Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3109 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 3109 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/02/2025
ha emesso la seguente ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 12077/2024 proposto da:
Regione Piemonte, nella persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura redatta su foglio separato del quale è estratta copia informatica per immagine allegata al messaggio di posta elettronica certificata con il quale si è eseguita la notifica del ricorso per cassazione, dagli Avv.ti NOME COGNOME ed NOME COGNOME tanto congiuntamente quanto disgiuntamente, con domicilio eletto alle pec EMAIL e e EMAIL
– ricorrente –
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, anche disgiuntamente tra loro, in virtù della procura speciale congiunta al controricorso, dall’Avv. Prof. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, INDIRIZZO
P.e.c.: EMAIL
P.e.c.: EMAIL
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del PIEMONTE, n. 100/2024, depositata il 5 marzo 2024; udita la relazione della causa udita svolta nella pubblica udienza del 14 gennaio 2025, dal Consigliere NOME COGNOME udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; udito, per la parte ricorrente, l’Avv. Prof. NOME COGNOME giusta delega dell’Avv. NOME COGNOME , e l’Avv. NOME COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso per cassazione; Prof. NOME COGNOME che ha
udito per la parte controricorrente, l’Avv. chiesto il rigetto del ricorso per cassazione;
FATTI DI CAUSA
La Corte di Giustizia tributaria di secondo grado ha accolto l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso avente ad oggetto il diniego di rimborso dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione corrisposta per gli anni di imposta 2018 e 2019.
I giudici di secondo grado, per quel che rileva in questa sede, hanno affermato che:
-) la questione sollevata dall’ente territoriale in merito al primato del diritto interno rispetto a quello unionale era infondata, alla luce della
giurisprudenza di legittimità, né poteva dirsi che la legislazione italiana avesse fatto legittimamente salvi i rapporti pregressi all’abrogazione espressa dell’imposta IRBA, essendo intervenuto sul punto anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione affermando che l’art. 1, comma 628, della legge n. 178 del 2020 doveva essere disapplicata in quanto in contrasto con la direttiva n. 2008/118, che aveva abrogato e sostituito quella n. 12/1992;
-) meritava censura la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva affermato che la previsione dell’art. 2 della legge regionale Piemonte n. 11 del 2011, secondo la quale il gettito derivante dalla riscossione dell’IRBA « è destinato al finanziamento degli interventi necessari a fronteggiare gli eventi calamitosi verificatisi sul territorio regionale » poteva essere ricompreso tra le finalità specifiche richieste dalla norma comunitaria;
-) il soggetto legittimato alla richiesta di rimborso, tenuto conto delle norme istitutive del tributo , ferma restando l’incidenza economica del tributo sul consumatore finale, andava individuato nel concessionario dell’impianto di distribuzione (e non più nel soggetto erogatore del carburante), ovvero nel gestore dell’impianto di distribuzione del carburante, dovendosi fare applicazione della giurisprudenza della Cassazione dettata per un caso analogo in tema di addizionale sull’energia elettrica;
-) in ultimo, come affermato dalla giurisprudenza unionale e italiana e dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 114 del 2000), la mancata traslazione del tributo non era elemento del fatto costitutivo del diritto al rimborso, perché l’avvenuta traslazione integrava un fatto impeditivo di detto diritto, con la conseguenza che l’onere della prova ricadeva sull’amministrazione doganale, che doveva dare la prova non solo dell’avvenuta traslazione del tributo ad altri soggetti, ma anche dell’esistenza di un effettivo arricchimento che l’operatore conseguiva per effetto del rimborso;
-) la prova, che non poteva essere fornita con presunzione, non era data dall’analisi del bilancio di esercizio del soggetto passivo diretta a verificare se questi avesse tenuto conto del tributo nella determinazione del prezzo di vendita del prodotto assoggettato al tributo stesso, né era condivisibile la considerazione secondo cui la traslazione del tributo su terzi era dimostrato dal fatto che il suo importo non era riportato come credito nell’attivo di bilancio, in quanto tale considerazione si fondava sulla presunzione che le imposte indirette fossero normalmente trasferite a valle della catena delle vendite, presunzione dichiarata in contrasto con il diritto comunitario;
-) la Regione Piemonte, dunque, non aveva fornito la prova che l’imposta era stata traslata sui consumatori finali, né vi era stato un indebito arricchimento, in quanto il titolare del diritto alla restituzione non era il consumatore finale, ma il gestore;
-) poco chiara era, infine, la tesi che con il rimborso della predetta imposta si violava il precetto dell’art. 81 Cost. in quanto l’impatto macroeconomico della restituzione dei versamenti determinava uno squilibrio nei bilanci pubblici, in quanto tale censura Era attinente a una decisione di politica di bilancio della Regione che non poteva essere sindacata in sede giurisdizionale.
La Regione Piemonte ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a cinque motivi.
La società RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
La Regione Piemonte ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 29, comma 2, della legge n. 428 del 1990 e dell’art. 14 TUA, in riferimento all’art. 6, comma primo, lett. c), primo periodo della legge n. 158 del 1990, all’art. 3 della legge regionale Piemonte n. 47 del 1993 e alla D.G.R. n.
