Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13338 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 13338 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/05/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 5280/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO PIEMONTE n. 369/2023 depositata il 05/09/2023.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Uditi l’avv. dello Stato NOME COGNOME per la ricorrente e l’avv. prof. NOME COGNOME per la controricorrente.
FATTI DICAUSA
L’Agenzia delle entrate ha impugnato la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Torino n. 323/2022, che aveva accolto il ricorso della Intesa San Paolo spa contro il diniego di rimborso dell’importo pagato in via di rivalsa, per l’anno 2018, alla s ocietà RAGIONE_SOCIALE a seguito dell’erronea inclusione, nella base imponibile ai fini IVA degli oneri generali del servizio elettrico (cc.dd. OGSE).
La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (CGT2) del Piemonte, con la sentenza in epigrafe, ha respinto l’appello.
3. La CGT2 ha osservato:
quanto alla legittimazione, si deve distinguere il cessionario, consumatore del servizio o del bene ceduto, sul quale l’imposta grava a titolo di rivalsa e che resta inciso dall’imposta, dal cessionario che acquista beni nell’esercizio di una attività di impresa e attraverso la rivalsa trasferisce l’imposta sulle cessioni ‘a valle’: costui è legittimato a chiedere direttamente all’Erario il rimborso delle somme indebitamente versate, promuovendo la controversia tributaria;
b) gli OGSE non costituiscono il corrispettivo pagato dall’utente al fornitore nell’ambito del rapporto contrattuale che li lega ma configurano oneri economici posti dalla legge a carico dell’utente che il fornitore si limita a riscuotere per poi versarli alla competente Autorità; pertanto, come affermato anche dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, gli OGSE non rientrano nella nozione di base imponibile di cui all’art. 13 del d.P.R. n. 633/1972, trattandosi di somme riscosse dal fornitore al cliente nell’interesse dell’Erario, senza alcuna funzione di corrispettivo per i beni o servizi ceduti dal fornitore stesso.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate che si è affidata a tre motivi.
Ha resistito con controricorso la società.
Le parti hanno depositato memorie, così come il PG.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. , violazione e falsa applicazione degli artt. 17 comma 1, 18 comma 1 e 30 -ter comma 2 del d.P.R. n. 633/1972, laddove la CGT2 ha affermato la legittimazione della cessionaria a far valere il diritto al rimborso della rivalsa indebitamente versata, dovendo la società eventualmente esperire nei confronti del cedente un’azione di ripetizione d’indebito di natura civilistica.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 13 comma 1 del d.P.R. n. 633/1972 , perché la sentenza d’appello ha erroneamente escluso gli OGSE dalla base imponibile ai fini IVA che ricomprende, invece, tutti gli elementi che, pur non rappresentando un valore aggiunto e non costituendo il corrispettivo economico della cessione del bene, presentano un legame diretto con l’operazione economica.
Con il terzo motivo, in subordine, si deduce, in relazione dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per motivazione apparente.
Il primo motivo è fondato, gli altri restano assorbiti.
Va premesso che la censura non riguarda il profilo della legittimazione in senso processuale, che non può che spettare alla società quale destinataria dell’atto impugnato, ma quello del la legitimatio ad causam in senso sostanziale, che concerne « l’individuazione della giusta parte che agisce in una determinata controversia, o nella medesima viene evocata » (Cass. sez. un. n.
26019 del 2008) e attiene al « rapporto controverso » (v. Cass. n. 9059 del 2005). Ciò chiarito, l’osservazione della controricorrente, secondo cui, avendo provveduto a versare l’IVA direttamente all’Erario attraverso il meccanismo del c.d. split payment di cui all’art. 17 ter , comma 1-bis, del d.P.R. n. 633/1972, la società sarebbe pienamente legittimata ad agire nei confronti dello stesso per la ripetizione di quanto versato indebitamente, è infondata. Invero, p osto che si discute della legittimazione ad agire sul piano sostanziale, tale titolo non può che spettare a chi di quel rapporto è parte dal lato passivo.
