Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3783 Anno 2025
Oggetto: Tributi
IRBA Relatore: COGNOME NOME
–
Imposta
regionale sulla benzina per autotrazione –
Civile Sent. Sez. 5 Num. 3783 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Data pubblicazione: 14/02/2025
2019
SENTENZA
Sul ricorso iscritto al numero n. 11923 del ruolo generale dell’anno 202 3, proposto
da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.to NOME COGNOME e dall’Avv.to NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso l ‘indirizzo di posta elettronica dei difensori
EMAIL;EMAILit;
-ricorrente-
Contro
Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura ad lites in calce al controricorso, dall’Avv.to NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania n. 7658/13/2022, depositata in data 2 dicembre 2022, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14 gennaio 2025 dal Relatore Cons. NOME COGNOME di Nocera.
Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.ssa NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Udita per la società ricorrente l’Avv.to NOME COGNOME e per la Regione Campania l’Avv.to NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La controversia concerne l’impugnativa del provvedimento emesso dalla Regione Campania di diniego di rimborso dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione (I.R.B.A.) versata da RAGIONE_SOCIALE (OSA), per il 2019, quale titolare di impianti stradali di distribuzione di carburante ubicati nella Regione Campania.
Avverso il suddetto provvedimento, la società proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli deducendo l’illegittimità del diniego di rimborso per incompatibilità della normativa istitutiva dell’IRBA con l’art. 1 par. 2 della Direttiva 2008/118/CE.
La CTP di Napoli, con sentenza n. 13479/17/2021, rigettava il ricorso.
Avverso la sentenza di primo grado, la società proponeva appello dinanzi alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania che, con sentenza n. 7658/13/2022, depositata in data 2 dicembre 2022, lo rigettava.
In punto di diritto, per quanto di interesse, la CGT di secondo grado ha ritenuto che: 1) era pacifica l’irretroattività degli effetti dell’abrogazione dell’IRBA disposta a decorrere dal 1° gennaio 2021 fatti salvi gli effetti delle obbligazioni già esaurite, per cui l’imposta in questione , per l’anno 2019 , era dovuta dalla società contribuente; 2) la Direttiva 2008/118/CE non era direttamente applicabile per cui gli Stati membri avevano un potere discrezionale circa l’ulteriore tassazione dei medesimi p rodotti e il giudice non poteva disapplicare la normativa interna che si assumeva contrastante con una direttiva non immediatamente esecutiva in ambito nazionale.
Avverso la sentenza di appello, la società propone ricorso per cassazione affidato a un motivo.
Resiste, con controricorso, la Regione Campania.
La società ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Il PG ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’accoglimento del ricorso.
La Regione Campania ha depositato istanza di rinvio in considerazione del rinvio pregiudiziale sollevato, ai sensi dell’art. 363 bis c.p.c., dalla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte nei giudizi di rimborso dell’Irba in relazione all’applicabilità dell’art. 29, comma 2, della legge n. 428/90 nei casi di traslazione dell’imposta.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va rigettata l’istanza di rinvio presentata dalla Regione Campania in attesa della decisione sul rinvio pregiudiziale sollev ato, ai sensi dell’art. 363bis c.p.c., dalla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, atteso che il relativo ricorso (R.G. 15074/2024) viene trattato nella medesima udienza.
Con l’unico motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione de ll’art. 1, par. 2, della Direttiva 2008/118/CE per avere il giudice di appello ritenuto che la detta direttiva non era direttamente applicabile per cui gli Stati membri avevano un potere discrezionale circa l’ulteriore tassazione dei medesimi prodotti e il giudice non poteva disapplicare la normativa interna asseritamente in contrasto con la direttiva medesima sebbene l’accertata incompatibilità dell’imposta con il diritto UE (Corte di giustizia UE del 9 novembre 2021, causa C-255/2020) escludesse la sopravvivenza della clausola di salvezza di cui al comma 628 della legge n. 178 del 2020 (‘ sono fatti salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte ‘) alla radicale soppressione del tributo con conseguente necessaria disapplicazione della norma interna da parte del giudice nazionale in rapporto alle obbligazioni insorte prima della soppressione medesima.
