Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6618 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 6618 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 2279/2024 R.G. proposto da: REGIONE CAMPANIA, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ‘ex lege’ in ROMA INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CRMGPP65E30A512M) e COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO CAMPANIA n. 3750/2023 depositata il 14/06/2023. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 14/01/2025 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE con istanza in data 19 gennaio 2021 inviata via p.e.c. alla regione Campania ed altresì all’Agenzia delle Dogane (cfr. il ‘file’ ‘.pdf.p7m’, di cui al fascicolo della contribuente controricorrente), chiedeva il rimborso dell’IRBA versata per gli anni d’imposta dal 2015 al 2019 per un totale di € 287.963,53.
All’istanza non seguiva risposta.
La CTP di Napoli, adita impugnatoriamente dalla contribuente nei confronti della sola regione Campania (cfr. il ricorso introduttivo del giudizio contenuto nel ‘file’ ‘graziano e co ricorso.pdf.p7m’ di cui al fascicolo della regione Campania ricorrente), con sentenza n. 7033/35/22 depositata il 25/06/2021, dichiarata inammissibile l’istanza di rimborso in relazione agli aa.ii. 2015, 2016, 2017 e 2018 perché presentata oltre il termine di decadenza ex art. 14, comma 3, TUA, rigettava il ricorso per l’a.i. 2019.
La contribuente presentava appello in relazione ai soli aa.ii. 2018 e 2019, deducendo, quanto al primo, che l’istanza di rimborso era tempestiva e, quanto ad entrambi, che la stessa era fondata.
La CGT II della Campania, con la sentenza in epigrafe, accoglie l’appello e, per l’effetto, dichiara dovuto il rimborso del contributo versato dalla appellante alla Regione Campania, con riferimento ai versamenti effettuati per le annualità 2018 e 2019, oltre interessi al tasso legale dalla data della domanda giudiziale fino al saldo effettivo .
Per quanto di ragione, così, essenzialmente, motivava:
L’IRBA contrasta con i principi convenzionali dell’Unione Europea, in quanto incide su un prodotto che risulta già assoggettato ad accisa.
Pertanto, il tributo avrebbe potuto ritenersi legittimo solo alle condizioni dettate dall’art. I, paragrafo 2, direttiva CE 6 dicembre 2008, n. 118, che impone la destinazione a finalità specifiche del gettito derivante da prelievi di tale natura, finalità che non risultano esplicitate dalla normativa nazionale, tantomeno da quella regionale.
Da ciò è conseguito che la legge di bilancio 2020, all’art. 1, co. 628, ha disposto l’abrogazione del tributo, a decorrere dal 1°.1.2021 .
Malgrado non sia stato esplicitato dal Legislatore il motivo dell’abrogazione dell’imposta IRBA, la ragione della soppressione ben può essere ricondotta al tema del contrasto sorto tra la norma nazionale e il diritto comunitario laddove, secondo la Commissione Ue, non sarebbe ravvisabile alcuna finalità specifica attribuita al gettito derivante dall’IRBA italiana, se non quella di mero bilancio generale. Tale finalità generica, si pone in contrasto con il diritto unionale, in quanto non rispetta il portato normativo della direttiva.
L’istituzione del tributo, e la sua riscossione, è pertanto contraria al diritto dell’Unione (ai sensi dell’articolo I, par. 2, della direttiva accise 2008/118/Ce) e legittima ex se il diritto al rimborso nei termini ordinari; sulla legittimità di tale procedura sarà competente il giudice nazionale, al quale è attribuita la tutela giurisdizionale dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, mediante il potere di disapplicazione della norma nazionale.
È quindi evidente che i rapporti tributari conchiusi in epoca antecedente alla entrata in vigore della norma abrogatrice restano regolati dalla normativa oggi espunta dall’ordinamento con effetto ex nunc, che peraltro esplicava effetti già alla data della decisione impugnata (25 giugno 2021); tale disposizione non può disporre che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo (art. 11 delle preleggi al cod. civ.). Il diritto al rimborso della contribuente per l’IRBA versata per gli anni 2018 e 2019 è quindi regolato dai principi e dalla normativa già precedentemente in vigore.
Ad avviso di questa Corte, la norma, oggi non più vigente, va disapplicata, secondo quanto previsto dalla disposizione contenuta nella legge di bilancio 2020, che fa salvi gli effetti dei tributi già riscossi. Vige il principio del “primato” della normativa comunitaria (art. 11 e 117 Cost.), ragione per la quale il giudice nazionale ha il potere di disapplicare la normativa interna di uno Stato membro aderente alla Unione Europea quando essa contrasta con il diritto Comunitario derivato .
a disposizione normativa che fa salve le obbligazioni tributarie già insorte deve essere disapplicata in quanto mira a legittimare ex post un prelievo tributario che è stato istituito dallo Stato italiano in contrasto con i principi comunitari e che nega il rimborso all’unico soggetto gravato dall’obbligo tributario verso la Regione.
