Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33229 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33229 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29608/2017 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della PUGLIA-BARI n. 1664/2017 depositata il 03/03/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Dalla sentenza in epigrafe emerge che, in data 13 febbraio 2013, la DP di Bari dell’Agenzia delle entrate notificava a RAGIONE_SOCIALE provvedimento di diniego della richiesta di rimborso dell’IVA per la somma di euro 52.000 relativamente all’a.i. 2011, per difetto dei presupposti di cui all’art. 30, comma 3, lett. c), DPR n. 633 del 1972, ‘pur riconoscendo il diritto alla detrazione dell’imposta assolta in acquisto. Tale provvedimento veniva motivato in relazione al fatto che dal controllo della documentazione acquisita in sede di accesso, effettuato il 23/11/2012 dai funzionari dello stesso Ufficio, era emerso che la società aveva effettuato l’acquisto e la cessione di beni ammortizzabili, dal cui acquisto derivava il credito IVA, nello stesso anno d’imposta (2011), evidenziando che in data 04/08/2011 si era spogliata dei beni di che trattasi con la cessione di un ramo di azienda a favore della società RAGIONE_SOCIALE; veniva ancora considerato dall’Ufficio che in dichiarazione era stato esposto un credito IVA, la cui radice causale doveva essere ricercata esclusivamente in fase di acquisto dei beni ammortizzabili ed a cui non corrispondeva IVA in vendita, in quanto gli stessi beni che erano stati integralmente ceduti nel ramo d’azienda e, quindi, fuori campo di applicazione’.
Più particolarmente – a termini del ricorso per cassazione ‘l’Ufficio nell’atto di diniego evidenziava che la società, pur avendo acquistato nel 2011 beni strumentali all’origine del rimborso richiesto (i quali determinavano di per sé soli il credito IVA dichiarato, peraltro con fattura che all’accesso non era ancora quietanzata per euro 156.000, IVA euro 31.200), nello stesso anno (4.8.11) li aveva ceduti ad altra società insieme al ramo d’azienda cui essi erano finalizzati , contestualmente cambiando nome e trasferendo la sede, per la quale tratteneva parte delle macchine strumentali d’ufficio, presto però esse pure vendute, sì che nessuna
immobilizzazione risultava all’accesso (tanto che i verbalizzanti dichiaravano i beni ‘alienati con fatture di vendita’ ‘.
La contribuente impugnava il provvedimento di diniego, evidenziando – a termini nuovamente del ricorso – ‘che l’art. 30/633, al 3° c. lett. c), non impone, ai fini del rimborso, altre limitazioni che l’oggetto dell’acquisto (beni ammortizzabili o servizi per studi e ricerche); che la detrazione dell’IVA aspetta sol perché i beni acquistati siano utilizzati nell’esercizio dell’attività, ‘senza tuttavia che sia richiesto l’esercizio della relativa attività, con la conseguenza che la detrazione spetta, ricorrendo detta condizione, anche nel caso di assenza di operazioni attive ‘ . Precisava poi che il residuo macchinario per ufficio, del valore di euro 223.000, non era stato alienato ma si trovava in deposito secondo specifico contratto, essendo oggetto di contenzioso con la fornitrice per il pagamento del suo prezzo, e risultava dal registro dei beni ammortizzabili insieme con le analoghe macchine da ufficio cedute con l’azienda ‘.
La CTP di Bari, con sentenza n. 189/1/2915, depositata in data 21 gennaio 2015, accoglieva il ricorso.
L’Agenzia proponeva appello, respinto dalla CTR della Puglia, con la sentenza in epigrafe, sulla base della seguente motivazione:
L’Agenzia delle entrate si duale della decisione di primo grado ritenendo che la CTP di Bari abbia ritenuto provato il presupposto della richiesta di rimborso IVA sulla base di un contratto di deposito non registrato e nonostante in sede di accesso tali macchinari non fossero stati rinvenuti ne fosse stato menzionato dal legale rappresentante il deposito presso terzi.