5.1. Parte del rapporto non è certamente la società cessionaria e committente, nonostante il versamento dell’IVA dovuta in rivalsa direttamente all’Erario. Ciò si evince dalla lettera della norma che, pur stabilendo che l’imposta sia « in ogni caso versata dai medesimi secondo modalità e termini fissati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze », espressamente prevede che costoro « non sono debitori d’imposta ai sensi delle disposizioni in materia d’imposta sul valore aggiunto »; si tratta di una « misura speciale di deroga agli articoli 206 e 226 della direttiva 2006/112/CE in relazione alle modalità di pagamento e di fatturazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) » (v. Decisione di esecuzione (UE) 2015/1401 del Consiglio del 14 luglio 2015), che introduce un meccanismo di scissione dei pagamenti ma non fa venire meno in capo al fornitore la qualifica di debitore dell’imposta in relazione all’operazione effettuata, incidendo solo sulla riscossione dell’IVA e non sull’applicazione dell’imposta, cosicché il cedente o prestatore mantiene la qualifica di debitore dell’imposta per l’operazione effettuata e il pagamento effettuato dal cessionario o committente, nei rapporti con l’Erario, va imputato al primo (cfr. Risposta n. 436/2019 e Circolare n. 15/E del 13 aprile 2015 dell’Agenzia delle entrate). A differenza del reverse charge, che attribuisce al cessionario o committente la qualità di debitore
d’imposta, lo split payment ha solo lo scopo di semplificare la riscossione dell’IVA senza modificare il ruolo delle parti.
5.2. Questa interpretazione non si pone in contraddizione con la Risoluzione n. 79/E del 21.12.2020, richiamata dalla controricorrente, con la quale si è consentito al committente/cessionario in regime di split payment (si trattava, in quel caso, di un Ente pubblico) di chiedere il rimborso dell’imposta versata in eccedenza all’Agenzia nei casi in cui il prestatore/cedente non emette nota di variazione ex art. 26 d.P.R. n. 633/1972, perché tale omissione impedisce al primo di « computare maggiori versamenti effettuati a titolo di Iva a scomputo dei successivi versamenti Iva da effettuare nell’ambito del meccanismo della scissione dei pagamenti »; si tratta di ipotesi residuale ed eccezionale, riscontrabile nei casi di « soggetto che si rende irreperibile, avvenuta cessazione della partita Iva dell’impresa, o imprenditore individuale deceduto senza prosecuzione dell’attività da parte degli eredi, e, comunque, tutte le casisti che in cui l’app altatore non emettesse fattura per volontà contraria », in linea con il principio generale secondo cui l’azione diretta di rimborso del cessionario nei confronti dell’Erario è ammissibile soltanto quando il rimborso dell’IVA da parte del cedente «divenga impossibile o eccessivamente difficile» (v., infra , par. 7 e segg.).
Tanto premesso, come noto, secondo la tradizionale ricostruzione dei rapporti in tema di IVA dal compimento di un’operazione imponibile discendono tre rapporti fra di loro autonomi: l’uno tra l’amministrazione finanziaria e il cedente, relativamente al pagamento dell’imposta, l’altro tra il cedente ed il cessionario, in ordine alla rivalsa, e il terzo tra l’amministrazione ed il cessionario, soggetto IVA, per ciò che attiene alla detrazione dell’imposta assolta in via di rivalsa. Questi rapporti, pur essendo collegati, non interferiscono tra loro: pertanto, il cedente non può
opporre al cessionario, il quale agisca nei suoi confronti per restituzione dell’indebito, l’avvenuto versamento dell’imposta; il cessionario non può opporre all’amministrazione, che escluda la detrazione dell’imposta erroneamente liquidata in fattura, che l’imposta è stata assolta in via di rivalsa e versata all’amministrazione medesima; il prestatore che abbia proceduto, in favore dell’erario, a un versamento iva superiore al dovuto è legittimato a pretendere il rimborso dall’amministrazione finanziaria, non ostandovi la circostanza che abbia recuperato mediante rivalsa la pretesa eccedenza d’imposta dal committente (v. Cass. n. 4020 del 2012; Cass. n.780 del 2017; Cass. n. 23288 del 2018).