Va superata la doglianza formulata dalla Regione Campania, che ha eccepito che il tributo è stato pagato, non dalla società, ma dai singoli consumatori finali del carburante all’atto del rifornimento presso gli impianti di distribuzione. Pertanto, l’imposta in questione non è pagata dal gestore, ma è inclusa nel prezzo di vendita al dettaglio della benzina che, al pari dell’accisa statale, una volta riscossa dal consumatore finale, va dichiarata e versata rispettivamente alla Regione ed allo Stato.
Sul punto, si rileva che, ai sensi dell’art. 3, comma 13, della L. n. 549/95 prevede che l’IRBA è “dovuta alla Regione dal concessionario o titolare dell’autorizzazione dell’impianto di distribuzione del carburante”, sulla base della dichiarazione consumi presentata dai medesimi soggetti; è quindi la società distributrice tenuta ad effettuare i versamenti periodici d’imposta e la presentazione della dichiarazione annuale. Il consumatore è estraneo a questo rapporto tra distributore e Regione e nulla gli impedisce di agire in sede civile nei confronti del primo che conseguirebbe, se ottenesse il rimborso, un illecito arricchimento. Quel che infatti resta certo è che la società di distribuzione ha versato l’imposta non dovuta e la Regione l’ha indebitamente riscossa. La sorte successiva e conseguente degli effetti di questa indebita imposizione non afferiscono ai rapporti tra obbligato ed ente riscossore.
Va pertanto accolto l’appello, confermando la illegittimità del diniego al rimborso per i versamenti relativi alle annualità 2018 e 2019, con condanna della Regione alla restituzione di quanto indebitamente ricevuto .
Propone ricorso per cassazione la regione Campania con due motivi. Resiste la contribuente con controricorso.
In data 20 dicembre 2024, la regione Campania deposita istanza di rinvio dell’udienza in considerazione del rinvio pregiudiziale sollevato, ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c., dalla CGT II del Piemonte nei giudizi di rimborso dell’IRBA relativamente all’applicabilità dell’art. 29, comma 2, della legge n. 428 del 1990 nei casi di traslazione dell’imposta.
In data 21 dicembre 2024, il Pubblico Ministero, in persona della Dott.ssa NOME COGNOME deposita conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del primo motivo, assorbito, o in subordine rigettato, il secondo.
All’odierna pubblica udienza, dopo breve discussione, il predetto Pubblico Ministero conclude in conformità.
L’Avv. NOME COGNOME per la regione Campania, e l’Avv. NOME COGNOME per la contribuente, si riportano agli atti, insistendo nelle rispettive conclusioni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va rigettata l’istanza di rinvio presentata dalla regione Campania in attesa della decisione sul rinvio pregiudiziale sollevato, ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c., dalla CGT II del Piemonte, atteso che il relativo ricorso (n. 15074 del 2024 R.G.) viene trattato nella medesima pubblica udienza odierna.
Il primo motivo è in ricorso così rubricato:
Violazione e falsa applicazione di legge art. 360 1° co. n. 3 in riferimento agli artt. 7 e 18, 1° co. lett. e) D.l.vo n. 546/92 nonché artt. 2697 c.c. e 112 c.p.c. -Error in judicando
e così sintetizzato:
Si denuncia l’erroneità della sentenza perché il giudice di secondo grado ha violato il principio (espresso costantemente anche dalla Suprema Corte) in base al quale il contribuente che presenta un’istanza di rimborso all’ente impositore è onerato della dimostrazione di essere stato economicamente inciso da un prelievo che si assume non dovuto. La decisione che si impugna è illegittima oltre che illogica ed apodittica nella parte in cui fa discendere il diritto al rimborso da una mera affermazione di aver effettuato il versamento dell’imposta. Costituisce infatti presupposto giuridico, logico nonchè di fatto di un rimborso la dimostrazione che la decurtazione economica è rimasta a carico del soggetto che chiede il rimborso e che la relativa prova deve essere fornita dal contribuente, che nella specie non ha mai documentato. Non ha inoltre motivato sulle eccezioni della Regione esposte nelle sue controdeduzioni in ordine alla dedotta regola in base alla quale l’onere della prova è del ricorrente/attore che chiede il rimborso, facendo quindi
errata applicazione di principi dettati dalla Suprema Corte per fattispecie differenti.