Il motivo di appello non è fondato.
Il giudice di primo grado, pur ritenendo dimostrata la presenza di beni strumentali mediante il contratto di deposito presso terzi, ha basato il suo convincimento sulla circostanza che la società aveva svolto nel 2011 attività rilevante ai fini IVA ma specialmente sulla considerazione che l’art. 30, c. 3 lett. c) del DPR 633/1972, su cui si fonda il diniego impugnato, non prevede che il rimborso IVA sia impedito dalla vendita del ramo d’azienda con i relativi beni strumentali.
Le norme invocate dall’Agenzia delle entrate non depongono per l’accoglimento dell’appello.
Intanto l’art. 30, comma 3, lett. c) del DPR 633/1972 prevede che .
L’art. 38 -bis ammette poi espressamente il rimborso in relazione a periodi inferiori all’anno, per l’ipotesi di cui alla lettera c) del secondo comma (da intendersi terzo comma in relazione alle modifiche successive) del citato art. 30 .
Orbene, dal chiaro tenore letterale delle norme emerge l’espressa previsione della possibilità di rimborso dell’IVA relativa all’acquisto dei beni ammortizzabili anche per periodi inferiori all’anno salvo che l’ammontare della spesa per tali beni sia inferiore a due terzi di quella per gli acquisti di beni e servizi imponibili.
Nella specie l’Ufficio non ha allegato né provato che l’ammontare dei beni ammortizzabili, la cui IVA è stata chiesta a rimborso, forse inferiore a due terzi dell’ammontare complessivo dei beni e servizi acquistati .
Nell’appello l’Agenzia prospetta l’ipotesi del mancato acquisto in radice dei beni ammortizzabili non avendo riscontrato la presenza degli stessi alla data di accesso dei funzionari (23.11. 2012).
L’assunto non può essere condiviso.
In disparte il fatto che i beni sono tutti indicati nel registro dei beni ammortizzati, deve dirsi che per quelli non rientranti nella cessione del ramo d’azienda l’acquisto è comprovato oltre che dalle fatture anche dalla presenza di un contenzioso in essere tra la ditta fornitrice delle attrezzature e macchinari e la società appellata, come documentato in primo grado con l’esibizione della copia della citazione in giudizio da parte della società fornitrice presso il Tribunale di Milano.
Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate con quattro motivi. La contribuente resta intimata.
Considerato che:
Primo motivo: ‘Violazione dell’art. 112 c.p.c. per extrapetizione – Violazione dell’art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.).
1.1. La CTR è incorsa in tale violazione laddove ha confermato il diritto della contribuente al rimborso evocando l’art. 38 -bis DPR n. 633 del 1972, mentre la contribuente non ha chiesto il rimborso
invocando tale norma. ‘Per giunta, erroneamente la sentenza attribuisce all’Ufficio un onere probatorio che appare spettare senz’altro alla parte’.
1.2. Il motivo, infondato nella prima parte, è invece fondato nella seconda.
1.2.1. Il motivo è infondato nella prima parte, in cui deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in riferimento all’art. 38 -bis DPR n. 633 del 1972.
Invero, la citazione dell’art. 38 -bis DPR n. 633 del 1972 è funzionale, nel ragionamento della CTR, a svolgere un’interpretazione dell’art. 30, comma 3, lett. c), DPR n. 633 del 1972 coordinata all’art. 38 -bis, in guisa da dimostra l’ammissibilità di un rimborso ex art. 30, comma 3, lett. c), pur infra -annuale. Alla luce di ciò, il dedotto vizio di extrapetizone non sussiste, perché la CTR ha ben raccordato la fattispecie oggetto di giudizio alla previsione dell’art. 30, comma 3, lett. c).
1.2.2. Il motivo è fondato nella seconda parte, in cui deduce la violazione dell’art. 2697 cod. civ.
Per regola generale, ‘incombe sul contribuente, il quale invochi il riconoscimento di un credito d’imposta, l’onere di provare i fatti costitutivi dell’esistenza del credito e, a tal fine, non è sufficiente l’esposizione della pretesa nella dichiarazione, poiché il credito fiscale non nasce da questa, ma dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo’ (cfr., da ultimo, Sez. 5, n. 27580 del 30/10/2018, Rv. 651072 -01). Donde erroneamente la CTR, nella sentenza impugnata, ha gravato la parte pubblica di oneri probatori negativi, in funzione cioè della contestazione del diritto al rimborso affermato dalla contribuente, che non le competono, giacché al contrario compete a quest’ultima la prova positiva dei presupposti del diritto azionato a rimborso e, in particolare, delle specifiche condizioni di rimborsabilità.
Il secondo ed il terzo motivo, in quanto strettamente connessi, possono essere enunciati e trattati congiuntamente.
Secondo motivo: ‘Violazione degli artt. 2700 e 2704 c.c. Violazione dell’art. 52, 5° c., DPR n. 633/72 (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.)’.
3.1. ‘La sentenza viola la prima norma là dove trascura il valore fidefacente delle affermazioni dei verbalizzanti per cui all’accesso non vi erano beni strumentali, né la parte risultava aver fatto cenno ad un ‘deposito’ dei beni non alienati con l’azienda ; viola la seconda e la terza laddove appare condividere la tesi del primo giudice che vuole ‘dimostrata la presenza di beni strumentali mediante il contratto di deposito’ quando questo non aveva data certa (e quindi non era opponibile all’Ufficio) e, per giunta, come si è detto, non era stato neppure menzionato ai verbalizzanti dal l.r. dell’accertata al momento dell’accesso ‘.
Terzo motivo: ‘Violazione dell’art. 2709 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.).
4.1. ‘La sentenza appare illegittima laddove conviene con la CTP sul fatto che la presenza (effettiva) dei beni strumentali fondanti il rimborso fosse provata dal registro dei beni ammortizzabili : infatti, detti i registri sono annotazioni dell’imprenditore ed ex art. 2709 c.c. non possono far prova a suo favore ‘.
I motivi sono fondati.
5.1. V’è da premettere che – per costante giurisprudenza di questa S.C. (Sez. 5, n. 18420 del 05/07/2024, Rv. 671441 -01) ‘in tema di accertamento tributario, il processo verbale di constatazione’ – cui è evidentemente assimilabile, per identità di ‘ratio’, il processo verbale di accesso – ‘ha un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, assumendo così un triplice livello di attendibilità: a) ha fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti
attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che ha conosciuto senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale e quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale o alle dichiarazioni a lui rese; b) fa fede fino a prova contraria quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi ed anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi, che è fornita quando la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consente al giudice ed alle parti il controllo e la valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) è comunque un elemento di prova in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, che il giudice in ogni caso valuta, in concorso con gli altri elementi, e disattende solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, considerata la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore’.
5.2. Nel caso di specie, a fronte dell’avere i funzionari attestato che al momento dell’accesso non erano presenti beni strumentali, senza avere il legale rappresentante della contribuente, pur richiesto di fornire tutta la documentazione rilevante, dichiarato l’esistenza di un deposito e mostrato loro il relativo contratto, in tesi anteriormente stipulato, la CTR non avrebbe potuto disconoscere il dato in sé, acquisito al giudizio con efficacia fidefacente, dell’assenza fisica (di una parte) dei beni (quelli non oggetto di cessione di azienda), della cui sorte non era stata per l’effetto fornita giustificazione. Ne consegue la violazione dell’art. 52, comma 5, DPR n. 633 del 1972, a termini del quale ‘i libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non
possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione’.
5.3. Né ha prego avere la CTR ritenuto che l’acquisto era dimostrato dall’annotazione dell’acquisto nel registro dei beni ammortizzabili, oltreché, per vero, dal contezioso civile: l’annotazione è un elemento meramente formale, superato dalla constatazione dell’assenza fisica dei beni; la ‘copia della citazione in giudizio da parte della società fornitrice presso il Tribunale di Milano’ soggiace alla preclusone dell’art. 52, comma 5, cit.
