Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15967 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 15967 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/06/2024
INTERESSI RIMB IRAP
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14454/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (in qualità di successore a seguito di fusione per incorporazione, per atto depositato nel fascicolo in data 18 gennaio 2024 di RAGIONE_SOCIALE,) sedente in Torino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, presso quest’ultimo domiciliato in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, n. 3623/19, depositata il 26 settembre 2019. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 7 maggio 2024
dal consigliere NOME COGNOME
Dato atto che il AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME ha chiesto la cassazione senza rinvio della sentenza impugnata.
L’Avvocatura Generale dello Stato ha chiesto a sua volta l’accoglimento del ricorso.
Il difensore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE, AVV_NOTAIO in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE e le proprie società controllate presentavano le previste istanze di rimborso della maggiore IRES a partire dall’anno d’imposta 2004, oltre ad un’istanza di rimborso integrale (dunque oltre i limiti stabiliti dai dd.ll. nn. 185/2008 e 201/2011) dell’IRAP non dedotta dall’imponibile IRES a partire dal 2003, sempre per sé e per le controllate del consolidato fiscale. Le istanze conformi erano presentate alle date 11.12.2009 e 29.5.2013. Il 30.12.2013 l’ufficio respingeva l’ultima domanda e avvertiva che le altre erano soggette a istruttoria. RAGIONE_SOCIALE impugnava i provvedimenti e nell’agosto 2014 cedeva i crediti a RAGIONE_SOCIALE, che chiamava in giudizio. Quest’ultimo, il 3.12.2014, notificava a sua volta istanze di rimborso dei suddetti crediti (ad esclusione di quello per l’importo integrale). Ritenuto il formarsi del silenzio rifiuto sulle proprie istanze, RAGIONE_SOCIALE lo impugnava con ricorsi depositati il 23.3.2015. La CTP dichiarava l’inammissibilità degli stessi, ritenendo che ‘la sede di verifica RAGIONE_SOCIALE istanze di rimborso sono i ricorsi proposti da RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE La CTR adìta sempre da RAGIONE_SOCIALE, accoglieva invece il gravame ritenendo che la titolarità dei crediti facesse esclusivamente capo al cessionario, e nel merito ha ritenuto la fondatezza dei crediti pretesi.
Ricorre l’RAGIONE_SOCIALE in cassazione, affidandosi a quattro motivi, mentre RAGIONE_SOCIALE resiste a mezzo di controricorso, e da ultimo depositando memorie illustrative.
Considerato che:
1.Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 39, cod. proc. civ., ritenendosi che la sentenza d’appello abbia erroneamente omesso di pronunciare la litispendenza della presente controversia con quella pendente e promossa da RAGIONE_SOCIALE, avente il medesimo oggetto e in cui era chiamata RAGIONE_SOCIALE, che pure si era ivi costituita.
2.Col secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1260 e 1264, cod. civ., e 111, cod. proc. civ., in quanto la successione di RAGIONE_SOCIALE (a titolo particolare) era avvenuta in corso di causa, e la controversia doveva continuare con la parte originaria, salvo facoltà di intervento del cessionario, cosa peraltro avvenuta, per cui quest’ultimo non aveva alcuna facoltà di instaurare un autonomo giudizio avente il medesimo oggetto.
I due motivi, attesa la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente.
Essi sono infondati.
Pacificamente la sentenza d’appello oggetto del ricorso RG n. 34309/19, chiamata per l’udienza del 6 febbraio 2024, presuppone la litispendenza di quella causa – per quanto concerne gli appelli promossi dall’odierna controricorrente con la presente.
In proposito va osservato che la sentenza n. 5811/2024 di questa Corte, intervenuta fra le parti con riferimento alla controversia introdotta dalla cedente RAGIONE_SOCIALE (appunto di cui al NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO), ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza n. 2185/2019 della CTR Lombardia, nella parte in cui quest’ultima statuiva la litispendenza con (ed in favore quindi del)la controversia odierna (allora pendente in appello). Dunque, quest’ultima pronuncia, per effetto della richiamata decisione n. 5811/2024, passava sul punto in giudicato fra le parti.
Già per tale circostanza la violazione dell’art. 39 cod. proc. civ. da parte della RAGIONE_SOCIALE non può dunque essere neppure esaminata, visto
che sulla litispendenza in favore della presente controversia esiste ormai il giudicato.