Il secondo motivo è in ricorso così rubricato:
Violazione e falsa applicazione dell’art. 18, 1° co. lett. e) D.l.vo n. 546/92, art. 17 D.l.vo 21/12/1990 n.398; art. 3 LRC n.28/2003, n.398 (art. 360, 1° co. n.3 c.p.c.)
e così sintetizzato:
Si denuncia l’erroneità della sentenza perché non sussiste l’incompatibilità della norma regionale istitutiva dell’IRBA con la Direttiva UE 2008/118 .
In via preliminare deve essere esaminata d’ufficio la questione della legittimazione passiva della regione nel presente giudizio in ordine alla istanza di rimborso dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione azionata nel giudizio di merito, dovendosi richiamare il principio statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui « la decisione della causa nel merito non comporta la formazione del giudicato implicito sulla legittimazione ad agire ove tale “quaestio iuris”, pur avendo costituito la premessa logica della statuizione di merito, non sia stata sollevata dalle parti, posto che una questione può ritenersi decisa dal giudice di merito soltanto ove abbia formato oggetto di discussione in contraddittorio » (cfr. Cass., Sez. U., 20 marzo 2019, n. 7925 e, più di recente, Cass., 13 maggio 2024, n. 12936; Cass., 1 luglio 2024, n. 17989; Cass., 1 luglio 2024, n. 18001).
Tanto premesso, nella fattispecie in esame vengono in rilievo l’art. 1 della legge 14 giugno 1990, n. 158 (recante « Norme di delega in materia di autonomia impositiva delle regioni e altre disposizioni concernenti i rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni »), che, nel riconoscere l’autonomia finanziaria delle regioni, prevedeva « l’applicazione di tributi propri e quote di tributi erariali accorpati in un fondo comune che assicuri il finanziamento delle spese necessarie ad adempiere a tutte le funzioni normali compresi i servizi di rilevanza nazionale » e, in attuazione della delega legislativa, l’art. 17, comma 1, del decreto legislativo n. 398 del
1990, che stabiliva che « le regioni hanno la facoltà di istituire, con leggi proprie, un’imposta regionale sulla benzina per autotrazione, erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nelle rispettive regioni, successivamente alla data di entrata in vigore della legge istitutiva , in misura non eccedente lire 30 al litro ». L’art. 17 d.lgs. n. 398 del 1990, al comma 2, ha poi stabilito che « le regioni, possono, con successive leggi, fissare l’aliquota dell’imposta in misura diversa da quella precedentemente prevista, purché non eccedente lire 30 al litro, sulla benzina erogata successivamente alla data di entrata in vigore della legge che dispone la variazione ». L’art. 18 ha previsto che « l’imposta eventualmente istituita è dovuta dal soggetto consumatore della benzina ed è riscossa dal soggetto erogatore che deve versarlo alla regione sulla base dei quantitativi erogati risultanti dal registro di carico e scarico di cui all’art. 3 del decreto-legge 5 maggio 1957, n. 271, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 1957, n. 474 » ed il successivo art. 19 ha disposto che « le modalità di accertamento, i termini per il versamento dell’imposta nelle casse regionali, le sanzioni, da determinare in misura compresa tra il 50 per cento ed il 100 per cento del tributo evaso, le indennità di mora e gli interessi sono disposti da ciascuna regione con propria legge, con l’osservanza dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato ».
La disciplina in esame è stata poi modificata dalla legge n. 549 del 1995, il cui art. 3, al comma 14, ha abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 1996, gli artt. 18 e 19 d.lgs. n. 398 del 1990 e, al comma 13, ha inciso sulla struttura dell’IRBA, ponendone la corresponsione a carico del concessionario dell’impianto di distribuzione (e non più del soggetto consumatore della benzina, con riscossione da parte del soggetto erogatore, tenuto a versarne l’importo alla regione, come previsto dall’art. 18 dello stesso d.lgs n. 398 del 1990), nella misura determinata sulla base dei quantitativi erogati e contabilizzati nei registri di carico e scarico.
