Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20234 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20234 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3535/2022 R.G. proposto da
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME NOMECOGNOME con indicazione di domicilio digitale: EMAILordineavvocaticataniaEMAIL;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-resistente- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA SICILIA, SEZIONE STACCATA DI CATANIA, n. 6069/6/2021, depositata il 23 giugno 2021;
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 5 giugno 2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME esercente la professione di agente di commercio, presentava alla Direzione Provinciale di Catania dell’Agenzia delle Entrate istanza di rimborso dell’IRAP versata
negli anni dal 2003 al 2008, assumendo di non possedere un’autonoma struttura organizzativa suscettibile di creare valore aggiunto.
Formatosi il silenzio-rifiuto, il contribuente impugnava il diniego tacito opposto dall’Amministrazione Finanziaria dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Catania, che accoglieva solo in parte il suo ricorso, riconoscendo la fondatezza dell’istanza di rimborso relativamente agli anni 2003-2007.
La decisione veniva, però, successivamente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, la quale, con sentenza n. 6096/6/2021 del 23 giugno 2021, in accoglimento del gravame spiegato dall’Amministrazione Finanziaria (ancorché nel dispositivo, per evidente errore materiale, fosse stata utilizzata la formula «rigetta l’appello» ), respingeva integralmente l’originario ricorso della parte privata.
A sostegno della pronuncia resa, il collegio regionale osservava che il contribuente non aveva prodotto documentazione idonea a comprovare il valore dei beni ammortizzabili utilizzati nell’esercizio della propria attività professionale, onde risultava indimostrata l’assenza in capo allo stesso del requisito dell’autonoma organizzazione, costituente il presupposto dell’IRAP.
Contro questa sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate si è limitata a depositare un mero , ai soli fini della partecipazione all’eventuale udienza di discussione.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
C on il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., viene denunciato l’omesso esame circa un fatto decisivo che ha formato oggetto di discussione fra le parti.
1.1 Si sottolinea, in proposito, che fin dal ricorso introduttivo del giudizio di primo grado il COGNOME aveva indicato in modo specifico i beni ammortizzabili da lui impiegati negli anni 20032008 nell’esercizio dell’attività professionale di agente di commercio e che la suddetta indicazione era stata ripetuta nel successivo giudizio d’appello, nel corpo dell’atto di controdeduzioni depositato dinanzi alla CTR.
1.2 Viene, altresì, rimarcato che, già in prime cure, esso ricorrente aveva prodotto copia del registro dei beni ammortizzabili, allo scopo di dimostrarne il valore e le inerenti quote di ammortamento, e che il documento era stato poi ridepositato in secondo grado.
1.3 Il motivo è, in parte, infondato e, in parte, inammissibile.
1.4 Il preteso fatto decisivo e controverso prospettato dal COGNOME è stato, in realtà, preso in esame dalla Commissione di secondo grado, la quale ha accertato che «parte appellata, che svolge attività di agente di commercio, non (avev) a prodotto documentazione comprovante il valore dei beni ammortizzabili, quale il registro dei beni ammortizzabili» .
Palesemente non sussiste, dunque, il segnalato vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c.
1.5 A ben vedere, l’effettiva doglianza mossa dal ricorrente attiene al supposto travisamento della realtà processuale in cui sarebbe la CTR nell’affermare, in contrasto con le evidenze di causa, che il registro dei beni ammortizzabili non era stato prodotto in giudizio.
1.6 Un simile errore andava, però, fatto valere con lo strumento della revocazione, in base al combinato disposto degli artt. 395 n. 4) c.p.c. e 64, comma 1, del D. Lgs. n. 546 del 1992.
1.7 È stato, infatti, ripetutamente statuito da questa Corte regolatrice che l’affermazione contenuta nella sentenza circa
l’inesistenza, nei fascicoli processuali (d’ufficio o di parte), di documenti che, invece, risultino esservi incontestabilmente inseriti non si concreta in un errore di giudizio, bensì in una mera svista di carattere materiale costituente errore di fatto, e quindi motivo di revocazione a norma dell’art. 395 n. 4) c.p.c. (cfr. Cass. n. 1562/2021, Cass. n. 19174/2016, Cass. n. 11453/2011; vedasi anche Cass. Sez. Un. n. 5792/2024, paragrafo 10.13, in cui si dà atto che «è fermo l’orientamento secondo cui è suscettibile di revocazione la decisione adottata sulla base dell’affermazione, dovuta a mera svista, dell’inesistenza in atti di un determinato documento, che risulti invece ritualmente prodotto» ).
