Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12003 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12003 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 24463/2020, proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale allegata al ricorso, dall’ Avv. COGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 897/2020 della Commissione tributaria regionale della Calabria, depositata il 18 maggio 2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2 aprile 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME dante causa dell’odierna ricorrente, vide riconosciuto dal giudice contabile il proprio diritto alla corresponsione dell’indennità integrativa speciale Inpdap sulla pensione di reversibilità del coniuge; ottenuto l’importo , al netto delle ritenute Irpef, si vide poi ridurre il credito all’esito del giudizio d’appello, che riconobbe il diritto all’indennità -sulla pensione di reversibilità come su quella sua propria -nei limiti del cd. minimo Inps.
Poiché, pertanto, su tale base essa era stata richiesta di restituire la somma versata al lordo della ritenuta, rivolse all’Agenzia delle entrate un’istanza di rimborso dell’imposta trattenuta alla fonte dall’ente erogatore (nel frattempo incorporato dall’ Inps), impugnando il successivo silenzio-rifiuto innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Catanzaro.
Quest’ultima accolse la domanda.
Il successivo appello erariale, proposto nei confronti di NOME COGNOME erede della COGNOME, fu parzialmente accolto con la sentenza indicata in epigrafe.
La C.T.R. della Calabria condivise l’argomento difensivo dell’Agenzia delle entrate in base al quale la contribuente avrebbe acquisito il titolo per ricevere il rimborso dell’imposta soltanto quando quest’ultima fosse stata privata della sua giustificazione, mediante la restituzione dei redditi indebitamente percepiti.
Osservò, d’altro canto, che condizionare il rimborso alla restituzione dell’intero importo avrebbe comportato un’ingiusta
locupletazione dell’erario, che avrebbe tratt enuto per un tempo indefinito somme progressivamente indebite; poiché dunque, in punto di fatto, la restituzione stava avendo luogo mediante trattenuta mensile, dichiarò «ragionevole» che il rimborso avvenisse «progressivamente, in corrispondenza e in seguito a ogni pagamento effettuato dalla contribuente in favore dell’Inps per la restituzione del reddito percepito e in misura proporzionale a esso».
La sentenza d’appello è stata impugnata da NOME COGNOME con ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da successiva memoria.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Considerato che:
Con il primo motivo, denunziando «violazione e falsa applicazione degli artt. 37 e 38 d.P.R. n. 602/1973, 2033 cod. civ.», la ricorrente assume errata la sentenza d’appello nella parte in cui ha attribuito rilievo a una circostanza di fatto -le modalità e i tempi di esecuzione della restituzione dell’indennità anziché al proprio diritto all’adempimento dell’obbligo restitutorio.
Osserva, infatti, che il suo diritto al rimborso non matura ‘rata per rata’, in proporzione alla restituzione delle somme da lei indebitamente percette concordata con l’Inps, ma è già integralmente sorto per effetto dell’accertata insussistenza dell’obbligo fiscale.
Con il secondo motivo, rubricato «violazione del principio generale di capacità contributiva e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c.», la ricorrente critica la sentenza impugnata nella parte in cui non ha rilevato la sussistenza di un indebito arricchimento dell’Erario, consistito nella preventiva acquisizione di una somma pari al valore dell’imposta per effetto della ritenuta operata dall’ente previdenziale,
dal che necessariamente derivava l’ obbligo di restituirla secondo la corrispondente disciplina.
Aggiunge, peraltro, che il mancato riconoscimento del suo diritto al rimborso costituirebbe una violazione del principio di capacità contributiva, essendone derivato il suo assoggettamento ad imposta in relazione a somme che non costituivano reddito.
I motivi, meritevoli di scrutinio congiunto per la loro connessione, sono fondati.
3.1. Entrambe le censure sollecitano questa Corte a rispondere al quesito circa le modalità con le quali il contribuente tenuto a restituire all’ente previdenziale somme indebitamente percette -che in passato avevano concorso alla determinazione del suo imponibile e, come tali, erano state assoggettate a ritenute alla fonte -può recuperare, in caso di restituzione a lordo, le imposte già oggetto di trattenuta.
Il tema è stato oggetto di recenti decisioni della sezione tributaria di questa Corte (cfr. fra le altre, Cass. n. 6208/2025; Cass. n. 7936/2024), dalle quali il Collegio non intende discostarsi.
3.2. È opportuna, anzitutto, una premessa ricognitiva del quadro normativo di riferimento.
Un primo intervento finalizzato a disciplinare il tema oggetto di controversia va individuato ne ll’art. 5 del d.lgs. n. 314/1997, che ha inserito all ‘art. 10, comma 1, del TUIR la lettera dbis ) ; quest’ultima previsione, nel testo vigente fino all’anno di imposta 2012, disponeva che fossero deducibili dal reddito complessivo «le somme restituite al soggetto erogatore, se hanno concorso a formare il reddito in anni precedenti» , ivi comprese, per l’appunto, le imposte pagate su somme percepite, assoggettate a tassazione in base al criterio di cassa e poi restituite al soggetto erogatore.
Peraltro, per effetto della lettera h) del comma 2 del nuovo articolo 48 (ora 51 TUIR ), come sostituito dall’art. 3 del d.lgs. n. 314/1997, il predetto onere deducibile poteva anche essere riconosciuto direttamente dal sostituto di imposta e non concorrere a formare il reddito imponibile, sì da evitare che il contribuente dovesse presentare la dichiarazione dei redditi per ottenere il riconoscimento di tale onere.
L’art. 10, comma 1, lettera d -bis ), del TUIR è poi stato modificato dall’art. 1, comma 174, della l. n. 147/2013, applicabile a decorrere da detto ultimo anno d ‘ imposta.
La nuova disposizione, onde consentire il recupero delle imposte versate al momento della percezione delle somme, confermava la deducibilità delle somme restituite al soggetto erogatore, se assoggettate a tassazione in anni precedenti, prevedendo altresì che «l’ammontare, in tutto o in parte, non dedotto nel periodo d’imposta di restituzione, può essere portato in deduzione dal reddito complessivo dei periodi d’imposta successivi; in alternativa, il contribuente può chiedere il rimborso dell’imposta corrisp ondente all’importo non dedotto secondo modalità definite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze» (il d.m. 5 aprile 2016, successivamente adottato).
Infine, l’art. 150 del d.l. n. 34/2020, conv. con modif. nella l. n. 77/2020 , rubricato «Modalità di ripetizione dell’indebito su prestazioni previdenziali e retribuzioni assoggettate a ritenuta alla fonte a titolo di acconto», ha aggiunto a ll’articolo 10 del TUIR il comma 2bis , con il quale è stata espressamente prevista la cd. modalità di restituzione al netto, in aggiunta a quella al lordo, della ritenuta prevista dall’articolo 10, comma 1, lett. dbis .
3.3. Posta tale premessa, si deve tuttavia osservare che nel caso di specie non è applicabile la disciplina conseguente all ‘entrata in
vigore della l. n. 147/2013, perché l’istanza di rimborso è antecedente al d.m. che ne ha dettato la disciplina di attuazione anche con riferimento alle annualità pregresse; né, parimenti, sono applicabili le modifiche adottate nel 2020, in quanto presuppongono una restituzione al netto che qui non può verificarsi, perché, per circostanza pacifica, è in corso un piano di restituzione rateizzato, calcolato al lordo delle ritenute operate all’atto dell’erogazione .
3.4. Occorre, allora, richiamare l’art. 10, comma 1, lett. d)bis del TUIR nel testo vigente ratione temporis , che, come detto, consentiva il recupero delle imposte trattenute al momento della erogazione delle somme, successivamente restituite, a mezzo della loro deduzione nei limiti della capienza del reddito imponibile dichiarato nel periodo di imposta di restituzione.
Quest’ ultima, tuttavia, non può ritenersi l’unica modalità di recupero delle imposte trattenute e non dovute.
Nelle già menzionate decisioni, infatti, questa Corte ha chiarito che l’impossibilità di recuperare dette imposte per intero mediante il meccanismo dell’onere deducibile rendeva comunque accessibile anche il ricorso alla procedura di rimborso, non precluso dal mancato esercizio della facoltà di deduzione; e ciò in conformità al consolidato orientamento secondo cui l’azione di rimborso di somme indebitamente versate non può, salvo espressa disposizione contraria, ritenersi preclusa in presenza di ulteriori modalità di recupero del pagamento indebito, la cui utilizzazione è prevista a più limitati fini ed è rimessa alla libera scelta del contribuente (Cass. nn. 31205 e 31198/2023, Cass. n. 24650/2021, Cass. n. 29744/2019, Cass. n. 25564/2017).
Del resto, tale soluzione ermeneutica è corroborata dalla successiva modifica intervenuta nel 2014, che ha espressamente contemplato il rimborso come alternativa alla deducibilità.
3.5. Peraltro, nella specie l’azione di rimborso è governata dall’art. 38 del d.P.R. n. 602/1973, che indica, quale fondamentale presupposto, la «inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento».
Ed invero, tale locuzione comprende anche il caso di pagamento eseguito erroneamente per carenza della supposta obbligazione tributaria, idoneo ad integrare un indebito oggettivo.
La littera legis non autorizza un’interpretazione diversa e, in particolare, non consente di distinguere tra versamenti diretti -in relazione ai quali il contribuente faccia valere l’inesistenza dell’obbligo legislativo di versamento -e quelli per i quali lo stesso deduca l’inesistenza in concreto dell’obbligazione tributaria , poiché l’art . 38 si applica tanto alle ipotesi di pagamento ab origine non dovuto quanto a quelle in cui, come nella specie, l’insussistenza dell’obbligazione tributaria sopravvenga in un momento successivo al pagamento, come verificatosi nella specie (Cass. n. 20744/2019).
3.6. Quanto al dies a quo , l’art. 38, secondo comma, d.P.R. n. 602 del 1973, per il caso di ritenuta alla fonte, identifica lo stesso, in linea generale, con la data in cui la ritenuta è stata operata.
Al riguardo, questa Corte ha precisato che la decorrenza del termine di decadenza non coincide con la data del pagamento se la non debenza deriva da un evento successivo, dal quale soltanto discenda in modo incontrovertibile la qualificazione di erroneità e, quindi, il carattere indebito della somma percepita dall’Amministrazione (così, fra le altre, Cass., nn. 31205 e 31198/2023, Cass. n. 20744/2019, Cass. n. 13436/2017).
Ciò è quanto si è verificato in questo caso, caratterizzato da una sopravvenienza, rappresentata dalla pronuncia che ha fondato il diritto dell’Inps a ricevere la restituzione delle somme e , conseguentemente, dal diritto della contribuente a ripetere gli importi a lei trattenuti a titolo di ritenuta sulle stesse.
3.7. Giova, a conclusione di tale percorso argomentativo, richiamare i principii di diritto ai quali il Collegio intende dare continuità:
«in tema di restituzione delle somme non dovute versate dal sostituto d’imposta, l’impossibilità per il contribuente di recuperare per intero le imposte indebitamente trattenute mediante il meccanismo compensativo della deduzione dell’onere dalla complessiva base imponibile, nei limiti della capienza, previsto dall’art. 10, comma 1, lett. dbis ), del TUIR (vigente ratione temporis ), ovvero il mancato esercizio di tale facoltà, non preclude il ricorso all’ordinaria procedura di rimborso dei versamenti diretti ex art. 38 d.P.R. n. 602 del 1972, mediante presentazione della relativa domanda nel termine decadenziale, trattandosi di azione avente portata generale in materia tributaria, non preclusa, salvo contraria disposizione di legge, da ulteriori modalità di recupero del pagamento indebito, la cui utilizzazione è prevista a più limitati fini ed è rimessa alla libera scelta del contribuente»;
«in tema di rimborso di imposte dirette, si applica l’art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 per l’ipotesi di imposta che, pur legittimamente corrisposta, a mezzo di ritenuta alla fonte, all’atto del pagamento della prestazione che ne costituisce il presupposto, sia risultata indebita in ragione del successivo accertamento che quest’ultima non è dovuta, con conseguente obbligo di restituzione al soggetto erogatore. Il dies a quo per la domanda di rimborso non
coincide con quello in cui è stata eseguita la ritenuta, ma con quello in cui il contribuente è tenuto alla restituzione della prestazione principale».
3.8. Infine, e q uanto al soggetto legittimato all’azione di rimborso, va ribadito che quest’ultimo si identifica tanto nel sostituto d’imposta che ha effettuato il versamento a seguito di ritenuta (nella specie l’Inps), quanto nel contribuente sostituito; il richiamato art. 38 del d.P.R. n. 602/1973 legittima, infatti, entrambi i soggetti a richiedere all ‘ Amministrazione il rimborso delle somme non dovute e ad impugnare l’eventuale rifiuto dinanzi al giudice tributario (cfr., tra le altre, Cass. n. 31198/2023, Cass. n. 16105/2015).
Né, a tale riguardo, è necessario che l’ istanza di rimborso avanzata dal contribuente richieda la prova dell’avvenuta integrale restituzione all’Inps dell’importo al lordo delle ritenute , perché dall’ alternatività della legittimazione ad agire discende la sostanziale autonomia dei rapporti tra sostituto e sostituito rispetto al rapporto fiscale e, conseguentemente, la mancanza di interesse specifico dell’Agenzia ricorrente per detto rapporto tra le parti (Cass. n. 24650/2021).
Nel consentire solo parzialmente (nei limiti esposti in premessa) l’accesso della contribuente alla procedura di rimborso, la C.T.R. non si è attenuta ai richiamati principii.
Il ricorso va dunque accolto e la sentenza impugnata va cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito con l’accoglimento dell’ originario ricorso della contribuente.
Le spese delle fasi di merito restano compensate in ragione dell’andamento del giudizio , mentre quelle del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originari o ricorso della contribuente.
Condanna la controricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi € 5.500,00, oltre € 200,00 per esborsi, 15% rimborso forfetario e oneri di legge.
Compensa le spese dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2 aprile 2025 e,