In via preliminare deve essere esaminata d’ufficio la questione della legittimazione passiva della Regione nel presente giudizio in ordine alla istanza di rimborso dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione azionata nel giudizio di merito, dovendosi richiamare il principio statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui « La decisione della causa nel merito non comporta la formazione del giudicato implicito sulla legittimazione ad agire ove tale “quaestio iuris”, pur avendo costituito la premessa logica della statuizione di merito, non sia stata sollevata dalle parti, posto che una questione può ritenersi decisa dal giudice di merito soltanto ove abbia formato oggetto di discussione in contraddittorio » (cfr. Cass., Sez. U., 20 marzo 2019, n. 7925 e, più di recente, Cass., 13 maggio 2024, n. 12936; Cass., 1 luglio 2024, n. 17989; Cass., 1 luglio 2024, n. 18001).
Tanto premesso, nella fattispecie in esame viene in rilievo l’ art. 1 della legge 14 giugno 1990, n. 158 (recante « Norme di delega in materia di autonomia impositiva delle regioni e altre disposizioni concernenti i rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni »), che, nel riconoscere l’autonomia finanziaria delle regioni, prevedeva « l’applicazione di tributi propri e quote di tributi erariali accorpati in un fondo comune che assicuri il finanziamento delle spese necessarie ad
adempiere a tutte le funzioni normali compresi i servizi di rilevanza nazionale » e, in attuazione della delega legislativa, l’art. 17, comma 1, del decreto legislativo n. 398 del 1990, che stabiliva che le « Regioni hanno la facoltà di istituire, con leggi proprie, un’imposta regionale sulla benzina per autotrazione, erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nelle rispettive Regioni, successivamente alla data di entrata in vigore della legge istitutiva , in misura non eccedente lire 30 al litro ». Lo stesso art. 17 del decreto legislativo n. 398 del 1990, al comma 2, ha poi stabilito che « Le regioni, possono, con successive leggi, fissare l’aliquota dell’imposta in misura diversa da quella precedentemente prevista, purché non eccedente lire 30 al litro, sulla benzina erogata successivamente alla data di entrata in vigore della legge che dispone la variazione ». L’art. 18 della stessa legge ha previsto che « L’imposta eventualmente istituita è dovuta dal soggetto consumatore della benzina ed è riscossa dal soggetto erogatore che deve versarlo alla regione sulla base dei quantitativi erogati risultanti dal registro di carico e scarico di cui all’art. 3 del decreto-legge 5 maggio 1957, n. 271, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 1957, n. 474 » e l’art. 19, stessa legge, ha disposto che « Le modalità di accertamento, i termini per il versamento dell’imposta nelle casse regionali, le sanzioni, da determinare in misura compresa tra il 50 per cento ed il 100 per cento del tributo evaso, le indennità di mora e gli interessi sono disposti da ciascuna regione con propria legge, con l’osservanza dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato ».
La disciplina in esame è stata poi modificata dalla legge n. 549 del 1995, il cui art. 3, al comma 14, ha abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 1996, gli artt. 18 e 19 del citato decreto legislativo n. 398 del 1990 e, al comma 13, da un lato, ha inciso sulla struttura dell’IRBA ponendone la corresponsione a carico del concessionario dell’impianto di distribuzione (e non più del soggetto consumatore della benzina, con riscossione da parte del soggetto erogatore, tenuto a versarne l’importo alla Regione, come previsto dall’art. 18 dello stesso decreto legislativo n. 398 del 1990) nella misura determinata sulla base dei quantitativi erogati e contabilizzati nei registri di carico e scarico.