6.1. Quindi, soltanto il cedente del bene o il prestatore del servizio che abbia effettuato in favore dell’erario un versamento IVA superiore al dovuto è legittimato a pretendere il rimborso dall’Amministrazione finanziaria (v. Cass. n. 5094 del 2005; Cass. n. 2274 del 2004, Cass. n. 5427 del 2000), la quale, essendo estranea al rapporto tra cedente/prestatore e cessionario/committente, non può essere tenuta a rimborsare direttamente a quest’ultimo quanto dallo stesso versato in via di rivalsa (Cass. n. 14933 del 2011; Cass. n. 17169 del 2015). Nel caso in esame, invece, il soggetto che ha assolto l’IVA in rivalsa nei confronti del soggetto passivo (emittente la fattura), sul presupposto del parziale o totale pagamento indebito di detta somma (in quanto l’imposta liquidata in fattura non era dovuta in parte per calcolo asseritamente errato della base imponibile), ne ha chiesto la restituzione, anziché al soggetto passivo, direttamente al fisco. Invece, il diritto al rimborso va « ancorato all’esistenza di un versamento indebito alle autorità tributarie, da parte di un soggetto passivo, di una somma a titolo di IVA: alla base del diritto alla ripetizione è quindi il carattere indebito dell’iva, di modo che l’onere economico che ne deriva da tale versamento va neutralizzato nei
confronti di tale soggetto passivo» (Cass. n. 23288 del 2018; in termini, CGUE, 14 giugno 2017, causa C -38/16, RAGIONE_SOCIALE. L’applicazione (indebita) della rivalsa non legittima il cessionario/committente al rimborso nei confronti dell’Erario, essendo la rivalsa nell’IVA tendenzialmente estranea alla struttura giuridica del tributo: essa non concorre a determinare la capacità contributiva del contribuente e l’eventuale mancato esercizio della rivalsa (comportamento anomalo per la struttura dell’imposta) non potrebbe costituire fatto impeditivo al sorgere dell’obbligazione tributaria (Cass. n. 19837 del 2023). La rivalsa opera sul piano civilistico tra prestatore (emittente) e cessionario e, anche nel caso in cui fosse mancato ab origine l’esercizio della rivalsa (in caso di pagamento della prestazione da parte del consumatore finale), ciò sarebbe indifferente per l’ordinamento, rimanendo l’emittente (prestatore) collettore dell’IVA per conto dell’Erario ex art. 193 Dir. 2006/112/CE, salva la riduzione della base imponibile in caso di mancato pagamento (CGUE, 9 febbraio 2023, Euler RAGIONE_SOCIALE, C -482/21, punto 32).
7. Con riguardo a tale assetto la giurisprudenza unionale ha affermato che « in mancanza di disciplina comunitaria in materia di domande di rimborso delle imposte, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti al ricorrere dei quali tali domande possano essere presentate, purché i requisiti in questione rispettino i principi di equivalenza e di effettività, cioè non siano meno favorevoli di quelli che riguardano reclami analoghi di natura interna e non siano congegnati in modo da rendere praticamente impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (cfr. sentenze 17 giugno 2004, causa C -30/02, RAGIONE_SOCIALE, Racc. pag. I -6051, punto 17, e 6 ottobre 2005, causa C -291/03, RAGIONE_SOCIALE, Racc. pag. I -8477, punto 17) » (così CGUE, 15 marzo 2007, RAGIONE_SOCIALE, C -35/05, p. 37; da ultimo, CGUE, 11 aprile
2024, RAGIONE_SOCIALE, C -316/22, p. 33). Si è quindi affermato che « i principi di neutralità, effettività e non discriminazione non ostano ad una legislazione nazionale, quale quella in esame nella causa principale », ovvero quella italiana, « secondo cui soltanto il prestatore di servizi è legittimato a chiedere il rimborso delle somme indebitamente versate alle autorità tributarie a titolo di IVA, mentre il destinatario dei servizi può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del prestatore. Tuttavia, nel caso in cui il rimborso dell’IVA divenga impossibile o eccessivamente difficile, gli Stati membri devono prevedere, in ossequio al principio di effettività, gli strumenti necessari per consentire a tale destinatario di recuperare l’imposta indebitamente fatturata » (CGUE, 15 marzo 2007, RAGIONE_SOCIALE, C -35/05, punto 42; CGUE, 11 aprile 2024 Gabel Industria Tessile, C -316/22, p. 33).
