrazione dell’imposta” assolta in via di rivalsa), pur essendo collegati, non interferiscono tra loro. Ne consegue: che il cedente non può opporre al cessionario – il quale agisca nei suoi confronti per restituzione dell’indebito – l’avvenuto versamento dell’imposta; che il cessionario non può opporre all’amministrazione – che escluda la detrazione della imposta erroneamente liquidata in fattura – che l’imposta è stata assolta in via di rivalsa e versata all’amministrazione medesima; ed infine, che solo il cedente ha titolo ad agire per il rimborso nei confronti i dell’amministrazione, la quale, pertanto, essendo estranea al rapporto tra cedente e il cessionario, non può essere tenuta a rimborsare direttamente a quest’ultimo quanto dallo stesso versato in via di rivalsa (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6419 del 22/04/2003; id. Sez. U, Sentenza n. 6632 del 29/04/2003; id. Sez. 5, Sentenza n. 14933 del 06/07/2011; vedi, con riferimento alla triplice natura dei rapporti che derivano dalla medesima operazione economica: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24794 del 24/11/2005; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4020 del 14/03/2012; Cass. sez. 5 n. 17173 del 2015).
1.5.Il principio enunciato riflette, tuttavia, una impostazione statica dei rapporti in questione, che debbono più correttamente essere riguardati tenendo conto che il cessionario, di norma, è al tempo stesso anche soggetto passivo d’imposta (in relazione alle operazioni attive dallo stesso realizzate). Occorre, infatti, precisare, quanto alla pretesa di rimborso dell’IVA pagata in rivalsa dal cessionario del bene o servizio, che la stessa può essere diversamente diretta, in considerazione della differente angolazione con la quale viene prospettata: al proposito è stato osservato che il rapporto di natura privatistica tra cedente e cessionario (che dà luogo alla giurisdizione dell’AGO, venendo meno la connotazione tributaria del rapporto controverso) si configura laddove il cessionario rivesta la posizione di “consumatore finale”, e cioè a dire si identifichi
nel soggetto definitivamente inciso dalla imposta (cfr. Corte cass. SU Sez. U, Sentenza n. 1147 del 07/11/2000; id. Sez. U, Sentenza n. 2686 del 07/02/2007), diversamente riemergendo il rapporto tributario -con conseguente legittimazione del soggetto cessionario ad agire nei confronti della Amministrazione finanziaria- tutte le volte in cui l’IVA indebitamente versata in rivalsa sull’acquisto di beni e servizi destinati all’esercizio dell’attività economica, venga a riflettersi sulla liquidazione finale della imposta, esposta nella dichiarazione annuale del contribuente, qualora il Fisco contesti, in tutto od in parte, che l’IVA versata in rivalsa non poteva essere portata in detrazione (o se eccedente, non poteva essere esposta a credito -ipotesi che ricorre nella fattispecie oggetto di esame), in quanto relativa ad operazione esente o non imponibile, ovvero in quanto assoggettabile ad una aliquota inferiore rispetto a quella indicata erroneamente in fattura (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 20752 del 31107/2008; id. Sez. 5, Sentenza n. 12433 del 08/06/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 18425 del 26/10/2012). La Corte di Giustizia ha, peraltro, ritenuto pienamente compatibile con la VI direttiva 77/388/CEE e con i principi di neutralità, effettività e non discriminazione, una normativa nazionale ” in cui, da un lato, il prestatore che ha versato erroneamente l’ IVA alle autorità tributarie è legittimato a chiederne il rimborso e, dall’altro, il destinatario dei servizi può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del prestatore . Tale sistema infatti consente a detto destinatario gravato della imposta erroneamente fatturata di ottenere il rimborso delle somme indebitamente versate ” (cfr. Corte di Giustizia sentenza in data 15.3.2007, causa C-35/05, RAGIONE_SOCIALE, punto 39 e 42, citata anche dalla ricorrente), non potendo lo Stato membro impedire, tuttavia, al destinatario del servizio (o al cessionario) di conseguire la restituzione dell’importo della imposta indebitamente fatturata, direttamente dall’Amministrazione finanziaria nel caso in cui l’azione civilistica nei confronti del prestatore di servizi (o del cedente) ” risulti impossibile od eccessivamente difficile, segnatamente in caso di insolvenza del prestatore” (ibidem, punto 41 e 42).