Nel dettare disposizioni sull’accertamento e sulla riscossione del tributo, in continuità con l’abrogato art. 19 del decreto legislativo n. 398 del 1990, lo stesso comma 13 ha altresì precisato che « le modalità ed i termini di versamento, anche di eventuali rate di acconto, le sanzioni, da stabilire in misura compresa tra il 50 e il 100 per cento dell’imposta evasa, sono stabiliti da ciascuna regione con propria legge ». Sempre il comma 13 ha, poi, previsto che « Per la riscossione coattiva, gli interessi di mora, il contenzioso e per quanto non disciplinato dai commi da 12 a 14 del presente articolo, si applicano le disposizioni vigenti in materia di accisa sugli oli minerali, comprese quelle per la individuazione dell’organo amministrativo competente. Le regioni hanno facoltà di svolgere controlli sui soggetti obbligati al versamento dell’imposta e di accedere ai dati risultanti dalle registrazioni fiscali tenute in base alle norme vigenti, al fine di segnalare eventuali infrazioni o irregolarità all’organo competente per l’accertamento. Ciascuna regione riscuote, contabilizza e dà quietanza delle somme versate, secondo le proprie norme di contabilità ».
5. A questo assetto normativo si è allineata la disciplina regionale Campania, dapprima con l’art. 3 della legge regionale n. 28 del 2003, che ha stabilito che « L’imposta è dovuta alla Regione dal concessionario dell’impianto di distribuzione di carburante sulla base dei quantitativi erogati in ogni mese » e, dopo, con l’art. 2, comma 2, della legge regionale Campania n. 8 del 2004, che ha modificato l’art. 3 della legge regionale n. 28 del 2003, aggiungendo alla parola «concessionario» le seguenti «e dal titolare», per poi addivenire alla formulazione del medesimo art. 3, così come risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1, comma 3, della legge regionale n. 15 del 2005: « L’imposta è dovuta alla Regione dal concessionario e dal titolare dell’autorizzazione dell’impianto di distribuzione del carburante o, per loro delega, dalla società petrolifera che sia unica fornitrice dell’impianto, su base mensile e sui quantitativi di cui al decreto del Ministero delle finanze 30 luglio 1996, articolo 1, comma 1, lettera d)».
Detta imposta, da ultimo, è stata soppressa tanto dal legislatore nazionale, che, con l’art. 1, comma 628, della legge n. 178 del 2020 (Legge di bilancio 2021), ha disposto che « L’articolo 6, comma 1, lettera c), della legge 14 giugno 1990,
n. 158, l’articolo 17 del decreto legislativo 21 dicembre 1990, n. 398, l’articolo 3, comma 13, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, l’articolo 1, comma 154, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e l’articolo 1, commi 670, lettera a), e 671, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recanti disposizioni in materia di imposta regionale sulla benzina per autotrazione, sono abrogati. Sono fatti salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte. », quanto dalla stessa Regione Campania che, in attuazione d el disposto dell’art. 1, comma 629, della legge di bilancio 2021, con l’art. 54 della legge 29 giugno 2021, n. 5, nel disporre l’abrogazione delle disposizioni normative che, per il passato, avevano regolato il prelievo tributario in questione (art. 54, comma 2), ha espressamente previsto che « A decorrere dal periodo d’imposta 2021 è soppressa l’imposta regionale sulla benzina per autotrazione. Sono fatti salvi gli effetti delle obbligazioni tributarie già insorte » (art. 54, comma 1).
Come, dunque, reso esplicito dalla successione normativa sopra ripercorsa, l’IRBA non può trovare più applicazione nella Regione Campania a decorrere dal periodo d’imposta 2021 .
Per quanto rilevato, gli aspetti procedurali, dichiarativi, liquidativi, di accertamento, di riscossione e sanzionatori dell’IRBA, a integrazione e modifica di quanto inizialmente stabilito nel 1990, sono stati modificati e fissati dall’art. 3, comma 13, della legge n. 549/1995, che, per quel che rileva in questa sede, ha stabilito che gli uffici tecnici di finanza effettuano l’accertamento e la liquidazione dell’imposta regionale sulla base di dichiarazioni annuali presentate, dai soggetti obbligati al versamento dell’imposta e che per la riscossione coattiva, gli interessi di mora, il contenzioso e per quanto non disciplinato dai commi da 12 a 14 del presente articolo, si applicano le disposizioni vigenti in materia di accisa sugli oli minerali, comprese quelle per la individuazione dell’organo amministrativo competente.
