Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9577 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9577 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24576/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. del VENETO-VENEZIA n. 560/2022 depositata il 21/04/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
1. In punto di fatto, dalla sentenza in epigrafe si apprende quanto segue:
La società RAGIONE_SOCIALE esercita attività di impresa nel settore della ristorazione nell’immobile strumentale di proprietà così come figura dal certificato catastale dell’Agenzia del Territorio. Trattasi di fabbricato strumentale per natura ex art. 43 DPR 917/86 oltre che per destinazione ed è funzionale alla attività di ristorazione.
La costruzione del fabbricato e la successiva gestione erano disciplinate da una Convenzione in essere tra la Contribuente ed il Comune di Venezia.
L’intervento edilizio rientrava nel progetto di riqualificazione degli spazi verdi dell’area urbana denominata INDIRIZZO in Venezia -Mestre per il quale sussistono obblighi di reciprocità tra il concedente Comune di Venezia e la Società contribuente (quale concessionaria) oltre che comuni interessi di pubblica utilità.
Ciò posto, la RAGIONE_SOCIALE presentava istanza di rimborso IVA infrannuale relativa al primo trimestre dell’anno d’imposta 2019 per un importo complessivo di €.65.000,00 relativo a tre fatture: — prot. n.9 fattura di acconto relativa a lavori di arredo vs locale RAGIONE_SOCIALE sito in Mestre VE p.tta Monsignor COGNOME per €.13.500 oltre Iva di €. 2.970,00; — prot. n.21 fattura per lavori per la realizzazione di un nuovo edificio ad uso ristorante sito in INDIRIZZO a Mestre per €.201.373,63 oltre iva di €.44.302,20; –prot n.24 fattura di acconto per fornitura apparecchiature da cucina per €.85.000,00 oltre iva di €.18.700,00.
In effetti, a seguito della Convenzione era stato consentito alla Contribuente di edificare sul terreno di proprietà comunale un plesso adibito ad uso commerciale, in particolare per l’esercizio dell’attività di ristorazione.
Con provvedimento di diniego prot. n.60881 del 31/05/2019, l’Ufficio Territoriale di Venezia 2 rigettava l’istanza di rimborso presentata dalla Contribuente per assenza del presupposto di cui all’art. 30 comma 3 lett.
c) DPR 633/72 autorizzando, per contro, la detrazione del credito di €.65.000,00 sulla base della seguente motivazione:
‘L’acquisto dei beni ammortizzabili per un rimborso trimestrale deve essere almeno pari ai due terzi dell’ammontare complessivo degli acquisti ai sensi dell’art. 38 bis DPR 633/72. Dalla documentazione esibita dalla Parte, la fattura di acquisto di cui al prot. 21 del registro acquisti riguarda una spesa per lavori effettuati su beni di terzi. Le fatture di cui ai protocolli 9 e 24 registro acquisti, pur rientranti nella categoria dei beni ammortizzabili, non raggiungono l’importo minimo per maturare il presupposto del rimborso rispetto al totale degli acquisti effettuati nel periodo. Inoltre, Le comunico che è autorizzato alla detrazione del credito per 65.000,00 euro, successivamente alla notificazione del presente provvedimento, in sede di liquidazione periodica, ovvero nella dichiarazione annuale …’.
La contribuente impugnava il suddetto provvedimento, tra l’altro, per violazione dell’art. 30, comma 3, lett. c), DPR n. 633 del 1972.
Come, nuovamente, da sentenza in epigrafe,
con la sentenza n. 168/2021 depositata il 16/02/2021, la Commissione Tributaria Provinciale di Venezia ha accolto il ricorso avverso il predetto diniego del rimborso Iva anno 2019 per €.65.000,00 con condanna alla rifusione delle spese di lite.
Secondo la motivazione della sentenza: ‘Sub 4) La società deduce che l’iva in contestazione si riferisce alle spese sostenute per la costruzione del manufatto edilizio ad uso somministrazione di cibi e bevande e quindi strumentale per natura e conforme all’attività di impresa esercitata dalla società e che nessuna norma esclude il rimborso dell’iva relativa ad interventi su beni di terzi. Nello specifico si tratta di un intervento edilizio realizzato per la riqualificazione di un’area pubblica sulla base di una convenzione con il Comune di Venezia, al quale il manufatto sarà restituito al termine della concessione ventennale. Sub 5) Dagli atti di causa si evince che il manufatto cui si riferisce la contestazione è a tutti gli effetti una estensione e quindi parte integrante dell’adiacente pubblico esercizio di somministrazione di cibi e bevande gestito dalla società. Pertanto è indiscutibile l’inerenza e conseguentemente sussistenza del diritto al rimborso ‘.