51-2907/2011; dell’art. 2697 c .c . e dell’art. 7, comma 5 bis , del d.P.R. n. 546 del 1992, introdotto dalla legge n. 130 del 2022. Con il primo motivo, in riferimento alla ripartizione dell’onere della prova della domanda di rimborso dell’ imposta regionale sulla benzina (IRBA) stabilito dal Giudice con la sentenza impugnata (nel senso dell’onere, in capo all’Amministrazione Finanziaria, della prova dell’avvenuta traslazione dell’imposta ad altri soggetti e della prova della sussistenza di un indebito arricchimento in caso di accoglimento della domanda di rimborso), si censurava la violazione e/o erronea applicazione dell’art. 29, comma 2, della legge n. 428 del 1990 , in quanto l’art. 29 comma 2, ai fini della ripartizione del l’onere della prova, avrebbe dovuto essere interpretato in combinato disposto con la normativa speciale, nazionale e regionale, in materia di IRBA la quale aveva configurato la traslazione in re ipsa , come elemento connaturale e strutturale della fisionomia dello specifico tributo e, rendendo obbligatorio l’esercizio di rivalsa «su altri soggetti», aveva neutralizzato l’onere economico indebitamente gravante sul contribuente (il contribuente prima incassa il tributo dal consumatore e poi lo versa per intero all’erario). La Corte di Giustizia tributaria non aveva tenuto conto che, in forza del combinato disposto di cui agli articoli 14 TUA e 29, comma 2, della legge n. 428 del 1990, il diritto al rimborso al fornitore che aveva traslato l’imposta su altri soggetti spettava solo allorché questi ultimi avessero a loro volta ottenuto, dal primo, il rimborso dell’imposta indebitamente pagata. L’ IRBA era riscossa e riversata alla Regione dal titolare dell’autorizzazione che, per espressa previsione di legge, se ne rivaleva nei confronti del consumatore integrando il prezzo della benzina dai medesimi pagato. L’imposta era dunque necessariamente inglobata nel prezzo di vendita del carburante perché solo in tal modo il titolare dell’autorizzazione avrebbe potuto ese rcitare quel diritto di rivalsa legalmente impostogli. La traslazione dell’IRBA si configurava , quindi, come elemento connaturale e strutturale della fisionomia del tributo.
Nel caso dell’IRBA , poiché la ripercussione su soggetti diversi dal contribuente, era prevista per legge, l’eventuale mancato esercizio della rivalsa si presentava quale comportamento anomalo di cui doveva darne prova il soggetto passivo dell’imposta per legittimare la propri a titolarità al rimborso.
2. Il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. , la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 29, comma 2, della legge n. 428 del 1990 e dell’art. 14 TUA; dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 7, comma 5 bis del d.P.R. n. 546 del 1992, introdotto con la legge n. 130 del 2022. La Corte di Giustizia tributaria di secondo grado non aveva tenuto conto che il diritto al rimborso al fornitore che aveva traslato l’imposta su altri soggetti spetta va solo allorché questi ultimi avessero a loro volta ottenuto, dal primo, il rimborso dell’imposta indebitamente pagata. Nel caso di specie, infatti, era del tutto mancata la prova che la società RAGIONE_SOCIALE avesse subito la domanda di rimborso dei consumatori finali e che questa fosse stata soddisfatta in precisa corrispondenza del procedimento di cui all’art. 14 del decreto legislativo n. 504 del 1995. In mancanza di tale prova il rimborso a favore della società RAGIONE_SOCIALE equivaleva a un doppio introito, qualificabile come arricchimento senza causa. La particolare rilevanza delle questioni di diritto sollevate con i primi due motivi del presente ricorso, anche per le loro implicazioni sociali ed economiche e per le loro ricadute sulle controversie di tipo seriale induceva la richiesta che della prospettata interpretazione giuridica fossero investite direttamente le Sezioni Unite, ai sensi dell’articolo 374, comma 2, cod. proc. civ..
3. Il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. , l’omesso esame di fatti e documenti decisivi per il giudizio e comunque insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, oggetto di discussione tra le parti. Il Giudice non aveva preso in considerazione (né aveva motivato in proposito) le
prospettazioni difensive e gli elementi istruttori forniti dall’amministrazione regionale e comunque in quanto aveva omesso di esporre, neppure in modo conciso, le ragioni di fatto e di diritto, né le fonti del suo convincimento, in merito alla mancata prova della traslazione dell’imposta sul consumatore finale e dell’ingiustificato arricchimento da parte della società RAGIONE_SOCIALE. La difesa regionale aveva ampiamente argomentato sulla specificità della natura dell’IRBA, richiamando le disposizioni normative nazionali e regionali in forza delle quali si ribadiva che il trasferimento del peso dal fornitore al consumatore era in re ipsa . Il Giudice del gravame aveva omesso di considerare una circostanza non contestata in giudizio, ovvero la naturale traslazione dell’imposta sul consumatore, pena l’antieconomicità del prezzo di vendita della benzina. Inoltre, la difesa regionale aveva prodotto i bilanci 2018 e 2019 della società ricorrente per gli anni interessati dalla richiesta, in modo da riscontrare l’incisione dell’IRBA nel prezzo finale pagato dai consumatori .