In proposito deve osservarsi che quelle di RAGIONE_SOCIALE (sia nel presente giudizio che in quello rubricato NUMERO_DOCUMENTO n. NUMERO_DOCUMENTO, in quest’ultimo peraltro limitatamente alle annualità 2004 -2008) hanno sempre e solo avuto ad oggetto il rimborso della sola quota IRAP rimborsabile ai sensi d.l. nn. 185/2008 e 201/2011, relativo agli anni d’imposta 2004/2011, il tutto in base all’atto di cessione del credito intervenuto fra la cedente RAGIONE_SOCIALE ed essa RAGIONE_SOCIALE.
Dal ricorso incidentale e controricorso di RAGIONE_SOCIALE nel giudizio definito con sentenza di questa Corte n. 5811/24 e dal controricorso RAGIONE_SOCIALE in questo giudizio (in particolare pag. 6) emerge che tanto le istanze telematiche di rimborso RAGIONE_SOCIALE, come poi il giudizio di primo grado conseguente, ebbero ad oggetto anche tali crediti, e precipuamente in relazione a ciò RAGIONE_SOCIALE chiamò in quel giudizio RAGIONE_SOCIALE.
La CTP in quel giudizio introdotto da RAGIONE_SOCIALE dichiarò inammissibile tale domanda (pag. 18 del ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE) e, a fronte dell’appello sul punto di RAGIONE_SOCIALE, la CTR con la sent. n.2185/2019 dichiarò rispetto alla stessa, come visto, la litispendenza con il presente giudizio. Altresì è pacifico, perché espressamente indicato da RAGIONE_SOCIALE a pag. 19 del ricorso incidentale nel giudizio sempre definito da Cass. n. 5811/2024, che la stessa non appellò la sentenza di primo grado sul punto, per cui già in appello quel giudizio non aveva ad oggetto, per quanto riguardava le domande spiegate da RAGIONE_SOCIALE, quelle istanze telematiche, ormai dunque solo oggetto, sempre in quel giudizio, dell’appello RAGIONE_SOCIALE.
In effetti 1) RAGIONE_SOCIALE non aveva impugnato la pronuncia di primo grado sul punto; 2) la stessa chiariva di aver sostanzialmente accettato il superamento della domanda cartacea (oggetto di quel
giudizio) da parte di quella telematica sul punto (cioè, per la porzione di credito corrispondente a quanto stabilito dai d.l. nn. 108/15 e 201/11) residuando quindi in quella sede solo quella relativa all’importo ulteriore ritenuto da essa RAGIONE_SOCIALE dovuto, e pacificamente non oggetto della cessione a RAGIONE_SOCIALE; 3) anche le difese dell’RAGIONE_SOCIALE in quella sede erano nel senso che l’oggetto RAGIONE_SOCIALE istanze telematiche era ormai estraneo al giudizio RG n. 34309/19; 4) la stessa RAGIONE_SOCIALE infine, alla pag. 6 del proprio ricorso introduttivo del giudizio da ultimo citato, ritiene fondata l’osservazione contenuta nella sentenza CTR n. 2185/19, più volte citata, secondo cui ‘la Commissione, rilevato che nel caso di specie la RAGIONE_SOCIALE per gli anni in oggetto ha presentato istanze di rimborso prima in forma cartacea e successivamente in via telematica, concordato con quanto stabilito e deciso dai primi giudici, ritiene che le istanze di rimborso presentate in forma cartacea, oggetto del presente giudizio, sono state superate, sostituite ed annullate dalle richieste telematiche’ (ovviamente superamento ed annullamento inerente alla sola porzione relativa al credito riconducibile alla deduzione riconosciuta dai d.l. nn. 185/2008 e 203/11, n.d.r. ed oggetto della cessione a RAGIONE_SOCIALE).
Non è dunque fondata l’eccezione dell’RAGIONE_SOCIALE secondo cui il credito oggetto del presente giudizio lo sarebbe anche dell’altro, promosso da RAGIONE_SOCIALE: la relativa domanda di RAGIONE_SOCIALE è stata dichiarata inammissibile e RAGIONE_SOCIALE non ha proposto appello; la relativa impugnazione sul punto di RAGIONE_SOCIALE è coperta dal giudicato di litispendenza in favore di questo giudizio.