Con il secondo motivo, formulato ai sensi d ell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è dedotta la violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.
2.1 Si denuncia che la Commissione regionale avrebbe erroneamente ritenuto non assolto da esso ricorrente l’onere della prova del valore dei beni ammortizzabili, tralasciando di considerare che detto valore era stato dallo stesso indicato nel ricorso introduttivo del giudizio e che l’Agenzia delle Entrate non aveva mosso alcuna contestazione sul punto.
2.2 Il motivo è infondato.
2.3 Per costante indirizzo di questa Corte, il processo tributario costituisce sempre un giudizio di impugnazione di un atto autoritativo emesso dall’Amministrazione Finanziaria, anche nel caso in cui abbia ad oggetto una domanda di rimborso.
Ne discende che è l’atto impugnato -o il silenzio serbato dall’Ufficio sull’istanza del contribuente, il quale ha gli stessi effetti di un atto negativo espresso -ad esprimere la posizione processuale dell’Amministrazione nel giudizio; posizione che non può essere modificata se non attraverso un idoneo atto di autotutela.
Pertanto, ove l’onere della prova dei fatti costitutivi della pretesa azionata non incomba all’Amministrazione Finanziaria, quest’ultima
non ha l’onere di contestare espressamente i fatti affermati dal contribuente (cfr. Cass. n. 19187/2006, Cass. n. 24262/2011, Cass. n. 9882/2022, Cass. n. 30877/2023).
2.4 È, inoltre, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui, nelle controversie relative al rimborso di un tributo, il contribuente riveste la posizione di attore in senso sostanziale, con la conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare gli elementi costitutivi della domanda (cfr. Cass. n. 19500/2024, Cass. n. 28233/2023, Cass. n. 18644/2023, Cass. n. 1906/2020).
2.5 Alla stregua delle surriferite «regulae iuris» , che vanno qui ribadite, deve escludersi la sussistenza del vizio denunciato.
Con il terzo ed ultimo motivo , pure introdotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., viene prospettata la violazione dell’art. 57 del D. Lgs. n. 546 del 1992.
3.1 Si critica la gravata sentenza per non aver dichiarato inammissibili le nuove svolte con l’atto di appello dalla parte pubblica, mediante le quali sarebbero stati introdotti .
3.2 Risulta, in proposito, puntualizzato che i contestati elementi di novità sarebbero ravvisabili nelle difese con cui l’Agenzia delle Entrate aveva dedotto che e che .
3.3 Con un distinto profilo di censura si imputa alla CTR di aver disatteso gli stabili orientamenti giurisprudenziali di legittimità «in subiecta materia» .
3.4 Anche questo motivo è privo di fondamento.
3.5 La contestazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria della sussistenza dei presupposti del diritto al rimborso costituisce un’attività processuale di «mera difesa», la quale attiva l’onere probatorio del contribuente, secondo il principio generale previsto dall’art. 2697 c.c., senza essere soggetta ad alcuna preclusione né alla decadenza prevista dall’art. 57, comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992 (cfr. Cass. n. 5288/2024, Cass. n. 25859/2023, Cass. n. 14046/2019, Cass. n. 15026/2014).
3.6 Non ricorre, quindi, la violazione della norma processuale invocata.
3.7 Per il resto, l’impugnata decisione non si discosta affatto dall’insegnamento di questa Corte regolatrice, avendo la CTR correttamente respinto l’avanzata istanza di rimborso dell’IRAP a fronte della ritenuta mancanza di prova dell’insussistenza del relativo presupposto impositivo, che il contribuente avrebbe dovuto offrire dimostrando di possedere beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività professionale di agente di commercio.
Sulla scorta delle esposte considerazioni, il ricorso deve essere respinto.
Non v’è luogo a provvedere in ordine alle spese processuali, non avendo l’Agenzia delle Entrate svolto attività difensiva in questa sede.
Stante l’esito dell’impugnazione, viene resa nei confronti del ricorrente l’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposta impugnazione, a norma del comma 1bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione