Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18175 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18175 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 5974-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difes a dall’Avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale allegata al controricorso
-controricorrente – avverso la sentenza n. 5825/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 3/7/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/6/2025 dal Consigliere Relatore Dott.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Campania, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l’appello erariale avverso la pronuncia n. 17796/2017 della Commissione tributaria provinciale di Napoli, con cui era stato accolto il ricorso di RAGIONE_SOCIALE avverso il silenzio rifiuto sull ‘ istanza di rimborso dell’imposta di registro versata sulla sentenza n. 466/2013 del Tribunale di Napoli in data 10 gennaio 2013.
Avverso la pronuncia della Commissione tributaria regionale l’ Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in rubrica, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione dell’art. 19 d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente annullato il diniego implicito di autotutela, ritenendo illegittima la ragione del rifiuto opposto dall’Amministrazione, cioè la definitività della pretesa fiscale in ragione dell’omessa tempestiva impugnativa dell’avviso di liquidazione, procedendo dunque a riesaminare la fattispecie nel merito.
1.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione dell’art.37 DPR 131/1986, nonché degli artt. 2909 e 2697 c.c. per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto «esistente il giudicato, in relazione alla sentenza della Corte d’appello di Napoli, di riforma di quella del Tribunale di Napoli – cui si riferiva l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro – malgrado la parte non avesse provato l’esistenza del giudicato mentre l’ufficio aveva documentato la pendenza del ricorso per cassazione avverso quella sentenza».
1.3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, in rubrica, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., «omessa motivazione … nullità
della decisione … violazione dell’art.132 n. 4 c.p.c. e 36 d.lgs. 546/1992» per avere la Commissione tributaria regionale omesso di indicare «sulla base di quali decisive circostanze …(aveva)… dedotto l’esistenza dell’effetto sostitutivo della sentenza di appello, che prende luogo di quella di primo grado» e lamenta che «simile effetto può scaturire soltanto da una decisione passata in giudicato, laddove l’ufficio aveva espressamente contestato simile circostanza attraverso il deposito … del biglietto di cancelleria attestante l’esistenza del ricorso per cassazione… ».
2.1. Le doglianze vanno esaminate congiuntamente per ragioni di connessione.
2.2. Com’è noto, l’art. 37, comma 1, d.P.R. n. 131 del 1986 prevede che «gli atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali e le sentenze che dichiarano efficaci nello Stato sentenze straniere, sono soggetti all’imposta anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili, salvo conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in giudicato; alla sentenza passata in giudicato sono equiparati l’atto di conciliazione giudiziale e l’atto di transazione stragiudiziale in cui è parte l’amministrazione dello Stato».
2.3. Perché sorga l’obbligo di pagare l’imposta in questione, non è dunque necessario che sia adottato un provvedimento definitivo, essendo sufficiente l’esistenza di un atto tra quelli appena elencati, ferma restando l’operatività dei conguagli e dei rimborsi a seguito dell’adozione di una decisione passata in giudicato.
2.4. Questa Corte ha quindi più volte affermato, con riferimento alla sentenza che definisce il giudizio anche solo parzialmente, e pur non passata in giudicato, che essa è soggetta ad imposta, sicché l’Ufficio del registro provvede legittimamente alla liquidazione, emettendo il relativo avviso, impugnabile per vizi formali o sostanziali, inerenti all’atto in sé, al procedimento che lo ha preceduto, oppure ai presupposti dell’imposizione, senza che l’eventuale riforma, totale o parziale, della decisione nei successivi gradi di giudizio incida sull’avviso di liquidazione, integrando,
poi, l’intervento del giudicato un autonomo titolo per l’esercizio dei diritti al conguaglio o al rimborso dell’imposta, da far valere in via autonoma e non nel procedimento relativo all’avviso di liquidazione (cfr. Cass. nn. 12023/2018, 12736/2014, 12757/2006).
2.5. In alcuni casi, la stessa Corte ha comunque ridimensionato le conseguenze del principio appena riportato, ritenendo che, qualora il provvedimento giudiziario sia stato definitivamente riformato, l’Amministrazione finanziaria, che abbia correttamente emesso l’avviso di liquidazione dell’imposta principale e la relativa cartella di pagamento senza procedere alla riscossione, non abbia interesse a ricorrere per cassazione avverso la sentenza di annullamento della cartella, emessa dal Giudice tributario d’appello, essendo venuto meno il presupposto dell’imposta, il cui pagamento comporterebbe la necessità dell’immediato rimborso (così Cass., n. 15645/2019, ove la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso col quale l’Amministrazione aveva chiesto la condanna del contribuente al pagamento delle sanzioni e degli interessi, relativi all’imposta dovuta su un provvedimento giudiziario definitivamente riformato).