E’ dunque appunto questa la sede, come stabilito dalla sentenza n. 2185/2019 della CTR, in proposito confermata dalla sentenza di questa Corte n. 5811/2024, per decidere le domande stesse, oggetto della sentenza d’appello qui impugnata.
Né può rilevarsi ostacolo dalle norme invocate dalla difesa erariale col secondo motivo, a tacer d’altro in relazione a quanto già
osservato in ordine alla pronuncia di litispendenza in favore della presente causa ormai divenuta definitiva.
La stessa presuppone proprio questa come sede per l’esame RAGIONE_SOCIALE domande, avendola ritenuta (e sul punto la decisione è definitiva) causa preventiva.
Né ancora può sostenersi che la già citata sentenza di questa Corte, n. 5811/2024, nel pronunciare la litispendenza, abbia al medesimo tempo delimitato l’oggetto del presente giudizio.
In proposito l’RAGIONE_SOCIALE allega che la pronuncia della CTR, resa definitiva in punto litispendenza da questa Corte con la citata sentenza n. 5811, aveva ritenuto che ‘accertato che la RAGIONE_SOCIALE, anteriormente al presente appello, ha proposto altro giudizio in appello, avverso la sentenza della CTP di Milano n. 6231/42/2016, pendente innanzi a questa CTR di Milano, sez. XIV, sub r.g. 1183/2017 (oggetto appunto del presente giudizio, n.d.r.) e che tra i due giudizi sussiste identità, oltre che dei soggetti, anche del petitum e della causa petendi’.
Orbene, ove pur si volesse con ciò ritenere che quel giudice abbia operato una valutazione anche sull’oggetto del presente giudizio, la stessa non potrebbe giammai rivestire efficacia di giudicato sul punto, dal momento che essa poteva che statuire sull’ampiezza del proprio oggetto, non certo su quello di un altro giudizio, poiché quest’ultimo non era devoluto alla sua cognizione.
Infine, non può ritenersi la sussistenza di duplicazione di istanze o di duplicazione dei crediti.
Da un lato infatti le domande proposte da RAGIONE_SOCIALE, con riferimento al credito qui azionato, ormai oggetto di cessione in favore dell’odierna controricorrente, sono state definite solo in rito nell’altro giudizio (per il quale è stato disposto rinvio su un motivo, ma inerente al credito ulteriore del tutto estraneo all’oggetto della cessione) e più non lo riguardano; dall’altro nulla impedisce al cessionario di agire per il credito a fronte di un sostanziale rifiuto
dell’amministrazione debitrice, unico limite essendo dalle norme identificato nell’avvenuta emissione dell’ordine di pagamento da parte dell’amministrazione in favore del cedente anteriormente alla cessione stessa (cfr. art. 1, d.m. n. 394/1997) (Cass. 32113/2023), circostanza che non ricorre nella specie.
Venendo così all’esame del terzo motivo si deduce con esso violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, cod. civ., 6, d.l. n. 185/2008 e 2, d.l. n. 201/2011, avendo la sentenza impugnata trascurato che l’onere della prova grava per i crediti sul contribuente, avendo ritenuto sufficienti i bilanci dell’originaria creditrice e le istanze di rimborso.
4.1. In proposito occorre sottolineare anzitutto che il difetto di prova costituiva motivo di appello, e che sull’esame dello stesso si incentra la parte in merito della sentenza della CTR, con cui la medesima mostra di aver esaminato la documentazione prodotta (che viene citata alle pagg. 23 e 24 del controricorso (consolidato, dichiarazioni dei redditi dei periodi, dichiarazioni IRAP, bilanci, accertamenti con adesione, prospetti del costo del lavoro), la commenta in rapporto alle doglianze dell’RAGIONE_SOCIALE, la ritiene sufficiente e fondata, dando altresì atto RAGIONE_SOCIALE tabelle elaborate dall’RAGIONE_SOCIALE con cui si indicano ritenute carenze, reputando tali specifiche talora incomprensibili.
Esaminando le tabelle complete, riportate nelle controdeduzioni dell’RAGIONE_SOCIALE, e tratte dalla lavorazione dei documenti prodotti dalla cessionaria, esse si riferiscono intanto a differenze (per lo più modeste) relative alla percentuale di calcolo della deduzione e alle più consistenti voci ‘perdite proprie non trasferibili al consolidato’.