Quarto motivo: ‘Violazione dell’art. 30, 3° c. lett. c) e dell’art. 38 -bis DPR n. 633/72 (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.)’.
6.1. Sembra corretto il richiamo dell’Ufficio alla ‘ratio’ dell’art. 30, comma 3, lett. c), DPR n. 633 del 1972, ‘che è quella di consentire agli autori di investimenti strumentali in più pronto recupero dell’IVA assolta su tali beni per alleviarne l’esposizione finanziaria, e che non appare qui realizzata dalla società avversaria, la quale ha avuto brevissima vita produttiva (13.10.10 -4.8.11), ed ha acquisito i beni cedendoli poi nello stesso anno, peraltro nell’ambito dell’azienda e quindi senza soggezione ad IVA. Per quest’ultima ragione, poi, non ha peso il fatto che nel 2011 la parte avesse svolto attività rilevante ai fini IVA, perché ciò non esclude che essa, rivendendo i beni fuori dal regime IVA, non potesse avere titolo al rimborso dell’imposta, assumendo una posizione analoga a quella del consumatore finale. Né infine può trascurarsi l’osservazione che ove pure in denegata e subordinata ipotesi il rimborso spettasse, esso non spetterebbe tuttavia a controparte, che si è disfatta dell’universalità di beni denominata ‘ramo d’azienda’, la quale deve ritenersi comprensiva di tutte le posizioni attive e passive ad essa inerenti ‘.
6.2. Il motivo è fondato.
Non rileva il ragionamento della CTR circa la rimborsabilità di crediti anche per un’attività infra -annuale (essendo nella specie la
cessione del ramo d’azienda avvenuta nell’anno). Infatti, non è in discussione la rimborsabilità in ragione del periodo inferiore all’anno d’esercizio, tanto più che, notoriamente, è rimborsabile anche il credito per acquisti finalizzati al semplice avvio dell’attività.
A venire in linea di conto, invece, è l’assenza di quella che, per le ragioni che subito saranno chiarite, può essere definita ‘strumentalità qualificata’, sottesa all’ammortizzabilità, dei beni dal cui acquisto ha avuto origine il credito ai fini dell’IVA chiesto dalla contribuente a rimborso.
6.3. Nel dettaglio.
6.3.1. La lett. c) del comma 3 (ora comma 2, a seguito della soppressione del comma 1 ad opera dell’art. 11 del decreto del Presidente della Repubblica 14 ottobre 1999, n. 542) dell’art. 30 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, recita(va):
Il contribuente può chiedere in tutto o in parte il rimborso dell’eccedenza detraibile, se di importo superiore a lire cinque milioni, all’atto della presentazione della dichiarazione:
limitatamente all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili, nonché di beni e servizi per studi e ricerche.
6.3.2. I beni ammortizzabili di cui ragiona la disposizione in commento sono provvisti del suddetto requisito della strumentalità qualificata, perché, da un lato, sono destinati ad essere utilizzati nell’attività d’impresa, essendo quindi capaci di produzione di un reddito autonomo rispetto a quello del complesso aziendale in cui sono inseriti, e, dall’altro, rientrano nelle immobilizzazioni materiali o immateriali, in relazione alla loro idoneità ad un uso durevole, che non si esaurisce nell’arco di un esercizio contabile (cfr. già Sez. 5, n. 24779 del 04/12/2015, Rv. 637641 -01; osserva, da ultimo, Cass. n. 30785 del 14/07/2021, in motiv., par. 1.3, pp. 4 e 5, citando giust’appunto Sez. 5, n. 24779 del 2015 e successive conformi, che ‘la sola strumentalità del bene, dunque, non è sufficiente, attesa la non sovrapponibilità del concetto con quello di
ammortizzabilità e la necessità che tale bene sia riconducibile alla categoria delle immobilizzazioni’: donde il concetto di strumentalità qualificata che brevemente poc’anzi s’è proposto di utilizzare).