Il conseguente corollario è che l’IRBA è un tributo regionale proprio derivato, in quanto, colpisce la vendita della benzina per autotrazione in base alla quantità, e non al valore, e diviene esigibile nel momento e nel luogo in cui avviene l’immissione al consumo del prodotto energetico; dunque, l’imposta è dovuta al
momento della fornitura della benzina al consumatore finale e il fornitore, in caso di pagamento indebito, è l’unico soggetto legittimato a presentare istanza di rimborso all’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 29, comma 2, della legge n. 428 del 1990.
Peraltro, già nell’impianto della legge di delega n. 158 del 1990 (art. 6), la « facoltà delle regioni a statuto ordinario di istituire un’imposta regionale sulla benzina per autotrazione, erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nelle predette regioni » veniva correlata all’obiettivo di « attribuire alle regioni a statuto ordinario una più ampia autonomia impositiva in adempimento del precetto di cui al secondo comma dell’articolo 119 della Costituzione ».
Anche la Corte Costituzionale, di recente, ha affermato che « L’IRBA è stata prevista dall’art. 17 del d.lgs. n. 398 del 1990, in attuazione della legge delega n. 158 del 1990, la quale, all’art. 6, comma 1, lettera c), al dichiarato fine di ‘ attribuire alle regioni a statuto ordinario una più ampia autonomia impositiva in adempimento del precetto di cui al secondo comma dell’art. 119 della Costituzione ‘ , aveva consentito a dette regioni di introdurre, con proprie leggi, un’imposta sulla benzina per autotraz ione erogata dagli impianti di distribuzione ubicati nei rispettivi territori» e che « L’IRBA si configura come un tributo regionale proprio derivato, avente struttura analoga a quella dell’accisa, in quanto, al pari di questa, colpisce la vendita della benzina per autotrazione in base alla quantità, e non al valore, e diviene esigibile nel momento e nel luogo in cui avviene l’immissione al consumo del prodotto energetico » (Corte Costituzionale, 4 giugno 2024, n. 100).
Dunque, l’IRBA rientra tra i cosiddetti «tributi propri derivati» delle Regioni, cioè quei tributi che, come precisa l’art. 7, comma 1, lett. b, n. 1, della legge n. 42 del 2009 – la legge delega sul federalismo fiscale -sono « istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle Regioni ». Detta definizione ha trovato adeguata sede nel d.lgs. n. 68 del 2011, che all’art. 8 ha elencato i tributi delle regioni a statuto ordinario, distinguendo: al comma 1, i tributi propri autonomi «ceduti»- che possono, cioè, essere istituiti e interamente disciplinati o anche soppressi con legge regionale, tra i quali non è previsto il tributo in questione;
al comma 2, la tassa automobilistica – che si configura come un tertium genus , vale a dire un tributo proprio derivato particolare, parzialmente «ceduto» alle regioni; al comma 3 i «tributi propri derivati» e cioè gli altri tributi riconosciuti alle Regioni a statuto ordinario dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del decreto stesso.
Come in numerose occasioni ha affermato la Corte costituzionale, questi tributi, che sono quindi individuati dalla norma in via residuale, conservano inalterata la loro natura di tributi erariali (Corte cost., 26 marzo 2010, n. 123; Corte cost., 14 luglio 2009, n. 216; Corte cost., 25 ottobre 2005, n. 397; Corte cost., 26 gennaio 2004, n. 37; Corte cost., 26 settembre 2003, n. 296).