Sotto il profilo quantitativo, la CTR indica che risultano prodotti ‘il dato numerico risultante dalla posta contabile relativa al costo del lavoro; le spese concernenti i lavoratori subordinati; infine gli oneri economici che pur riconducibili al costo del lavoro, non sono conteggiabili ai fini della deducibilità’ ed inoltre si occupa del
procedimento di calcolo che ‘collima perfettamente con la lettera dell’art.2, del DL 201/2011 (…) quindi con un rinvio non alla posta contabile specifica, ma alla massa RAGIONE_SOCIALE gravezze (sic) sostenute per i dipendenti’.
Non risulta però essere stato preso in esame il fatto che dalle suddette tabelle emerge come in parte sugli anni in rilievo (20042011), ed oggetto della domanda RAGIONE_SOCIALE, siano riportate anche perdite e alcuni pagamenti per anni precedenti agli stessi, ed estranei al perimetro di applicazione RAGIONE_SOCIALE norme in rilievo (2004 in avanti). In particolare, e con riferimento ad entrambe le normative di riferimento, risultano perdite ‘proprie’ ‘rigenerate’ sugli anni rientranti ma appunto inerenti ad anni precedenti (esempio, varie sul 2004, in un caso anche sul 2005 ma inerenti al 2003; una sul 2006, ma inerente al 2002; in due casi sul 2007 ma inerenti al 2002; una deduzione di versamento risalente al 2001).
Tale aspetto, che versandosi in tema di rimborso rientrava senz’altro nell’oggetto dell’onere della prova gravante sul contribuente e, nella specie, sul cessionario, non viene dunque minimamente affrontato nella sentenza d’appello, e pertanto sotto tal profilo il motivo merita accoglimento.
5. Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, cod. civ., 6, d.l. n. 185/2008 e 2, d.l. n. 201/2011, in combinato disposto con gli artt. 42-bis e 44-bis, d.p.r. n. 602/1973, in relazione alla determinazione degli interessi, facendo riferimento a quelli determinati nell’atto di cessione, e pertanto con decorrenza dall’epoca dei singoli pagamenti dell’IRES chiesta a rimborso.
5.1. Va premesso che a proposito degli interessi la statuizione impugnata stabilisce che l’RAGIONE_SOCIALE sia condannata a ‘pagare gli interessi ceduti da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE e a pagare gli ulteriori interessi maturati e la svalutazione monetaria’.
In sé la statuizione non è corretta, dal momento che la condanna dell’RAGIONE_SOCIALE al pagamento degli interessi, quanto alla decorrenza ed all’entità, e così della rivalutazione monetaria, non può dipendere dalla convenzione di cessione (che fa riferimento alle date dei pagamenti), che vincola solo le parti che l’hanno conclusa.
Viceversa, tali elementi sono predeterminati per legge.
In proposito la difesa erariale ritiene che la decorrenza degli stessi debba essere ragguagliata all’entrata in vigore RAGIONE_SOCIALE rispettive normative, e quindi rispettivamente al 28 novembre 2008 ed al 6 dicembre 2011.
Poiché peraltro l’art. 42 bis, d.p.r. n. 602/1973 fa riferimento alla ‘decorrenza dal secondo semestre solare successivo alla data di scadenza del termine di presentazione della dichiarazione fino alla data di emissione dell’ordinativo diretto collettivo’, l’effettiva decorrenza dovrebbe nella specie essere individuata rispettivamente nel 1° luglio 2009 e nel 1° luglio 2012.
Quanto alla rivalutazione, la stessa dovrebbe essere ritenuta integralmente assorbita dal rimborso previsto dall’art. 44 bis, d.p.r. n. 602/1973.
5.2. Premesso che pacificamente alcuna istanza di rimborso era stata a suo tempo presentata in riferimento alle singole annualità, ma appunto solo successivamente all’entrata in vigore della disciplina di beneficio, si osserva quanto segue.
