Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6665 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6665 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7909/2018 R.G. proposto da : NOME COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. Campania n. 31/2018 depositata il 04/01/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
la CTR, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto l’appello dei contribuenti con la conferma della decisione di primo grado, osservando, al fine di escludere la fondatezza della pretesa restitutoria delle imposte ipotecarie e catastali corrisposte, che ‘…l’aver posto nel nulla la sentenza del Tribunale di Napoli è stata la conseguenza di un accordo raggiunto tra le parti ed imputabile alla loro volontà’;
ricorrono in cassazione NOME e NOME con sei motivi di ricorso, integrati da successiva memoria;
resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate, che chiede di dichiararsi inammissibili i motivi proposti per il n. 5 del primo comma dell’art. 360, cod. proc. civ. e, comunque, di rigettare il ricorso.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato e deve rigettarsi; tuttavia, deve correggersi la motivazione, della sentenza impugnata, ex art. 384, quarto comma, cod. proc. civ., in quanto il dispositivo risulta conforme al diritto.
I ricorrenti prospettano vizio radicale di motivazione della sentenza in tutti e sei i motivi di ricorso.
I motivi risultano infondati, in quanto la sentenza giustifica adeguatamente la decisione presa, pur richiamando una norma diversa da quella applicabile.
In tema di motivazione meramente apparente della sentenza, questa Corte ha più volte affermato che il vizio ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost. art. 111, sesto comma), e cioè dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (in materia di processo civile ordinario) e dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare
o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta: «In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali» (Sez. 1 – , Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022, Rv. 664120 – 01); in tale grave forma di vizio non incorre la sentenza impugnata, laddove i giudici di appello, statuendo sui motivi di appello hanno affermato, come riportato in narrativa, che la sentenza civile è stata posta nel nulla in conseguenza di un «accordo raggiunto tra le parti ed imputabile alla loro volontà».
Non sussiste, quindi, nessun vizio radicale della motivazione della sentenza, impugnata.
I ricorrenti prospettano, inoltre, la violazione del l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nei motivi primo, secondo, quarto, quinto e sesto). Tali prospettazioni sono inammissibili.
In presenza di una doppia conforme di merito risulta inammissibile il ricorso ex art. 360, primo comma, N. 5 cod. proc. civ.: «Nell’ipotesi di doppia conforme, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono
tra loro diverse» (Sez. 3 – , Ordinanza n. 5947 del 28/02/2023, Rv. 667202 – 01).
Relativamente alle eccepite violazioni dell’art. 112 cod. proc. civ. (omesse pronunce della sentenza impugnata su tutte le questioni proposte con l’appello) si deve rilevare che la sentenza impugnata ha deciso implicitamente le questioni con la decisione s ull’applicazione dell’art. 38, d.P.R. 131 del 1986, con assorbimento delle ulteriori questioni sollevate con il gravame.
Nel merito della questione (la prospettata violazione di legge, art. 37 e 38, d.P.R. n. 131 del 1986) si deve osservare che la norma applicabile al caso in giudizio è l’art. 37, d.P.R. n. 131 del 1986. La vicenda nei suoi elementi di fatto è pacifica tra le parti, e rappresentata nella sentenza di merito. Parte contribuente richiedeva il rimborso delle imposte pagate per la registrazione della sentenza civile del Tribunale di Napoli del 3 maggio 2011, n. 5249 che aveva disposto il trasferimento di immobili (in Anacapri) in favore di NOME subordinato al pagamento del prezzo; in appello le parti con un accordo transattivo ponevano fine alla contesa e la Corte di appello con decisione n. 3515 del 2013 dichiarava cessata la materia del contendere.
L’art. 38, citato dalla decisione impugnata, non viene in rilievo in quanto la norma riguarda espressamente ‘la nullità o l’annullabilità dell’atto … l’imposta assolta deve essere restituita …. Per la parte eccedente la misura fissa, quando l’atto sia dich iarato nullo o annullato’.
Nel caso in giudizio, invece, è la sentenza che è interessata alla tassazione, sentenza poi superata, per parte ricorrente, dalla cessata materia del contendere che avrebbe posto nel nulla la sentenza come per una sentenza di riforma passata in giudicato.
Tuttavia, nel caso in giudizio, la cessata materia del contendere è intervenuta per un accordo transattivo tra le parti, come prospettato nel ricorso introduttivo dagli stessi ricorrenti.
L’art. 37, prevede , per il rimborso, che «alla sentenza passata in giudicato sono equiparati l’atto di conciliazione giudiziaria e l’atto di transazione stragiudiziale in cui è parte l’amministrazione dello Stato».
L’atto di transazione che ha comportato la cessazione della materia del contendere non è rilevante per il rimborso in quanto non era parte l’amministrazione dello Stato: « In tema d’imposta di registro, ai fini del rimborso dell’importo pagato sugli atti che definiscono, anche parzialmente, il giudizio civile, ai sensi dell’art. 37 del d.P.R. n. 131 del 1986, non può essere equiparata alla sentenza di riforma passata in giudicato la transazione stragiudiziale di cui non sia parte l’Amministrazione dello Stato, essendo irrilevante che la stessa sia stata edotta della data dell’atto dinanzi al notaio ed invitata a parteciparvi, attesa la necessità d’impedire indebite sottrazioni all’obbligazione tributaria» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3687 del 24/02/2016, Rv. 638797 – 01).