4. Il quarto motivo deduce, in via subordinata rispetto ai precedenti motivi, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c .p.c., la violazione dell’art. 7, comma 1, del d.P.R. n. 546 del 1992, degli artt. 61, 112 E 115 cod. proc. civ., in riferimento all’art. 29, comma 2, della legge n. 428 del 1990 e il difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia. La motivazione della sentenza impugnata era insufficiente e comunque erronea, per non avere il Giudice tributario compiuto alcuna indagine tecnica sui due fatti contestati (traslazione e arricchimento senza causa) nonostante l’invito che gli era stato rivolto dalla difesa regionale la quale, nell’impossibilità di fornire ulteriori mezzi di prova a sostegno del proprio assunto fondato su argomentazioni di natura squisitamente tecnica, aveva fatto istanza di ricorrere agli strumenti di cui all’articolo 7, comma 1, del d ecreto legislativo n. 546 del 1992. La Corte di Giustizia tributaria aveva ritenuto che l’Amministrazione regionale non avesse assolto l’onere
probatorio in ordine alla eccepita traslazione dell’accisa sul consumatore finale neppure con la produzione in giudizio del bilancio d’esercizio della società contribuente da parte della difesa regionale. Il giudice di merito aveva fondato la propria decisione su una questione di natura squisitamente tecnica senza tuttavia nominare un consulente tecnico d’ufficio, nonostante l’invito che gli era stato rivolto dalla difesa regionale. In assenza del necessario supporto tecnico su elementi tecnici di particolare complessità, dunque, le motivazioni illustrate nella sentenza impugnata si erano tradotte in mere affermazioni apodittiche, del tutto inidonee a delineare un percorso argomentativo coerente ed immune da vizi logici e tecnici. Il giudicante di secondo grado non avrebbe potuto disattendere, peraltro senza motivare, la richiesta di C.T.U., in una materia nella quale, per il suo carattere tecnicospecialistico, la consulenza rivestiva indubbiamente la natura di fonte oggettiva di prova dei fatti allegati dalla parte istante, per di più, contestualmente affermando che tali fatti erano rimasti privi di un riscontro oggettivo sul piano probatorio
5 . Il quinto motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. , la violazione dell’art. 1, comma 628, della legge n. 178 del 2020 e della legge regionale n. 31 del 2020 e il difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia. Il Giudice di secondo grado aveva omesso di considerare l’eccezione di inammissibilità dell’istanza di rimborso, sollevata dalla difesa della Regione Piemonte per avere il legislatore nazionale (articolo 1, comma 628, della legge n. 178 del 2020) e di seguito quello regionale (legge regionale n. 31 del 2020) disposto la soppressione dell’IRBA dal 2021 e nel contempo aver e fatti salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte in vigenza delle norme abrogate inibendo le istanze di rimborso per gli anni precedenti il 2021. N el caso di specie l’abrogazione della norma istitutiva dell’I RBA da parte del legislatore non era stata motivata dalla sua illegittimità per contrasto con una norma unionale e, dunque, non era condivisibile
il precedente orientamento della Suprema Corte espresso con le sentenze n. 6684 del 2023 e n. 6858 del 2023.
In via preliminare deve essere esaminata d’ufficio la questione della legittimazione passiva della Regione nel presente giudizio in ordine alla istanza di rimborso dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione azionata nel giudizio di merito, dovendosi richiamare il principio statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui « La decisione della causa nel merito non comporta la formazione del giudicato implicito sulla legittimazione ad agire ove tale “quaestio iuris”, pur avendo costituito la premessa logica della statuizione di merito, non sia stata sollevata dalle parti, posto che una questione può ritenersi decisa dal giudice di merito soltanto ove abbia formato oggetto di discussione in contraddittorio » (cfr. Cass., Sez. U., 20 marzo 2019, n. 7925 e, più di recente, Cass., 13 maggio 2024, n. 12936; Cass., 1 luglio 2024, n. 17989; Cass., 1 luglio 2024, n. 18001).
6.1 Tanto premesso, nella fattispecie in esame viene in rilievo l’art. 1 della legge 14 giugno 1990, n. 158 (recante « Norme di delega in materia di autonomia impositiva delle regioni e altre disposizioni concernenti i rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni »), che, nel riconoscere l’autonomia finanziaria delle regioni, prevedeva « l’applicazione di tributi propri e quote di tributi erariali accorpati in un fondo comune che assicuri il finanziamento delle spese necessarie ad adempiere a tutte le funzioni normali compresi i servizi di rilevanza nazionale » e, in attuazione della delega legislativa, l’art. 17, comma 1, del decreto legislativo n. 398 del 1990, che stabiliva che le « Regioni hanno la facoltà di istituire, con leggi proprie, un’imposta regionale sulla benzina per autotrazione, erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nelle rispettive Regioni, successivamente alla data di entrata in vigore della legge istitutiva , in misura non eccedente lire 30 al litro ». Lo stesso art. 17 del decreto legislativo n. 398 del 1990, al comma 2, ha poi stabilito che « Le regioni, possono, con successive leggi, fissare
l’aliquota dell’imposta in misura diversa da quella precedentemente prevista, purché non eccedente lire 30 al litro, sulla benzina erogata successivamente alla data di entrata in vigore della legge che dispone la variazione ». L’art. 18 della stessa legge ha previsto che « L’imposta eventualmente istituita è dovuta dal soggetto consumatore della benzina ed è riscossa dal soggetto erogatore che deve versarlo alla regione sulla base dei quantitativi erogati risultanti dal registro di carico e scarico di cui all’art. 3 del decreto-legge 5 maggio 1957, n. 271, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 1957, n. 474 » e l’art. 19, stessa legge, ha disposto che « Le modalità di accertamento, i termini per il versamento dell’imposta nelle casse regionali, le sanzioni, da determinare in misura compresa tra il 50 per cento ed il 100 per cento del tributo evaso, le indennità di mora e gli interessi sono disposti da ciascuna regione con propria legge, con l’osservanza dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato ».
