Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9927 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9927 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22915/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Porto Sant’Elpidio INDIRIZZO e quindi domiciliata ‘ex lege’ in ROMA INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. delle MARCHE-ANCONA n. 682/2022 depositata il 09/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE per gli anni 2010 e 2011, chiedeva ed otteneva il rimborso dell’IVA, rispettivamente per euro 45.000,00 ed euro 51.184,00, con riferimento a fatture riguardanti la realizzazione del suo impianto fotovoltaico insistente su un fondo di terzi condotto in locazione.
Con gli atti di recupero n. NUMERO_DOCUMENTO e n. TQ5CR0100021 2014, l’Agenzia delle entrate di Fermo riteneva che i rimborsi non avrebbero potuto essere richiesti, pretendendone dunque la restituzione, con aggravio di interessi e sanzioni. Argomentava -citasi dal ricorso per cassazione -che ‘il costo per la realizzazione dell’impianto, sarebbe ‘(…) iscrivibile tra le immobilizzazioni immateriali nella voce costi per migliorie e spese incrementative su beni di terzi e concorre alla determinazione del reddito ai sensi dell’art. 108 e 3 DPR 917/86, come spesa relativa a più esercizi, nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio, così come ribadito dalla circolare n. 36/2013’ che la contribuente ‘(…) non era legittimata a chiedere il rimborso del credito iva, non possedendo alcuna immobilizzazione materiale’, il cui importo era tutt’al più utilizzabile in compensazione ma non rimborsabile’.
La contribuente impugnava detti atti.
La Commissione Tributaria Provinciale di Ascoli Piceno, con sentenza n. 329/01/15 pronunciata il 9 marzo 2015 e depositata il 20 gennaio 2015, accoglieva il ricorso.
L’Agenzia delle entrate proponeva appello, accolto dalla CTR delle Marche, con la sentenza in epigrafe, sulla base della seguente motivazione:
Va, preliminarmente, rilevato che il primo Giudice non ha tenuto in nessuna considerazione le contestazioni mosse dall’Amministrazione
Finanziaria, non rendendosi conto che la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 36/E dell’anno 2013, è vero che non era entrata ancora in vigore, ma la stessa altro non era che un richiamo alle precedenti circolari la n. 46/2007 e la n. 38/2010.
Nel merito va evidenziato che la parte privata ha sì realizzato due impianti fotovoltaici, ma gli stessi sono stati impiantati su terreni di tale Sig. COGNOME COGNOME tanto è vero che gli stessi impianti sono denominati «COGNOME».
D’altra parte nelle circolari invocate dalla parte privata e citate dal Giudice precedente, non si fa mai riferimento ad impianti fotovoltaici realizzati su terreni di proprietà di terzi, come il caso di specie oggi all’attenzione di questo Consesso.
Ad ogni buon conto i funzionari dell’Amministrazione Finanziaria che si sono recati sul posto hanno soltanto accertato l’esistenza e l’effettivo esercizio dell’attività svolta e non anche la spettanza giuridica del rimborso.
La contribuente propone ricorso per cassazione con tre motivi, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso. La contribuente, in data 28 gennaio 2025, deposita nota con compiegate circolari dell’Agenzia delle entrate n. 2/E del 1° febbraio 2016 e n. 27/E del 13 giugno 2016 e, in data 31 gennaio 2025, altresì ampia memoria telematica ad ulteriore illustrazione delle sue ragioni.
Considerato che:
I motivi, per comunanza di censure, possono essere enunciati e trattati congiuntamente.
Primo motivo: ‘Violazione e falsa applicazione della legge 27 luglio 2000 n. 212 art. 10, con riferimento alla violazione del principio del legittimo affidamento sulla ricorrenza di un bene mobile e non di un immobile’.
2.1. ‘, si vorrebbe far credere, in linea con quanto sostenuto dall’Ufficio in sede di appello, che il risultato sarebbe stato lo stesso a prescindere dal contenuto delle varie circolari succedutesi nel tempo. In realtà, non è così ed è grave che il Giudice di secondo grado abbia omesso di considerare che con la circolare numero 36/E dell’anno 2013, l’Agenzia delle
Entrate ha innovato il proprio orientamento arrivando a qualificare fiscalmente gli impianti fotovoltaici quali beni immobili, per cui essa non è affatto ripetitiva della circolare numero 46/2007 ‘. ‘ello specifico, va ribadito ancora una volta come si sia dimostrato attraverso la relazione tecnica non contestata dall’Ufficio e le fotografie (allegate sub 5 nel fascicolo del primo grado), che l’impianto realizzato nel caso concerto dalla ricorrente, in realtà è amovibile, precario, non infisso al suolo, privo di fondazioni e trasportabile da un luogo all’altro’.
