Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 987 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 987 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/01/2024
DINIEGO RIMBORSO IRPEFILOR 1990/1991/1992
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13558/2022 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentato e difeso in virtù di procura speciale allegata al ricorso,
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia -sezione staccata di Catania n. 10704/06/2021, depositata il 1° dicembre 2021;
udita la relazione della causa svolta nell ‘ adunanza in camera di consiglio del l’11 ottobre 2023 dal consigliere dott. NOME COGNOME
– Rilevato che:
NOME NOME presentava all’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale di Ragusa istanza di rimborso di € 27.258,42, pari a quanto indebitamente versato a titolo di IRPEF e ILOR negli anni di imposta 1990, 1991 e 1992, in quanto eccedenti la misura del 10% prevista dall’art. 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
Il contribuente impugnava il diniego dell’Amministrazione dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Ragusa la quale, con sentenza n. 645/02/2011, pronunciata il 7 dicembre 2011, accoglieva il ricorso, condannando l’Agenzia al rimborso di quanto richiesto.
Interposto gravame da ll’Ufficio , la Commissione tributaria regionale della Sicilia – sezione staccata di Catania, con sentenza n. 3358/18/2015, pronunciata il 9 luglio 2015, rigettava l’appello .
Proposto ricorso per cassazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, questa Corte, con ordinanza n. 31622/2019, pronunciata il 18 settembre 2019 e depositata in cancelleria il 4 dicembre 2019, rigettava il ricorso.
Successivamente, l’Agenzia delle Entrate di Ragusa rimborsava nei confronti di COGNOME NOME la minor somma di € 13.629,21, oltre agli interessi legali maturati.
Avverso il silenzio dell’Ufficio sull’atto di messa in mora con cui NOME Salvatore gli aveva intimato il pagamento della residua somma di € 13.629,21, oltre interessi maturati e maturandi, lo stesso contribuente proponeva ricorso per ottemperanza della sentenza n. 3358/18/2015 dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Sicilia -sezione
staccata di Catania, la quale, con sentenza n. 10704/06/2021, pronunciata il 25 novembre 2021 e depositata in segreteria il 1 dicembre 2021, rigettava il ricorso, compensando le spese di lite.
In particolare, secondo il giudice dell’ottemperanza, l’Agenzia delle Entrate di Ragusa aveva correttamente eseguito il pagamento solo del 50% del credito riconosciuto con sentenza n. 3358/18/2015, stante la sopravvenuta normativa prevista dall’art. 1, comma 665, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, come modificato da ll’art. 16 -octies del d.l. 20 giugno 2017, n. 91, conv. dalla legge 3 agosto 2017, n. 123.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME sulla base di due motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso .
La discussione del ricorso è stata fissata dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio de ll’11 ottobre 2023, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1 cod. proc. civ.
– Considerato che:
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso il contribuente eccepisce violazione e/o falsa ap plicazione dell’art. 70 del d.l gs. 31 dicembre 1992, n. 546, e dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, che la C.T.R. sarebbe incorsa nel vizio di ultrapetizione dato che, nel merito, l’Amministrazione era stata già condannata, con sentenza definitiva, al rimborso integrale di quanto richiesto. Così decidendo, invece, il giudice a quo avrebbe illegittimamente modificato la sentenza oggetto
di ottemperanza e avrebbe così definitivamente negato il diritto acquisito al rimborso integrale del credito, non avendo neppure accertato a sufficienza la sussistenza di risorse finanziarie residue e disponibili al soddisfacimento del restante importo.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente eccepisce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, comma 665, della l . n. 190/2014, come modificato dall’art. 16 -octies del d.l. n. 91/2017, convertito dalla l. n. 123/2017, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), dello stesso codice.
Secondo il contribuente, l’art. 16 -octies cit. -norma sopravvenuta che ha introdotto il limite della rimborsabilità del 50% del dovuto -non inciderebbe sul diritto al rimborso integrale di quanto dovuto nel caso di specie, anche se in fase di liquidazione, trattandosi di diritto accertato e acquisito con sentenza definitiva.
Procedendo quindi all’esame dei motivi di ricorso, osserva la Corte quanto segue.
Entrambi i motivi di ricorso, suscettibili di trattazione unitaria in quanto attinenti alla medesima questione giuridica, sono fondati.
