Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18703 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18703 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/07/2025
DINIEGO RIMBORSO IRAP 2014
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19567/2020 proposto da Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma è domiciliata alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale allegata al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio digitale indicato in ricorso;
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DEL L’ABRUZZO n. 152/02/2020, depositata in data 26/2/2020;
Udita la relazione della causa svolta dal consigliere dott. NOME COGNOME nella camera di consiglio del 21 marzo 2025;
Fatti di causa
La società RAGIONE_SOCIALE, con istanza ex art. 38 del d.P.R. n. 602/1973, presentata in data 27/9/2016, chiese il rimborso dell’importo di euro 105.581 a titolo di Irap 2014.
In particolare, la società chiese l’applicazione delle deduzioni dalla base imponibile dell’Irap del cd. ‘cuneo fiscale’, in presenza di personale dipendente impiegato a tempo indeterminato, ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2 e 3, del d.lgs. n. 446 del 1997.
La società chiese il rimborso della maggiore Irap versata con riferimento all’anno 2014, affermando di non appartenere alla categoria delle imprese operanti in concessione e a tariffa, avendo svolto l’attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani in base a contratti di appalto.
Formatosi il silenzio-rifiuto, la società propose ricorso alla C.T.P. di Teramo.
Nel contraddittorio con l’ufficio, la C.T.P. rigettò il ricorso.
Su appello della società, nel contraddittorio con l’ufficio, la C.T.R. territoriale riformò la sentenza di primo grado, accogliendo l’originaria richiesta di rimborso.
Avverso la sentenza d’appello, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso la società, che ha anche depositato una memoria difensiva in vista dell’adunanza camerale.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 18 e 53 del d.lgs. n. 546 del 1992 nonché dell’art. 324 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.’ ,
l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata in quanto la C.T.R. non avrebbe rilevato l’inammissibilità dell’appello per carenza di motivi specifici a sostegno dell’impugnazione. Inoltre, l’appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile in quanto la contribuente aveva impugnato la sentenza di primo grado devolvendo alla cognizione della C.T.R. solo la qualificazione giuridica dell’affidamento del servizio da parte della pubblica amministrazione (appalto o concessione), non anche quella della modalità di retribuzione (corrispettivo o tariffa).
Ne conseguirebbe che, potendo il cd. ‘cuneo fiscale’ essere dedotto dalla base imponibile dell’Irap sul presupposto che l’affidamento del servizio pubblico fosse avvenuto in base ad un appalto e non ad una concessione traslativa e che il pagamento fosse avvenuto in base ad un corrispettivo e non in base ad una tariffa, la mancata contestazione della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto sussistente una retribuzione a tariffa avrebbe prodotto un giudicato interno che avrebbe dovuto indurre la C.T.R. a dichiarare inammissibile l’appello.
1.1. Il motivo è infondato.
Innanzitutto, deve rilevarsi che la C.T.R., nella sentenza impugnata, ha affermato che ‘i motivi di impugnazione sono specifici, in quanto la società si duole della decisione del giudice che ha ritenuto che il pagamento sia avvenuto ‘a tariffa’, pur ribadendo che trattasi di contratto di appalto e non di concessione traslativa (come già ritenuto dal giudice di prime cure)’ .
Il giudice di appello, dunque, ha ritenuto che, nel riproporre la tesi secondo la quale l’affidamento del servizio pubblico era avvenuto con uno strumento giuridico interamente privatistico (il contratto di appalto), la società avesse inteso contestare, quantomeno implicitamente, anche la parte di sentenza in cui la C.T.P. aveva
ritenuto che il corrispettivo previsto a suo favore fosse consistito in una tariffa.
Si tratta dell’esito di una legittima interpretazione degli atti processuali, esito che, compendiando un giudizio di merito, non può essere denunciato dinanzi a questa Corte di legittimità.
Con il secondo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2) e 3) del d.lgs. n. 446 del 1997, in relazione ai princìpi e alle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 163/2006, nonché violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.’ , l’Agenzia delle Entrate, dopo aver premesso una ricostruzione del quadro giuridico rilevante in subiecta materia , censura la sentenza impugnata per aver valorizzato, a sostegno della qualificazione dell’affidamento come appalto di s ervizi previo corrispettivo e non come concessione a tariffa, indici fattuali ambigui o, comunque, non necessariamente implicanti l’esistenza di un appalto con corrispettivo.