Orbene, in questo contesto normativo, con specifico riferimento all’IRBA istituita dalla Regione Lazio con l’art. 3 della legge regionale n. 19 del 2011, e, dunque, ad una disciplina del tutto omogenea a quella (ora) in esame siccome rinveniente dal medesimo fondamento normativo offerto dalla legislazione nazionale, e connotata da medesimi contenuti di regolazione, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea è specificamente intervenuta a seguito di rinvio pregiudiziale, in ordine al tributo qui dedotto, l ‘IRBA, con ordinanza del 9 novembre 2021, nella causa C-255/20, pronunciandosi sulla domanda di pronuncia pregiudiziale che verteva sull’interpretazione dell’art. 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 alla luce dell’art. 1, paragrafi 1 e 2 della direttiva 2008/118/CE del Consiglio del 16 dicembre 2008, che, dispone nei seguenti termini: « Gli Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o per l’imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell’imposta; sono escluse da tali norme le disposizioni relative alle esenzioni ».
Ai sensi di detta disposizione, che sostanzialmente riproduce le previgenti disposizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 (cfr. CGUE, 9 novembre 2021, causa C-255/20, punto 27; CGUE, 5 marzo 2015, causa C553/13, punto 34), gli Stati membri possono, quindi, applicare ai prodotti
sottoposti ad accisa altre imposte indirette a condizione che dette imposte rispondano a finalità specifiche e che siano conformi alle norme fiscali dell’Unione applicabili ai fini delle accise o dell’imposta sul valore aggiunto per la determinazione della base imponibile, nonché per il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta. Le due condizioni, che mirano ad evitare che le imposizioni indirette supplementari ostacolino indebitamente gli scambi, hanno carattere cumulativo e, per quanto attiene alla prima di dette condizioni, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia emerge che una finalità specifica ai sensi della disposizione di cui trattasi è una finalità che non sia puramente di bilancio (cfr. CGUE, 7 febbraio 2022, causa C-460/21, punti 19 e ss.; CGUE, 9 novembre 2021, causa C-255/20, punti 27 e ss.; CGUE, 25 luglio 2018, causa C-103/17, punti 34 e ss.).
Con specifico riferimento alla nozione di finalità specifica, la Corte di giustizia, nell’ordinanza richiamata, ha rilevato che l’IRBA « persegue solo una finalità generica di supporto al bilancio degli enti territoriali» (punto 38), per poi concludere che l’art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella italiana istitutiva di un’imposta regionale sulle vendite di benzina per autotrazione, dal momento che «non si può ritenere che tale imposta abbia una ‘finalità specifica’ ai sensi di tale disposizione, il suo gettito essendo inteso solo a contribuire genericamente al bilancio degli enti locali ».
Inoltre, conformemente a quanto stabilito da questa Corte, se è vero che oggetto del presente giudizio è la realizzazione di una pretesa impositiva insorta prima della soppressione del tributo e che, stante la su riportata clausola legale, dovrebbe rimanere «salva» nei suoi effetti obbligatori, tuttavia, l’accertata incompatibilità dell’imposta con il diritto UE esclude che la clausola di salvezza possa sopravvivere alla radicale espunzione del tributo, proprio per le predette considerazioni di incompatibilità, dall’ordinamento nazionale. Sicché, per le stesse ragioni ostative già evidenziate dalla CGUE nella pronuncia menzionata, il giudice nazionale deve disapplicare la norma interna che vorrebbe mantenere al tributo soppresso una residuale efficacia impositiva per il passato, cioè in
rapporto alle obbligazioni insorte prima della soppressione stessa. Conclusione, questa, che impone di ritenere non dovuta l’imposta anche per le annualità precedenti al 2021, con ciò parimenti disapplicando la citata legge regionale che ha, a sua volta, c ollocato un limite temporale di validità ed efficacia di un’imposta che si pone in già affermato totale contrasto con il diritto UE e, in particolare, con l’articolo 1, par. 2, della direttiva 2008/118/C E (cfr. fra le tante Cass., 6 marzo 2023, n. 6687; Cass., 7 marzo 2023, n. 6858; Cass., 8 marzo 2023, n. 6966; Cass., 19 giugno 2023, n. 17436; Cass., 19 giugno 2023, n. 17529).