L’Agenzia delle entrate proponeva appello. Resisteva la contribuente, spiegando altresì appello in via incidentale con riferimento ai motivi di illegittimità degli atti di recupero ritenuti assorbiti dalla CTP.
3.1. La Commissione Tributaria del Veneto, con sentenza n. 560/2022, in epigrafe, accoglieva l’appello principale e, dichiarata la legittimità del diniego di rimborso, respingeva l’appello incidentale.
Così motivava:
Il rimborso IVA può essere richiesto solo per i beni aziendali ammortizzabili quando questi siano strumentali ed esattamente individuati così che, al termine del loro utilizzo, possano essere asportati ovvero ceduti.
La questione controversa attiene, sostanzialmente, all’ammissibilità del rimborso dell’Iva assolta per spese incrementative e di miglioramenti su beni di terzi (Comune di Venezia) non suscettibili di essere rimossi al termine del loro utilizzo.
È la stessa Contribuente ad indicare come uno degli elementi caratterizzanti la Convenzione stipulata con il Comune di Venezia sia la ‘… restituzione del fabbricato strumentale al Comune di Venezia dopo vent’anni di utilizzo in concessione …’.
In tal senso, le spese sostenute dalla Contribuente hanno riguardato un bene immobile che, al termine della Convenzione, non sarà rimovibile e non resterà pertanto nella sua disponibilità ma, da allora, in quella del comune di Venezia.
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Dunque, in applicazione del principio affermato dai Supremi Giudici, alla Contribuente non può effettivamente essere riconosciuto il diritto al rimborso dell’IVA assolta sulle spese per la realizzazione, su beni di terzi (l’area oggetto della Concessione è infatti di proprietà del Comune di Venezia ed al termine dell’accordo dovrà essergli restituita, così come esattamente previsto dall’art. 13 del documento sottoscritto tra l’Ente Locale e la Contribuente),di opere inseparabili dai beni cui accedono.
È vero infatti che in base alle norme civilistiche (art. 934 cc) concernenti l’accessione di immobile ad immobile (che è un modo di acquisto della proprietà a titolo originario), l’opera eseguita dalla RAGIONE_SOCIALE non può considerarsi di sua proprietà in quanto accede ad un
immobile di proprietà di terzi che, nel caso concreto, sono il Comune di Venezia che è il legittimo ed indiscusso proprietario dell’area denominata INDIRIZZO quale concessa alla RAGIONE_SOCIALE col fine precipuo di realizzare una struttura per la somministrazione di cibi e bevande.
Da ciò discende che le spese sostenute dalla Contribuente di cui alla fattura prot. n. 21 per ‘lavori per la realizzazione di un nuovo edificio ad uso ristorante sito in INDIRIZZO a Mestre. Contratto di appalto in data 30/08/2018, secondo SAL a tutto il 28/02/2019′ non possono essere iscritte nel bilancio sotto la voce bene ammortizzabile di proprietà del soggetto che le ha effettuate.
Ai fini della deducibilità fiscale, tali spese saranno invece disciplinate dal primo comma dell’art. 108 TUIR .
In tal senso, la sentenza dei Primi Giudici se correttamente afferma l’inerenza della spesa sostenuta dalla società RAGIONE_SOCIALE (inerenza che in effetti non è mai stata contestata dall’Ufficio), in maniera del tutto errata ne fa dedurre però la sussistenza del diritto al rimborso. In effetti l’art. 30 comma 3 lett. c) DPR 600/73 (richiamato dai Giudici) condiziona il diritto al rimborso non all’inerenza dei costi sostenuti bensì ‘all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili, nonché di beni e servizi per studi e ricerche’.
Ad ulteriore supporto della legittimità dell’operato dell’Ufficio v’è da dire che se effettivamente il costo sostenuto dalla Contribuente fosse stato ritenuto non inerente, l’AdE non avrebbe certamente autorizzato (come invece ha fatto col medesimo provvedimento di diniego del rimborso IVA) ‘… la detrazione del credito per 65.000,00 euro, successivamente alla notificazione del presente provvedimento, in sede di liquidazione periodica, ovvero nella dichiarazione annuale …’.
