Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9142 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 9142 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/04/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 6866/2024 R.G. proposto da:
REGIONE PIEMONTE , elettivamente domiciliata in TORINO INDIRIZZO DOM. DIG., presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in VENEZIA -MESTRE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO PIEMONTE n. 374/2023 depositata il 15/09/2023.
Udita la relazione svolta nell’udienza pubblica del 14/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Sentiti l’avv. NOME COGNOME e l’avv. prof. NOME COGNOME su delega dell’avv. COGNOME per la ricorrente e l’avv. NOME COGNOME su delega dell’avv. prof. COGNOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso avverso il diniego di rimborso della imposta regionale sulla benzina per autotrazione (c.d. IRBA, prevista dall’art. 3 della l.r. Piemonte n. 47/1993 e in applicazione dell’art. 6, comma 1 lett.c, l. n. 158/1990) versata da questa società.
La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Torino, con sentenza n. 241/2022, previa estromissione dal giudizio dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agenzia delle Dogane, accoglieva il ricorso, dato il contrasto dell’IRBA con il diritto unionale, con conseguente diritto al rimborso delle somme corrisposte ex art. 29, comma 2, della l. n. 42/1990. Quanto all’eccezione della Regione sull’avvenuta traslazione dell’IRBA sul consumatore finale (e, quindi, sul conseguente indebito arricchimento della contribuente che non ha restituito l’imposta agli utenti finali), il Giudice di prime cure dichiarava di non poterla prendere in considerazione perché « apodittica e priva di qualsiasi prova, il cui onere incombe su chi ha effettuato l’affermazione ».
La Regione Piemonte proponeva appello e la Corte di giustizia tributaria (CGT) di secondo grado del Piemonte, con la sentenza impugnata, respingeva il gravame e confermava la sentenza impugnata, alla luce della contrarietà dell’IRBA al diritto eurounitario. Osservava che poiché l’imposta regionale sulle vendite della benzina per autotrazione (IRBA) non è più dovuta, nemmeno relativamente alle obbligazioni sorte prima dell’entrata in vigore della l. n. 178/2020 (Legge di Bilancio 2021) che ne ha
disposto l’abrogazione solo a partire dal 1° gennaio 2021, in quanto è stata adottata in contrasto con il diritto eurounitario, si era trattato di un pagamento non dovuto e come tale dava diritto al rimborso da esercitarsi nei termini ordinari di natura decennale , «senza che il diritto alla ripetizione possa essere limitato o vanificato da adempimenti di carattere formale, in contrasto con il principio di effettività della tutela giurisdizionale previsto dal diritto europeo».
Avverso questa pronunzia ha proposto ricorso per cassazione la Regione Piemonte che si è affidata a quattro motivi e ha depositato memoria.
Ha resisto con controricorso la società che ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4, c.p.c., nullità della sentenza per omissione di pronuncia su di una eccezione di merito e violazione dell’art.112 c.p.c. nonché’ per motivazione inesistente/apparente e violazione dell’art.111 cost., perché il Giudice tributario di secondo grado ha omesso di pronunciarsi sull’eccezione di merito, sollevata dall’appellante Regione Piemonte, dell’avvenuta traslazione dell’IRBA sul consumatore finale quale fatto impeditivo del diritto al rimborso, ai sensi dell’art. 29 comma 2 della l. n. 428/1990, nonché sull’istanza, rivolta sempre al Giudice di merito, di esercizio dei poteri istruttori ex art. 7, comma 1 d.lgs. n. 546/92.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 29 c. 2 della l. n. 428/1990 e dell’art. 14 del d.lgs. n. 504/1995 (TUA), in riferimento all’ art. 6 c. 1 lett. c ), primo periodo della l. 158/1990, all’art. 3 della l.r. Piemonte n. 47/1993 ed alla d.g.r. n. 512907/2011, dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 7 comma 5 bis del d.lgs. n. 546/1992 introdotto con la l. n. 130/2022, per aver il
Giudice d’appello riconosciuto il diritto al rimborso della società RAGIONE_SOCIALE sul solo presupposto della contrarietà del tributo alla norma europea, omettendo di applicare, alla fattispecie per cui si discute, la disciplina in tema di rimborsi dei tributi, riconosciuti incompatibili con norme comunitarie; secondo la ricorrente, la CGT non ha tenuto conto che, in forza del combinato disposto di cui agli articoli 14 TUA e 29, comma 2, l. n. 428/1990, il diritto al rimborso al fornitore che abbia traslato l’imposta su altri soggetti spetta solo allorché questi ultimi abbiano a loro volta ottenuto, dal primo, il rimborso dell’imposta indebitamente pagata. Si censura altresì la violazione e/o erronea applicazione dell’art. 29 comma 2 della l. n. 428/1990 e dei principi dell’onere della prova di cui all’art.2697 c.c. e dell’art.7 comma 5 bis d.P.R. n. 546/1992. Ciò in quanto il suddetto art.29 comma 2, ai fini della ripartizione dell’onere della prova, deve essere interpretato in combinato disposto con la normativa speciale – nazionale e regionale – in materia di IRBA la quale ha configurato la traslazione in re ipsa , come elemento connaturale e strutturale della fisionomia dello specifico tributo e, rendendo obbligatorio l’esercizio di rivalsa ‘su altri soggetti’, ha neutralizzato l’onere economico indebitamente gravante sul contribuente (il contribuente prima incassa il tributo dal consumatore e poi lo versa per intero all’erario).