Alla base del diritto alla ripetizione è il carattere indebito del versamento di IVA non dovuta, di modo che l’onere economico che ne deriva va neutralizzato nei confronti del soggetto passivo (in termini, CGUE, 14 giugno 2017, causa C -38/16, RAGIONE_SOCIALE, punto 37), secondo il citato distinguo tra i rapporti che si profilano in caso di realizzazione di una operazione rilevante ai fini IVA (uno, tra l’amministrazione finanziaria e il cedente, relativo al pagamento dell’imposta; un secondo, tra il cedente e il cessionario, concernente la rivalsa; un terzo, tra l’amministrazione e il cessionario, relativo alla detrazione dell’imposta assolta in via di rivalsa), rapporti che, pur essendo collegati, non interferiscono tra loro, cosicché il fruitore dei beni o dei servizi può dunque ottenere il rimborso dell’imposta illegittimamente versata esperendo nei confronti del cedente o del prestatore un’azione di ripetizione d’indebito di rilevanza civilistica (vedi, in tema di IVA, CGUE, 15 dicembre 2011, causa C -427/10, Banca Popolare Antoniana Veneta, punto 42 e, in tema di accise, CGUE, 20 ottobre 2011,
causa C -94/10, COGNOME). Né tale configurazione è posta in crisi dalla recente sentenza della Corte di giustizia, 5 settembre 2024, C -83/23, H Gmbh, in cui si parla di « consueta catena di rimborso » (punto 41) ; tale efficace descrizione riguarda, appunto, il profilo del rimborso, aggiungendosi infatti che in quel caso ‘la catena’ « era gravemente perturbata, se non addirittura interrotta, a causa del fatto che il fornitore era in liquidazione, cosicché l’IVA che doveva essergli rimborsata dall’amministrazione tributaria sarebbe caduta nella massa fallimentare e rischiava di non essere rimborsata all’acquirente» .
Questa pronuncia resta, quindi, nell’alveo di quell’orientamento consolidato secondo cui soltanto se il rimborso risulti impossibile o eccessivamente difficile, il principio di effettività può imporre che l’acquirente del bene in questione sia legittimato ad agire per il rimborso direttamente nei confronti delle autorità tributarie (come nel caso di fallimento del venditore: CGUE, 26 aprile 2017, C -564/15, Farkas; conf., CGUE, 31 maggio 2018, cause C -660 e 661/16, COGNOME e COGNOME, punto 66). La stessa sentenza C -83/23, H Gmbh, ha ribadito che la possibilità per l’acquirente o il destinatario di presentare la sua domanda di rimborso dell’IVA indebitamente fatturata e pagata « direttamente » all’amministrazione tributaria costituisce una « eccezione », che è « esperibile solo se il recupero di tale IVA presso il fornitore o il prestatore è impossibile o eccessivamente difficile, il che presuppone che l’acquirente o il destinatario non abbia trascurato alcuna possibilità di far valere i propri diritti al di fuori di tale situazione » (punto 44), ma anche in questa evenienza il destinatario della prestazione non può chiedere direttamente all’amministrazione tributaria dello Stato membro la restituzione dell’IVA che ha pagato al fornitore di tale prestazione quando questo Stato abbia già rimborsato l’IVA al fornitore della
prestazione sottoposto a una procedura di liquidazione (CGUE, 5 settembre 2024, in causa C -83/23, H Gmbh).