La disciplina in esame è stata poi modificata dalla legge n. 549 del 1995, il cui art. 3, al comma 14, ha abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 1996, gli artt. 18 e 19 del citato decreto legislativo n. 398 del 1990 e, al comma 13, da un lato, ha inciso sull a struttura dell’IRBA ponendone la corresponsione a carico del concessionario dell’impianto di distribuzione (e non più del soggetto consumatore della benzina, con riscossione da parte del soggetto erogatore, tenuto a versarne l’importo alla Regione, come previsto dall’art. 18 dello stesso decreto legislativo n. 398 del 1990) nella misura determinata sulla base dei quantitativi erogati e contabilizzati nei registri di carico e scarico.
Nel dettare disposizioni sull’accertamento e sulla riscossione del tributo, in continuità con l’abrogato art. 19 del decreto legislativo n. 398 del 1990, lo stesso comma 13 ha altresì precisato che « le modalità ed i termini di versamento, anche di eventuali rate di acconto, le sanzioni, da stabilire in misura compresa tra il 50 e il 100 per cento dell’imposta evasa, sono stabiliti da ciascuna regione con propria
legge ». Sempre il comma 13 ha, poi, previsto che « Per la riscossione coattiva, gli interessi di mora, il contenzioso e per quanto non disciplinato dai commi da 12 a 14 del presente articolo, si applicano le disposizioni vigenti in materia di accisa sugli oli minerali, comprese quelle per la individuazione dell’organo amministrativo competente. Le regioni hanno facoltà di svolgere controlli sui soggetti obbligati al versamento dell’imposta e di accedere ai dati risultanti dalle registrazioni fiscali tenute in base alle norme vigenti, al fine di segnalare eventuali infrazioni o irregolarità all’organo competente per l’accertamento. Ciascuna regione riscuote, contabilizza e dà quietanza delle somme versate, secondo le proprie norme di contabilità ».
6.2 La Regione Piemonte, avvalendosi della facoltà attribuitale, con l’art. 3 della legge 24 dicembre 2003, n. 28, ha istituito l’imposta regionale sulla benzina per autotrazione con l’art. 3 della legge regionale n. 47 del 1993 il cui articolo 3 disponeva che « l’imposta è dovuta nella misura massima consentita dalla legge 158/1990, dai soggetti consumatori della benzina ed è riscossa dal soggetto erogatore che deve versarla alla Regione Piemonte, entro 30 giorni dall’introito della somma, sulla base dei quantitativi erogati risultanti dal registro di carico e scarico di cui all’articolo 3 del decreto legge 5 maggio 1957, n. 271, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 1957, n. 474 » ( come si legge nel ricorso per cassazione, in precedenza, l’art. 4 della legge regionale n. 47 del 1993 demandava ad una successiva legge regionale la determinazione delle modalità di accertamento dell’imposta, legge mai emanata e ciò aveva impedito l’appl icazione dell’imposta; solo nel 2011, a seguito della legge reg ionale n. 11 del 2011, di modifica dell’art. 4 della legge regionale n. 47/1993, era stata demandata alla Giunta regionale la definizione delle modalità e dei termini di versamento e di accertamento dell’imposta. Seguiva pertanto la Deliberazione della Giunta Regionale n. 51-2907 del 14/11/2011 – Provvedimento attuativo dell’articolo 4 della legge
regionale 31 agosto 1993, n. 47 così come modificato dall’art. 1 della legge regionale del 26 luglio 2011 n. 11, pubblicata sul Bollettino della Regione Piemonte n. BU48 01/12/2011 : «l’imposta è dovuta dai soggetti consumatori ed è riscossa e riversata alla Regione Piemonte dal titolare dell’autorizzazione dell’impianto di distribuzione di carburante ubicato sul territorio regionale, o per sua delega dalla società petrolifera che ne sia unica fornitrice, su base mensile e sui quantitativi di cui all’articolo 1, comma 1, lettera d) del decreto del Ministro delle Finanze del 30 luglio 1996 vale e a dire sulla quantità di prodotto fatturato distintamente per impianto di distribuzione assoggettato alla tenuta del registro di carico e scarico». Il titolare dell’autorizzazione all’impianto di distribuzione (o per sua delega la società petrolifera unica fornitrice) doveva presentare agli Uffici una autodichiarazione annuale contenente i quantitativi erogati (cfr. D.M. 30 luglio 1996 e D.G.R. 51 del 2011 ).
Detta imposta è stata soppressa tanto dal legislatore nazionale, che, con l’art. 1, comma 628, della legge n. 178 del 2020, ha disposto che « L’articolo 6, comma 1, lettera c), della legge 14 giugno 1990, n. 158, l’articolo 17 del decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398, l’articolo 3, comma 13, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, l’articolo 1, comma 154, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e l’articolo 1, commi 670, lettera a), e 671, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recanti disposizioni in materia di imposta regionale sulla benzina per autotrazione, sono abrogati. Sono fatti salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte. », quanto dalla stessa Regione Piemonte che ha disposto con legge n. 31 del 2020 la soppressione dell’IRBA a partire dal 2021 (art. 2, primo comma), facendo salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte (art. 2, terzo comma).