Secondo motivo: ‘Violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 633/1972 articolo 30, con riferimento alla non rimborsabilità dell’iva per la realizzazione di impianto fotovoltaico su terreno di proprietà di terzi’.
3.1. Alla luce della giurisprudenza, ‘la questione circa l’insistenza dell’impianto su un terreno altrui, diviene un falso problema e non rileva ai fini del trattamento fiscale. In ogni caso, nel giudizio di merito sono state accertate (né è stato provato il contrario) la separabilità dell’impianto dal fondo sottostante e la sua rimovibilità in altro luogo ‘.
Terzo motivo: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997 e dell’art. 10 comma secondo della legge 27 luglio 2000 numero 212, con riferimento all’applicazione della sanzione di cui all’art. 13 d.lgs. 471/97 e degli interessi’.
4.1. Sulla ‘violazione e falsa applicazione dell’articolo 13 D.Lgs. n. 471 del 1997 con riferimento sempre all’articolo 10 della Legge 27 luglio 2000 numero 212’, ‘la Corte Territoriale tace completamente’.
Il secondo motivo assume rilievo prioritario, in quanto potenzialmente decisivo.
5.1. Esso, a differenza di quanto eccepito in controricorso, non è inammissibile: non corrisponde al vero che, ‘con tale motivo, infatti, la società sostiene la violazione dell’art. 30 DPR 633/1972
per avere i giudici di secondo grado ‘implicitamente’ escluso il diritto alla detrazione dell’Iva’; sia sufficiente ricordare le parole della CTR secondo cui ‘nel merito va evidenziato che la parte privata ha sì realizzato due impianti fotovoltaici, ma gli stessi sono stati impiantati su terreni di tale Sig. COGNOME COGNOME onde convincersi che, pur senza citare l’art. 30 DPR n. 633 del 1972, la medesima ha ritenuto ostativa al rimborso l’esecuzione delle opere su terreni altrui, come comprovato dalla laconica affermazione successiva: ‘D’altra parte nelle circolari invocate dalla parte privata e citate dal Giudice precedente, non si fa mai riferimento ad impianti fotovoltaici realizzati su terreni di proprietà di terzi’.
Indi il motivo coglie la ‘ratio decidendi’, confutandola, previa enunciazione di pertinenti censure.
5.2. Esso è fondato, con assorbimento degli altri due.
L’errore in diritto compiuto dalla CTR consiste al di là della natura amovibile o meno dell’impianto fotovoltaico realizzato dalla contribuente -nell’aver attribuito decisiva rilevanza, ai fini della richiesta di rimborso di cui all’art. 30, comma 3, lett. c), decr. IVA, al presupposto della proprietà dei beni.
Un tanto non corrisponde all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, andato assestandosi grazie a Sez. U, Sentenza n. 13162 del 14/05/2024 (Rv. 671381-01), a termini della quale,
L’esercente attività d’impresa o professionale ha diritto al rimborso dell’IVA per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di immobili dei quali non è proprietario, ma che detiene in virtù di un diritto personale di godimento, purché sia presente un nesso di strumentalità tra tali beni e l’attività svolta.
