Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6733 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 6733 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 19473 -20 23 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del dott. NOME COGNOME Consigliere delegato (giusta delibera del Consiglio di Amministrazione del 17.04.2023), rappresentata e difesa, per procura speciale in atti, dagli avv.ti prof. NOME COGNOME (P.E.C.: EMAIL e NOME COGNOME (P.E.C.: EMAIL;
– ricorrente –
Oggetto: TRIBUTI -oneri generali di sistema elettrico (OGSE) – rimborso IVA -consumatore finale
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 670/26/2023 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della LOMBARDIA, depositata in data 20/02/2023; udita la relazione svolta alla pubblica udienza del giorno 11/12/2024 dal Cons. NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo disporsi il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE.
uditi, per la società ricorrente, gli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato dello Stato dott.ssa NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
La società contribuente RAGIONE_SOCIALE avanzava cinque istanze di rimborso dell’IVA applicata sugli oneri generali afferenti al sistema elettrico (cd. OGSE), esposta nelle fatture di fornitura di energia elettrica relative agli anni d’imposta 2016, 2017 e 2018.
A seguito del rigetto di tre delle predette istanze e del silenzio rifiuto formatosi in relazione alle altre due, la società contribuente proponeva ricorso dinanzi alla CTP (ora Corte di giustizia tributaria di primo grado) di Bergamo che, riuniti i ricorsi, li accoglieva disponendo il rimborso delle somme versate a titolo di IVA a favore della società contribuente.
L’appello proposto dall’Agenzia delle entrate veniva accolto dalla CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) della Lombardia con la sentenza qui impugnata. Secondo i giudici di
appello la società contribuente, quale cessionaria/committente, era priva di legittimazione ad agire nei confronti dell’amministrazione finanziaria, che spettava, invece, soltanto al cedente/prestatore del servizio. E ciò alla stregua del l’orientamento di legittimità in materia di rapporti tra cedente/prestatore, cessionario/committente e fisco, secondo cui, fatta eccezione per l’IVA di rivalsa che si riflette sulla liquidazione finale dell’imposta, determinando un’eccedenza rimborsabile, soltanto il cedente/prestatore ha titolo ad agire per il rimborso nei confronti dell’amministrazione, la quale, pertanto, essendo estranea al rapporto tra cedente/prestatore e cessionario/committente, non può essere tenuta a rimborsare direttamente a quest’ultimo quanto dallo stesso versato in via di rivalsa (al riguardo citava Cass. 6 luglio 2011, n. 14933; 26 agosto 2015, n. 17169; con riferimento alla triplice natura dei rapporti che derivano dalla medesima operazione economica, sez. un., 20 luglio 2017, n. 26437).
Avverso la sentenza d’appello la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui replica l’intimata con controricorso . Entrambe le parti depositano memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli art. 96 e 167 della Direttiva 2006/112/CE, 17 e 18 del d.P.R. n. 633 del 1972, 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 e 24 Cost.
1.1. La ricorrente censura la sentenza impugnata per avere concluso «che RAGIONE_SOCIALE COGNOME non potesse richiedere direttamente all’Amministrazione finanziaria il rimborso dell’i.v.a. assolta in rivalsa sulle fatture relative al servizio di somministrazione di energia elettrica».