Nell’ambito della sezione questa Corte, trattando analoga fattispecie (relativa alla sopravvenienza dell’art. 2, comma 1, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che ha ulteriormente ampliato la deducibilità dell’Irap dall’Ires) , ha già avuto modo di affermare che «In tema di rimborso RAGIONE_SOCIALE imposte sul reddito, gli interessi di cui all’art. 44 d.lgs. n. 602 del 1973 non presuppongono la mora dell’Amministrazione, ma hanno la funzione di reintegrare la diminuzione patrimoniale subita dal contribuente che non ha goduto della somma di denaro che ha versato
al Fisco e che deve essergli restituita. Tali interessi, indipendentemente dalla buona o mala fede dell’ accipiens , maturano al compimento di ogni singolo semestre, escluso il primo, successivo alla data non della domanda, ma del versamento e fino a quella dell’ordinativo del pagamento» (Cass. 28/04/2023, n. 11262, in motivazione, ivi anche le argomentazioni che seguono).
Ha premesso il citato arresto che, in tema di rimborso d’imposte, gli interessi dovuti dall’erario al contribuente per la ritardata restituzione sono soggetti alla disciplina dei rimborsi semestrali, ai sensi degli artt. 38 e 44 del d.P.R. n. 602 del 1973, sicché maturano al compimento di ogni singolo semestre, escluso il primo, successivo alla data non della domanda, ma del versamento e fino a quella dell’ordinativo del pagamento, e vanno calcolati al tasso legale vigente al momento della scadenza di ciascun semestre (Cass. 14/12/2016, n. 25684); senza che trovino applicazione le regole civilistiche ordinarie, presentando la disciplina tributaria in esame carattere di specialità (Cass. 20/10/2021, n. 29237).
Lo stesso precedente di legittimità ha poi aggiunto che è noto che questa Corte ha già avuto modo di affermare che gli interessi sulle somme che l’Amministrazione deve rimborsare al contribuente non hanno natura corrispettiva, ma moratoria, ossia sono disposti per il ritardo con cui l’imposta non dovuta è rimborsata (cfr. Cass. 21/03/2019, n. 7955), per cui non decorrono quando il ritardo non è addebitabile all’Amministrazione finanziaria (Cass. 21/03/2019, n. 7955, cit; cfr. Cass. 29/04/2016, n. 8540 e Cass. 23/07/2004, n. 13808).
Si tratta, tuttavia, di pronunce non strettamente conferenti la fattispecie sub iudice , poiché riguardano specificamente il rimborso di crediti Iva ai sensi dell’art. 38 -bis del d.P.R. 26/10/1972, n. 633, ed in particolare la non decorrenza degli accessori nel periodo compreso tra il sedicesimo giorno dalla data di notifica della richiesta di documenti da parte dell’Ufficio e quella della loro consegna (Cass. n. 7955 del
2019); o nel periodo in cui sia stato mantenuto dall’Amministrazione il provvedimento, legittimo, di sospensione del relativo pagamento, a causa dell’inadempimento, da parte del contribuente, RAGIONE_SOCIALE condizioni stabilite dallo stesso provvedimento, ovvero il rilascio di garanzia, per poter dare ugualmente corso al rimborso richiesto (Cass. 22/06/ 2021,n. 17828 ).
Invece, più in generale, questa Corte, quando si è trattato di individuare, (al fine di verificarne l’imponibilità, in base alle norme pro tempore vigenti) l’effettiva funzione degli accessori maturati sui crediti che i contribuenti hanno nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, ha affermato che « Gli interessi maturati sui crediti di imposta che i contribuenti hanno nei confronti dell’Amministrazione finanziaria non sono dovuti a titolo moratorio (non essendovi mora dell’Amministrazione) né derivano dall’impiego di capitale, ma servono a compensare i contribuenti dell’esborso pecuniario che essi hanno in precedenza effettuato versando al Fisco una somma di denaro che deve essere loro restituita. L’interesse su tale somma serve a reintegrare la diminuzione patrimoniale subita dal contribuente, che viene così compensato del mancato godimento del denaro in precedenza versato . Chiara è perciò la ‘natura compensativa’ degli interessi maturati sui crediti di imposta, idonea ad escluderli dai redditi di capitale elencati nel citato art. 41» (Cass. 05/07/1990, n. 7091,in motivazione; conformi, sulla natura compensativa degli interessi in questione, in materia di imposte dirette, Cass. 06/04/1995, n. 4037; Cass. 28/11/1995, n. 12318; Cass. 15/04/1996, n. 3525; Cass. 10/06/1996, n. 5352; Cass. 15/02/1999, n. 1255; Cass. 17/07/1999, n. 7575; Cass. 08/09/1999, n. 9510; Cass. 17/05/2000, n. 6397; Cass. 20/09/2004, n. 18864; Cass. n. 9852 del 2016; Cass. 17/04/2019, n. 10705; Cass. 04/09/2012, n. 31820).