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c. omesso esame di fatti e documenti decisivi per il giudizio e difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia, in quanto il Giudice non ha preso in considerazione le prospettazioni difensive e gli elementi istruttori forniti dall’amministrazione regionale e comunque ha omesso di esporre le ragioni in merito alla mancata prova della traslazione dell’imposta sul consumatore finale e dell’ingiustificato arricchimento da parte della società RAGIONE_SOCIALE
Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c. violazione dell’art. 7, comma 1 del d.P.R. n. 546/1992, degli artt. 61, 112 e 115 c.p.c., in riferimento all’art. 29 comma 2 l. n. 428/1990, difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia perché la motivazione è insufficiente e comunque erronea, per non avere il Giudice Tributario compiuto alcuna indagine tecnica sui due fatti contestati (traslazione e arricchimento senza causa) e per non aver esposto, neppure in modo conciso, le ragioni di fatto e di diritto, né le fonti del suo convincimento, in merito al diniego della richiesta di esercizio di poteri istruttori necessari ai fini della dimostrazione della traslazione.
In via preliminare deve essere verificata d’ufficio la legitimatio ad causam riguardo alla domanda di rimborso dell’IRBA, questione che non trova preclusione nella sentenza di primo grado, allegata al controricorso, in cui si è affermata la legittimazione della ricorrente perché, essendo stata « formulata l’istanza di rimborso dell’imposta» nei confronti della Regione che « aveva emesso il provvedimento di diniego impugnato» , era questa la destinataria del provvedimento che definiva il relativo giudizio. La CTP ha accertato così la legittimazione meramente processuale, che non coincide con la legitimatio ad causam , quale condizione dell’azione, riguardante « l’individuazione della giusta parte che agisce in una determinata controversia, o nella medesima viene evocata » (Cass. sez. un. n., 26019 del 2008), cioè della parte in senso sostanziale in relazione al « rapporto controverso » (v. Cass. n. 9059 del 2005).
Con riguardo a detta condizione dell’azione non vi è stato alcun accertamento da parte del giudice di merito cosicché su di essa non si è formato un giudicato interno né può ritenersi la ricorrenza di un giudicato implicito, essendo necessaria una pronuncia esplicita o espressa proprio sulla questione (cfr. Cass. sez. un., n. 26019 del 2008 -paragr. 3.8 e 3.9; cfr. anche Cass.,
sez. un. n. 7925 del 2019 e, più di recente, Cass., n. 12936 del 2024; Cass., n. 17989 del 2024; Cass., n. 18001 del 2024).
Va rammentato che il potere di controllo delle nullità (non sanabili o non sanate), è esercitabile in sede di legittimità mediante proposizione della questione per la prima volta in tale sede, ovvero mediante il rilievo officioso da parte della Corte di cassazione, e « va ritenuto compatibile con il sistema delineato dall’art. 111 Cost. (in relazione al principio di ragionevole durata del processo ivi previsto), allorché si tratti di ipotesi concernenti la violazione del contraddittorio – in quanto tale ammissibilità consente di evitare che la vicenda si protragga oltre il giudicato, attraverso la successiva proposizione dell’actio nullitatis o del rimedio impugnatorio straordinario ex art. 404 c.p.c. da parte del litisconsorte pretermesso – ovvero di ipotesi riconducibili a carenza assoluta di “potestas iudicandi” – come il difetto di legitimatio ad causam o dei presupposti dell’azione, la decadenza sostanziale dall’azione per il decorso di termini previsti dalla legge, la carenza di domanda amministrativa di prestazione previdenziale, od il divieto di frazionamento delle domande, in materia di previdenza ed assistenza sociale (per il quale la legge prevede la declaratoria di improcedibilità in ogni stato e grado del procedimento) -, atteso che in tutte tali ipotesi si prescinde da un vizio di individuazione del giudice, trattandosi non già di provvedimenti emanati da un giudice privo di competenza giurisdizionale, bensì di atti che nessun giudice avrebbe potuto pronunciare, in difetto dei presupposti o delle condizioni per il giudizio, dovendo invece escludersi la compatibilità con il principio costituzionale della durata ragionevole de processo in tutte quelle ipotesi in cui la nullità sia connessa al difetto di giurisdizione del giudice ordinario e sul punto si sia formato un giudicato implicito, per effetto della pronuncia sul merito in primo grado e della mancata impugnazione, al riguardo, dinanzi al giudice di appello (v. SU n. 26019 del 2008)» (Cass. n. 5375 del 2012).