Nel dettare disposizioni sull’accertamento e sulla riscossione del tributo, in continuità con l’abrogato art. 19 d.lgs. n. 398 del 1990, lo stesso comma 13 ha altresì precisato che « le modalità ed i termini di versamento, anche di eventuali rate di acconto, le sanzioni, da stabilire in misura compresa tra il 50 e il 100 per cento dell’imposta evasa, sono stabiliti da ciascuna regione con propria legge ». Sempre il comma 13 ha, poi, previsto che, « per la riscossione coattiva, gli interessi di mora, il contenzioso e per quanto non disciplinato dai commi da 12 a 14 del presente articolo, si applicano le disposizioni vigenti in materia di accisa sugli oli minerali, comprese quelle per la individuazione dell’organo amministrativo competente. Le regioni hanno facoltà di svolgere controlli sui soggetti obbligati al versamento dell’imposta e di accedere ai dati risultanti dalle registrazioni fiscali tenute in base alle norme vigenti, al fine di segnalare eventuali infrazioni o irregolarità all’organo competente per l’accertamento. Ciascuna regione riscuote, contabilizza e dà quietanza delle somme versate, secondo le proprie norme di contabilità ».
A questo assetto normativo si è allineata la disciplina della regione Campania, che, dapprima, con l’art. 3 della legge regionale n. 28 del 2003, ha stabilito che « l’imposta è dovuta alla regione dal concessionario dell’impianto di distribuzione di carburante sulla base dei quantitativi erogati in ogni mese » e, dopo, con l’art. 2, comma 2, della legge regionale n. 8 del 2004, ha modificato l’art. 3 cit. aggiungendo alla parola « concessionario » le seguenti « e dal titolare », per poi addivenire alla formulazione di detto articolo così come risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1, comma 3, della legge regionale n. 15 del 2005: « L’imposta è dovuta alla regione dal concessionario e dal titolare dell’autorizzazione dell’impianto di distribuzione del carburante o, per loro delega, dalla società petrolifera che sia unica fornitrice dell’impianto, su
base mensile e sui quantitativi di cui al decreto del Ministero delle finanze 30 luglio 1996, articolo 1, comma 1, lettera d)».
L’IRBA è stata soppressa tanto dal legislatore nazionale, che, con l’art. 1, comma 628, della legge n. 178 del 2020 (legge di bilancio 2021), ha disposto che « l’articolo 6, comma 1, lettera c), della legge 14 giugno 1990, n. 158, l’articolo 17 del decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398, l’articolo 3, comma 13, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, l’articolo 1, comma 154, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e l’articolo 1, commi 670, lettera a), e 671, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recanti disposizioni in materia di imposta regionale sulla benzina per autotrazione, sono abrogati. Sono fatti salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte », quanto dalla stessa regione Campania che, in attuazione della legge di bilancio 2021, con l’art. 54 della legge regionale 29 giugno 2021, n. 5, nel disporre l’abrogazione delle disposizioni normative che, per il passato, avevano regolato il prelievo (comma 2), ha espressamente previsto che « a decorrere dal periodo d’imposta 2021 è soppressa l’imposta regionale sulla benzina per autotrazione. Sono fatti salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte » (comma 1).
Come, dunque, reso esplicito dalla successione normativa sopra ripercorsa, l’IRBA non può trovare più applicazione nella regione Campania a decorrere dall’anno d’imposta 2021.
In ragione di quanto detto, gli aspetti procedurali, dichiarativi, liquidativi, di accertamento, di riscossione e sanzionatori dell’IRBA, ad integrazione e modifica di quanto inizialmente stabilito nel 1990, sono stati modificati e fissati dall’art. 3, comma 13, della legge n. 549 del 1995, che, per quel che rileva in questa sede, ha stabilito che « gli uffici tecnici di finanza effettuano l’accertamento e la liquidazione dell’imposta regionale sulla base di dichiarazioni annuali presentate, dai soggetti obbligati al versamento dell’imposta e che per la riscossione coattiva, gli interessi di mora,
il contenzioso e per quanto non disciplinato dai commi da 12 a 14 del presente articolo, si applicano le disposizioni vigenti in materia di accisa sugli oli minerali, comprese quelle per la individuazione dell’organo amministrativo competente ».
Il conseguente corollario è che l’IRBA è un tributo regionale proprio derivato, in quanto colpisce la vendita della benzina per autotrazione in base alla quantità, e non al valore, e diviene esigibile nel momento e nel luogo in cui avviene l’immissione al consumo del prodotto energetico; dunque, l’imposta è dovuta al momento della fornitura della benzina al consumatore finale e il fornitore, « in caso di pagamento indebito, è l’unico soggetto legittimato a presentare istanza di rimborso all’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 29, comma 2, della legge n. 428 del 1990 ».
Peraltro, già nell’impianto della legge di delega n. 158 del 1990 (art. 6), la « facoltà delle regioni a statuto ordinario di istituire un’imposta regionale sulla benzina per autotrazione, erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nelle predette regioni » veniva correlata all’obiettivo di « attribuire alle regioni a statuto ordinario una più ampia autonomia impositiva in adempimento del precetto di cui al secondo comma dell’articolo 119 della Costituzione ».
Anche la Corte Costituzionale, di recente, ha affermato che « l’IRBA è stata prevista dall’art. 17 del d.lgs. n. 398 del 1990, in attuazione della legge delega n. 158 del 1990, la quale, all’art. 6, comma 1, lettera c), al dichiarato fine di ‘attribuire alle regioni a statuto ordinario una più ampia autonomia impositiva in adempimento del precetto di cui al secondo comma dell’art. 119 della Costituzione’, aveva consentito a dette regioni di introdurre, con proprie leggi, un’imposta sulla benzina per autotrazione erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nei rispettivi territori» e che « L’IRBA si configura come un tributo regionale proprio derivato, avente struttura analoga a quella dell’accisa, in quanto, al
pari di questa, colpisce la vendita della benzina per autotrazione in base alla quantità, e non al valore, e diviene esigibile nel momento e nel luogo in cui avviene l’immissione al consumo del prodotto energetico » (Corte cost., 4 giugno 2024, n. 100).
Dunque, l’IRBA rientra tra i cosiddetti ‘tributi propri derivati’ delle regioni, cioè quei tributi che, come precisa l’art. 7, comma 1, lett. b), n. 1, della legge n. 42 del 2009 (legge delega sul federalismo fiscale) sono « istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle Regioni ».
Detta definizione ha trovato adeguata sede nel decreto legislativo n. 68 del 2011, che all’art. 8 ha elencato i tributi delle regioni a statuto ordinario, distinguendo: al comma 1, i tributi propri autonomi « ceduti », che possono, cioè, essere istituiti e interamente disciplinati o anche soppressi con legge regionale, tra i quali non è previsto il tributo in questione; al comma 2, la tassa automobilistica, che si configura come un tertium genus , vale a dire un tributo proprio derivato particolare, parzialmente « ceduto » alle regioni; al comma 3 i « tributi propri derivati », cioè gli altri tributi riconosciuti alle regioni a statuto ordinario dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del decreto stesso.
Come in numerose occasioni ha affermato la Corte costituzionale, questi tributi, che sono quindi individuati dalla norma in via residuale, conservano inalterata la loro natura di tributi erariali (Corte cost., 26 marzo 2010, n. 123; Corte cost., 14 luglio 2009, n. 216; Corte cost., 25 ottobre 2005, n. 397; Corte cost., 26 gennaio 2004, n. 37; Corte cost., 26 settembre 2003, n. 296).
Nel descritto contesto normativo, con specifico riferimento all’IRBA istituita dalla regione Lazio con l’art. 3 della corrispondente legge regionale n. 19 del 2011, e dunque ad una disciplina del tutto omogenea a quella qui in esame, siccome rinveniente dal medesimo fondamento normativo offerto dalla legislazione
nazionale e connotata da medesimi contenuti di regolazione, si innesta la considerazione che è intervenuta a sancirne la contrarietà al diritto unionale la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, giusta ordinanza del 9 novembre 2021 resa in causa C255/20, su rinvio pregiudiziale riguardante l’interpretazione dell’art. 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 alla luce dell’art. 1, paragrafi 1 e 2, della direttiva 118/08, che dispone nei seguenti termini: « Gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o per l’imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell’imposta; sono escluse da tali norme le disposizioni relative alle esenzioni ».
Ai sensi di detta disposizione, che sostanzialmente riproduce le previgenti disposizioni di cui all’art. 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 (cfr. CGUE, 9 novembre 2021, causa C-255/20, punto 27; CGUE, 5 marzo 2015, causa C-553/13, punto 34), gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette a condizione che dette imposte rispondano a finalità specifiche e che siano conformi alle norme fiscali dell’Unione applicabili ai fini delle accise o dell’imposta sul valore aggiunto sia per la determinazione della base imponibile sia per il calcolo, l’esigibilità ed il controllo. Le due condizioni, che mirano ad evitare che le imposizioni indirette supplementari ostacolino indebitamente gli scambi, hanno carattere cumulativo e, per quanto attiene alla prima, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia emerge che una finalità specifica, per essere tale, non deve essere puramente di bilancio (cfr. CGUE, 7 febbraio 2022, causa C-460/21, punti 19 e ss.; CGUE, 9 novembre 2021, causa C-255/20, punti 27 e ss.; CGUE, 25 luglio 2018, causa C-103/17, punti 34 e ss.).