Come, dunque, reso esplicito dalla successione normativa sopra ripercorsa, l’IRBA non può trovare più applicazione nella Regione Piemonte a decorrere dal periodo d’imposta 2021.
6.3 Per quanto rilevato, gli aspetti procedurali, dichiarativi, liquidativi, di accertamento, di riscossione e sanzionatori dell’IRBA, a integrazione e modifica di quanto inizialmente stabilito nel 1990, sono stati modificati e fissati dall’art. 3, comma 13, d ella legge n. 549/1995, che, per quel che rileva in questa sede, ha stabilito che gli uffici tecnici di finanza effettuano l’accertamento e la liquidazione dell’imposta regionale sulla base di dichiarazioni annuali presentate, dai soggetti obbligati al versamento dell’imposta e che per la riscossione coattiva, gli interessi di mora, il contenzioso e per quanto non disciplinato dai commi da 12 a 14 del presente articolo, si applicano le disposizioni vigenti in materia di accisa sugli oli minerali, comprese quelle per la individuazione dell’organo amministrativo competente.
Il conseguente corollario è che l’IRBA è un tributo regionale proprio derivato, in quanto, colpisce la vendita della benzina per autotrazione in base alla quantità, e non al valore, e diviene esigibile nel momento e nel luogo in cui avviene l’immissione a l consumo del prodotto energetico; dunque, l’imposta è dovuta al momento della fornitura della benzina al consumatore finale e il fornitore, in caso di pagamento indebito, è l’unico soggetto legittimato a presentare istanza di rimborso all’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 29, comma 2, della legge n. 428 del 1990.
Peraltro, già nell’impianto della legge di delega n. 158 del 1990 (art. 6), la « facoltà delle regioni a statuto ordinario di istituire un’imposta regionale sulla benzina per autotrazione, erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nelle predette regioni » veniva correlata all’obiettivo di « attribuire alle regioni a statuto ordinario una più ampia autonomia impositiva in adempimento del precetto di cui al secondo comma dell’articolo 119 della Costituzione ».
Anche la Corte Costituzionale, di recente, ha affermato che « L’IRBA è stata prevista dall’art. 17 del d.lgs. n. 398 del 1990, in attuazione della legge delega n. 158 del 1990, la quale, all’art. 6, comma 1, lettera c),
al dichiarato fine di ‘attribuire alle regioni a statuto ordinario una più ampia autonomia impositiva in adempimento del precetto di cui al secondo comma dell’art. 119 della Costituzione’, aveva consentito a dette regioni di introdurre, con proprie leggi, un’imposta sulla benzina per autotrazione erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nei rispettivi territori» e che « L’IRBA si configura come un tributo regionale proprio derivato, avente struttura analoga a quella dell’accisa, in quanto, al pari di questa, colpisce la vendita della benzina per autotrazione in base alla quantità, e non al valore, e diviene esigibile nel momento e nel luogo in cui avviene l’immissione al consumo del prodotto energetico » (Corte Costituzionale, 4 giugno 2024, n. 100).
Dunque, l’IRBA rientra tra i cosiddetti «tributi propri derivati» delle Regioni, cioè quei tributi che, come precisa l’art. 7, comma 1, lett. b, n. 1, della legge n. 42 del 2009 – la legge delega sul federalismo fiscale -sono « istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle Regioni ». Detta definizione ha trovato adeguata sede nel d.lgs. n. 68 del 2011, che all’art. 8 ha elencato i tributi delle regioni a statuto ordinario, distinguendo: al comma 1, i tributi propri autonomi «ceduti»che possono, cioè, essere istituiti e interamente disciplinati o anche soppressi con legge regionale, tra i quali non è previsto il tributo in questione; al comma 2, la tassa automobilistica – che si configura come un tertium genus , vale a dire un tributo proprio derivato particolare, parzialmente «ceduto» alle regioni; al comma 3 i «tributi propri derivati» e cioè gli altri tributi riconosciuti alle Regioni a statuto ordinario dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del decreto stesso.
Come in numerose occasioni ha affermato la Corte costituzionale, questi tributi, che sono quindi individuati dalla norma in via residuale, conservano inalterata la loro natura di tributi erariali (Corte cost., 26 marzo 2010, n. 123; Corte cost., 14 luglio 2009, n. 216; Corte cost.,
25 ottobre 2005, n. 397; Corte cost., 26 gennaio 2004, n. 37; Corte cost., 26 settembre 2003, n. 296).
6.4 Orbene, in questo contesto normativo, con specifico riferimento all’IRBA istituita dalla Regione Lazio con l’art. 3 della legge regionale n. 19 del 2011, e, dunque, ad una disciplina del tutto omogenea a quella (ora) in esame siccome rinveniente dal medesimo fondamento normativo offerto dalla legislazione nazionale, e connotata da medesimi contenuti di regolazione, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea è specificamente intervenuta a seguito di rinvio pregiudiziale, in ordine al tributo qui dedotto, l’IRBA, con ordinanza del 9 novembre 2021, nella causa C-255/20, pronunciandosi sulla domanda di pronuncia pregiudiziale che verteva sull’interpretazione dell’art. 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 alla luce dell’art. 1, paragrafi 1 e 2 della direttiva 2008/118/CE del Consiglio del 16 dicembre 2008, che, dispone nei seguenti termini: « Gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o per l’imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell’imposta; sono escluse da tali norme le disposizioni relative alle esenzioni ».