Più in particolare, per maggior chiarezza, mette conto di rilevare come detta sentenza, in motivazione (parr. 12 s., p. 8 s.), si dia peso di osservare quanto segue:
12. L’indirizzo che restringe la portata applicativa della previsione di cui all’art. 30, secondo comma, lett. c), dPR 633/1972 si basa essenzialmente sulle espressioni «acquisto» e «ammortizzabili», negando che sia rimborsabile l’IVA assolta in relazione a beni non acquistati, vale a
dire dei quali il soggetto passivo non abbia acquisito la proprietà o altro diritto reale e che per tale ragione non rientrino tra i beni dell’impresa ammortizzabili, ancorchè si tratti di beni strumentali all’esercizio della impresa medesima (in questo senso, Cass. Sez. 5, n. 24779 del 04/12/2015; Sez. 5, n. 23667 del 28/10/2020; nello stesso senso Sez. 5, n. 24518 del 4/11/2020; successivamente all’ordinanza di rimessione, Sez. 5, n. 21228 del 19/07/2023). Tali pronunce, sostanzialmente, enucleano il concetto di “bene ammortizzabile” dagli artt. 102, 103, dPR 917/1986, 2424, lett. B) I e II, cod. civ., come bene iscrivibile tra le “immobilizzazioni” (materiali o immateriali), che secondo i principi contabili OIC (24, 16), sono riferibili a costi ad utilità pluriennale per l’acquisto di beni durevoli, escludendosi che possa considerarsi a tal fine sufficiente la mera “strumentalità” del bene. Peraltro, con più specifico riguardo al profilo strettamente unionale dell’imposta, questa giurisprudenza ha affermato che il principio di neutralità non implica un rapporto biunivoco tra detrazione e rimborso, costituendo il secondo un modo non ordinario di garantire detto principio, come invece la prima. Diversamente, l’orientamento che interpreta in modo più ampio l’enunciato normativo in esame assegna un valore tendenzialmente assoluto al principio eurounitario di neutralità, nel senso che, in ogni caso, il soggetto passivo dell’imposta non può esserne inciso al pari di un consumatore finale (in questo senso, v. Cass. Sez. 5, n. 6200 del 27/03/2015; Sez. 6 – 5, n. 215 del 11/01/2021; Sez. 5, n. 27813 del 22/09/2022). Ed è dunque un’interpretazione “unionalmente orientata” a guidare questa ermeneusi dell’art. 30, secondo comma, lett. c), dPR 633/1972, oltre la sua stretta letteralità, latamente intendendosi per “acquisto” la disponibilità del bene e per “ammortizzabile” la sua durevolezza/utilità pluriennale, campeggiando in questo lessico normativo il concetto funzionale, questo sì imprescindibile, di “strumentalità” ai fini imprenditoriali del soggetto passivo.
Il Collegio ritiene di dover seguire il secondo indirizzo, per la dirimente ragione che il giudice nazionale, particolarmente quello di ultima istanza, nel caso dubbio deve adottare un criterio di “interpretazione conforme”, a maggior ragione qualora, come nel caso in esame, oggetto del giudizio sia un’imposta “armonizzata” ossia soggetta alla disciplina unionale delle ben note “direttive IVA” .
Dunque, intendendo dare ulteriore consolidamento all’indirizzo prevalente nella Sezione specializzata tributaria, per collocare la giurisprudenza di questa Corte all’interno dei principi di quella europea, non vi è alternativa ad un’interpretazione estensiva della disposizione legislativa
interna. Pertanto, in particolare, all’espressione «acquisto … di beni ammortizzabili», utilizzata dal legislatore IVA interno (art. 30, terzo comma, lett. c), dPR 633/1972), va attribuito il significato -lato- di disponibilità di tali beni in virtù di un titolo giuridico che ne garantisca il possesso ovvero la detenzione per un periodo di tempo apprezzabilmente lungo (quale appunto è, di norma, non solo quello derivante dall’acquisizione della proprietà ovvero di un diritto reale, ma anche da un contratto di locazione/comodato), ferma in ogni caso la necessaria “strumentalità” dei beni stessi all’esercizio dell’impresa (che comunque è presupposto generale della detraibilità dell’IVA ex art. 19, comma 1, dPR 633/1972). Più specificamente, va rimarcato che il concetto di “bene ammortizzabile” non può essere correttamente inteso nel contesto giuridico dell’IVA con riferimento alle previsioni normative in materia di imposte dirette (artt. 102, 103, dPR 917/1986) e nemmeno risultano ermeneuticamente dirimenti le disposizioni sul bilancio contenute nel codice civile ovvero i principi contabili.
Piuttosto bisogna fare riferimento alla nozione -ampia e sostanzialmente economica- di «beni di investimento» che è quella utilizzata nella direttiva “rifusa” (artt. 174, comma 2, lett. a) e comma 3, 188, comma 1, secondo periodo, e comma 2, 189, lett. a), 190, direttiva 2006/112/CEE) e che quindi risulta essere l’unico parametro al quale un’interpretazione “conforme” deve affidarsi. Ed allora appare chiaro che l’applicazione della disposizione legislativa de qua ve necessariamente estesa ai beni che, pur stricto sensu non ammortizzabili, sono comunque destinati all’esercizio dell’impresa per un periodo di tempo medio-lungo, appunto quali “investimenti” (beni strumentali).
6. In definitiva, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, in disamina, la sentenza impugnata va cassata con rinvio per nuovo esame e per le spese, comprese quelle del grado.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri due.
In relazione al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado delle Marche, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 13 febbraio 2025.