Con riferimento alla nozione di finalità specifica, la Corte di Giustizia, nell’ordinanza richiamata, ha rilevato che l’IRBA istituita dalla regione Lazio « persegue solo una finalità generica di supporto al bilancio degli enti territoriali» (punto 38), per poi concludere che « l’art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella italiana istitutiva di un’imposta regionale sulle vendite di benzina per autotrazione, dal momento che «non si può ritenere che tale imposta abbia una ‘finalità specifica’ ai sensi di tale disposizione, il suo gettito essendo inteso solo a contribuire genericamente al bilancio degli enti locali ».
Il quadro d’insieme che si va delineando si completa considerando che, in conformità a quanto stabilito da questa Corte, se è vero che oggetto del presente giudizio è la realizzazione di una pretesa impositiva insorta prima della soppressione del tributo, pretesa impositiva che, stante la su riportata clausola legale, dovrebbe rimanere « salva » nei suoi effetti obbligatori, tuttavia l’accertata incompatibilità dell’imposta con il diritto dell’UE esclude che la clausola di salvezza in sé e per sé possa sopravvivere alla radicale espunzione del tributo, proprio per le prevalenti considerazioni di incompatibilità rispetto all’ordinamento unionale.
Sicché, per le stesse ragioni ostative già evidenziate dalla CGUE nell’esaminata ordinanza, il giudice nazionale deve disapplicare la norma interna che vorrebbe mantenere al tributo soppresso una residuale efficacia impositiva per il passato, in rapporto alle obbligazioni insorte prima della soppressione stessa. Conclusione, questa, che impone di ritenere non dovuta l’imposta anche per le annualità antecedenti al 2021, con ciò parimenti disapplicandosi la previsione di limiti temporali (espliciti od impliciti) di (residua) validità ed efficacia di un’imposta che si pone in già affermato totale contrasto con il diritto dell’UE e, in particolare, con l’articolo 1, par. 2, della direttiva 118/08 (cfr. fra le tante Cass., 6 marzo
2023, n. 6687; Cass., 7 marzo 2023, n. 6858; Cass., 8 marzo 2023, n. 6966; Cass., 19 giugno 2023, n. 17436; Cass., 19 giugno 2023, n. 17529).
Fermo quanto precede, anche rispetto alla nozione di finalità specifica in relazione alla legge regionale campana n. 28 del 2003, deve rilevarsi che l’art. 1, comma 3, della stessa esula dalla finalità specifica per come individuata dalla direttiva testé citata, alla luce dell’ordinanza della Corte di Giustizia del 9 novembre 2021, rivelando una pura e semplice finalità di gettito o di bilancio. L’art. 1, comma 3, cit., infatti ha previsto una destinazione del gettito prodotto dall’IRBA, unitamente al gettito prodotto dalla tassa e dalla sopratassa automobilistica regionale (ex art. 2) ad un fondo « prioritariamente utilizzato per il rafforzamento patrimoniale delle aziende sanitarie locali o per l’incremento del capitale della società di cui all’articolo 6, comma 1 », disponendo, inoltre, che « per il finanziamento del fondo di cui al comma 1 è autorizzata la spesa di 400 milioni di euro per l’anno 2004 e di 200 milioni di euro per l’anno 2005 ».
Alla luce di quanto esposto, dunque, deve ritenersi che, conformemente a quanto affermato dai giudici unionali, la legge regionale campana n. 28 del 2003 non ha previsto una « finalità specifica » ai sensi dell’art. 1, par. 2, della direttiva 118/08, dovendosi considerare che il finanziamento di un fondo del bilancio regionale avente come scopi il rafforzamento patrimoniale delle aziende sanitarie locali e l’incremento del capitale di una società destinata a sviluppare programmi per la gestione del debito sanitario regionale rappresenti una finalità di bilancio, peraltro finanziata anche da altre fonti (quale la sopratassa automobilistica regionale) e comunque individuata solo in relazione ai periodi 2004 e 2005.
Ed invero, la finalità specifica non può mai esser data dalla finalità di bilancio, perché qualsiasi imposta persegue
necessariamente uno scopo di bilancio, mentre, per soddisfare il requisito unionale, è necessario che l’imposta sia diretta di per sé a garantire la tutela della salute e dell’ambiente in tanto in quanto il gettito sia obbligatoriamente utilizzato al fine di ridurre i costi sociali ed ambientali precipuamente connessi al consumo del carburante su cui essa grava, cosicché sussista un nesso diretto tra l’uso del gettito e la finalità dell’imposta; pertanto, deve essere esclusa la finalità specifica nel caso in cui il gettito sia finalizzato (come nel caso di specie) alle spese sanitarie in generale e non a quelle specificamente connesse al consumo del carburante. Ciò conformemente ai principi statuiti dai giudici unionali che, ai fini della configurabilità della finalità specifica, hanno ritenuto necessario che la normativa nazionale preveda meccanismi di assegnazione predeterminata a fini ambientali del gettito dell’imposta e, in mancanza di siffatta assegnazione predeterminata, che l’imposta sia concepita, quanto alla sua struttura, segnatamente riguardo alla materia imponibile o all’aliquota, in modo tale da scoraggiare i contribuenti dall’utilizzare i prodotti i cui effetti sono più nocivi per la salute e per l’ambiente.