Occorre preliminarmente precisare che, nel caso di specie, risulta definitivamente accertato il diritto del contribuente ad ottenere il rimborso integrale delle maggiori imposte versate negli anni dal 1990 al 1992, nella misura del novanta per cento degli esborsi sostenuti.
È invece in contestazione se la modifica legislativa introdotta dall’ art. 16octies del d.l. 91/2017, conv. dalla l. n. 123/2017, che ha disposto la possibile riduzione al 50% del rimborso
spettante ai soggetti che ne abbiano diritto e che ha escluso lo stesso rimborso in caso di insufficienza o di superamento delle risorse stanziate nel bilancio dello Stato, sia applicabile alla fattispecie, e quali conseguenze ne discendano.
Deve in primo luogo rilevarsi come questa Corte, con giurisprudenza ormai consolidata, ha affermato che lo ius superveniens introdotto dal l’art. 16 -octies del d.l. n. 91/2017, conv. dalla l. n. 123/2017, ed attuato con provvedimento direttoriale – essendosi limitato a precisare che il rimborso di quanto indebitamente versato spetta ai soggetti specificamente individuati nei limiti delle risorse stanziate e, in caso di eccedenza, con la riduzione percentuale sulle somme dovute, e che, a seguito dell’esaurimento delle risorse, non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi – non incide sulla questione del diritto al rimborso spettante ai soggetti colpiti dal sisma del 1990, operando i limiti delle risorse stanziate, e venendo in rilievo eventuali questioni sui consequenziali provvedimenti liquidatori emessi dall’Agenzia delle entrate, soltanto in fase esecutiva e/o di ottemperanza ( ex multis Cass. 22 febbraio 2018, n. 4291; Cass. 25 marzo 2021, n. 8393; 22 aprile 2021, nn. 10714 e 10716; Cass. 13 novembre 2020, n. 25818; Cass. 30 settembre 2020, n. 20790; Cass. 22 febbraio 2019, n. 5300).
A supporto ulteriore di tale conclusione, oltre al tenore letterale dello stesso complesso normativo richiamato, questa Corte ha poi rilevato che costituisce ius receptum l’affermazione che, in mancanza di disposizioni transitorie, non incide sui giudizi in corso l’introduzione, con legge sopravvenuta, di un diverso procedimento amministrativo di
rimborso (Cass. 22 febbraio 2018, n. 4291; Cass. 24 aprile 2015, n. 8373).
In tale contesto, giova allora aggiungere, per la spiccata affinità con la fattispecie qui in decisione, quanto questa Corte ha già argomentato a proposito della limitazione dell’erogazione dell’indennizzo agli aventi diritto in base alla l. 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. Legge Pinto): «Affatto priva di rilevanza, infine, è l’eccezione d’illegittimità costituzionale formulata con riguardo alla citata L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 7, che limita l’erogazione dell’indennizzo agli aventi diritto entro i limiti delle risorse di bilancio annualmente disponibili. Come si dirà meglio di qui a breve, non sussiste, infatti, nel caso concreto, il diritto della parte a percepire un qualsiasi indennizzo, e ciò comporta comunque l’inoperatività di detta norma, la quale, del resto, non potrebbe mai trovare applicazione in sede di cognizione, ma solo, eventualmente, in fase di esecuzione della pronuncia di condanna dell’amministrazione a corrispondere una determinata somma a titolo di equa riparazione» (Cass. 10 aprile 2003, n. 11715, in motivazione). Tale orientamento, al quale si intende dare ulteriore continuità, riconduce dunque lo ius superveniens non alla disciplina sostanziale del diritto al rimborso, ma a quella procedimentale della sua attuazione. Il che significa quindi, sul versante giudiziario, che la relativa questione non appartiene al giudizio di cognizione, nel quale detto diritto viene accertato, ma necessariamente a quella del giudizio d’ottemperanza, nel quale esso viene attuato.