5.1. Tanto premesso, viene in rilievo l’art. 1 della legge 14 giugno 1990, n. 158 (recante « Norme di delega in materia di autonomia impositiva delle regioni e altre disposizioni concernenti i rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni »), che, nel riconoscere l’autonomia finanziaria delle regioni, prevedeva « l’applicazione di tributi propri e quote di tributi erariali accorpati in un fondo comune che assicuri il finanziamento delle spese necessarie ad adempiere a tutte le funzioni normali compresi i servizi di rilevanza nazionale »; in attuazione della delega legislativa, l’art. 17, comma 1, del decreto legislativo n. 398 del 1990 stabiliva che le « Regioni hanno la facoltà di istituire, con leggi proprie, un’imposta regionale sulla benzina per autotrazione, erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nelle rispettive Regioni, successivamente alla data di entrata in vigore della legge istitutiva , in misura non eccedente lire 30 al litro ». Lo stesso art. 17 del decreto legislativo n. 398 del 1990, al comma 2, statuiva che « Le regioni, possono, con successive leggi, fissare l’aliquota dell’imposta in misura diversa da quella precedentemente prevista, purché non eccedente lire 30 al litro, sulla benzina erogata successivamente alla data di entrata in vigore della legge che dispone la variazione ».
L’art. 18 della stessa legge prevedeva che « L’imposta eventualmente istituita è dovuta dal soggetto consumatore della benzina ed è riscossa dal soggetto erogatore che deve versarlo alla regione sulla base dei quantitativi erogati risultanti dal registro di carico e scarico di cui all’art. 3 del decreto-legge 5 maggio 1957, n. 271, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 1957, n. 474 » e l’art. 19, stessa legge, disponeva che « Le modalità di accertamento, i termini per il versamento dell’imposta nelle casse regionali, le sanzioni, da determinare in misura compresa tra il 50 per cento ed il 100 per cento del tributo evaso, le indennità di mora e gli interessi sono disposti da ciascuna regione con propria legge, con l’osservanza dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato ».
La disciplina in esame è stata poi modificata dalla legge n. 549 del 1995, il cui art. 3, al comma 14, ha abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 1996, gli artt. 18 e 19 del citato decreto legislativo n. 398 del 1990 e, al comma 13, in primo luogo, ha inciso sulla struttura dell’IRBA ponendone la corresponsione a carico del concessionario dell’impianto di distribuzione (e non più del soggetto consumatore della benzina) come segue: « L’imposta regionale sulla benzina per autotrazione, di cui all’articolo 17 del decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398, è versata direttamente alla regione dal concessionario dell’impianto di distribuzione di carburante o, per sua delega, dalla società petrolifera che sia unica fornitrice del suddetto impianto, sulla base dei quantitativi erogati in ciascuna regione dagli impianti di distribuzione di carburante che risultano dal registro di carico e scarico di cui all’ articolo 3 del decreto-legge 5 maggio 1957, n.271, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 1957, n. 474, e successive modificazioni ».
Nel dettare disposizioni sull’accertamento e sulla riscossione del tributo, in continuità con l’abrogato art. 19 del decreto legislativo n. 398 del 1990, lo stesso comma 13 ha altresì precisato che « le modalità ed i termini di versamento, anche di eventuali rate di acconto, le sanzioni, da stabilire in misura compresa tra il 50 e il 100 per cento dell’imposta evasa, sono stabiliti da ciascuna regione con propria legge ». Sempre il comma 13 ha previsto che « Per la riscossione coattiva, gli interessi di mora, il contenzioso e per quanto non disciplinato dai commi da 12 a 14 del presente articolo, si applicano le disposizioni vigenti in materia di accisa sugli oli minerali, comprese quelle per la individuazione dell’organo amministrativo competente».