8. Dunque, anche con specifico riferimento alla nozione di finalità specifica in relazione alla legge regionale n. 28 del 2003 , ferma restando l’ordinanza della Corte di Giustizia del 9 novembre 2021, pronunciata nella causa C-255/20, che ha stabilito la in compatibilità comunitaria dell’IRBA, ritenendo espressamente che non sussistesse la finalità specifica per come individuata dalla direttiva n. 118/2008/CE, deve rilevarsi che l’art. 1, comma 3, della legge regionale campana ha previsto una destinazione del gettito prodotto dall’IRBA, unitamente al gettito prodotto dalla tassa e dalla sopratassa automobilistica regionale (ex art. 2 della stessa legge) ad un fondo « prioritariamente utilizzato per il rafforzamento patrimoniale delle Aziende sanitarie locali o per l’incremento del capitale della società di cui all’articolo 6, comma 1 » Inoltre, l’art. 1, comma 3, citato, ha disposto che « Per il finanziamento del fondo di cui al comma 1 è autorizzata la spesa di 400 milioni di euro per l’anno 2004 e di 200 milioni di euro per l’anno 2005 ».
Alla luce di quanto esposto, dunque, deve ritenersi che, conformemente a quanto affermato dai giudici unionali, la legge regionale n. 28 del 2003 non ha previsto una «finalità specifica» ai sensi dell’art. 1, par. 2, della direttiva 2008/118/CE, dovendosi considerare che il finanziamento di un fondo del bilancio regionale avente come scopi il rafforzamento patrimoniale delle Aziende sanitarie locali e l’incremento del capitale di una società destinata a sviluppare programmi per la gestione del debito sanitario regionale rappresenti una finalità di bilancio, peraltro finanziata anche da altre fonti di gettito (quale la sopratassa automobilistica regionale) e comunque individuata solo in relazione ai periodi
2004 e 2005 e non anche per gli anni che vengono in rilievo nella presente causa. Ed invero, la finalità specifica non è data dalla «finalità di bilancio», perché qualsiasi imposta persegue necessariamente uno scopo di bilancio, ed è anche necessario che un’imposta sia diretta, di per sé, a garantire la tutela della salute e dell’ambiente e ciò si verifica quando il gettito d ell’ imposta debba obbligatoriamente essere utilizzato al fine di ridurre i costi sociali e ambientali specificamente connessi al consumo del carburante su cui grava l’imposta, cosicché sussista un nesso diretto tra l’uso del gettito e la finalità dell’imposta di cui trattasi; inoltre, deve essere esclusa la finalità specifica nel caso in cui il gettito dell’imposta sia finalizzato alle spese sanitarie in generale e non a quelle specificamente connesse al consumo del carburante (come nel caso di specie), perché spese generali che possono essere finanziate dal gettito di imposte di qualsiasi natura. Ciò conformemente ai principi statuiti dai giudici unionali che, ai fini della configurabilità della «finalità specifica», hanno ritenuto necessario che la normativa nazionale preveda meccanismi di assegnazione predeterminata a fini ambientali del gettito dell’imposta e, in mancanza di siffatta assegnazione predeterminata, che l’ imposta sia concepita, quanto alla sua struttura, segnatamente riguardo alla materia imponibile o all’aliquota d’imposta, in modo tale da scoraggiare i contribuenti dall’utilizzare i prodotti i cui effetti sono meno nocivi per l’ambiente.
Dunque, anche in relazione alla legge regionale n. 28 del 2003, deve rilevarsi che l’incasso della Regione Campania del tributo in oggetto è indebito, in quanto l’IRBA non soddisfaceva i requisiti previsti dalla Direttiva 2008/118/CE, poiché non era individuabile la finalità specifica dell’imposta in questione, la quale, in coerenza con la giurisprudenza comunitaria, doveva essere rappresentata dalla destinazione del prelievo fiscale al finanziamento di attività volte alla riduzione dell’impatto ambientale dei combustibili liquidi o ad una qualche finalità di salute pubblica riconnessa al consumo di carburante, mentre, nel caso concreto, la legislazione regionale campana aveva sostanzialmente attribuito a detta imposta unicamente un fine di bilancio, il che non consentiva di stabilire un nesso diretto tra l’uso di quel gettito tributario e le finalità (ambientali e di salute pubblica)
alle quali avrebbe dovuto essere destinato e che, dunque, l’imposta di cui si trattava non rispettava le condizioni previste dall’ U.E. e non poteva ritenersi legittima (cfr., fra le tante, con riferimento a diverse legge regionali, Cass., 31 luglio 2023, n. 23201; Cass., 19 giugno 2023, nn. 17529 e 17436; Cass., 25 maggio 2023, n. 14606; Cass., 8 marzo 2023, nn. 6966, 6961, 6956, 6943, 6923 e 6903; Cass., 6 marzo 2023, n. 6687).