10. Recentemente, la Corte di giustizia ha altresì affermato che « Il principio di effettività deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che non permette al consumatore finale di chiedere direttamente allo Stato membro il rimborso dell’onere economico supplementare sopportato a causa della ripercussione operata da un fornitore, in base ad una facoltà riconosciutagli dalla normativa nazionale, di un’imposta che tale fornitore aveva indebitamente versato, consentendogli unicamente di intentare un’azione civilistica per la ripetizione dell’indebito contro detto fornitore, qualora il carattere indebito di tale versamento sia la conseguenza della contrarietà dell’imposta in parola ad una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non trasposta o non correttamente trasposta e tale motivo di illegittimità non possa essere validamente invocato nell’ambito di tale azione, in ragione dell’impossibilità di invocare in quanto tale una direttiva in una controversia tra privati » (CGUE, 11 aprile 2024 Gabel RAGIONE_SOCIALE, C -316/22). Quindi, la Corte di giustizia, pur confermando che il destinatario dei servizi può richiedere il rimborso dell’IVA indebitamente versata unicamente al prestatore, esercitando la relativa azione di ripetizione dell’indebito, mentre non ha legittimazione direttamente nei confronti dell’amministrazione finanziaria se non in limitate ipotesi, ha riconosciuto al consumatore finale il diritto a rivolgere direttamente a tale amministrazione l’istanza di rimborso di una imposta, qualora contraria « ad una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non trasposta o non correttamente trasposta ». Ciò per l’evidente ragione che tale direttiva non può essere validamente invocata nell’ambito di un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito contro il fornitore (cd. inefficacia «orizzontale» o diretta di una direttiva non attuata, costantemente
affermata dalla Corte unionale – cfr. CGUE, C -316/22, punto 27; CGUE, 22 dicembre 2022, RAGIONE_SOCIALE Commune de Farciennes, C -383/21 e C -384/21, punto 36, CGUE; 22 novembre 2017, Cussens, C -251/16, punto 26; CGUE, 12 dicembre 2013, Portgás, C -425/12, punti 18 e 22).
11. Questa stessa Corte di legittimità, che afferma costantemente la carenza di legittimazione dell’utilizzatore finale ad agire direttamente nei confronti dell’amministrazione finanziaria (cfr., ex multis , Cass., n. 34957 del 2021; Cass., n. 24220 del 2023; Cass. n. 19837 del 2023; v., in tema di OGSE, Cass., n. 7519 del 2025), ha recentemente riconosciuto la « legittimazione straordinaria » del cessionario/committente, in nome del principio di effettività, non solo nei casi in cui l’azione di indebito versamento di imposta in contrasto con il diritto dell’Unione nei confronti del fornitore sia giuridicamente (in astratto) esperibile e risulti in concreto eccessivamente difficoltosa, come nel caso dell’insolvenza del fornitore, ma anche quando l’azione non sia neanche astrattamente esperibile perché manca il presupposto di diritto per l’azione nei confronti del fornitore (v. Cass. n. 21154 del 2024 e Cass., n. 24208 del 2024, in tema di imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui all’art. 6 del d.l. n. 511 del 1988 nel testo vigente ratione temporis , secondo cui la presenza di una imposta incompatibile con il diritto dell’Unione, a causa di una direttiva non attuata o, come nel caso ivi esaminato, solo tardivamente attuata dallo Stato italiano, ripercossa a titolo di rivalsa dal fornitore sul consumatore finale, costituisce titolo per procedere nei confronti dell’ente impositore con azione di ripetizione di indebito oggettivo, stante l’impossibilità per il consumatore finale di invocare nei confronti del fornitore l’efficacia orizzontale della direttiva tardivamente attuata dallo Stato italiano; v. anche Corte cost. n. 43 del 15 aprile 2025 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1 lett. c), del d.l. n.
511 del 1988, relativo all’addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica, per violazione degli artt. 11 e 117, comma 1, Cost. essendo in contrasto con la direttiva 2008/118/CE). L’allargamento dei confini dell’azione diretta del cessionario/committente nei confronti dell’erario non può estendersi, però, sino alla fattispecie in esame, anche perché gli oneri generali di sistema non sono affatto incompatibili con il diritto unionale, come conferma il fatto che la Corte di giustizia UE si è anche occupata della loro natura giuridica (cfr. CGUE, 18 gennaio 2017, nella causa C -189/2015, RAGIONE_SOCIALE Santa Lucia) e ciò pure ha fatto questa Corte in sede di regolamento di giurisdizione (cfr. Cass. sez. un. 35282 del 2023).