La modifica legislativa, quindi, ha riguardato il profilo soggettivo, nel senso che il soggetto passivo del rapporto tributario vien individuato non più nel « consumatore » del carburante bensì nel « concessionario » dell’impianto stesso (ovvero per sua delega,
nella società petrolifera unica fornitrice), il quale non è più tenuto a ‘ riscuotere ‘ l’imposta ma deve ‘ versarla direttamente ‘: come già affermato da questa Corte, il soggetto tenuto al relativo versamento è il concessionario dell’impianto di distribuzione di carburante o, per sua delega, la società petrolifera che ne sia unica fornitrice (Cass. n. 9854 del 2017). La modifica ha interessato anche la regolamentazione complessiva perché, per quanto non specificamente normato dai commi da 12 a 14, « si applicano le disposizioni vigenti in materia di accisa sugli oli minerali».
5.2. La Regione Piemonte ha istituito l’imposta regionale sulla benzina per autotrazione con l’art. 3 della legge regionale n. 47 del 1993 secondo cui « l’imposta è dovuta nella misura massima consentita dalla legge 158/1990, dai soggetti consumatori della benzina ed è riscossa dal soggetto erogatore che deve versarla alla Regione Piemonte, entro 30 giorni dall’introito della somma, sulla base dei quantitativi erogati risultanti dal registro di carico e scarico di cui all’articolo 3 del decreto legge 5 maggio 1957, n. 271, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 1957, n. 474 »; l’art. 4 della legge regionale n. 47 del 1993 demandava ad una successiva legge regionale la determinazione delle modalità di accertamento dell’imposta che non è mai stata emanata, e ciò aveva impedito l’applicazione dell’imposta; solo nel 2011, a seguito della legge regionale n. 11 del 2011, che ha lasciato inalterato l’art.3 della legge regionale n. 47/1993 e ha modificato l’art. 4 della legge regionale n. 47/1993, è stata demandata alla Giunta regionale la definizione delle modalità e dei termini di versamento e di accertamento dell’imposta.
E’ seguita la Deliberazione della Giunta Regionale n. 51 -2907 del 14/11/2011 – Provvedimento attuativo dell’articolo 4 della legge regionale 31 agosto 1993, n. 47 così come modificato dall’art. 1 della legge regionale del 26 luglio 2011 n. 11 – pubblicata sul Bollettino della Regione Piemonte n. 48 del 01/12/2011 -secondo cui: «l’imposta è dovuta dai soggetti consumatori ed è riscossa e riversata alla Regione Piemonte dal titolare dell’autorizzazione dell’impianto di distribuzione di carburante ubicato sul territorio regionale, o per sua delega dalla società petrolifera che ne sia unica fornitrice, su base mensile e sui quantitativi di cui all’articolo 1, comma 1, lettera d) del decreto del Ministro delle Finanze del 30 luglio 1996 vale e a dire sulla quantità di prodotto fatturato distintamente per impianto di distribuzione assoggettato alla tenuta del registro di carico e scarico» .
Detta imposta è stata successivamente soppressa tanto dal legislatore nazionale, che, con l’art. 1, comma 628, della legge n. 178 del 2020 (Legge di bilancio 2021), ha disposto che « L’articolo 6, comma 1, lettera c), della legge 14 giugno 1990, n. 158, l’articolo 17 del decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398, l’articolo 3, comma 13, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, l’articolo 1, comma 154, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e l’articolo 1, commi 670, lettera a), e 671, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recanti disposizioni in materia di imposta regionale sulla benzina per autotrazione, sono abrogati. Sono fatti salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte », quanto dalla stessa Regione Piemonte che, in attuazione del disposto dell’art. 1, comma 629, della legge di bilancio 2021, ha disposto con la legge n. 31 del 2020 la soppressione dell’IRBA a partire dal 2021 (art. 2, primo comma), facendo salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte (art. 2, terzo comma).
Come, dunque, reso esplicito dalla successione normativa sopra ripercorsa, l’IRBA non può trovare più applicazione nella Regione Piemonte a decorrere dal periodo d’imposta 2021.
5.3. L’IRBA rientra tra i cosiddetti ‘tributi propri derivati’ delle Regioni, cioè quei tributi che, come precisa l’art. 7, comma 1, lett. b), n. 1), della legge n. 42 del 2009 – la legge delega sul federalismo fiscale -sono « istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle Regioni ». Detta definizione ha trovato adeguata sede nel d.lgs. n. 68 del 2011, che all’art. 8 ha elencato i tributi delle regioni a statuto ordinario, distinguendo, al comma 1, i tributi propri autonomi ‘ceduti’, che possono, cioè, essere istituiti e interamente disciplinati o anche soppressi con legge regionale, tra i quali non è previsto il tributo in questione; al comma 2, la tassa automobilistica, che si configura come un tertium genus , vale a dire un tributo proprio derivato particolare, parzialmente ‘ceduto’ alle regioni; al comma 3 i ‘tributi propri derivati’ e cioè gli altri tributi riconosciuti alle Regioni a statuto ordinario dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del decreto stesso.
Come affermato dalla Corte costituzionale in numerose occasioni, questi tributi, che sono quindi individuati dalla norma in via residuale, conservano inalterata la loro natura di tributi erariali (Corte cost., 26 marzo 2010, n. 123; Corte cost., 14 luglio 2009, n. 216; Corte cost., 25 ottobre 2005, n. 397; Corte cost., 26 gennaio 2004, n. 37; Corte cost., 26 settembre 2003, n. 296).
A questa stregua, la stessa Corte costituzionale, occupandosi specificamente dell’IRBA, ha concluso che essa «.. si configura come un tributo regionale proprio derivato, avente struttura analoga a quella dell’accisa, in quanto, al pari di questa, colpisce la vendita della benzina per autotrazione in base alla quantità, e non al valore, e diviene esigibile nel momento e nel luogo in cui avviene l’immissione al consumo del prodotto energetico» (Corte cost. n. 100 del 2024).
5.4. Orbene, in questo contesto normativo, con specifico riferimento all’IRBA istituita dalla Regione Lazio con l’art. 3 della legge regionale n. 19 del 2011, e, dunque, ad una disciplina del tutto omogenea a quella (ora) in esame, siccome rinveniente dal medesimo fondamento normativo offerto dalla legislazione nazionale, e connotata da medesimi contenuti di regolazione, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea è specificamente intervenuta in ordine al tributo qui dedotto, l’IRBA, con ordinanza del 9 novembre 2021, nella causa C-255/20, pronunciandosi sulla domanda di pronuncia pregiudiziale che verteva sull’interpretazione dell’art. 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 alla luce dell’art. 1, paragrafi 1 e 2 della direttiva 2008/118/CE del Consiglio del 16 dicembre 2008, che, dispone nei seguenti termini: « Gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o per l’imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell’imposta; sono escluse da tali norme le disposizioni relative alle esenzioni ».
Ai sensi di detta disposizione, che sostanzialmente riproduce le previgenti disposizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 (cfr. CGUE, 9 novembre 2021, causa C-255/20, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, punto 27; CGUE, 5 marzo 2015, causa C-553/13, RAGIONE_SOCIALE, punto 34), gli Stati membri possono, quindi, applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette a condizione che dette imposte rispondano a finalità specifiche e che siano conformi alle norme fiscali dell’Unione applicabili ai fini delle accise o dell’imposta sul valore aggiunto per la determinazione della base imponibile, nonché per il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta.
Le due condizioni, che mirano ad evitare che le imposizioni indirette supplementari ostacolino indebitamente gli scambi, hanno carattere cumulativo e, per quanto attiene alla prima di dette condizioni, la giurisprudenza della Corte di Giustizia richiede una finalità che non sia puramente di bilancio e di entrata (v., tra le altre, CGUE, 7 febbraio 2022, causa C-460/21, RAGIONE_SOCIALE, punti 19 e ss.; CGUE, 9 novembre 2021, causa C-255/20, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, punti 27 e ss.; CGUE, 25 luglio 2018, causa C 103/17, RAGIONE_SOCIALE già Praxair, punti 34 e ss.)
Con specifico riferimento alla nozione di finalità specifica, la Corte di giustizia, nell’ordinanza richiamata, ha rilevato che l’IRBA « persegue solo una finalità generica di supporto al bilancio degli enti territoriali» (punto 38), per poi concludere che l’art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella italiana istitutiva di un’imposta regionale sulle vendite di benzina per autotrazione, dal momento che «non si può ritenere che tale imposta abbia una ‘finalità specifica’ ai sensi di tale disposizione, il suo gettito essendo inteso solo a contribuire genericamente al bilancio degli enti locali ».
A seguito di tale pronunzia, anche questa Corte ha riconosciuto che non era individuabile la finalità specifica dell’imposta in questione, la quale, in coerenza con la giurisprudenza comunitaria, doveva essere rappresentata dalla destinazione del prelievo fiscale al finanziamento di attività volte alla riduzione dell’impatto ambientale dei combustibili liquidi o ad una qualche finalità di salute pubblica riconnessa al consumo di carburante, mentre, nel caso concreto, la legislazione regionale aveva sostanzialmente attribuito a detta imposta unicamente un fine di bilancio, il che non consentiva di stabilire un nesso diretto tra l’uso di quel gettito tributario e le finalità (ambientali e di salute pubblica) alle quali avrebbe dovuto essere destinato e che, dunque,
l’imposta di cui si trattava non rispettava le condizioni previste dall’ U.E. e non poteva ritenersi legittima (cfr., fra le tante, con riferimento a diverse legge regionali, Cass., n. 23201 del 2023; Cass., nn. 17529 e 17436 del 2023; Cass., n. 14606 del 2023; Cass., nn. 6966, 6961, 6956, 6943, 6923 e 6903 del 2023; Cass., n. 6687 del 2023).