Per quanto qui rileva, il consolidato orientamento in questione evidenzia dunque la funzione in senso lato ‘compensativa’ (del mancato godimento, da parte del contribuente, del denaro in
precedenza versato), che prescinde da un ritardo che sia colpevolmente imputabile all’Amministrazione (che, nel frattempo, ha ricevuto e posseduto la stessa somma) e legittimi la ‘mora’ di quest’ultima, ai fini della decorrenza degli interessi di legge.
Del resto, qualora pure la natura ‘moratoria’ degli interessi di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 602 del 1973 volesse farsi dipendere dalla mera circostanza del riferimento al «ritardato» rimborso contenuto nella rubrica della stessa norma, dovrebbe comunque prendersi atto, per quanto qui interessa, che nel primo comma la disposizione prende come riferimento, quale dies a quo della decorrenza dei semestri per i quali (escluso il primo) sono dovuti gli accessori, la « data del versamento». Pertanto, se ne deve trarre la conclusione che il legislatore (a prescindere dalla specifica regola dei semestri e dall’esclusione del primo di essi) considera comunque «ritardato» il rimborso ed in mora l’Amministrazione sin dal versamento che deve essere rimborsato.
Invero, a prescindere dalla sovrapposizione di concetti e qualificazioni di natura squisitamente civilistica, occorre muovere dal dato testuale offerto dal primo comma del ridetto art. 44 del d.P.R. n. 602 del 1973, che individua la « data del versamento» quale riferimento temporale, certo ed univoco, ai fini della conseguente individuazione del semestre di decorrenza iniziale degli accessori, prescindendo quindi da ulteriori elementi di valutazione. In coerenza, peraltro, con la peculiarità della disciplina del rimborso RAGIONE_SOCIALE imposte, che, a differenza di quella civilistica generale sull’indebito, di cui agli artt. 2033 ss. cod. civ., prescinde, ai fini degli accessori, dallo stato soggettivo di buona fede o mala fede dell’ accipiens . Infatti, nell’ordinamento tributario italiano vige, per la ripetizione del pagamento indebito, un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza dal relativo diritto, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta, o, in mancanza di queste, dalle norme sul contenzioso tributario, e tale regime impedisce, in linea di principio, l’applicazione della disciplina
prevista per l’indebito di diritto comune (Cass. Sez. U., 16/06/2014, n. 13676 in motivazione, ove si cita altresì Cass. n. 11456 del 2011; da ultimo, nello stesso senso, Cass.04/0772022, n. 21106).
Nello stesso senso, a proposito della funzione degli interessi in questione e della loro decorrenza, si è espressa ancora questa Corte (Cass. 27/04/2023, n. 11189; conformi Cass. 03/11/2023, n. 30639 ; Cass. 28/12/2023, n. 36180, in motivazione), aggiungendo che « sussiste indubbiamente un’ asimmetria tra la decorrenza degli interessi dovuti dalla contribuente (« a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento», ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. n. 602 del 1973) sulle maggiori imposte accertate e quella degli interessi alla stessa contribuente spettanti (a norma dell’art. 44 del d.P.R. n. 602 del 1973, con esclusione del primo semestre successivo alla data del versamento) sul rimborso dell’imposta versata e non dovuta. Ed è vero che la disciplina dell’art. 44 del d.P.R. n.602 del 1973, in sé considerata, è stata ritenuta legittima da Corte cost., sentenza n. 157 del 1996, che ha posto in evidenza ( anche richiamando le proprie precedenti ordinanze n. 288 del 1988 e n. 93 del 1989), la speciale natura del credito e la conseguente peculiare disciplina della materia tributaria apprestata dal legislatore, nella sua discrezionalità, congruamente giustificata dalle esigenze connesse alle operazioni di liquidazione dell’imposta e di formazione dei ruoli, nonché di quelle degli uffici preposti allo svolgimento dei complessi procedimenti restitutori. contribuente della diminuzione patrimoniale subita sin dal momento del versamento.» (Cass. 28/04/2023, n. 11262, cit., in motivazione).