1.2. Sostiene al riguardo:
che sul tema degli strumenti atti a garantire l’effettività del sistema di restituzione dell’i.v.a. indebita assolta in rivalsa dagli operatori economici, che costituisce il cuore della quaestio iuris del presente giudizio di cassazione, oltre alla statuizione impugnata non era condivisibile neppure l’ordinanza di questa Corte n. 19837 del 2023 che, occupandosi di una fattispecie del tutto analoga (rimborso dell’IVA erroneamente applicata e versata sug li oneri generali di sistema afferenti al sistema elettrico), aveva affermato che «Il cessionario non è legittimato a richiedere al fisco il rimborso dell’IVA di rivalsa che assume indebitamente assolta, salvo che la stessa si rifletta sulla liquidazione finale dell’imposta, determinando un’eccedenza rimborsabile»;
che non poteva condividersi la tesi sostenuta nella citata ordinanza, ovvero che l’amministrazione finanziaria assumerebbe nei confronti del cessionario/committente la posizione di debitore di seconda istanza o, comunque, eventuale, ossia per le ipotesi in cui per quest’ultimo sia impossibile o estremamente difficile il recupero dell’imposta nei confronti del ceden te/prestatore, in quanto rappresentava una lettura che non entrava nel merito delle affermazioni della Corte di Giustizia U.E. e nelle loro effettive implicazioni;
che, infatti, ammettere che un soggetto pubblico, ente esponenziale di interessi collettivi e gestore di finanza pubblica, possa legittimamente intervenire per far fronte all’incapienza di un privato nell’ambito di un rapporto privatistico è argomentazione inconciliabil e con i principi dell’ordinamento, essendo evidente invece il contrario, ovvero che l’intervento del soggetto pubblico nell’attuazione di un rapporto obbligatorio non può avere altra giustificazione che la natura pubblicistica dell’obbligaz ione di restituzione dell’indebito;
che l’indiscutibile portato della giurisprudenza unionale è nel senso che l’indebito versamento dell’i.v.a. in via di rivalsa costituisce un’obbligazione tributaria oggetto di un rapporto pubblicistico (così come, d’altronde, lo è lo stesso esercizio della riv alsa), sicché la legittimazione passiva ‘ordinaria’ non può che far capo all’ amministrazione finanziaria, soffermandosi la giurisprudenza unionale non sulla titolarità dell’obbligazione, ma sui modi per farla valere e, al riguardo affermando solo la non-incompatibilità con il sistema di una ‘modalità applicativa’ del diritto di restituzione dell’indebito che faccia perno sul rapporto diretto esistente fra cedente/prestatore e cessionario/committente;
che, pertanto, l’azione civilistica di ripetizione dell’imposta indebitamente pagata deve essere servente rispetto ad una ‘sostanza’ che è quella della natura tributaria del diritto di rimborso azionato, così da operare soltanto quando quella modalità si inceppi come nelle ipotesi di insolvenza del privato, sicché per introdurre una ‘modalità operativa’ facente perno sul rapporto diretto cedente/prestatore e cessionario/committente, che è derogatorio alla normale responsabilità dell’amministrazione finanziaria nascente da un rapporto pienamente tributario, vi è necessità di una disposizione espressa , che invece non è rinvenibile nell’ordinamento;
-che l’assenza di un sistema di norme idonee a garantire che il cedente rimanga indenne dall’onere subìto è la più evidente dimostrazione del fatto che il nostro ordinamento non prevede un rapporto esclusivo fra cedente e prestatore, pena, diversamente, la violazione dei principi unionali di neutralità ed effettività delle imposte armonizzate;
che la diversa e opposta conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata, come pure la sopra citata ordinanza di questa Corte, e consistente nel riconoscere comunque la legittimazione passiva solo del cedente/prestatore anche in assenza di una
compiuta regolamentazione dell’insieme dei rapporti che si vengono così a creare, configurerebbe una condizione di incompatibilità del nostro sistema con i principi unionali suscettibile di censura da parte della CGUE che giustifica la domanda di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 del T.F.U.E., al fine di valutare «se possa ritenersi conforme ai principi di neutralità e di effettività in materia di i.v.a. un ordinamento che, interpretato nel senso di attribuire esclusivamente al cedente il dovere di rimborsare al cessionario quanto da quest’ultimo indebitamente versato in via di rivalsa, non disciplini adeguati strumenti volti ad evitare che il cedente (i) debba anticipare le somme richieste dal cessionario per un lasso di tempo sostanzialmente indeterminato, (ii) senza avere la certezza che l’eventuale condanna al rimborso decretata dal giudice civile possa costituire un valido titolo per recuperare le somme in discorso presso l’Agenzia delle Entrate’.
2. Come correttamente premesso dallo stesso ricorrente, nel presente giudizio non viene in rilievo la questione se gli oneri generali afferenti al sistema elettrico (OGSE) possano o meno far parte della base imponibile ai fini iva in caso di somministrazione di energia elettrica e, dunque, se siano o meno un costo della prestazione di servizi ricevuta dalle società fornitrici. Quello che qui rileva è solo ed esclusivamente la questione se, nell’ambito di un contratto di fornitura di energia elettrica, sussista o meno un diritto sostanziale del cessionario/committente a proporre l’azione di ripetizione di un’imposta non dovuta, direttamente nei confronti dell’amministrazione finanziaria , avvertendosi che nella specie il predetto soggetto ha un rapporto diretto con quest’ultima essendo, a propria volta, un soggetto passivo ai fini IVA che, però, non può esercitare il diritto alla detrazione in quanto svolgente attività (in materia sanitaria) esente ai fini della predetta imposta, sicché non
potrebbe neutralizzare gli effetti di quella indebita imposizione mediante il meccanismo della detrazione.
Il motivo è infondato.
3.1. In materia di rimborso dell’IVA indebitamente versata, è affermazione reiterata della giurisprudenza unionale quella secondo cui, «in mancanza di disciplina comunitaria in materia di domande di rimborso delle imposte, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti al ricorrere dei quali tali domande possano essere presentate, purché i requisiti in questione rispettino i principi di equivalenza e di effettività, vale a dire, non siano meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi di natura interna e non siano congegnati in modo da rendere praticamente impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (v., in particolare, sentenze 17 giugno 2004, causa C-30/02, RAGIONE_SOCIALE, Racc. pag. I-6051, punto 17, e 6 ottobre 2005, causa C-291/03, RAGIONE_SOCIALE, Racc. pag. I-8477, punto 17)» (così CGUE, sentenza del 15 marzo 2007, RAGIONE_SOCIALE, C-35/05, EU:C:2007:167, p. 37; da ultimo, CGUE, sentenza 11 aprile 2024, RAGIONE_SOCIALE, C-316/22, p. 33).
3.2. Si è quindi affermato che «i principi di neutralità, effettività e non discriminazione non ostano ad una legislazione nazionale, quale quella in esame nella causa principale», ovvero quella italiana, «secondo cui soltanto il prestatore di servizi è legittimato a chiedere il rimborso delle somme indebitamente versate alle autorità tributarie a titolo di IVA, mentre il destinatario dei servizi può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del prestatore. Tuttavia, nel caso in cui il rimborso dell’IVA divenga impossibile o eccessivamente difficile, gli Stati membri devono prevedere, in ossequio al principio di effettività, gli strumenti necessari per consentire a tale destinatario di recuperare l’imposta
indebitamente fatturata» (CGUE, sentenza del 15 marzo 2007, RAGIONE_SOCIALE, C-35/05, EU:C:2007:167, punto 42; da ultimo, sentenza 11 aprile 2024 RAGIONE_SOCIALE, C316/22, p. 33).
3.3. Il difetto di legittimazione del consumatore finale ad agire direttamente nei confronti dell’amministrazione finanziaria, fatte salve le ipotesi di impossibilità od eccessiva difficoltà ad ottenere il rimborso direttamente dal fornitore, che discende dalle citate pronunce e costantemente affermata da questa Corte (cfr., ex multis , Cass. n. 34957/2021; Cass. n. 2422072023), ha trovato deroga nella sentenza della Corte di giustizia unionale da ultimo richiamata (sentenza 11 aprile 2024 Gabel Industria Tessile, C316/22) che ha affermato che «Il principio di effettività deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che non permette al consumatore finale di chiedere direttamente allo Stato membro il rimborso dell’onere economico supplementare sopportato a causa della ripercussione operata da un fornitore, in base ad una facoltà riconosciutagli dalla normativa nazionale, di un’imposta che tale fornitore aveva indebitamente versato, consentendogli unicamente di intentare un’azione civilistica per la ripetizione dell’indebito contro detto fornitore, qualora il carattere indebito di tale versamento sia la conseguenza della contrarietà dell’imposta in parola ad una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non trasposta o non correttamente trasposta e tale motivo di illegittimità non possa essere validamente invocato nell’ambito di tale azione, in ragione dell’impossibilità di invocare in quanto tale una direttiva in una controversia tra privati».
3.4. In buona sostanza, la Corte di giustizia, pur confermando che il destinatario dei servizi può richiedere il rimborso dell’IVA indebitamente versata unicamente al prestatore esercitando con la relativa azione di ripetizione dell’indebito, mentre non può rivolgersi
direttamente all’amministrazione finanziaria se non nelle limitate ipotesi di cui si è detto sopra, ha riconosciuto al consumatore finale il diritto a rivolgere direttamente a tale amministrazione l’istanza di rimborso di una imposta contraria «ad una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non trasposta o non correttamente trasposta» e ciò per l’evidente ragione che tale direttiva non può essere validamente invocata nell’ambito di un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito co ntro il fornitore (cd. inefficacia «orizzontale» o diretta di una direttiva non attuata, costantemente affermata dalla Corte unionale -cfr. CGUE, C316/22, punto 27; CGUE, 22 dicembre 2022, RAGIONE_SOCIALE e Commune de Farciennes, C-383/21 e C-384/21, punto 36, CGUE; 22 novembre 2017, Cussens, C-251/16, punto 26; CGUE, 12 dicembre 2013, Portgás, C-425/12, punti 18 e 22, richiamati in Cass. n. 24208/2024).
3.5. Sulla base di tale pronuncia questa Corte nella sentenza da ultimo citata ha affermato che, in presenza di una imposta incompatibile con il diritto dell’Unione, a causa di una direttiva non attuata o, come nel caso ivi esaminato, solo tardivamente attuata dallo Stato italiano, ripercossa a titolo di rivalsa dal fornitore sul consumatore finale, costituisce titolo per procedere nei confronti dell’ente impositore con azione di ripetizione di indebito oggettivo, stante l ‘impossibilità per il consumatore finale di invocare nei confronti del fornitore (in quel caso, di energia elettrica) l’efficacia orizzontale della direttiva tardivamente attuata dallo Stato italiano.
3.6. Ma non è questa la fattispecie che ci occupa, posto che gli oneri generali di sistema non sono affatto incompatibili con il diritto unionale, come confermato dal fatto che la Corte di giustizia UE si è anche occupata della loro natura giuridica (cfr. CGUE, sentenza 18 gennaio 2017, nella causa C-189/2015, IRCCS Santa Lucia) e ciò
pure ha fatto questa Corte in sede di regolamento di giurisdizione (cfr. Cass. Sez. U., n. 35282/2023).
Ritiene, infine, il Collegio che non sussistono i presupposti per la rimessione della questione alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE, giacché la questione posta nel presente giudizio è stata già ampiamente esaminata da quella Corte e risolta nel senso di cui si è detto sopra (paragrafi 3.1. e 3.2.), con orientamento consolidato non scalfito dalle argomentazioni svolte nel ricorso, nemmeno quelle prospettate con riferimento alla posizione esclusiva del fornitore e agli eventuali ‘inconvenienti’ che si po trebbero verificare per tale soggetto, in quanto non aventi rilievo in questo giudizio ed in ogni caso non idonee a giustificare la necessità di un’azione diretta del consumatore finale nei confronti dell’amministrazione finanziaria.
In estrema sintesi, il ricorso va rigettato con compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità in considerazione della novità della questione trattata.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma in data 11 dicembre 2024