6.3.3. Ora, la circostanza che il rimborso ex art. 30, già comma 3, ora comma 2, lett. c), DPR n. 633 del 1972 non sia concesso per l’intero importo dell’eccedenza detraibile, ma sia commisurato all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili, evidenzia (come condivisibilmente evidenziato nel motivo) la ‘ratio’ perseguita dal legislatore, consistente nell’agevolare solo l’imprenditore che compie investimenti ‘tangibilmente’ produttivi, ossia investimenti materialmente e durevolmente funzionali ad incrementare, o migliorare, o ‘in limine’ favorire, le potenzialità (di risultato ma anche di esercizio) dell’attività d’impresa.
Pertanto, siffatta produttività degli investimenti segna la causa, e nel contempo la misura ed il limite, del diritto dell’imprenditore al rimborso, cui, per effetto del riconoscimento del diritto stesso, è accordato il beneficio di rientrare immediatamente dell’imposta, recuperando sin da subito, per il corrispondente ammontare, mezzi di finanziamento utili all’attività.
6.3.4. Alla luce di quanto precede, sebbene sia vero, come sostenuto dalla CTR nella sentenza impugnata, che lo stretto tenore letterale dell’art. 30, già comma 3, ora comma 2, lett. c), DPR n. 633 del 1972 non prevede la perdita del diritto al rimborso in caso di ravvicinata, rispetto all’acquisto, dismissione dei beni ammortizzabili, a tale risultato sicuramente conduce tuttavia un’interpretazione della norma coerente con il quadro finalistico -sistematico (dianzi tratteggiato) in cui è inserita, qualora la dismissione, per modi e tempi, evidenzi l’assenza di un effettivo utilizzo dei beni nel ciclo produttivo: effettivo utilizzo che è onere del richiedente il rimborso allegare e dimostrare sulla base,
sottolineasi, di elementi non formali (Sez. 5, n. 15255 del 17/07/2020, Rv. 658361 -01).
6.3.4.1. Similmente, nell’ambito finitimo del rimborso per beni destinati ad un’attività in fase di avvio, la giurisprudenza di legittimità già da tempo ha avuto modo di affermare che, ‘nel caso in cui l’Amministrazione Finanziaria fondi il diniego del rimborso dell’imposta, corrisposta per l’acquisto di un capannone (che si assume essere bene strumentale da utilizzare per l’esercizio dell’impresa), sul mancato riconoscimento di una situazione di fatto che renda effettiva la manifestazione d’intento dell’imprenditore -contribuente e dimostri, secondo il giudizio in fatto del giudice di merito (insindacabile in cassazione), che l’attività non ha avuto inizio, non già per fatti temporanei ma perché non sussiste alcuna attività riconducibile a quelle che consentono l’acquisizione della veste di soggetto passivo d’imposta (nella specie: nel capannone aveva luogo altra attività commerciale rispetto a quella indicata dal contribuente), all’interessato spetta dimostrare il requisito dell’inerenza del bene all’attività d’impresa e cioè, non solo che l’atto di acquisto di esso ha natura preparatoria rispetto all’attività d’impresa che ha dichiarato di voler avviare, ma che esso è tale rispetto ad una attività imprenditoriale effettiva, per quanto futura’ (Sez. 5, n. 7816 del 23/04/2004, Rv. 572301 -01).
6.3.4.2. D’altronde, finanche sul versante del reddito d’impresa, si insegna che ‘un capannone industriale, ancorché abbia natura di bene materiale strumentale, ove non utilizzato in concreto non è ammortizzabile, poiché ai fini della deducibilità del relativo costo l’art. 102, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986 richiede l’effettiva messa in funzione del bene, che non coincide con l’acquisto o la costruzione dello stesso’ (Sez. 6 -5, n. 32719 del 18/12/2018, Rv. 652172 -01).