Proprio dalle considerazioni in ordine all’appena evidenziata asimmetria, con riguardo alla decorrenza degli interessi l’orientamento prevalente di questa Corte ha dedotto come appaia difficilmente sostenibile l’accoglimento di un’interpretazione che posticipi la decorrenza degli interessi sulle somme da rimborsare in misura maggiore rispetto a quella che il legislatore stesso,
considerando le peculiarità del rapporto tributario e del procedimento di liquidazione e pagamento RAGIONE_SOCIALE somme da restituire al contribuente, ha già collocato in relazione al loro versamento, con il conseguente semestre ‘bianco’.» (Cass. 27/04/2023, n. 11189).
In particolare, proprio con riguardo all’art. 2, comma 1 -quater, d.l. n. 201/2011, si è concluso che « Va escluso pertanto che la posticipazione della decorrenza degli interessi all’ entrata in vigore…possa essere giustificata dall’ ipotetica natura moratoria degli stessi accessori, e dunque dalla circostanza che l’Amministrazione non potesse considerarsi in mora in precedenza; o dalla precedente ‘buona fede’ dell’Amministrazione, quale accipiens , inconsapevole di aver ricevuto una prestazione che sarebbe successivamente divenuta sine titulo ex lege’ .
Si è altresì ritenuto che la retroattività, nei limiti previsti dalla stessa norma, dell’art. 2, comma 1 -quater, del d.l. n. 201 del 2011, abbia privato di titolo ex tunc il relativo pagamento, con la conseguente necessità, in ossequio alla ratio dell’art. 44 d.lgs. n. 602 del 1973, di reintegrare integralmente il contribuente.
In argomento sussiste peraltro altro orientamento, rappresentato da un’unica pur recente pronuncia, in base al quale la stessa dovrebbe essere identificata con la data di entrata in vigore della norma stessa.
Tale decisione (Cass. n. 16566/2023), che peraltro non si pone affatto in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte in ordine alla natura degli interessi da corrispondersi in ipotesi di rimborso, di cui si è sopra riferito ampiamente, poggia sulle seguenti argomentazioni:
-l’incipit dell’art. 6 d.l. n. 185/2008 introduce una nuova agevolazione fiscale «a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2008». L’espressione utilizzata dal legislatore è chiara nel limitare il nuovo beneficio al futuro (‘a decorrere dal periodo d’imposta in corso’). Per i periodi di imposta pregressi lo stesso art. 6, al comma 2, ha disposto il diritto al rimborso di una somma
per quei contribuenti che abbiano presentato (o presenteranno successivamente all’entrata in vigore della norma), la relativa domanda. Quest’ultimo costituirebbe un beneficio autonomo, essendo esso previsto entro prestabiliti limiti di spesa, e fino alla capienza dei relativi stanziamenti (comma 4 dello stesso art. 6). Quanto all’eventuale completamento dei rimborsi, si tratterebbe di un rimando ad una scelta discrezionale del legislatore, una mera possibilità come si ricava dalla relazione illustrativa alla legge di conversione.
-Anche l’ordinanza Corte Cost. n. 232 del 2012, nel rilevare l’effetto retroattivo della deducibilità IRAP recata dalla normativa in esame, fa riferimento in generale alla normativa oggetto RAGIONE_SOCIALE varie ordinanze di rimessione, e stabilisce che al giudice tributario spetta valutare la misura e gli esatti termini di tale effetto normativo.
In particolare, la suddetta ordinanza (con cui si rimettono gli atti al giudice rimettente per la valutazione dell’impatto della nuova norma), si limita all’uso di un avverbio (‘retroattivamente’), per prendere atto del fatto che la norma per come formulata viene ad incidere sull’oggetto del processo nel quale la questione di costituzionalità era stata sollevata.