12. Non contraddice questa ricostruzione l’indirizzo secondo cui il cessionario che sia al tempo stesso soggetto passivo d’imposta possa indirizzare nei confronti del fisco la propria pretesa relativa all’IVA versata in rivalsa sull’acquisto di beni e servizi destinati all’esercizio dell’attività economica (Cass., sez. un., n. 20752 del 2008; Cass. n. 12433 del 2011; Cass. n. 18425 del 2012), riemergendo il rapporto tributario tutte le volte in cui l’IVA indebitamente versata in rivalsa sull’acquisto di beni e servizi destinati all’esercizio dell’attività economica si rifletta sulla liquidazione finale dell’imposta, esposta nella dichiarazione annuale del contribuente, e il fisco contesti, in tutto o in parte, che l’IVA assolta in rivalsa non potesse essere portata in detrazione (o se eccedente, non potesse essere esposta a credito), perché relativa a operazione esente o non imponibile, o perché assoggettabile ad una aliquota inferiore rispetto a quella indicata erroneamente in fattura (Cass. n. 17174 del 2015). Questa Corte, invero, ha chiarito che laddove viene in contestazione il diritto alla detrazione dell’IVA esposta in dichiarazione, può profilarsi la sussistenza di un rapporto diretto tra il contribuente destinatario di una prestazione di servizi e l’amministrazione finanziaria e il primo, esercitando quel diritto,
può far valere un proprio credito per IVA indebitamente versata in rivalsa che la prima non riconosce (Cass. n. 23288 del 2018; Cass. n. 19837 del 2023). Un conto, quindi, è il diritto alla ripetizione o al rimborso dell’IVA relativa ad una determinata operazione che si assume non dovuta, ancorato all’esistenza di un versamento indebito alle autorità tributarie da parte del cedente/soggetto passivo, altro è il diritto alla detrazione dell’IVA esercitato dal cessionario/soggetto passivo nei rapporti con l’Erario in sede di liquidazione finale dell’IVA dovuta, in cui viene in evidenza l’IVA assolta in rivalsa sulle operazioni ‘passive’.
La Corte di merito non ha fatto buon governo di questi principi, avendo riconosciuto la legittimazione attiva con riguardo alla domanda di rimborso per IVA indebitamente versata in rivalsa su determinate operazioni a prescindere dall’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta versata nelle operazioni di acquisto a monte. Solo sotto questo profilo, infatti, è configurabile un rapporto tra cessionario e fisco che può legittimare un rimborso. Diversamente, come già osservato, il cessionario può solo chiedere, salvi i casi di ‘legittimazione straordinaria’ di cui sopra, il rimborso al fornitore del bene o del servizio: l’avere versato in via di rivalsa al proprio fornitore un’IVA non dovuta, in base alla non corretta determinazione della base imponibile, non pone il cessionario dinanzi ad un rapporto diretto con l’amministrazione finanziaria, non essendo lo stesso il soggetto passivo dell’imposta versata, qualifica attribuibile solo al soggetto che ha realizzato il presupposto impositivo, né venendo in gioco il diritto alla detrazione.
In conclusione, in accoglimento del primo motivo e pronunciando sul ricorso (v. art. 382, comma 3, ult. periodo, c.p.c.), la sentenza impugnata va cassata e va dichiarato inammissibile il ricorso originario.
Sussistono i presupposti per compensare tra le parti le spese dei giudizi di merito con regolazione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, secondo soccombenza.
p.q.m.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; pronunciando sul ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e dichiara inammissibile il ricorso introduttivo della lite;
compensa le spese del giudizio di merito e condanna la controricorrente al pagamento a favore della ricorrente, a titolo di rimborso delle spese del presente giudizio di legittimità della somma di euro 20.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Roma, 11 febbraio 2025