Pertanto, nelle ipotesi in cui l’Amministrazione ha eccepito la rilevanza dei limiti in questione nell’ambito del giudizio di
cognizione diretto ad accertare il diritto al rimborso, questa Corte ha ritenuto il relativo motivo infondato, se non inammissibile, ribadendo che la sede nella quale avrebbe potuto essere dedotto era quella del giudizio sull’esecuzione e/o sull’attuazione del diritto accertato (cfr. ex multis Cass. 22 aprile 2021, n. 10716; Cass. 25 marzo 2021, n. 8393; Cass. 30 settembre 2020, n. 20790; Cass. 22 febbraio 2019, n. 5300; Cass. 22 febbraio 2018, n. 4291).
Non sfugga, peraltro, la necessità anche logica di tale conclusione, giacché quantificare limitazioni e riduzioni (operative nei limiti di quanto infra si dirà) dell’attuazione di un rimborso, in relazione ad un determinato stanziamento di pubbliche risorse ed alla concomitanza di domande di diversi aventi diritto, da un lato presuppone che il singolo importo da limitare sia stato definitivamente determinato (e dunque irrevocabilmente accertato, ove sia stato controverso in giudizio); dall’altro richiede la valutazione di circostanze (le risorse stanziate e la loro capienza in rapporto alle altre domande) “esterne” alla fattispecie di pertinenza di ciascun contribuente, che sono estranee al thema decidendum del giudizio sulla singola domanda di rimborso e che verranno necessariamente a definirsi solo quando il relativo diritto al rimborso sarà ormai accertato nell’ an e nel quantum ed entro quei limiti sarà attuabile.
2.1. Traendo allora le conseguenze di quanto sinora argomentato, questa Corte ha già avuto modo di chiarire come la disciplina dei limiti di attuazione del diritto al rimborso, nella materia controversa, si applichi anche quando il relativo diritto
sia stato accertato con sentenza definitiva, a seguito di contenzioso con l’Amministrazione.
Ed infatti si è detto che «E’ peraltro consequenziale che, se la questione attiene alla fase esecutiva, qualunque sia il titolo del rimborso, compreso quello giudiziale, esso sarà sottoposto alle modalità regolamentate dalla l. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, come modificato dal d.l. n. 91 del 2017, art. 16octies , convertito con l. n. 123 del 2017» (Cass. 15 marzo 2019, n. 7368, in motivazione).
Nello stesso senso, si è ribadito che «in tema di rimborso IRPEF, i limiti quantitativi introdotti dal d.l. n. 91 del 2017, art. 16octies , si applicano ai giudizi esecutivi instaurati dopo la relativa entrata in vigore, essendo indifferente che il titolo esecutivo azionato derivi da un accertamento in via amministrativa compiuto dall’amministrazione fiscale o dal passaggio in giudicato della sentenza resa all’esito dell’instaurazione del giudizio di accertamento del diritto alla ripetizione della maggiore imposta versata» (Cass. 14 ottobre 2021, n. 28108).
Anche in questo caso, si tratta di una conseguenza logica necessaria: se la questione non pertiene al giudizio di cognizione e, pertanto, l’Amministrazione non la può porre nella fase in cui il diritto al rimborso venga definitivamente accertato, la si potrà dedurre nel giudizio in cui lo stesso diritto venga attuato e debbano applicarsi, ratione temporis , le norme che disciplinano e limitano la sua attuazione. Diversamente opinando, peraltro, il d.l. n. 91 del 2017, art. 16octies diverrebbe sostanzialmente inapplicabile.
2.2. Una volta premesso che la disciplina in questione trova la sua sede naturale nell’ambito dell’attuazione, e quindi nel giudizio d’ottemperanza, occorre individuarne gli effetti sul diritto al rimborso, nel caso di specie accertato con sentenza passato in giudicato.
Invero, l’art. 1, comma 665, della l. n. 190/2014 (come modificato dal l’art. 16 -octies d.l. n. 91/2017, conv. dalla l. n. 123/2017, e poi dall’art. 29 del d.l. 30 dicembre 2019, n. 162, conv. dalla l. 28 febbraio 2020, n. 8, ed integrato dal citato provvedimento direttoriale del 26 settembre 2017), allorquando dispone che, qualora l’ammontare delle istanze di rimborso ecceda le complessive risorse stanziate (in ultimo nell’importo di € 160.000.000,00, senza ripartizione annuale) dalla medesima norma, «i rimborsi sono effettuati applicando la riduzione percentuale del 50 per cento sulle somme dovute» e che «a seguito dell’esaurimento delle risorse stanziate dal presente comma non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi», non prevede una falcidia sostanziale del quantum del relativo credito del contribuente, nel caso di specie accertato con sentenza irrevocabile. Piuttosto, il complesso normativo in questione determina le modalità e le procedure di effettuazione del rimborso, regolando il relativo procedimento secondo criteri di ordinata contabilità dello Stato, e, tenuto conto della limitatezza delle risorse stanziate e disponibili, disciplinando l’impiego di queste ultime con l’intento di escludere, per quanto possibile, sperequazioni tra i singoli aventi diritto nel medesimo contesto cronologico e finanziario.