1.6.Questi principi sono stati ribaditi recentemente dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 5 settembre 2024, nella causa C-83/23, H GmbH) che ha dichiarato che: «La direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2010/45/UE del Consiglio, del 13 luglio 2010, letta alla luce dei principi di effettività e di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), deve esser e interpretata nel senso che: il destinatario di una prestazione non può chiedere direttamente all’amministrazione tributaria dello Stato membro nel cui territorio è stabilito la restituzione dell’IVA che ha pagato al fornitore di tale prestazione, il qual e ha erroneamente fatturato l’IVA nazionale di tale Stato membro invece dell’IVA dovuta per legge in un altro Stato membro e l’ha riversata alle autorità tributarie del primo Stato membro nel caso in cui queste ultime abbiano già rimborsato l’IVA al fornit ore della prestazione sottoposto a una procedura di liquidazione ». Nella detta pronuncia la CGUE ha precisato che la giurisprudenza derivante dalla sentenza del 15 marzo 2007, RAGIONE_SOCIALE (C-35/05, EU:C:2007:167), non poteva essere applicata a una situazione come quella di cui al procedimento principale in quanto se, in caso di IVA indebitamente fatturata e pagata, un’amministrazione tributaria che, abbia già proceduto al rimborso dell’IVA su domanda del prestatore di servizi dovesse anch’e ssa rimborsare, in base alla giurisprudenza derivante dalla sentenza del 15 marzo 2007, RAGIONE_SOCIALE (C-35/05, EU:C:2007:167), tale IVA al destinatario di servizi, allora l’amministrazione tributaria sarebbe tenuta a rimborsare due volte l’I VA (punto 37). A questo proposito, la CGUE ha ricordato di «avere ripetutamente dichiarato che, quando un fornitore ha erroneamente fatturato e versato l’IVA, quest’ultima, in linea di principio, deve essere rimborsata a tale fornitore. Infatti, il diritto di ottenere il rimborso delle imposte riscosse da uno Stato membro in violazione di norme del diritto
dell’Unione costituisce la conseguenza e il complemento dei diritti attribuiti agli amministrati dalle disposizioni del diritto dell’Unione, nell’interpretazione loro data dalla Corte. Lo Stato membro in questione è quindi tenuto, in linea di principio, a rimborsare i tributi riscossi in violazione del diritto dell’Unione. La domanda di rimborso dell’IVA indebitamente versata rientra nel diritto alla ripetizione dell’indebito, che è inteso a rimediare alle conseguenze dell’incompatibilità dell’imposta con il diritto dell’Unione, neutralizzando l’onere economico che ha indebitamente gravato l’operatore che, in definitiva, l’ha effettivamente sopportata. Ebbene, il principio di neutralità dell’IVA, che è un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA, m ira a sgravare interamente il soggetto passivo dall’onere dell’IVA nell’ambito delle sue attività economiche (v., in tal senso, sentenza del 2 luglio 2020, Terracult, C-835/18, EU:C:2020:520, punti da 23 a 25) » (punto 38). Inoltre la CGUE ha ricordato che « la possibilità per l’acquirente o il destinatario di presentare la sua domanda di rimborso dell’IVA indebitamente fatturata e pagata «direttamente» all’amministrazione tributaria è un’eccezione e, come risulta dalla giurisprudenza citata al punto 33 della presente sentenza, è esperibile solo se il recupero di tale IVA presso il fornitore o il prestatore è impossibile o eccessivamente difficile, il che presuppone che l’acquirente o il destinatario non abbia trascurato alcuna possibilità di far valere i propri diritti al di fuori di tale situazione ». (punto 44)
1.7. Nella sentenza impugnata la CTR si è attenuta ai suddetti principi nell’avere ritenuto premessa la titolarità in capo al cedente dell’azione nei confronti dell’Amministrazione per il rimborso dell’ Iva indebitamente fatturata e pagata e l’estraneità dell’Amministrazione al rapporto tra cedente e cessionario con conseguente facoltà da parte del cessionario di richiedere al cedente il rimborso
di quanto indebitamente pagato senza che quest’ultimo possa opporgli di avere versato l’imposta all’Amministrazione -rientrare nell’ambito delle ‘mere asserzioni’ la dedotta impossibilità o eccessiva difficoltà del rimborso da parte del prestatore di servizi a favore del committente, con conseguente legittimità di quest’ultimo ad agire direttamente nei confronti dell’Amministrazione finanziaria , atteso che, ‘in mancanza di un tentativo da parte della società contribuente di ottenere dalla F.lli Romano la rifusione delle somme indebitamente corrisposte a titolo di Iva non era ravvisabile in concreto il presupposto dell’insolvenza del prestatore’; ciò conformemente alla giurisprudenza comunitaria so pra richiamata secondo cui, costituendo la possibilità di presentare domanda di rimborso da parte del committente/cessionario dell’IVA indebitamente fatturata e pagata «direttamente» a ll’ A mministrazione tributaria un’eccezione, il destinatario del servizio risulta legittimato a tale azione restitutoria soltanto nel caso in cui l ‘ azione civilistica -concretamente esperita – nei confronti del prestatore di servizi (o del cedente) risulti impossibile od eccessivamente difficile, segnatamente in caso di insolvenza del prestatore ; invero, l’impossibilità o eccessiva difficoltà va valutata non già ex ante in astratto ma ex post in concreto, all’esito di un effettivo tentativo di ottenere -mediante l’ esperimento dell’ azione civilisticala restituzione dal cedente/ prestatore dell’imposta indebitamente versata in rivalsa.
Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso per il giudizio per avere la CTR confermato la legittimità dei dinieghi di rimborso senza esaminare il fatto determinante e oggetto di discussione della dichiarazione di fallimento della società RAGIONE_SOCIALE incorporante la RAGIONE_SOCIALE con sentenza del Tribunale di Torino n. 208/2010 depositata il 28 settembre 2010 con conseguente impossibilità da parte della contribuente, stante lo stato di insolvenza del prestatore, di ottenere la restituzione dell’Iva corrisposta, in via di rivalsa, alla associata RAGIONE_SOCIALE
2.1.Il motivo si profila inammissibile in quanto, il vizio specifico denunciabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., così come riformulato dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. nella I. 7 agosto 2012, n. 134, richiede che il fatto asseritamente omesso sia un fatto storico, con la conseguenza che, a tali fini, non costituiscono fatti le deduzioni difensive e gli elementi istruttori (cfr. Cass., ord., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass. sez. 5, n. 18710 del 2022); sotto altro aspetto, si osserva che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo, per le ragioni suindicate ad un vizio inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (cfr. Cass. 10 giugno 2016, n. 11892; Sez. 5, Ordinanza n. 24584 del 2023). Nella specie, risulta evidente che la ricorrente mira, in realtà, sotto l’apparente vizio dell’omesso esame di un fatto decisivo, ad ottenere una “revisione” del giudizio di merito, con particolare riguardo alla dichiarazione di fallimento nel 2010 della società RAGIONE_SOCIALE incorporante la RAGIONE_SOCIALE che è stata specificamente apprezzata dalla CTR ritenendola di per sé inidonea ad integrare lo stato di insolvenza ( ex post e in concreto) atto a giustificare la legittimazione in capo alla contribuente a presentar e la domanda di rimborso dell’Iva indebitamente corrisposta direttamente nei confronti dell’Amministrazione.
2.2.Peraltro, il motivo è altresì inammissibile anche perché in presenza di una cd. doppia conforme di merito, la ricorrente, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 348 -ter, quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83/2012, conv., con modif., dalla l. n. 134/2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11/09/2012, come nel caso di specie), deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 06/05/2020, n. 8515; Cass., sez. 5, Sentenza n. 35893 del 2023), il che non è avvenuto nel caso in esame emergendo comunque dal contenuto del ricorso che identica è la quaestio facti esaminata dalle due commissioni.
3. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 115 c.p.c. per avere la CTR negato la legittimazione attiva di RAGIONE_SOCIALE a richiedere direttamente all’Amministrazione il rimborso dell’Iva – versata, in via di rivalsa, a RAGIONE_SOCIALE e poi pagata in forza degli avvisi di accertamento divenuti definitivi (con i quali era stata ripresa l’imposta indebitamente detratta sulle fatture emesse dalle associate in partecipazione)- in quanto non sarebbe stata dimostrata l’ insolvenza di RAGIONE_SOCIALE sebbene fosse incontestato che la RAGIONE_SOCIALE, incorporante RAGIONE_SOCIALE era stata dichiarata fallita – essendo risultata in stato di insolvenza – con sentenza del Tribunale di Torino n. 208/2010 depositata il 28 settembre 2010 e che – come dedotto fin dal ricorso introduttivo- RAGIONE_SOCIALE era stata cancellata dal Registro delle imprese nel 2009 in quanto incorporata da RAGIONE_SOCIALE (poi dichiarata fallita nel 2010).
Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 e 132 c.p.c. per avere la CTR, con una motivazione apparente, negato che RAGIONE_SOCIALE avesse provato l’esistenza di uno stato di insolvenza del proprio prestatore sebbene la contribuente avesse provato l’impossibilità o eccessiva difficoltà a recuperare l’Iva indebitamente versata in via di rivalsa essendo stata RAGIONE_SOCIALE cancellata dal registro delle imprese in quanto incorporata nella RAGIONE_SOCIALE e quest’ultima dichiarata fallita nel 2010.
5.I motivi terzo e quarto – da trattare congiuntamente per connessione – sono inammissibili per le ragioni di seguito indicate.
5.1.In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di
convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. ( Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020). 5.2.Nella specie, il terzo motivo mira a porre in discussione l’apprezzamento del giudice di merito circa la mancata dimostrazione – in mancanza a monte di un tentativo da parte della società contribuente di ottenere, attraverso l’esperimento delle azioni ordinariamente previste dall’ordin amento giuridico, la restituzione dal prestatore dell’imposta pagata in via di rivalsa del presupposto dello stato di insolvenza – in concreto e ex postatto a legittimare la contribuente alla presentazione della domanda di rimborso direttamente all’Amministrazione finanziaria non essendo a tal fine sufficiente la dichiarazione di fallimento avvenuta con sentenza del 2010 di RAGIONE_SOCIALE incorporante RAGIONE_SOCIALE
5.3.Il quarto motivo si profila parimenti inammissibile non cogliendo la ratio decidendi , in quanto la CTR lungi dall’avere negato la prova da parte di RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE dell’esistenza di uno stato di insolvenza del proprio prestatore ravvisabile nella dichiarazione di fallimento nel 2010 di RAGIONE_SOCIALE, incorporante RAGIONE_SOCIALE -ha ritenuto non dimostrata dalla contribuente – in mancanza del previo tentativo, mediante l’azione civilistica, di ottenere la restituzione dell’Iva nei confronti del prestatore -l’esistenza del presupposto dell o stato di insolvenza in concreto e ex post atto a legittimare la presentazione da parte della stessa della domanda di rimborso dell’imposta direttamente nei confronti dell’Amministrazione.
6 . Con il quinto motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso per il giudizio per avere la CTR confermato la legittimità dei dinieghi di rimborso senza esaminare il fatto determinante e oggetto di discussione che gli avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio aveva contestato a GEFIM l’illegittima detrazione dell’Iva addebitatale in via di rivalsa da RAGIONE_SOCIALE Romeo sulla base dei contratti di associazione in partecipazione erano divenuti definitivi posteriormente (2013) rispetto alla dichiarazione di fallimento dell’incorporante RAGIONE_SOCIALE (2010) con la conseguenza che la contribuente non avrebbe potuto esercitare previamente nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE un’azione civile di ripetizione delle somme indebitamente corrisposte in rivalsa a titolo di Iva mancando ancora a suo carico un nocumento patrimoniale definitivo, concretizzatosi al momento del deposito nel 2013 delle sentenze della Corte di cassazione a chiusura del contenzioso avente ad oggetto l’impugnativa degli avvisi di accertamento (con i quali era stata recuperata l’Iva indebitamente detratta dalla società).
6.1.Il motivo è inammissibile.
6.2.L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla I. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass., sez. 2, 14/06/2017, n. 14802; n. 2785 del 2021).
6.3.La censura formulata dalla ricorrente non riguarda l ‘ omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ma la valutazione di deduzioni difensive svolte nel giudizio di merito circa la posteriorità della definitività (2013) degli avvisi di accertamento (con i quali era stata ripresa l’Iva illegittimamente detratta dalla contribuente sulle fatture emesse dalle società associate in partecipazione in ordine ad operazioni esenti da imposta) rispetto alla dichiarazione di fallimento dell’incorporant e RAGIONE_SOCIALE (2010) con assunto titolo della contribuente per esercitare l’azione di ripetizione dell’indebito nei confronti di F.lli COGNOME solo al momento del deposito delle sentenze della Corte di cassazione.
6.4.Peraltro, un ulteriore profilo di inammissibilità del motivo discende anche dall’applicabilità alla sentenza impugnata della regola della pronuncia c.d. «doppia conforme» di cui all’art. 348ter c.p.c.
7.In conclusione, il ricorso va rigettato.
8.Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 10.600,00 per compensi oltre spese prenotate a debito;
Dà atto, ai sensi dell’art.13 comma 1quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 30 gennaio 2025