Tutto ciò per addivenire alla conclusione che, nella vicenda in esame, alla base delle istanze di rimborso si collocano assestati profili di incompatibilità del prelievo con l’art. 1, par. 2, della Direttiva 2008/118/CE, di armonizzazione del sistema delle accise, per l’assenza di una «finalità specifica» qualificante il prelievo, con la conseguente abrogazione del tributo da parte del legislatore italiano con la disposizione dell’art. 1, comma 628, della legge n. 178 del 2020, con decorrenza dal l’1 gennaio 2021.
Il gettito è stato procurato da una legge dello Stato che non ha riconosciuto alcuna discrezionalità a livello locale, al punto da elidere ogni margine di autonomia finanziaria periferica e non è stato nemmeno gestito dalle Regioni, che hanno svolto un ruolo di servizio all’interno di assetti stabiliti dal legislatore statale.
Ed infatti, le procedure e gli atti necessari a fornire attuazione al prelievo (modelli, dichiarazioni di consumo, canali telematici di trasmissione, ecc.) sono stati unilateralmente definiti dall’Agenzia delle Dogane che è rimasta, inoltre, titolare delle funzioni di accertamento e riscossione coattiva del tributo.
Nessuna competenza è, dunque, residuata alle Regioni in ordine alla definizione dello schema di attuazione del tributo regolato, da ultimo, dall’art. 3 della legge n. 549 del 1995.
Ancora, la destinazione finale del gettito a favore delle regioni non costituisce un elemento sufficiente ad indurre i titolari delle azioni di rimborso a rivolgere l’istanza direttamente all’ente territoriale e l ‘Agenzia fiscale ad eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva nelle controversie giudiziarie nate dai dinieghi di rimborso del tributo.
Ritenere diversamente significa anche superare limiti di carattere operativo, prima ancora che giuridico, dal momento che agli Enti territoriali è preclusa la verifica del presupposto del diritto al rimborso non avendo avuto mai evidenza (salva l’eventuale prova processuale) degli effettivi versamenti eseguiti dai sostituti per ciascun contribuente nelle annualità in questione. In altri termini, le Regioni , a differenza dell’Erario, non hanno contezza dell’intervenuta corresponsione del tributo, disponendo di mere comunicazioni in forma aggregata sui volumi d ell’imposta che ciascun soggetto tenuto al versamento del tributo ha indirizzato all’Agenzia delle Dogane e che non permettono di verificare se e quali somme siano state versate da parte di chi abbia successivamente azionato il diritto di rimborso.
Sul piano giuridico, l’affermazione della legittimazione passiva dell’Agenzia delle Dogane, in ragione della natura erariale di prelievi normati dal legislatore statale al fine di sostituire le fonti di finanziamento degli enti periferici, tiene specificamente conto del dato normativo ( art. 3, comma 13, della legge n. 549 del 1995, che stabilisce che gli uffici tecnici di finanza effettuano l’accertamento e la liquidazione dell’imposta regionale sulla base di dichiarazioni annuali presentate, con le modalità stabilite dal Ministero delle finanze, dai soggetti obbligati al versamento dell’imposta, entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello cui si riferiscono, e trasmettono alle regioni i dati relativi alla quantità di benzina erogata nei rispettivi territori e che per la riscossione coattiva, gli interessi di mora, il contenzioso e per quanto non disciplinato dai commi da 12 a 14 del presente articolo, si applicano le disposizioni vigenti in materia di accisa sugli oli minerali, comprese quelle per la individuazione dell’organo amministrativo competente; inoltre, le regioni devono segnalare eventuali infrazioni o irregolarità all’organo competente per l’accertamento. In secondo luogo, la natura intrinsecamente erariale dell’imposta, anche da parte dei g iudici delle leggi) ed è ulteriormente confermata dalla finalità specifica del prelievo, identificata nello scopo esclusivo di creare «finanza aggiuntiva» alle Regioni, che ne giustifica la qualificazione in termini di «mero trasferimento di risorse dallo
Stato agli Enti territoriali, secondo la previsione di cui all’art. 119, secondo comma, ultima parte, Costituzione.