In particolare, afferma l’Agenzia che, ai fini della qualificazione di un affidamento come appalto con corrispettivo o come concessione a tariffa, è irrilevante che la percezione dei corrispettivi da parte dell’impresa avvenga direttamente dall’utenza o dall’amministrazione: ciò che rileva è che ci sia, a monte, una tariffa regolamentata che gli utenti sono obbligati a corrispondere all’amministrazione a fronte dell’espletamento del servizio.
Né sarebbe dirimente l’individuazione del destinatario della somministrazione del servizio, in quanto nel caso di specie, riguardante il servizio della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, la prestazione dell’impresa sarebbe svolta non solo nei confronti dell’ente appaltante, ma anche nei confronti della collettività.
Nemmeno sarebbe significativo l’elemento del rischio d’impresa, di cui la C.T.R. ha affermato l’assenza in capo al soggetto appaltatore del
servizio, a differenza del soggetto che gestisce il servizio tramite una concessione a tariffa, che si farebbe carico del rischio d’impresa.
L’Agenzia delle Entrate afferma che, contrariamente a quanto ritenuto dalla C.T.R., il contratto di affidamento del servizio stipulato tra l’amministrazione e l’impresa affidataria conterrebbe delle clausole di salvaguardia atte a trasferire su quest’ultima il rischio d’impresa.
I capitolati d’appalto esaminati dalla C.T.R., inoltre, non sarebbero omogenei, e dunque ai rapporti di affidamento non si sarebbe potuta attribuire una qualificazione giuridica unitaria.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Questa Corte, con orientamento che può dirsi consolidato, ha statuito che in tema di IRAP, poiché le imprese che svolgono attività regolamentata (cd. “public utilities”), caratterizzate dall’operare in regime di concessione e a tariffa, sono escluse dal godimento degli sgravi sul costo del lavoro (cd. cuneo fiscale) previsti dall’art. 11, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 446 del 1997, a fini agevolativi di riduzione della base imponibile rileva il regime in cui opera il contribuente, tenuto conto che nella concessione il corrispettivo è costituito dal diritto di gestire il servizio o i lavori oggetto del contratto con assunzione del rischio a carico del concessionario, mentre nel contratto di appalto esso consiste in un contributo economico erogato dalla stazione appaltante (Sez. 5 – , Ordinanza n. 16889 del 11/08/2020, Rv. 658697 -01; sulla ratio dell’esclusione dall’agevolazione dei soggetti economici che agiscono sulla base di una concessione traslativa e a tariffa, cfr. Cass., Sez. T-, Ordinanza n. 32633 del 12/12/2019, Rv. 656019 -01; sulla differenza tra appalto pubblico e concessione cfr., da ultimo, Sez. U -, Ordinanza n. 23155 del 27/08/2024, Rv. 671994 – 01).
La sentenza impugnata ha correttamente applicato alla fattispecie di causa i princìpi posti dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte, sicché è esente da censure.
Con riferimento, poi, alla parte del motivo in esame in cui l’Agenzia si duole di come la C.T.R. abbia interpretato le clausole dei contratti di affidamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, si tratta di censura di merito, inammissibile in questa sede di legittimità.
Con il terzo motivo di ricorso, rubricato ‘Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 132 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. Motivazione apparente’ , l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per carenza di motivazione.
3.1. Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata è corredata da un congruo apparato motivazionale e dà compiutamente atto delle ragioni per le quali la C.T.R. ha ritenuto che i rapporti di affidamento al suo esame derivavano da contratti di appalto pubblico di servizi con previsione di un corrispettivo e non da una concessione con previsione di una tariffa regolamentata, con conseguente applicazione dell’agevolazione in tema di Irap.
4. Il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, Amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il primo e il terzo motivo, dichiara inammissibile il secondo motivo.
Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio, che si liquidano in euro settemilaseicentocinquantacinque per compensi, oltre al rimborso delle spese generali, iva e cpa come per legge, ed oltre ad euro duecento per spese vive.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 marzo 2025.