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Rimborso IRAP professionisti: no se c’è struttura

Un dottore commercialista ha richiesto il rimborso dell’IRAP versata sui compensi ricevuti come amministratore e sindaco di società. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando che in caso di richiesta di rimborso IRAP professionisti, spetta al contribuente dimostrare la totale assenza di un’autonoma organizzazione per tali incarichi. La semplice esistenza di uno studio professionale strutturato fa presumere il suo utilizzo, invertendo l’onere della prova a sfavore del professionista.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rimborso IRAP Professionisti e Incarichi Societari: La Cassazione Fa Chiarezza

Il tema del rimborso IRAP professionisti è da sempre al centro di un acceso dibattito, specialmente quando un lavoratore autonomo, come un dottore commercialista, ricopre anche incarichi in organi societari. La domanda cruciale è: i compensi derivanti da tali incarichi sono soggetti a IRAP se il professionista possiede già uno studio ben avviato? Con l’ordinanza n. 2652/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’onere della prova grava interamente sul contribuente.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Rimborso

Un dottore commercialista aveva richiesto all’Agenzia delle Entrate la restituzione di una parte dell’IRAP versata per l’anno d’imposta 2008. La richiesta si riferiva specificamente ai compensi percepiti per le sue attività di vice-presidente del consiglio di amministrazione di una banca e di presidente e membro di collegi sindacali di altre società. La tesi del professionista era che, per svolgere tali incarichi, non si era avvalso della propria autonoma organizzazione (il suo studio professionale), bensì delle strutture messe a disposizione dalle società stesse.

Il Percorso Giudiziario: Dalle Commissioni Tributarie alla Cassazione

Il percorso legale è stato altalenante. In primo grado, la Commissione tributaria provinciale aveva dato ragione al contribuente, disponendo il rimborso. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate ha impugnato la decisione e la Commissione tributaria regionale ha ribaltato il verdetto, accogliendo l’appello dell’Ufficio. Secondo i giudici di secondo grado, il diniego al rimborso era legittimo. Di fronte a questa decisione, il professionista ha presentato ricorso in Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte sul rimborso IRAP professionisti

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del professionista, confermando la sentenza d’appello e stabilendo in modo definitivo la legittimità del diniego del rimborso. Il fulcro della decisione risiede nel principio dell’onere probatorio. Secondo la giurisprudenza consolidata, un libero professionista non è automaticamente escluso dall’imposizione IRAP per i compensi derivanti da cariche societarie.

Le motivazioni

La Corte ha chiarito che, quando un contribuente presenta una domanda di rimborso, è suo preciso dovere (onere probatorio) dimostrare l’assenza del requisito dell’autonoma organizzazione in relazione all’attività per cui chiede il rimborso. Nel caso specifico, il professionista non è riuscito a provare una ‘totale separatezza’ tra la sua attività di commercialista, svolta tramite uno studio professionale con costi significativi, e gli incarichi di amministratore e sindaco.

La Cassazione ha sottolineato due aspetti cruciali:

1. Presunzione di utilizzo: Si presume che un professionista che dispone di una struttura organizzata la utilizzi anche per le attività connesse, come gli incarichi societari, che spesso richiedono le stesse competenze tecnico-giuridiche.
2. Mancanza di prova contraria: Il contribuente non ha fornito elementi sufficienti per dimostrare di non essersi avvalso delle strutture, dei dipendenti e dei collaboratori del proprio studio per adempiere agli incarichi societari. Non basta affermarlo; è necessario provarlo con dati oggettivi.

In sostanza, se non è possibile scorporare nettamente le diverse categorie di compensi e verificare per ciascuna l’esistenza o meno dei presupposti impositivi, il contribuente non assolve al suo onere probatorio e la richiesta di rimborso viene respinta.

Le conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento ormai granitico della giurisprudenza tributaria. Per i professionisti che ricoprono anche cariche societarie, la possibilità di ottenere un rimborso IRAP professionisti su tali compensi è subordinata a una prova rigorosa e inequivocabile. È necessario dimostrare, documenti alla mano, che gli incarichi di amministratore o sindaco sono stati svolti in totale autonomia rispetto alla propria struttura professionale. In assenza di tale prova, il Fisco considera legittimamente l’attività come unitaria e, di conseguenza, interamente soggetta a IRAP.

Un professionista che ricopre un incarico societario deve sempre pagare l’IRAP sui relativi compensi?
Non automaticamente. Tuttavia, se il professionista dispone di una propria autonoma organizzazione (studio, dipendenti, ecc.), i compensi sono soggetti a IRAP a meno che non riesca a provare che l’incarico societario è stato gestito in modo totalmente separato, senza utilizzare le risorse della sua attività professionale.

In una richiesta di rimborso IRAP, su chi ricade l’onere della prova?
L’onere della prova ricade interamente sul contribuente che richiede il rimborso. Spetta a lui dimostrare con prove concrete l’assenza dei presupposti per l’applicazione dell’imposta, come la mancanza di un’autonoma organizzazione dedicata a quella specifica attività.

Cosa succede se non è possibile distinguere nettamente l’attività professionale da quella svolta come amministratore o sindaco?
Secondo la Corte, se non è possibile scorporare le diverse categorie di compensi e verificare i requisiti impositivi per ciascuna di esse, il contribuente non adempie al suo onere probatorio. Di conseguenza, la richiesta di rimborso viene considerata infondata e viene respinta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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