Da ultimo, va valorizzata la circostanza dell’assoluta marginalità delle Regioni nell’attuazione del tributo, che induce a configurarne le funzioni – sempre nell’ambito della qualificazione, strettamente, statale dell’imposta de qua e della relativa competenza attuativa – in termini di «mera tesoreria» nel trasferimento di risorse. E d’altro canto, come già detto, il riferimento del citato art. 3, comma 13, della legge n. 549 del 1995 alla competenza dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli in ordine ai servizi del contenzioso non può che evocarne sul piano processuale la legittimazione attiva e passiva.
10. Mette conto rilevare, in ultimo, che la situazione è assai prossima a quella decisa da questa Corte, in sede di rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis cod. proc. civ., con riferimento al rimborso di versamenti dell’addizionale provinciale per le accise sull’energia elettrica ( istituita dall’art. 6 del decreto-legge 511/1988, al fine di sopperire alle esigenze finanziarie degli Enti territoriali ed abrogata dall’art. 2, comma 6, del decreto legislativo n. 23 del 2011, con decorrenza 1 gennaio 2012, per le Regioni a statuto ordinario e dall’art. 4, comma 10, del decreto legge n. 16 del 2012, con decorrenza 1 aprile 2012, per le Regioni a statuto speciale, a seguito di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea per violazione della direttiva 2008/118/CE) , che ha statuito il seguente principio di diritto: « Spetta in via esclusiva all’Agenzia delle dogane e dei monopoli la legittimazione passiva nelle liti promosse dal cedente della fonte energetica per il rimborso dell’addizionale provinciale sulle accise, di cui all’ abrogato art. 6, del decreto-legge 511/1988, per forniture di energia elettrica con potenza disponibile non superiore a 200 kW » (Cass., 2 agosto 2024, n. 21883).
Deve, dunque, riconoscersi la legittimazione passiva esclusiva dell’Agenzia delle Dogane nell’azione di rimborso dell’imposta regionale sulla benzina per autotrazione incassata dalle Regioni, stante la natura erariale del prelievo previsto dal legislatore statale al solo fine di sostituire le fonti di finanziamento degli enti territoriali.
In considerazione di quanto esposto, va evidenziata la irrilevanza di eventuali Convenzioni tra Regione e Agenzia delle Dogane, in relazione alle quali il Presidente, all’udienza pubblica, ha specificamente richiesto alle parti di interloquire, che comunque ove esistenti non incidono sulla gestione dei rimborsi.
Le suddette argomentazioni implicano anche l’assorbimento dell’eccezione, sollevata dalla Regione Campania in controricorso, di inammissibilità dell’istanza di rimborso per omessa comunicazione della stessa anche all’Agenzia delle entrate competente, ex art. 29, comma 4, della legge n. 428 del 1990, dovendosi ritenere comunque che nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 25 ottobre 2017, n. 25319; Cass., 13 agosto 2018, n. 20712).
In conclusione, pronunciando sul ricorso, la sentenza impugnata va cassata e dichiarato inammissibile il ricorso originario.
Sussistono i presupposti, in considerazione dell’evoluzione normativa ed interpretativa di cui si è dato conto nonché della complessità della materia trattata, per compensare tra le parti le spese dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte pronunciando sul ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e dichiara inammissibile il ricorso introduttivo della lite.
Compensa interamente fra le parti le spese dei giudizi di merito e del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 14 gennaio 2025