Ai sensi di detta disposizione, che sostanzialmente riproduce le previgenti disposizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 (cfr. CGUE, 9 novembre 2021, causa C-255/20, punto 27; CGUE, 5 marzo 2015, causa C-553/13, punto 34), gli Stati membri possono, quindi, applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette a condizione che dette imposte rispondano a finalità specifiche e che siano conformi alle norme fiscali dell’Unione applicabili ai fini delle accise o dell’imposta sul valore aggiunto per la determinazione della base imponibile, nonché per il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta. Le due condizioni, che mirano ad evitare che le
imposizioni indirette supplementari ostacolino indebitamente gli scambi, hanno carattere cumulativo e, per quanto attiene alla prima di dette condizioni, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia emerge che una finalità specifica ai sensi della disposizione di cui trattasi è una finalità che non sia puramente di bilancio (cfr. CGUE, 7 febbraio 2022, causa C-460/21, punti 19 e ss.; CGUE, 9 novembre 2021, causa C255/20, punti 27 e ss.; CGUE, 25 luglio 2018, causa C-103/17, punti 34 e ss.).
Con specifico riferimento alla nozione di finalità specifica, la Corte di giustizia, nell’ordinanza richiamato, ha rilevato che l’IRBA « persegue solo una finalità generica di supporto al bilancio degli enti territoriali» (punto 38), per poi concludere che l’art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quel la italiana istitutiva di un’imposta regionale sulle vendite di benzina per autotrazione, dal momento che «non si può ri tenere che tale imposta abbia una ‘finalità specifica’ ai sensi di tale disposizione, il suo gettito essendo inteso solo a contribuire genericamente al bilancio degli enti locali ».
Inoltre, conformemente a quanto stabilito da questa Corte, se è vero che oggetto del presente giudizio è la realizzazione di una pretesa impositiva insorta prima della soppressione del tributo e che, stante la su riportata clausola legale, dovrebbe rimanere «salva» nei suoi effetti obbligatori, tuttavia, l’accertata incompatibilità dell’imposta con il diritto UE esclude che la clausola di salvezza possa sopravvivere alla radicale espunzione del tributo, proprio per le predette considerazioni di incompatibil ità, dall’ordinamento nazionale. Sicché, per le stesse ragioni ostative già evidenziate dalla CGUE nella pronuncia menzionata, il giudice nazionale deve disapplicare la norma interna che vorrebbe mantenere al tributo soppresso una residuale efficacia impositiva per il passato, cioè in rapporto alle obbligazioni insorte prima della soppressione stessa. Conclusione, questa, che impone di
ritenere non dovuta l’imposta anche per le annualità precedenti al 2021, con ciò parimenti disapplicando la citata legge regionale che ha, a sua volta, collocato un limite temporale di validità ed efficacia di un’imposta che si pone in già affermato totale contrasto con il diritto UE e, in particolare, con l’articolo 1, par. 2, della direttiva 2008/118/CE (cfr. fra le tante Cass., 6 marzo 2023, n. 6687; Cass., 7 marzo 2023, n. 6858; Cass., 8 marzo 2023, n. 6966; Cass., 19 giugno 2023, n. 17436; Cass., 19 giugno 2023, n. 17529).
6.5 Anche con specifico riferimento alla nozione di finalità specifica in relazione alla legge regionale n. 47 del 2003, deve rilevarsi che l’incasso della Regione Piemonte del tributo in oggetto era indebito, in quanto l’IRBA non soddisfaceva i requisiti previsti dalla Direttiva 2008/118/CE, poiché non era individuabile la finalità specifica dell’imposta in questione, la quale, in coerenza co n la giurisprudenza comunitaria, doveva essere rappresentata dalla destinazione del prelievo fiscale al finanziamento di attività volte alla riduzione dell’impatto ambientale dei combustibili liquidi o ad una qualche finalità di salute pubblica riconnessa al consumo di carburante, mentre, nel caso concreto, la legislazione regionale piemontese aveva sostanzialmente attribuito a detta imposta unicamente un fine di bilancio, con la destinazione dell’IRBA « al finanziamento di interventi a fronte di eventi calamitosi verificatisi nella regione » ( art. 5, comma 1, della legge regionale n. 47 del 2003: «1. Il gettito derivante dall’applicazione degli articoli 2 e 3 è destinato al finanziamento degli interventi necessari a fronteggiare gli eventi calamitosi verificatisi sul territorio regionale ») , il che non consentiva di stabilire un nesso diretto tra l’uso di quel gettito tributario e le finalità (ambientali e di salute pubblica) alle quali avrebbe dovuto essere destinato e che, dunque, l’imposta di cui si trattava non rispettava le condizioni previste dall’ U.E. e non poteva ritenersi legittima.