2.6. È stato altresì precisato (cfr. Cass. nn. 32626/2021, 2367/2021, 3617/2020), che, in tema di registro, l’art. 37 del d.P.R. n. 131 del 1986, laddove assoggetta a tassazione l’atto dell’autorità giudiziaria anche se al momento della registrazione è stato impugnato o è ancora impugnabile, salvo conguaglio o rimborso a seguito del passaggio in giudicato della decisione, esclude che l’imposta continui ad essere dovuta in conseguenza della definitiva riforma dell’atto, posto che una diversa interpretazione determinerebbe l’irragionevole conseguenza di obbligare ad un pagamento che dovrebbe essere immediatamente restituito e contrasterebbe con i principi di uguaglianza e di capacità contributiva, equiparando l’ipotesi di presenza, ancora non definitiva ma comunque attuale, del presupposto impositivo a quella di definitivo accertamento della sua insussistenza.
2.7. In applicazione di tali principi, con riferimento all’imposta applicata su di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, la medesima Corte ha ad esempio affermato che, qualora il provvedimento giudiziario sia stato
definitivamente annullato e sia venuta meno l’attribuzione patrimoniale che giustifica il tributo, l’Amministrazione finanziaria, che abbia correttamente emesso l’avviso di liquidazione dell’imposta principale e la relativa cartella di pagamento senza procedere alla riscossione, non ha interesse a ricorrere per cassazione avverso la sentenza di annullamento della cartella, emessa dal giudice tributario d’appello (cfr. Cass. n. 2409/2014).
2.8. Assume, dunque, rilievo sulla legittimità dell’avviso di liquidazione, nei termini sopra indicati, solo l’adozione di una decisione definitiva che ponga nel nulla l’atto sottoposto a tassazione.
2.9. Poste tali premesse, la Commissione tributaria regionale ha affermato quanto segue:« … nel caso di specie, come statuito dal giudice di prime cure, la riscossione è stata ab origine illegittima perché intervenuta dopo la pronuncia della sentenza n. 2450 del 2015 della Corte di Appello di Napoli che ha accolto l’appello e riformato la sentenza n. 466 del 2013 del Tribunale di Napoli».
2.10. Sebbene la decisione dei Giudici d’appello non sia quindi conforme ai principi di diritto dianzi illustrati, occorre al contempo rilevare che, con ordinanza di questa Corte n. 31936/2019, è stata confermata la sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 2470/2015, con cui era stata riformata la sentenza del Tribunale di Napoli n. 446/2013, relativa all’imposta di registro in esame.
2.11. Tale circostanza è stata ritualmente dedotta dalla controricorrente (cfr. pag. 1 controricorso) e comunque la Corte di Cassazione è tenuta per dovere d’ufficio alla conoscenza dei propri precedenti (cfr. Cass. nn. 16589/2021, 24740/2015, 5360/2009; Sez. U, n. 26482/2007).
2.13. Ne consegue che nella specie l’interesse ad agire da parte della Amministrazione finanziaria era venuto meno alla data di notifica del ricorso per cassazione, non sussistendo più i presupposti traslativi sui quali si fondava la richiesta del tributo, ormai sfornita di presupposto impositivo, ed al preventivo pagamento dell’imposta deve comunque seguire l’immediato rimborso della spesa.
2.12. Tale circostanza ha trovato peraltro ulteriore conferma nell’istanza, depositata dalla ricorrente in data 3.1.2022, per la
dichiarazione di cessazione della materia del contendere stante il «sopravvenuto difetto di interesse » dell’Amministrazione.
2.13. Avendo parte ricorrente manifestato, con la richiesta di dichiarazione della cessazione della materia del contendere, il proprio sopravvenuto difetto di interesse al ricorso, si ha, dunque , l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse (cfr. Cass. Sez. U. n. 3876 del 2010; Cass. n. 5421 del 2018).
Stante la mancata accettazione, da parte della controricorrente, della richiesta di compensazione delle spese di lite, queste ultime, in base al criterio di soccombenza virtuale sulla scorta delle considerazioni dianzi illustrate, vanno poste a carico della ricorrente, con liquidazione come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, se dovuti.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, della Corte di