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Con riferimento all’appello incidentale ed alla riproposizione dei motivi assorbiti del ricorso in primo grado, si precisa quanto segue: –) sul Difetto di regolare sottoscrizione dell’atto di diniego in violazione e falsa applicazione della L. n. 241/1990, art. 21 septies. L’atto è nullo se non reca la sottoscrizione del Capo dell’Ufficio o di un delegato, la circostanza che deve essere verificata è quella che attiene alla riferibilità dell’atto al soggetto che lo ha emanato (in questo caso l’Ufficio della Pubblica Amministrazione). Risulta agli atti che il soggetto che ha sottoscritto l’atto è stato a ciò regolarmente delegato, ciò che rende
infondato il motivo di impugnazione dell’atto. –) Violazione e falsa applicazione dell’art. 30 comma III lettera c) DPR 633/72. – Violazione e falsa applicazione per carente/ insufficiente motivazione di diniego basata su formula di stile e del tutto aliena alla fattispecie concreta. Strumentalità del bene indipendentemente dal titolo di possesso. Anche questi motivi devono essere disattesi per le ragioni già espresse in precedenza da questa Commissione (alle quali si rimanda) in merito alla non rimborsabilità dell’IVA assolta sulle spese poste in essere su beni di terzi.
Propone ricorso per cassazione la contribuente con un motivo. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate. La contribuente deposita breve memoria telematica addì 31 gennaio 2025, insistendo nelle assunte conclusioni.
Considerato che:
Con l’unico motivo si denuncia: ‘Violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, I comma n. 3 c.p.c. dell’art. 30, comma III, lett. c), DPR 633/72 -nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione di norme di diritto’.
1.1. ‘La questione verte sul disconoscimento, ai fini del rimborso Iva del I° trimestre 2019, della fattura 12/2019, con ammontare imponibile di € 201.373,63 ed Iva di € 44.302,20, rappresentante essa sola la quasi totalità del monte fatture ricevute nel medesimo periodo di € 358.706,00. L’Ufficio ha negato il rimborso poiché tale fattura 12/2019, pur riguardando la realizzazione del fabbricato strumentale dell’impresa, attiene a ‘lavori effettuati su beni di terzi, non rientranti nella nozione di bene ammortizzabile”. ‘L’art. 30, comma III, lettera c) legittima il rimborso sull’acquisto considerando beni ammortizzabili indipendentemente dalla titolarità del possesso del bene (locazione-comodato-concessione) e dalla rimovibilità/asportabilità del medesimo. Innanzitutto, nessun riferimento normativo contempla l’esclusione del rimborso sugli asseriti ‘interventi su beni di terzi’. La proprietà del bene in capo a terzi non esclude pertanto
la sua ammortizzabilità. Anzi l’ammortizzabilità discende unicamente dalla strumentalità del bene ‘.
1.2. Il motivo -che supera il vaglio di ammissibilità (peraltro in difetto di eccezioni sul punto in controricorso) in quanto coglie la ‘ratio decidendi’, confutandola, previa enunciazione di pertinenti censure -è fondato e merita accoglimento.
L’errore in diritto compiuto dalla CTR consiste al di là della natura amovibile o meno dell’impianto fotovoltaico realizzato dalla contribuente -nell’aver attribuito decisiva rilevanza, ai fini della richiesta di rimborso di cui all’art. 30, comma 3, lett. c), decr. IVA, al presupposto della proprietà dei beni.
Un tanto non corrisponde all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, andato assestandosi grazie a Sez. U, Sentenza n. 13162 del 14/05/2024 (Rv. 671381 -01), a termini della quale,
L’esercente attività d’impresa o professionale ha diritto al rimborso dell’IVA per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di immobili dei quali non è proprietario, ma che detiene in virtù di un diritto personale di godimento, purché sia presente un nesso di strumentalità tra tali beni e l’attività svolta.