5.5. Anche riguardo alla legge regionale Piemonte n. 47 del 2003 deve rilevarsi che l’incasso da parte della Regione del tributo in oggetto era indebito, in quanto l’IRBA non soddisfaceva i requisiti previsti dalla Direttiva 2008/118/CE, poiché non era individuabile la finalità specifica dell’imposta in questione: la legislazione regionale piemontese aveva sostanzialmente attribuito a detta imposta unicamente un fine di bilancio, con la destinazione dell’IRBA « al finanziamento di interventi a fronte di eventi calamitosi verificatisi nella regione » (art. 5, comma 1, della legge regionale n. 47 del 2003: «1. Il gettito derivante dall’applicazione degli articoli 2 e 3 è destinato al finanziamento degli interventi necessari a fronteggiare gli eventi calamitosi verificatisi sul territorio regionale »), il che non consentiva di stabilire un nesso diretto tra l’uso di quel gettito tributario e le finalità (ambientali e di salute pubblica) alle quali avrebbe dovuto essere destinato e che, dunque, l’imposta di cui si trattava non rispettava le condizioni previste dall’ U.E. e non poteva ritenersi legittima.
« Finalità specifica », ai sensi dell’art. 1, par. 2, della direttiva 2008/118/CE, non può considerarsi la previsione del finanziamento di un fondo del bilancio regionale avente come scopo gli interventi necessari a fronteggiare gli eventi calamitosi verificatisi sul territorio regionale, perché qualsiasi imposta persegue necessariamente uno scopo di bilancio e si tratta di spese generali che possono essere finanziate dal gettito di imposte di qualsiasi natura (cfr. CGUE, 5 marzo 2015, Statoil RAGIONE_SOCIALE Retail, C-553/13, punti 38 e 40); è anche necessario che un’imposta sia diretta, di
per sé, a garantire la tutela della salute e dell’ambiente e ciò si verifica quando il gettito dell’imposta debba obbligatoriamente essere utilizzato al fine di ridurre i costi sociali e ambientali specificamente connessi al consumo del carburante su cui grava l’imposta, cosicché sussista un nesso diretto tra l’uso del gettito e la finalità dell’imposta di cui trattasi, ciò conformemente ai principi statuiti dai giudici unionali che, ai fini della configurabilità della « finalità specifica », hanno ritenuto necessario che la normativa nazionale preveda meccanismi di assegnazione predeterminata a fini ambientali del gettito dell’imposta e, in mancanza di siffatta assegnazione predeterminata, che l’imposta sia concepita, quanto alla sua struttura, segnatamente riguardo alla materia imponibile o all’aliquota d’imposta, in modo tale da scoraggiare i contribuenti dall’utilizzare i prodotti i cui effetti sono meno nocivi per l’ambiente (CGUE, 5 marzo 2015, Statoil RAGIONE_SOCIALE, C-553/13, punti 41 e 42 e giurisprudenza ivi citata).
5.6. L’accertata incompatibilità dell’imposta con il diritto UE ha indotto questa Corte ad escludere che la clausola di salvezza possa sopravvivere alla radicale espunzione del tributo, proprio per le predette considerazioni di incompatibilità, dall’ordinamento nazionale. Sicché, per le stesse ragioni ostative già evidenziate dalla CGUE nella pronuncia menzionata, il giudice nazionale deve disapplicare la norma interna che vorrebbe mantenere al tributo soppresso una residuale efficacia impositiva per il passato, cioè in rapporto alle obbligazioni insorte prima della soppressione stessa. Conclusione, questa, che impone di ritenere non dovuta l’imposta anche per le annualità precedenti al 2021, con ciò parimenti disapplicando la citata legge regionale che ha, a sua volta, collocato un limite temporale di validità ed efficacia di un’imposta che si pone in già affermato totale contrasto con il diritto UE e, in particolare, con l’articolo 1, par. 2, della direttiva 2008/118/CE (cfr. fra le tante Cass., n. 6687 del 2023; Cass., n. 6858 del 2023;
Cass., n. 6966 del 2023; Cass., n. 17436 del 2023; Cass., n. 17529 del 2023).
