Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8054 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8054 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 8916/2021 proposto da:
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede è elettivamente domiciliata, in Roma, alla INDIRIZZO (PEC: EMAIL
– ricorrente –
contro
Friuli Com-est di RAGIONE_SOCIALE (già Friuli Com-Est di Maggio Vittorio s.a.s.) e RAGIONE_SOCIALE di COGNOMERAGIONE_SOCIALE nelle persone dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese, giusta procura speciale a margine del controricorso, in via tra loro congiunta e/o disgiunta dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME con
domicilio presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrenti – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, sezione staccata di Brescia, n. 277/25/2021, depositata in data 14 gennaio 2021, notificata in data 4 febbraio 2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
1. La Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello proposto dalle società RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (già Friuli ComRAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso avente ad oggetto la comunicazione di diniego prot. n. 39667 dell ‘ 8 aprile 2016, con la quale era stata respinta la richiesta di sollecito del rimborso IVA maturato nell’anno 2005 e oggetto di una precedente istanza di rimborso presentata in data 9 febbraio 2006, che era stata espressamente rigettata con provvedimento dell’Agenzia delle Entrate n. prot. 24 del 20 aprile 2008. 2. I giudici di secondo grado hanno accolto il gravame ritenendo che: l’impugnazione degli avvisi di accertamento era sufficiente in relazione alla questione del rimborso del credito Iva e che un eventuale ricorso avverso il diniego, mai ricevuto precedentemente all’avviso di accertamento, avrebbe comportato la duplicazione della tutela giurisdizionale, considerato che gli atti in oggetto erano legati da un rapporto di pregiudizialità-dipendenza e che senza il diniego da parte della Pubblica Amministrazione non vi sarebbe mai stata notifica degli avvisi di accertamento; l’Ufficio aveva superato il diniego ed aveva e messo direttamente l’atto accertativo; la sentenza 90/26/2011 della CTR di Milano, passata in giudicato, riguardante gli avvisi di
accertamento, supportava la legittimità del rimborso; la sentenza di primo grado era carente laddove aveva dichiarato che la parte contribuente avrebbe dovuto ricorrere avverso il primo diniego del 2008, in quanto il primo diniego era stato emesso solo successivamente all’instaurazione del procedimento giudiziario per la dichiarazione di nullità dell’avviso di accertamento relativo alla pratica di rimborso IVA.
L ‘Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
Le società Friuli Com-est di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE di COGNOME resistono con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo motivo di ricorso deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 del decreto legislativo n. 546 del 1992, nonché degli artt. 30, 38bis e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972. La sentenza impugnata era errata nella parte in cui aveva ritenuto che, nonostante l’omessa impugnazione del diniego del 2008, il ricorso avverso la comunicazione del 2016, con cui l’Ufficio aveva riscontrato il nuovo soll ecito della controparte, fosse ammissibile e nella parte in cui aveva riconosciuto un rapporto di «presupposizione necessaria» tra gli avvisi di accertamento impugnati e poi annullati e il diniego di rimborso del 20 aprile 2008, in quanto gli atti che venivano in rilievo non si inserivano nella medesima sequenza procedimentale attenendo all’esercizio di differenti potestà pubblicistiche. Inoltre, solo il primo accertamento era stato emesso ed impugnato prima del provvedimento di diniego, sicché non poteva parlarsi di superamento del diniego mediante emissione dell’atto accertativo, peraltro rapporti del tutto autonomi sul piano procedimentale e processuale e permanendo impregiudicata la questione sostanziale dell’esistenza della eccedenza di imposta
detraibile. I giudici di secondo grado non avevano considerato che il rimborso oggetto di impugnazione non era stato sospeso a fronte dell’esistenza di atti di irrogazioni sanzioni, ma era stato espressamente negato perché dagli accertamenti svolti dall’Ufficio era risultata inesistente la stessa eccedenza di imposta detraibile a norma degli artt. 38 bis e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972.
2. Il secondo motivo lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., nonché degli artt. 30, 38bis e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972. La Commissione tributaria regionale aveva errato nel ritenere che la sentenza n. 90/26/2011 della CTR Milano era passata in giudicato, in quanto la stessa era stata impugnata davanti la Corte di Cassazione che, con sentenza n. 24777 del 2014, aveva rigettato il ricorso, confermando la sentenza impugnata, così definendo il giudizio relativo al primo avviso di accertamento. Si trattava di sentenze che non contenevano alcuna statuizione sul merito dell’accertam ento, essendosi pronunciate solo in ordine all’inosservanza del termine dilatorio di 60 giorni di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000. Anche la sentenza della CTR Lombardia n. 76/65/11 che aveva definito il giudizio relativo al secondo avviso di accertamento non recava alcuna statuizione circa l’esistenza del credito essendosi limitata a statuire sull’insussistenza di elementi di novità idonei a giustificare l’emanazione di un accertamento integrativo, avendo anzi affermato, ai fini delle spese di lite, che appariva non infondato che i ricorrenti contribuenti avessero posto in essere le violazioni Iva. L’Ufficio aveva, poi, emesso i conseguenti provvedimenti di sgravio delle partite di ruolo concernenti gli avvisi di accertamento annullati in sede giurisdizionale. La sentenza impugnata aveva omesso di verificare se il contribuente avesse assolto al proprio onere probatorio in tema di sussistenza dei requisiti legittimanti il diritto al rimborso.