Alla luce di quanto esposto, dunque, deve ritenersi che, conformemente a quanto hanno affermato i giudici unionali, la legge regionale n. 47 del 2003, non ha previsto una «finalità specifica» ai sensi dell’art. 1, par. 2, della direttiva 2008/118/CE, do vendosi considerare la previsione del finanziamento di un fondo del bilancio regionale avente come scopo gli interventi necessari a fronteggiare gli eventi calamitosi verificatisi sul territorio regionale. Ed invero, la finalità specifica non è data dalla «finalità di bilancio», perché qualsiasi imposta persegue necessariamente uno scopo di bilancio, ed è anche necessario che un’imposta sia diretta, di per sé, a garantire la tutela della salute e dell’ambiente e ciò si verifica quando il gettito dell’impo sta debba obbligatoriamente essere utilizzato al fine di ridurre i costi sociali e ambientali specificamente connessi al consumo del carburante su cui grava l’imposta, cosicché sussista un nesso diretto tra l’uso del gettito e la finalità dell’imposta di cui trattasi; inoltre, deve essere esclusa la finalità specifica nel caso in cui il gettito dell’imposta sia finalizzato alle spese correlate agli interventi necessari a fronteggiare gli eventi calamitosi e non a quelle specificamente connesse al consumo del carburante (come nel caso di specie), perché spese generali che possono essere finanziate dal gettito di imposte di qualsiasi natura. Ciò conformemente ai principi statuiti dai giudici unionali che, ai fini della configurabilità della «finalità specifica», hanno ritenuto necessario che la normativa nazionale preveda meccanismi di assegnazione predeterminata a fini ambientali del gettito dell’imposta e, in mancanza di siffatta assegnazione predeterminata, che l’imposta sia concepita, quanto alla sua struttura, segnatamente riguardo alla materia imponibile o all’aliquota d’imposta, in modo tale da scoraggiare i contribuenti dall’utilizzare i prodotti i cui effetti sono meno nocivi per l’ambiente.
Dunque, anche in relazione alla legge regionale n. 47 del 2003, deve rilevarsi che l’incasso della Regione Piemonte del tributo in oggetto è
indebito, in quanto l’IRBA non soddisfaceva i requisiti previsti dalla Direttiva 2008/118/CE, poiché non era individuabile la finalità specifica dell’imposta in questione, la quale, in coerenza con la giurisprudenza comunitaria, doveva essere rappresentata dalla destinazione del prelievo fiscale al finanziamento di attività volte alla riduzione dell’impatto ambientale dei combustibili liquidi o ad una qualche finalità di salute pubblica riconnessa al consumo di carburante, mentre, nel caso concreto, la legislazione regionale aveva sostanzialmente attribuito a detta imposta unicamente un fine di bilancio, il che non consentiva di stabilire un nesso diretto tra l’uso di quel gettito tributario e le finalità (ambientali e di salute pubblica) alle quali avrebbe dovuto essere destinato e che, dunque, l’imposta di cui si trattava non rispettava le condizioni previste dall’ U.E. e non poteva ritenersi legittima (cfr., fra le tante, con riferimento a diverse legge regionali, Cass., 31 luglio 2023, n. 23201; Cass., 19 giugno 2023, nn. 17529 e 17436; Cass., 25 maggio 2023, n. 14606; Cass., 8 marzo 2023, nn. 6966, 6961, 6956, 6943, 6923 e 6903; Cass., 6 marzo 2023, n. 6687).
6.6 Tutto ciò per addivenire alla conclusione che, nella vicenda in esame, alla base delle istanze di rimborso si collocano assestati profili di incompatibilità del prelievo con l’art. 1, par. 2, della Direttiva 2008/118/CE, di armonizzazione del sistema dell e accise, per l’assenza di una «finalità specifica» qualificante il prelievo, con la conseguente abrogazione del tributo da parte del legislatore italiano con la disposizione dell’art. 1, comma 628, della legge n. 178 del 2020, con decorrenza dall’1 gennai o 2021.
Il gettito è stato procurato da una legge dello Stato che non ha riconosciuto alcuna discrezionalità a livello locale, al punto da elidere ogni margine di autonomia finanziaria periferica e non è stato nemmeno gestito dalle Regioni, che hanno svolto un ruolo di servizio all’interno di assetti stabiliti dal legislatore statale.
Ed infatti, le procedure e gli atti necessari a fornire attuazione al prelievo (modelli, dichiarazioni di consumo, canali telematici di trasmissione, ecc.) sono stati unilateralmente definiti dall’Agenzia delle Dogane che è rimasta, inoltre, titolare delle funzioni di accertamento e riscossione coattiva del tributo.
Nessuna competenza è, dunque, residuata alle Regioni in ordine alla definizione dello schema di attuazione del tributo regolato, da ultimo, dall’art. 3 della legge n. 549 del 1995.
Ancora, la destinazione finale del gettito a favore delle regioni non costituisce un elemento sufficiente ad indurre i titolari delle azioni di rimborso a rivolgere l’istanza direttamente all’ente territoriale e l’Agenzia fiscale ad eccepire il proprio dif etto di legittimazione passiva nelle controversie giudiziarie nate dai dinieghi di rimborso del tributo.
Ritenere diversamente significa anche superare limiti di carattere operativo, prima ancora che giuridico, dal momento che agli Enti territoriali è preclusa la verifica del presupposto del diritto al rimborso non avendo avuto mai evidenza (salva l’eventuale prova processuale) degli effettivi versamenti eseguiti dai sostituti per ciascun contribuente nelle annualità in questione. In altri termini, le Regioni, a differenza dell’Erario, non hanno contezza dell’intervenuta corresponsione del tributo, disponendo di mere comunicazioni in forma aggregata sui volumi dell’imposta che ciascun soggetto tenuto al versamento del tributo ha indirizzato all’Agenzia delle Dogane e che non permettono di verificare se e quali somme siano state versate da parte di chi abbia successivamente azionato il diritto di rimborso.