Dunque, anche in relazione alla legge regionale campana n. 28 del 2003, deve rilevarsi che l’incasso regionale del tributo è indebito, in quanto l’IRBA non soddisfaceva i requisiti previsti dalla direttiva 118 del 2018, poiché non era individuabile la finalità specifica secondo l’interpretazione vincolante della Corte di Giustizia (cfr., fra le tante, con riferimento a diverse leggi regionali, Cass., 31 luglio 2023, n. 23201; Cass., 19 giugno 2023, nn. 17529 e 17436; Cass., 25 maggio 2023, n. 14606; Cass., 8 marzo 2023, nn. 6966, 6961, 6956, 6943, 6923 e 6903; Cass., 6 marzo 2023, n. 6687).
Quanto precede per addivenire alla conclusione che, nella vicenda in esame, alla base delle istanze di rimborso si collocano assestati profili di incompatibilità del prelievo con l’art. 1, par. 2,
della suddetta direttiva di armonizzazione del sistema delle accise, per l’assenza di una « finalità specifica » qualificante il prelievo.
E tuttavia -così pervenendosi al momento nodale della decisione -il gettito è stato procurato alle regioni da una legge dello Stato che non ha riconosciuto alcuna discrezionalità a livello locale, al punto da elidere ogni margine di autonomia finanziaria periferica, e non è stato nemmeno gestito dalle regioni, che hanno svolto un mero ruolo di servizio all’interno di assetti stabiliti dal legislatore statale.
Prova ne è che le procedure e gli atti necessari a fornire attuazione al prelievo (modelli, dichiarazioni di consumo, canali telematici di trasmissione, ecc.) sono stati definiti dall’Agenzia delle Dogane, che, inoltre, è rimasta per legge titolare delle funzioni di accertamento e riscossione coattiva del tributo.
Nessuna competenza è, dunque, residuata alle regioni in ordine alla definizione dello schema di attuazione del tributo, regolato, da ultimo, dall’art. 3 della legge n. 549 del 1995.
Ancora, la destinazione finale del gettito a favore delle regioni non costituisce un elemento sufficiente ad indurre, da un lato, i titolari delle azioni di rimborso a rivolgere l’istanza direttamente all’ente territoriale e, dall’altro, l’Agenzia fiscale ad eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva nelle controversie giudiziarie nate dai dinieghi di rimborso del tributo.
Ritenere diversamente significa superare limiti di carattere operativo, oltreché giuridico, dal momento che agli enti territoriali è preclusa la verifica in concreto del presupposto del diritto al rimborso, non avendo tra l’altro avuto mai evidenza (salva l’eventuale prova processuale) degli effettivi versamenti eseguiti dai sostituti per ciascun contribuente nelle annualità in questione. In altri termini, le regioni, a differenza dell’erario, non hanno e soprattutto non possono acquisire, mediante procedure di accertamento che competono solo a quest’ultimo, contezza
dell’intervenuta unitaria corresponsione del tributo, disponendo di mere comunicazioni in forma aggregata sui volumi dell’imposta che ciascun soggetto tenuto al versamento del tributo ha indirizzato, non a caso, in via prioritaria, secondo quanto previsto dalla normazione statale anche di attuazione (decreto del Ministro delle finanze 30 luglio 1996), all’Agenzia delle Dogane: comunicazioni di per sé inidonee verificare se e quali somme siano state versate da parte di chi abbia successivamente azionato il diritto di rimborso.