I motivi, che devono essere trattati unitariamente perché connessi, sono infondati in ragione del definitivo annullamento delle pretese impositive.
3.1 E’ necessario premettere , in punto di ricostruzione fattuale della vicenda in esame, quale emerge in maniera incontroversa dagli atti, che la società RAGIONE_SOCIALE aveva presentato in data 9 febbraio 2006 istanza per il rimborso di un credito IVA, pari ad euro 1.082.710,00, maturato nell’anno 2005; l’Agenzia delle Entrate, in data 24 maggio 2007, comunicava con provvedimento notificato il 25 maggio 2007, la sospensione del rimborso in ragione dell’esistenza di accertamenti in corso; il provvedimento di sospensione veniva impugnato ed annullato dalla CTP di Brescia con sentenza n. 75/15/2008; in data 20 aprile 2008 veniva comunicato il provvedimento di diniego espresso di rimborso a seguito della emissione, in data 26 luglio 2007, dell’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO (con cui erano state contestate fatturazioni per operazioni inesistenti ed effettuate le conseguenti riprese a tassazione ai fini Irap ed Iva) e, in data 23 (26) aprile 2008, dell’avviso di accertamento integrativo n. R0J020100188-2008 ( con cui, ai fini Irap e Iva, essendo emersi nuovi elementi, si contestava che la società RAGIONE_SOCIALE doveva effettuare le presunte cessioni di merci alla società RAGIONE_SOCIALE senza addebito di Iva in mancanza del presupposto della territorialità ex art. 7, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972 ); il provvedimento di diniego espresso del 20 aprile 2008 non veniva impugnato; la società RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE di Faten Allani, quest’ultima divenuta «conferitaria» del credito Iva 2005, con atto a rogito notarile del 5 dicembre 2014, presentavano un sollecito di pagamento del predetto credito Iva, alla luce delle sentenze passate in giudicato che avevano annullato i richiamati avvisi di accertamento; l’Ufficio inviava la comunicazione dell’8 aprile 2016 con cui informava la società di non
potere procedere al rimborso perché il diniego espresso del 2008 non era stato impugnato ed era divenuto definitivo. Con specifico riferimento al contenzioso avente ad oggetto gli indicati avvisi di accertamento, il giudizio relativo all’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO-2007 veniva definito con sentenza della Suprema Corte n. 24777 del 2014 che confermava l’annullamento dell’accertamen to già statuito dalla CTR della Lombardia per il mancato rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni di cui all’ art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000; mentre il giudizio sull’avviso di accertamento integrativo n. R0J020100188-2008 si concludeva con sentenza n. 76/65/11 della CTR di Brescia, passata in giudicato, che aveva dichiarato l’insussistenza dei presupposti per l’emanazione di un avviso integrat ivo.
3.2 Sempre sul piano fattuale va rilevato (come risulta in modo incontroverso dal ricorso e dal controricorso) che l’Agenzia delle Entrate, a seguito della domanda di rimborso del credito Iva maturato nell’anno 2005 , aveva richiesto alla società istante, con nota del 20 febbraio 2006, l’elenco dei soggetti con i quali erano state effettuate le operazioni di esportazioni ed invitato la società istante a definire gli eventuali carichi pendenti tributari in relazione ai ruoli dei periodi di imposta 1996 e 1998; con successiva nota del 15 marzo 2006 aveva invitato la società a presentare, tra i vari documenti, atto di fideiussione o polizza fideiussoria a garanzia dell’importo richiesto a rimborso; in seguito aveva attivato una vera e propria verifica fiscale, eseguendo, in data 1 febbraio 2007, un primo accesso presso la sede della RAGIONE_SOCIALE (fornitrice di RAGIONE_SOCIALE) e, in data 12 febbraio 2007, un secondo accesso presso la sede della RAGIONE_SOCIALE (altra fornitrice di RAGIONE_SOCIALE s.a.s.), cui aveva fatto seguito, in data 24 maggio 2007, la sospensione del rimborso (poi annullata in sede giudiziaria con sentenza della CTP di Brescia n. 75/15/2008, non impugnata) e in data 26 luglio 2007 il primo avviso di accertamento e successivamente il provvedimento di diniego espresso di rimborso (il
20 aprile 2008) e poco dopo, il 23 (26) aprile 2008 il secondo avviso di accertamento integrativo.
3.3 Tanto premesso, occorre precisare che questa Corte ha affermato che « In tema di rimborso dell’eccedenza IVA risultante dalla dichiarazione annuale, l’impugnazione in sede giurisdizionale dell’avviso di accertamento in rettifica della stessa dichiarazione che , accertando un debito d’imposta, comporti il disconoscimento del credito per l’eccedenza, interrompe, ai sensi dell’art. 2943, comma 2, c.c., il termine di prescrizione decennale per l’esercizio del diritto al rimborso – che resta sospeso, ai sensi dell’art. 2945, comma 2, c.c., fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il processo atteso che il giudizio devoluto al giudice tributario ha ad oggetto la verifica della sussistenza, in via alternativa, di una delle due contrapposte pretese di un debito d’imposta o del credito per l’eccedenza » (Cass., 30 luglio 2019, n. 20466).
3.4 Inoltre, qualora il giudice abbia accolto, in tutto o in parte, il ricorso avverso l’avviso di rettifica, escludendo o riducendo l’ammontare dovuto, le eventuali maggiori somme pretese non sono esigibili, sicché l’Amministrazione è tenuta ad adottare gli eventuali atti di sgravio ed a limitare l’avvio o la prosecuzione dell’attività di riscossione al minor importo accertato in giudizio; mentre, nel caso di già avvenuta esazione, deve escludersi il diritto del contribuente al rimborso delle maggiori somme e allo svincolo delle garanzie prestate, che sorge solo quando la sentenza sia passata in giudicato e, quindi, l’obbligazione si sia, «in parte qua», estinta (Cass., 17 marzo 2020, n. 7346).
3.5 Ciò che rende irrilevanti le argomentazioni spese sul giudicato (fondate sul presupposto che le due sentenze che avevano definito i giudizi aventi ad oggetto gli avvisi di accertamento non contenevano alcuna statuizione sull’esistenza del credito), dovendosi in ogni caso precisare che il giudicato si forma sul dedotto e sul deducibile, ovvero su tutto quanto rientri nell’oggetto del processo e si estende non
soltanto alle ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio, ma anche a tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia (Cass., 11 gennaio 2024, n. 1259).
3.6 Inoltre, in ragione dell’effetto espansivo esterno del giudicato, previsto dall’art. 336, comma 2, c.p.c., deve rilevarsi che il diniego opposto dall’Ufficio è stato caducato dai giudizi sugli avvisi di accertamento che hanno avuto ad oggetto la verifica della sussistenza, in via alternativa, di una delle due contrapposte pretese di un debito d’imposta o del credito per l’eccedenza (Cass., 30 luglio 2019, n. 20466, citata).
3.7 Ciò posto, ritiene questa Corte che, per logica necessità, debba essere ricompreso nell’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO-2007 relativo all’anno 2005 anche l’accertamento negativo dell’esistenza del credito IVA esposto dalla società RAGIONE_SOCIALE per la medesima annualità, che aveva formato oggetto dell’originaria istanza di rimborso formulata in data 9 febbraio 2006, non potendo all’evidenza coesistere, con riferimento allo stesso periodo d’imposta ed alla stessa dichiarazione annuale IVA, un debito per maggiore imposta inevasa ed un credito per eccedenza d’imposta; emerge, infatti, dalla sentenza di appello e dalle difese delle parti che la ripresa fiscale oggetto di accertamento era fondata sugli stessi presupposti di fatto e di diritto che avevano determinato il mancato rimborso del credito per eccedenza Iva di cui all’istanza del 9 febbraio 2006 (cfr. in particolare pag. 17 del ricorso per cassazione dove si legge « dagli accertamenti svolti dall’Ufficio è risultata inesistente la stessa eccedenza di imposta detraibile a norma degli artt. 38-bis e 57 d.p.r. n. 633/1972 »), con il conseguente corollario che la contestazione mossa dall’Ufficio nell’avviso di accertamento citato (oggetto di impugnazione e di annullamento per violazione della norma di cui
all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 con sentenza di questa Corte n. 24777 del 2014) comportava, dunque, necessariamente, il disconoscimento del credito predetto; ovvero, come precisato da questa Corte in una fattispecie analoga, « sussisteva una relazione di biunivoca corrispondenza tra il credito IVA chiesto a rimborso e il debito IVA accertato dall’Ufficio finanziario per il medesimo anno, atteso che il riconoscimento della debenza dell’imposta avrebbe comportato indefettibilmente il correlativo azzeramento del credito per eccedenza, che sarebbe risultato inesistente » (cfr. Cass., 30 luglio 2019, n. 20466, in motivazione); per contro, la ritenuta insussistenza della pretesa dell’amministrazione in ragione dell’annullamento (anche per motivi formali) degli avvisi di accertamento, ha