Per questo aspetto il rimborso non compete, intendendosi in tal senso corretta la motivazione della sentenza impugnata.
Inoltre, «In tema d’imposta di registro, l’applicazione dell’art. 38 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, che prevede la restituzione dell’imposta per la parte eccedente la misura fissa nel caso di nullità o annullamento dell’atto per causa non imputabile alle parti, è limitata, in considerazione del dato letterale e della sua “ratio”, alle sole ipotesi di nullità o annullamento dell’atto per patologie ascrivibili a vizi esistenti “ab origine”, e con esclusione di quelli sopravvenuti o relativi ad inefficacia contrattuale derivante da altre e diverse ragioni. (Nella specie, la S.C. ha escluso il diritto alla restituzione dell’imposta a seguito della retrocessione del bene determinata dalla successiva pattuizione di risoluzione del contratto originario)» (Cass. Sez. 6, 20/01/2015, n. 791, Rv. 634211 – 01).
6. Con il quarto, il quinto ed il sesto motivo i ricorrenti prospettano violazione di legge e omessa pronuncia, relativamente
alla nullità del provvedimento di rigetto del rimborso, in quanto carente della motivazione; inoltre, prospettano violazione e falsa applicazione dell’art. 57, d. lgs. 546 del 1992 e dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 e 5, cod. proc. civ. (motivo secondo del ricorso introduttivo). In relazione al tipo di atto impugnato (diniego di rimborso) si deve rilevare che la motivazione (equivalente, peraltro, al c.d. silenzio rifiuto, pure impugnabile) non deve essere specifica al pari di un avviso di accertamento, in quanto l’amministrazione si limita a negare un rimborso ed assume la veste (nel giudizio) di convenuta, mentre attore è il contribuente che deve provare il diritto al rimborso. Conseguentemente l’Agenzia delle entrate può nel giudizio prospettare argomentazioni giuridiche diverse da quelle eventualmente espresse (o non espresse) nel provvedimento di rigetto: « In tema di contenzioso tributario, ove la controversia abbia ad oggetto l’impugnazione del rigetto di un’istanza di rimborso di un tributo avanzata dal contribuente, l’Amministrazione finanziaria può esercitare la facoltà di controdeduzione di cui all’art. 23 del d.lgs. n. 546 del 1992 e, quindi, prospettare, senza che si determini vizio di ultrapetizione, argomentazioni giuridiche ulteriori rispetto a quelle che hanno formato la motivazione di rigetto della istanza in sede amministrativa, poiché, in tal caso, il contribuente assume la posizione sostanziale di attore, che deve fornire la prova della propria domanda, mentre l’Ufficio non ha esplicitato una “pretesa” (impugnata dal contribuente), quale l’avviso di accertamento o di liquidazione, o l’irrogazione di una sanzione. Ne consegue che, non potendosi attribuire alla motivazione del provvedimento di rigetto (equivalente, peraltro, al cd. silenzio-rifiuto, del pari impugnabile) il carattere dell’esaustività, può ritenersi adeguata una motivazione del diniego che delinei gli aspetti essenziali delle ragioni del provvedimento, e che si fondi sull’insussistenza dei presupposti per il rimborso, richiamando altresì le norme di riferimento e gli eventuali
provvedimenti adottati. (Fattispecie in tema di rimborso di un credito IVA, ai sensi dell’art. 30 del d.P.R. n. 633 del 1972, in cui la S.C, nell’affermare i suddetti principi, ha ritenuto che l’Amministrazione finanziaria potesse integrare la motivazione con elementi ed argomentazione diverse ed ulteriori rispetto a quanto contenuto nel provvedimento di rigetto)» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25999 del 02/09/2022, Rv. 665511 -01; vedi anche Sez. 5, Sentenza n. 10797 del 05/05/2010, Rv. 613063 – 01).
Del resto, la prospettazione in sede di appello della applicazione dell’art. 38 d.P.R. n. 131 del 1986, non è un’eccezione in senso tecnico, stretto, ma solo un’argomentazione giuridica , sempre proponibile; non attiene ad elementi di fatto, ma solo alla questione giuridica: «In tema di contenzioso tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, posto dall’art. 57, comma secondo, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, riguarda l’eccezione in senso tecnico, ossia lo strumento processuale con cui il contribuente, in qualità di convenuto in senso sostanziale, fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa o estintiva della pretesa fiscale, ma non limita la possibilità dell’Amministrazione di difendersi dalle contestazioni già dedotte in giudizio, perché le difese, le argomentazioni e le prospettazioni dirette a contestare la fondatezza di un’eccezione non costituiscono, a loro volta, eccezione in senso tecnico. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto contrastante con il disposto della citata norma la declaratoria di inammissibilità del motivo di appello con cui l’Ufficio, impugnando la sentenza di primo grado che aveva annullato una iscrizione ipotecaria per mancata notifica delle cartelle presupposte, aveva dedotto per la prima volta che tali cartelle non erano state regolarmente notificate, producendo la relativa documentazione)» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14486 del 07/06/2013, Rv. 627157 – 01).
Le spese seguono la soccombenza con il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 29/11/2024.