6.3.5. Tornando più versatamente alla vicenda per cui è processo, a riprova dell’imprescindibilità dell’effettivo utilizzo dei
beni nel ciclo produttivo quale tratto qualificante, in termini di concretezza e prospettica durata, del requisito della strumentalità, soccorre la considerazione che, qualora si avesse a condividere la soluzione prospettata dalla CTR, finirebbe per sovvertirsi l’intero sistema dell’IVA, annullandosi la differenza tra beni ammortizzabili, cui soli si riferisce la lett. c) cit., e non, ossia, in definitiva, tra beni strumentali viepiù qualificati e beni-merce, con il risultato di consentire il rimborso in relazione a beni ammortizzabili in realtà concretamente non tali e quindi degradati a ben-merce, siccome acquistati non già per essere asserviti all’attività d’impresa ma puramente e semplicemente per essere (ri)venduti.
6.4. Deve, sinteticamente, enunciarsi il seguente principio di diritto:
In tema di IVA, ai fini del riconoscimento del diritto al rimborso dell’eccedenza dell’IVA detraibile ai sensi dell’art. 30, già comma 3, ora 2, lett. c), DPR n. 633 del 1972, è necessario che l’acquisto da cui origina il credito azionato in rimborso abbia ad oggetto beni ammortizzabili, dotati, dunque, di strumentalità qualificata, da intendersi quale materiale e durevole asservimento degli stessi all’esercizio dell’attività d’impresa, che incombe al richiedente il rimborso specificamente dimostrare, attraverso elementi non (solo) formali; ne consegue che esula il diritto al rimborso in capo a chi, sorpreso nella materiale indisponibilità dei beni acquistati, ne alleghi l’alienazione dopo l’acquisto, qualora detta alienazione, per tempi e modalità, in relazione a tutte le circostanze del caso concreto, appaia ragionevolmente incompatibile con il concreto utilizzo dei beni stessi nel ciclo produttivo.
6.5. A completamento del discorso, sia consentito di osservare che le raggiunte conclusioni si allineano all’insegnamento delle Sezioni Unite nella sentenza n. 13163 del 14/05/2024, la quale, nel ritenere la tendenziale equivalenza, al fine di assicurare la neutralità dell’IVA, dei meccanismi del rimborso e della detrazione, afferma bensì che ‘l’esercente attività d’impresa o professionale ha diritto al rimborso dell’IVA per i lavori di ristrutturazione o manutenzione di immobili dei quali non è proprietario, ma che detiene in virtù di un diritto personale di godimento’, tuttavia esigendo che sia pur sempre ‘presente un nesso di strumentalità tra tali beni e l’attività svolta’ (Rv. Rv. 671381 -01).
6.6. Proprio il riferimento alla detrazione consente, infine, di osservare che essa – il diritto alla quale è, peraltro, espressamente riconosciuto alla contribuente nell’impugnato provvedimento di diniego della richiesta di rimborso -assicura la neutralità dell’imposta nel caso di insussistenza del diritto al rimborso per difetto della strumentalità qualificata dei beni, eventualmente, qualora sopravvenga la cessazione dell’attività, ‘sub specie’ bensì di rimborso, tuttavia ai sensi della specifica previsione dell’art. 30, comma 1, DPR n. 633 del 1972 (fermo restando che – giusta, ad esempio, Sez. 5, n. 1822 del 23/01/2019, Rv. 652366 -01 – ‘anche nell’ipotesi di domanda di rimborso presentata a seguito della cessazione dell’attività l’Amministrazione finanziaria è tenuta a verificare la sussistenza del credito del contribuente che dovrà assolvere, in caso di contestazione, all’onere probatorio sullo stesso gravante’).
La sentenza impugnata non ha osservato i principi di cui sopra, conseguendone la necessità che sia cassata con rinvio, per nuovo esame e per le spese, comprese quelle del grado.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, ai sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata, con rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 9 ottobre 2024.