-Il richiamo della disciplina del rimborso sarebbe dunque solo di carattere procedimentale, ma senza che esso comporti l’inquadramento del diritto come connesso ad un versamento indebito, che anzi all’epoca dello stesso era senz’altro dovuto, con conseguente inapplicabilità della disciplina della decorrenza degli interessi tanto in tema di rimborsi fiscali, sostanzialmente ritenendosi, in accordo con precedenti pur risalenti di questa Corte, che non è possibile ‘ancorare gli interessi ad un momento nel quale non era stata ancora determinata la sorte; ad un momento cioè anteriore a quello di nascita del diritto sulla sorte medesima’ (Cass. n.9703/1990; nel senso suddetto e sempre con riferimento alla l. n. 482/1985, cfr. anche Cass. n.145/1996)
Orbene ritiene il Collegio di dare continuità all’orientamento espresso dalla serie di richiamate decisioni di legittimità.
Invero, a ribadire lo stesso, oltre agli argomenti che si sono rassegnati più sopra, va sottolineato come il rilievo della natura sostanziale di rimborso come configurato per le annualità precedenti dal legislatore del 2008 trova conforto nella giurisprudenza di legittimità (Cass. 06/06/2019, n. 15341, in motivazione, pagg. 17-21; Cass. 28/04/2023, n. 11262, cit., in motivazione, pag. 7 s.) che, proprio con riferimento alla disciplina conseguente alla sopravvenienza, in tema di deducibilità forfettaria dell’Irap, dell’art. 6 d.l. n. 185 del 2008, ha ricostruito i rapporti tra l’originaria istanza di rimborso e quella telematica successiva. All’esito dell’esame del relativo quadro normativo, nonché del punto 1.3.2. della circolare del 14 aprile 2009 n. 16/E della stessa RAGIONE_SOCIALE, si è infatti concluso che per i contribuenti che alla data di entrata in vigore del decreto n. 185 del 2008 avevano già presentato tempestiva istanza ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, il rimborso della maggiore imposta assolta non era subordinato alla presentazione dell’istanza telematica prevista al comma 3 del citato art. 6 del d.l. n.185 del 2008, che è necessaria al solo fine di comunicare all’Amministrazione finanziaria l’entità del rimborso di cui si chiede la restituzione e di consentire alla stessa Amministrazione di quantificare l’importo eventualmente dovuto in restituzione ( Cass. 06/06/2019, n. 15341, cit., in motivazione,; Cass. 28/04/2023, n. 11262, cit., in motivazione).
L’inquadramento dell’estensione ( ad anni d’imposta antecedenti il 2008) della deducibilità in termini di efficacia retroattiva della norma sopravvenuta, così come la saldatura dell’efficacia tra le domande di rimborso precedenti eventualmente presentate (quando ancora il ‘procedimento’ ex art. 6 del d.l. n.185 del 2008 non esisteva, e peraltro già di per sé sufficienti a configurare il diritto al rimborso) e quelle telematiche successive previste dalle nuove disposizioni, evidenzia come la fattispecie trattata sia configurata dal legislatore
come avente natura sostanziale, e non meramente procedimentale, di rimborso, confermata dal richiamo esplicito dell’ art. 38 d.P.R. n. 602 del 1973.
Conclusivamente poi si può dire che l’intervento normativo in parola, abbia inteso ‘riparare’ ad un possibile deficit di costituzionalità della pregressa disciplina, ed infatti la già citata decisione del Giudice RAGIONE_SOCIALE Leggi (Corte cost., ordinanza n. 232 del 2012), sul presupposto dell’efficacia della modifica, ha rimesso gli atti ai giudici di merito perché operino una nuova valutazione della perdurante rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione.
Ebbene tale ‘deficit’ non può che essere oggetto di una riparazione integrale, la quale non può trascurare gli effetti RAGIONE_SOCIALE mancate deduzioni per le annualità pregresse, dunque anche dei relativi accessori per interessi.
Il motivo va dunque accolto nei limiti suddetti (non potendosi prendere in considerazione come termine di decorrenza quello indicato nella cessione bensì quello legale come sopra ricostruito).
Al postutto il ricorso dev’essere accolto nei limiti di cui in motivazione con riguardo ai motivi 3 e 4, respinto nel resto e dunque la sentenza dev’essere cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, che provvederà altresì alla determinazione RAGIONE_SOCIALE spese per il giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, accolto nei limiti di cui in motivazione i motivi tre e quattro, respinti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia di secondo grado della Lombardia che, in diversa composizione, provvederà altresì alla liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 7 maggio 2024