Tale principio va posto in relazione con il principio di effettività che rinviene il suo fondamento nell’art. 4, paragrafo 3, Trattato UE in base al quale le norme interne non devono rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti riconosciuti dall’ordinamento giuridico comunitario, il quale impone la leale cooperazione tra l’Unione e gli Stati Membri per assicurare l’adempimento degli obblighi posti dalle norme comunitarie. Infatti, secondo l’orientamento interpretativo della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il diritto di ottenere il rimborso delle somme riscosse da uno Stato membro in violazione di norme del diritto dell’Unione costituisce la conseguenza e il complemento dei diritti attribuiti agli amministrati dalle disposizioni del diritto dell’Unione, nell’interpretazione loro data dalla Corte (v., in particolare, CGUE, 9 novembre 1983, San Giorgio, C-199/82, punto 12, nonché CGUE, 8 marzo 2001, Metallgesellschaft e a., C-397/98 e C-410/98, punto 84). Gli Stati membri sono quindi tenuti, in linea di principio, a rimborsare i tributi riscossi in violazione del diritto dell’Unione (CGUE, 14 gennaio 1997, Comateb e a., da C-192/95 a C-218/95, punto 20; CGUE, 8 marzo 2001, RAGIONE_SOCIALE e a., cit., punto 84; CGUE, 2 ottobre 2003, RAGIONE_SOCIALE e a., C -147/01, punto 93, nonché CGUE, 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation, C-446/04, punto 202). Si deve, inoltre, ricordare che la Corte ha già avuto modo di affermare che, qualora uno Stato membro abbia prelevato tributi in violazione delle disposizioni del diritto dell’Unione, i singoli hanno diritto al rimborso non solo del tributo indebitamente riscosso, ma altresì degli importi pagati allo Stato o da esso trattenuti in rapporto diretto con tale tributo. Tale rimborso comprende altresì le perdite derivanti dall’indisponibilità di somme di danaro a seguito dell’esigibilità anticipata del tributo (v. sentenze citate supra Metallgesellschaft e
a., punti 87-89, nonché Test Claimants in the FII RAGIONE_SOCIALE Litigation, punto 205).
5.7. Tutto ciò per addivenire alla conclusione che, nella vicenda in esame, alla base delle istanze di rimborso si collocano assestati profili di incompatibilità del prelievo con l’art. 1, par. 2, della Direttiva 2008/118/CE, di armonizzazione del sistema delle accise, per l’assenza di una « finalità specifica » qualificante il prelievo, con la conseguente abrogazione del tributo da parte del legislatore italiano con la disposizione dell’art. 1, comma 628, della legge n. 178 del 2020, con decorrenza dall’1 gennaio 2021.
In caso di pagamento indebito, il fornitore è l’unico soggetto legittimato a presentare istanza di rimborso all’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 29, comma 2, della legge n. 428 del 1990 .
Per quanto riguarda, invece, la legittimazione passiva, ad avviso di questa Corte, compete all’Agenzia delle dogane.
In tal senso depone, in primo luogo, la natura di imposta erariale, innanzi evidenziata, che giustifica la sua collocazione nell’ambito dei tributi integralmente regolati dalla legge statale. Il gettito è stato procurato da una legge dello Stato che non ha riconosciuto alcuna discrezionalità a livello locale, al punto da elidere ogni margine di autonomia finanziaria periferica e non è stato nemmeno gestito dalle Regioni. Ed infatti, le procedure e gli atti necessari a fornire attuazione al prelievo (modelli, dichiarazioni di consumo, canali telematici di trasmissione, ecc.) sono stati unilateralmente definiti dall’Agenzia delle Dogane che è rimasta, inoltre, titolare delle funzioni di accertamento e riscossione coattiva del tributo.
Infatti, gli aspetti procedurali, dichiarativi, liquidativi, di accertamento, di riscossione e sanzionatori dell’IRBA, a integrazione e modifica di quanto inizialmente stabilito nel 1990, sono stati modificati e fissati dall’art. 3, comma 13, della l. n.
49/1995 come segue: « Gli uffici tecnici di finanza effettuano l’accertamento e la liquidazione dell’imposta regionale sulla base di dichiarazioni annuali presentate, con le modalità stabilite dal Ministero delle finanze, dai soggetti obbligati al versamento dell’imposta, entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello cui si riferiscono, e trasmettono alle regioni i dati relativi alla quantità di benzina erogata nei rispettivi territori. Per la riscossione coattiva, gli interessi di mora, il contenzioso e per quanto non disciplinato dai commi da 12 a 14 del presente articolo, si applicano le disposizioni vigenti in materia di accisa sugli oli minerali, comprese quelle per la individuazione dell’organo amministrativo competente. Le regioni hanno facoltà di svolgere controlli sui soggetti obbligati al versamento dell’imposta e di accedere ai dati risultanti dalle registrazioni fiscali tenute in base alle norme vigenti, al fine di segnalare eventuali infrazioni o irregolarità all’organo competente per l’accertamento. Ciascuna regione riscuote, contabilizza e dà quietanza delle somme versate, secondo le proprie norme di contabilità ».