Sul piano giuridico, l’affermazione della legittimazione passiva dell’Agenzia delle Dogane, in ragione della natura erariale di prelievi normati dal legislatore statale al fine di sostituire le fonti di finanziamento degli enti periferici, tiene specificamente conto del dato normativo ( art. 3, comma 13, della legge n. 549 del 1995, che stabilisce che gli uffici tecnici di finanza effettuano l’accertamento e la
liquidazione dell’imposta regionale sulla base di dichiarazioni annuali presentate, con le modalità stabilite dal Ministero delle finanze, dai soggetti obbligati al versamento dell’imposta, entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello cui si riferiscono, e trasmettono alle regioni i dati relativi alla quantità di benzina erogata nei rispettivi territori e che per la riscossione coattiva, gli interessi di mora, il contenzioso e per quanto non disciplinato dai commi da 12 a 14 del presente articolo, si applicano le disposizioni vigenti in materia di accisa sugli oli minerali, comprese quelle per la individuazione dell’organo amministrativo competente; inoltre, le regioni devono segnalare eventuali infrazioni o irregolarità all’organo competente per l’accertamento. In secondo luogo, la natura intrinsecamente erariale dell’imposta, anche da parte dei giudici delle leggi) ed è ulteriormente confermata dalla finalità specifica del prelievo, identificata nello scopo esclusivo di creare «finanza aggiuntiva» alle Regioni, che ne giustifica la qualificazione in termini di «mero trasferimento di risorse dallo Stato agli Enti territoriali, secondo la previsione di cui all’art. 119, secondo comma, ultima parte, Costituzione.
Da ultimo, va valorizzata la circostanza dell’assoluta marginalità delle Regioni nell’attuazione del tributo, che induce a configurarne le funzioni -sempre nell’ambito della qualificazione, strettamente, statale dell’imposta de qua e della relativa competenza attuativa – in termini di «mera tesoreria» nel trasferimento di risorse. E d’altro canto, come già detto, il riferimento del citato art. 3, comma 13, della legge n. 549 del 1995 alla competenza dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli in ordine ai servizi del contenzioso non può che evocarne sul piano processuale la legittimazione attiva e passiva.
6.7 Mette conto rilevare, in ultimo, che la situazione è assai prossima a quella decisa da questa Corte, in sede di rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis cod. proc. civ., con riferimento al rimborso di versamenti dell’addizionale provinciale per le accise sull’energia elettrica ( istituita
dall’art. 6 del decreto-legge 511/1988, al fine di sopperire alle esigenze finanziarie degli Enti territoriali ed abrogata dall’art. 2, comma 6, del decreto legislativo n. 23 del 2011, con decorrenza 1 gennaio 2012, per le Regioni a statuto ordinario e dall’art. 4, comma 10, del decreto legge n. 16 del 2012, con decorrenza 1 aprile 2012, per le Regioni a statuto speciale, a seguito di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea per violazione della direttiva 2008/118/CE) , che ha statuito il seguente principio di diritto: « Spetta in via esclusiva all’Agenzia delle dogane e dei monopoli la legittimazione passiva nelle liti promosse dal cedente della fonte energetica per il rimborso dell’addizionale provinciale sulle accise, di cui all’ abrogato art. 6, del decreto-legge 511/1988, per forniture di energia elettrica con potenza disponibile non superiore a 200 kW » (Cass., 2 agosto 2024, n. 21883).
6.8 Deve, dunque, riconoscersi la legittimazione passiva esclusiva dell’Agenzia delle Dogane nell’azione di rimborso dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione incassata dalle Regioni, stante la natura erariale del prelievo previsto dal legislatore statale al solo fine di sostituire le fonti di finanziamento degli enti territoriali.
6.9 In considerazione di quanto esposto, va evidenziata la irrilevanza di eventuali Convenzioni tra Regione e Agenzia delle Dogane, in relazione alle quali il Presidente, all’udienza pubblica, ha specificamente richiesto alle parti di interloquire, che, comunque, ove esistenti, non incidono sulla gestione dei rimborsi.
6.10 Le suddette argomentazioni implicano anche l’assorbimento dell’eccezione di inammissibilità dell’istanza di rimborso per omessa comunicazione della stessa anche all’Agenzia delle entrate competente, ex art. 29, comma 4, della legge n. 428 del 1990, e di decadenza della contribuente dal diritto di chiedere il rimborso per gli anni in esame, dovendosi ritenere comunque che nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini ed accertamenti di fatto non
effettuati dal giudice di merito, nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 25 ottobre 2017, n. 25319; Cass., 13 agosto 2018, n. 20712).
In conclusione, pronunciando sul ricorso, la sentenza impugnata va cassata e dichiarato inammissibile il ricorso originario.
7.1 Sussistono i presupposti, in considerazione dell’evoluzione normativa ed interpretativa di cui si è dato conto nonché della complessità della materia trattata, per compensare tra le parti le spese dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte pronunciando sul ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e dichiara inammissibile il ricorso introduttivo della lite.
Compensa interamente fra le parti le spese dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 14 gennaio 2025.