determinato l’automatico accertamento dell’esistenza del credito chiesto a rimborso; deve in conseguenza ritenersi che il giudizio devoluto alla cognizione del giudice tributario aveva ad oggetto la verifica della sussistenza, in via alternativa, di una delle due contrapposte pretese; la conclusione raggiunta trova indiretta conferma nell’orientamento, che va ribadito, per cui « in tema di rimborso dell’eccedenza dell’IVA, così come prevista dall’art. 30 del d.P.R. 633 del 1972, l’impugnazione in sede giurisdizionale delle sole “poste” (considerate nell’eccedenza” complessiva chiesta dal contribuente) disconosciute dall’Ufficio non produce gli effetti di cui agli artt. 2944 e 2945 cod. civ. sulle poste non contestate e, quindi, non interrompe né sospende il decorso, per queste ultime, del termine di prescrizione decennale» (Cass., 18 febbraio 2010, n. 3827); dal richiamato principio può infatti ricavarsi, a contrario, che ove l’Ufficio, come nel presente caso, contesti le operazioni rilevanti ai fini iva disconoscendo la sussistenza del credito esposto in conseguenza di esse, si produce l’effetto interruttivo/sospensivo della prescrizione derivante dalla proposizione della domanda giudiziale; si è precisato, al riguardo, che subordinare il mancato decorso della prescrizione del
diritto al rimborso all’instaurazione di un autonomo, ulteriore giudizio (indubitabilmente connesso al primo o quantomeno da questo pregiudicato), implicherebbe l’imposizione a carico del contribuente di un onere processuale ingiustificatamente gravoso, in violazione anche dei principi del c.d. «giusto processo» di cui all’art. 111 Cost. (Cass., 30 luglio 2019, n. 20466, in motivazione).
3.8 Da quanto precede, consegue che correttamente la CTR ha ritenuto che l’impugnazione degli avvisi di accertamento fosse sufficiente in relazione alla questione del rimborso del credito IVA e che un eventuale ricorso avverso il diniego avrebbe comportato una duplicazione della tutela giurisdizionale, soprattutto considerando che gli atti in esame erano legati da un rapporto di pregiudizialità-dipendenza; peraltro, come affermato anche dall’Agenzia ricorrente, mentre un avviso di accertamento veniva emesso prima (il 26 luglio 2007) del diniego espresso del 20 aprile 2008 (ma dopo la richiesta di documenti e della polizza fideiussoria e dell’accesso presso le sedi della società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE società fornitrici della società RAGIONE_SOCIALE, il secondo avviso di accertamento (cosiddetto integrativo) era stato emesso in data successiva ovvero il 23 (26) aprile 2008; inoltre, proprio la circostanza che il diniego espresso avesse fatto seguito ad una attività di verifica fiscale eseguita d all’Ufficio dopo la presentazione dell’istanza di rimborso del credito Iva presentata in data 9 febbraio 2006 (richiesta di documenti in data 20 febbraio 2006 e richiesta di polizza fideiussoria in data 15 marzo 2006 ed accessi presso la sede delle società fornitrici in data 1 febbraio 2007) conduce a disattendere la prospettazione erariale finalizzata alla distinzione tra atto costituente esercizio della potestà impositiva e atto espressione di una pretesa creditoria del contribuente (arg. da Cass., 22 novembre 2021, n. 35918).
3.9 Va, in ultimo, rilevato l’irrilevanza dell’orientamento richiamato in ricorso secondo cui «In tema di rimborso d’imposte, l’Amministrazione
finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti, in applicazione del principio “quae temporalia ad agendum, perpetua ad excepiendum » (Cass., Sez. U., 15 marzo 2016, n. 5069), che ha poi condotto alle sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte nn. 21765 e 21766 del 29 luglio 2021, in quanto i principi suesposti regolano la diversa ipotesi in cui sono decorsi i termini per l’accertament o senza che l’amministrazione abbia adottato alcun provvedimento.
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va rigettato e l’Agenzia ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalle società controricorrenti e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
4.1 Non vi è luogo a pronuncia sul raddoppio del contributo unificato, perché il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa (ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile), disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1 bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., Sez. U., 25 novembre 2013, n. 26280; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia ricorrente al pagamento, in favore delle società controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 13.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, in data 26 febbraio 2025.