Più in particolare, per maggior chiarezza, mette conto di rilevare come detta sentenza, in motivazione (parr. 12 s., p. 8 s.), si dia peso di osservare quanto segue:
12. L’indirizzo che restringe la portata applicativa della previsione di cui all’art. 30, secondo comma, lett. c), dPR 633/1972 si basa essenzialmente sulle espressioni «acquisto» e «ammortizzabili», negando che sia rimborsabile l’IVA assolta in relazione a beni non acquistati, vale a dire dei quali il soggetto passivo non abbia acquisito la proprietà o altro diritto reale e che per tale ragione non rientrino tra i beni dell’impresa ammortizzabili, ancorchè si tratti di beni strumentali all’esercizio della impresa medesima (in questo senso, Cass. Sez. 5, n. 24779 del 04/12/2015; Sez. 5, n. 23667 del 28/10/2020; nello stesso senso Sez. 5, n. 24518 del 4/11/2020; successivamente all’ordinanza di rimessione, Sez. 5, n. 21228 del 19/07/2023). Tali pronunce, sostanzialmente, enucleano il concetto di “bene ammortizzabile” dagli artt. 102, 103, dPR 917/1986, 2424, lett. B) I e II, cod. civ., come bene iscrivibile tra le
“immobilizzazioni” (materiali o immateriali), che secondo i principi contabili OIC (24, 16), sono riferibili a costi ad utilità pluriennale per l’acquisto di beni durevoli, escludendosi che possa considerarsi a tal fine sufficiente la mera “strumentalità” del bene. Peraltro, con più specifico riguardo al profilo strettamente unionale dell’imposta, questa giurisprudenza ha affermato che il principio di neutralità non implica un rapporto biunivoco tra detrazione e rimborso, costituendo il secondo un modo non ordinario di garantire detto principio, come invece la prima. Diversamente, l’orientamento che interpreta in modo più ampio l’enunciato normativo in esame assegna un valore tendenzialmente assoluto al principio eurounitario di neutralità, nel senso che, in ogni caso, il soggetto passivo dell’imposta non può esserne inciso al pari di un consumatore finale (in questo senso, v. Cass. Sez. 5, n. 6200 del 27/03/2015; Sez. 6 -5, n. 215 del 11/01/2021; Sez. 5, n. 27813 del 22/09/2022). Ed è dunque un’interpretazione “unionalmente orientata” a guidare questa ermeneusi dell’art. 30, secondo comma, lett. c), dPR 633/1972, oltre la sua stretta letteralità, latamente intendendosi per “acquisto” la disponibilità del bene e per “ammortizzabile” la sua durevolezza/utilità pluriennale, campeggiando in questo lessico normativo il concetto funzionale, questo sì imprescindibile, di “strumentalità” ai fini imprenditoriali del soggetto passivo.
Il Collegio ritiene di dover seguire il secondo indirizzo, per la dirimente ragione che il giudice nazionale, particolarmente quello di ultima istanza, nel caso dubbio deve adottare un criterio di “interpretazione conforme”, a maggior ragione qualora, come nel caso in esame, oggetto del giudizio sia un’imposta “armonizzata” ossia soggetta alla disciplina unionale delle ben note “direttive IVA” .
Dunque, intendendo dare ulteriore consolidamento all’indirizzo prevalente nella Sezione specializzata tributaria, per collocare la giurisprudenza di questa Corte all’interno dei principi di quella europea, non vi è alternativa ad un’interpretazione estensiva della disposizione legislativa interna. Pertanto, in particolare, all’espressione «acquisto … di beni ammortizzabili», utilizzata dal legislatore IVA interno (art. 30, terzo comma, lett. c), dPR 633/1972), va attribuito il significato -lato -di disponibilità di tali beni in virtù di un titolo giuridico che ne garantisca il possesso ovvero la detenzione per un periodo di tempo apprezzabilmente lungo (quale appunto è, di norma, non solo quello derivante dall’acquisizione della proprietà ovvero di un diritto reale, ma anche da un contratto di locazione/comodato), ferma in ogni caso la necessaria
“strumentalità” dei beni stessi all’esercizio dell’impresa (che comunque è presupposto generale della detraibilità dell’IVA ex art. 19, comma 1, dPR 633/1972). Più specificamente, va rimarcato che il concetto di “bene ammortizzabile” non può essere correttamente inteso nel contesto giuridico dell’IVA con riferimento alle previsioni normative in materia di imposte dirette (artt. 102, 103, dPR 917/1986) e nemmeno risultano ermeneuticamente dirimenti le disposizioni sul bilancio contenute nel codice civile ovvero i principi contabili.
Piuttosto bisogna fare riferimento alla nozione -ampia e sostanzialmente economica -di «beni di investimento» che è quella utilizzata nella direttiva “rifusa” (artt. 174, comma 2, lett. a) e comma 3, 188, comma 1, secondo periodo, e comma 2, 189, lett. a), 190, direttiva 2006/112/CEE) e che quindi risulta essere l’unico parametro al quale un’interpretazione “conforme” deve affidarsi. Ed allora appare chiaro che l’applicazione della disposizione legislativa de qua ve necessariamente estesa ai beni che, pur stricto sensu non ammortizzabili, sono comunque destinati all’esercizio dell’impresa per un periodo di tempo medio -lungo, appunto quali “investimenti” (beni strumentali).
In definitiva, in accoglimento del motivo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio per nuovo esame e per le spese, comprese quelle del grado.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso a Roma, lì 13 febbraio 2025.