Quindi, sono gli uffici tecnici di finanza ad effettuare l’accertamento e la liquidazione dell’imposta regionale sulla base di dichiarazioni annuali presentate, con le modalità stabilite dal Ministero delle finanze, dai soggetti obbligati al versamento dell’imposta, entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello cui si riferiscono, e a trasmettere alle Regioni i dati relativi alla quantità di benzina erogata nei rispettivi territori e che per la riscossione coattiva, gli interessi di mora, il contenzioso e per quanto non disciplinato dai commi da 12 a 14 del presente articolo, si applicano le disposizioni vigenti in materia di accisa sugli oli minerali, comprese quelle per la individuazione dell’organo amministrativo competente.
Ritenere diversamente significa anche superare limiti di carattere operativo, prima ancora che giuridico, dal momento che
agli Enti territoriali è preclusa la verifica del presupposto del diritto al rimborso non avendo evidenza (salva l’eventuale prova processuale) degli effettivi versamenti eseguiti dai sostituti per ciascun contribuente nelle annualità in questione. In altri termini, le Regioni, a differenza dell’Erario, non hanno contezza dell’intervenuta corresponsione del tributo, disponendo di mere comunicazioni in forma aggregata sui volumi dell’imposta che ciascun soggetto tenuto al versamento del tributo ha indirizzato all’Agenzia delle Dogane e che non permettono di verificare se e quali somme siano state versate da parte di chi abbia successivamente azionato il diritto di rimborso.
La destinazione finale del gettito a favore delle Regioni non costituisce un elemento sufficiente ad indurre i titolari delle azioni di rimborso a rivolgere l’istanza direttamente all’ente territoriale. La natura intrinsecamente erariale dell’imposta è ulteriormente confermata dalla finalità del prelievo che, come evidenziato dalla Corte di giustizia, « persegue solo una finalità generica di supporto al bilancio degli enti territoriali» ( CGUE 9 novembre 2021, in causa C-255/20, punto 38 ) , e ha quindi lo scopo esclusivo di creare « finanza aggiuntiva » per le Regioni che ne giustifica la qualificazione in termini di « mero trasferimento di risorse » dallo Stato agli Enti territoriali, secondo la previsione di cui all’art. 119, comma 2, ultima parte, Costituzione. Da ultimo, va valorizzata la circostanza dell’assoluta marginalità delle Regioni nell’attuazione del tributo, che induce a configurarne le funzioni – sempre nell’ambito della qualificazione, strettamente, statale dell’imposta de qua e della relativa competenza attuativa – in termini di « mera tesoreria » nel trasferimento di risorse. E d’altro canto, come già detto, il riferimento del citato art. 3, comma 13, della legge n. 549 del 1995 alla competenza dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli in ordine ai servizi del contenzioso non può che evocarne sul piano processuale la legittimazione attiva e passiva dell’Erario.
Il caso è assai prossimo a quello deciso da questa Corte in tema di addizionali provinciali sulle accise, secondo cui «La legittimazione passiva nelle liti promosse dal cedente della fonte energetica per il rimborso dell’addizionale provinciale sulle accise di cui all’abrogato art. 6, del d.l. n. 511 del 1988, convertito con modif. dalla l. n. 20 del 1989, per forniture di energia elettrica con potenza disponibile non superiore a 200 kW, spetta in via esclusiva all’Agenzia delle dogane e dei monopoli» (Cass. n. 21883 del 2024).
Deve, dunque, riconoscersi la legittimazione passiva esclusiva dell’Agenzia delle Dogane nel procedimento amministrativo e di poi nell’azione di rimborso dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione incassata dalle regioni, stante la natura erariale del prelievo, previsto dal legislatore statale al solo fine di sostituire le fonti di finanziamento degli enti territoriali.
Va infine osservato che all’udienza pubblica il Presidente ha indicato il tema dei rapporti tra Regione ed Amministrazione finanziaria, in particolare circa l’esistenza di una eventuale convenzione tra le parti pubbliche, senza alcun concreto riscontro; in ogni caso, eventuali convenzioni tra Regione e Agenzia delle Dogane non incidono sulla gestione dei rimborsi.
In conclusione, pronunciando sul ricorso, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, atteso che la causa non poteva essere proposta, e va dichiarato inammissibile il ricorso originario.
Sussistono i presupposti, in considerazione dell’evoluzione normativa ed interpretativa di cui si è dato conto nonché della complessità della materia trattata, per compensare tra le parti le spese dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando sul ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e dichiara inammissibile il ricorso introduttivo della lite.
Compensa interamente fra le parti le spese dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità.
Roma, 14 gennaio 2015