Sul piano giuridico, l’affermazione della legittimazione passiva dell’Agenzia delle Dogane, in ragione della natura erariale di prelievi normati dal legislatore statale al fine di sostituire le fonti di finanziamento degli enti periferici, tiene specificamente conto del dato normativo (art. 3, comma 13, della legge n. 549 del 1995, che stabilisce che « gli uffici tecnici di finanza effettuano l’accertamento e la liquidazione dell’imposta regionale sulla base di dichiarazioni annuali presentate, con le modalità stabilite dal Ministero delle finanze, dai soggetti obbligati al versamento dell’imposta, entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello cui si riferiscono, e trasmettono alle regioni i dati relativi alla quantità di benzina erogata nei rispettivi territori e che per la riscossione coattiva, gli interessi di mora, il contenzioso e per quanto non disciplinato dai commi da 12 a 14 del presente articolo, si applicano le disposizioni vigenti in materia di accisa sugli oli minerali, comprese quelle per la individuazione dell’organo amministrativo competente; inoltre, le regioni devono segnalare eventuali infrazioni o irregolarità all’organo competente per l’accertamento »). Tale affermazione è ulteriormente avvalorata dalla finalità specifica del prelievo, identificata nello scopo esclusivo di creare ‘finanza aggiuntiva’ alle regioni, che ne giustifica la qualificazione in termini di « mero trasferimento di risorse dallo Stato agli enti territoriali », secondo la previsione di cui all’art. 119, secondo comma, ultima parte, della Costituzione.
Da ultimo, va valorizzata la circostanza dell’assoluta marginalità delle regioni nell’attuazione del tributo, che induce a configurarne le funzioni – sempre nell’ambito della qualificazione, strettamente statale, dell’imposta e della relativa competenza attuativa – in termini di ‘mera tesoreria’ nel trasferimento di risorse. E d’altro canto, come già detto, il riferimento del citato art. 3, comma 13, della legge n. 549 del 1995 alla competenza dell’Agenzia delle Dogane in ordine ai servizi del contenzioso non può che evocarne sul piano processuale la legittimazione attiva e passiva.
Mette poi conto rilevare che la vicenda che ne occupa è assai prossima a quella decisa da questa Corte, in sede di rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis cod. proc. civ., con riferimento al rimborso di versamenti dell’addizionale provinciale per le accise sull’energia elettrica (istituita dall’art. 6 del decreto-legge n. 511 del 1988 al fine di sopperire alle esigenze finanziarie degli enti territoriali ed abrogata dall’art. 2, comma 6, del decreto legislativo n. 23 del 2011, con decorrenza dal 1° gennaio 2012, per le regioni a statuto ordinario e dall’art. 4, comma 10, del decreto legge n. 16 del 2012, con decorrenza dal 1° aprile 2012, per le regioni a statuto speciale, a seguito di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea per violazione della direttiva 118/08). In tale fattispecie, questa Corte ha statuito il seguente principio di diritto: « Spetta in via esclusiva all’Agenzia delle dogane e dei monopoli la legittimazione passiva nelle liti promosse dal cedente della fonte energetica per il rimborso dell’addizionale provinciale sulle accise, di cui all’ abrogato art. 6, del decreto-legge 511/1988, per forniture di energia elettrica con potenza disponibile non superiore a 200 kW » (Cass., 2 agosto 2024, n. 21883).
Deve, dunque, riconoscersi la legittimazione passiva esclusiva dell’Agenzia delle Dogane nel procedimento amministrativo e di poi nell’azione di rimborso dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione incassata dalle regioni, stante la natura erariale del
prelievo, previsto dal legislatore statale al solo fine di sostituire le fonti di finanziamento degli enti territoriali.
In considerazione di quanto esposto, va evidenziata la irrilevanza di eventuali Convenzioni tra regione e Agenzia delle Dogane, in relazione alle quali il Presidente, all’udienza pubblica, ha specificamente richiesto alle parti di interloquire, che, comunque, ove esistenti, non incidono sulla gestione dei rimborsi.
Le suddette argomentazioni superano in radice qualsivoglia questione (introdotta dalla regione Campania) in ordine alla valutazione di ammissibilità dell’istanza di rimborso in riferimento all’obbligo di comunicazione della stessa anche all’Agenzia delle Entrate competente, ex art. 29, comma 4, della legge n. 428 del 1990, dovendosi oltretutto ritenere che nel giudizio di cassazione è precluso rilevare questioni di diritto pur conoscibili d’ufficio implicanti indagini ed accertamenti di fatto non effettuati (come nella specie) dal giudice di merito (Cass., 25 ottobre 2017, n. 25319; Cass., 13 agosto 2018, n. 20712).
In conclusione, pronunciando sul ricorso, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio e va dichiarato inammissibile il ricorso originario, impregiudicata ogni iniziativa della contribuente nei confronti dell’Agenzia delle Dogane.
Sussistono i presupposti, in considerazione dell’evoluzione normativa ed interpretativa di cui si è dato conto nonché della complessità della materia trattata, per compensare tra le parti le spese dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando sul ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e dichiara inammissibile il ricorso introduttivo della lite.
Compensa interamente fra le parti le spese dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità.
Così deciso a Roma, lì 14 gennaio 2025.