Nella sostanza, quindi, l’avente diritto al rimborso che, per effetto della descritta disciplina di attuazione, sia stato soddisfatto solo per metà del suo credito, o addirittura non sia stato affatto soddisfatto, non perde comunque il diritto all’integrale adempimento del rimborso, così come accertato ormai irrevocabilmente.
A tale conclusione conduce innanzitutto la stessa lettera delle disposizioni in questione, che si riferiscono unicamente all'”effettuazione dei rimborsi” e non al diritto sostanziale che ne è oggetto.
Del resto, anche il giudice delle leggi (con riferimento alla fattispecie, ante già richiamata, della c.d. “legge Pinto”, assimilabile a quella sub iudice ), ha concluso nello stesso senso, chiarendo che «La denunciata L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 7 (previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’art. 375 c.p.c.) – nel testo risultante dalla modifica da ultimo introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 55, comma 1, lett. c) (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 stabilisce che “l’erogazione degli indennizzi (per irragionevole durata del processo) agli aventi diritto avviene nei limiti delle risorse disponibili”. 2.- Tale disposizione, ovviamente, non comporta che l’esaurimento dei fondi destinati (in bilancio dell’amministrazione erogante) al pagamento degli indennizzi in questione, escluda in via definitiva l’adempimento dei giudicati di condanna ex lege n. 89 del 2001, con riguardo ai quali non vi siano al momento risorse disponibili. Comporta bensì unicamente che, in conseguenza di quella attuale
indisponibilità, il pagamento degli indennizzi di che trattasi sia differito al momento in cui sia ripristinata la disponibilità delle correlative risorse, ed avvenga, quindi, in ritardo rispetto alla data di intervenuta definitività del titolo» (Corte Cost. 15 luglio 2015, n. 157).
Più in generale, sia pur con riferimento a fattispecie diversa, la stessa Corte costituzionale ha del resto affermato che «Una decisione di giustizia che non possa essere portata ad effettiva esecuzione (eccettuati i casi di impossibilità dell’esecuzione in forma specifica) altro non sarebbe che un’inutile enunciazione di principi, con conseguente violazione degli artt. 24 e 113 Cost., i quali garantiscono il soddisfacimento effettivo dei diritti e degli interessi accertati in giudizio nei confronti di qualsiasi soggetto » (Corte. Cost., 8 settembre 1995, n. 419).
E, con riferimento ai limiti introdotti dalla medesima “legge COGNOME“, anche la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha espresso il principio secondo il quale la mancanza di risorse finanziarie non può costituire di per sé sola la ragione per non adempiere un debito riconosciuto giudizialmente (Corte EDU, 29 marzo 2006, COGNOME c. Italia, p. 90; cfr. anche Corte EDU, 21 dicembre 2010, Gaglione c. Italia, p. 35).
Infine, il contenimento della rilevanza dei limiti di stanziamento alla sola fase procedimentale di attuazione del rimborso corrisponde anche ad un’interpretazione co stituzionalmente orientata dell’art. 1, comma 665, l. n. 190/2014, come modificato dal più volte citato art. 16octies del d.l. n. 91/2017, come convertito, per evitare la possibile disparità di trattamento, contrastante con l’art. 3 Cost., che verrebbe altrimenti a crearsi tra i contribuenti i quali, per
effetto dell’art. 9, comma 17, della legge n. 289/2002, non hanno versato il 90% dell’IRPEF di cui agli anni d’imposta 1990, 1991 e 1992, godendo integralmente della relativa agevolazione, ed i contribuenti che, avendo a loro volta diritto allo stesso beneficio, hanno invece integralmente versato l’IRPEF relativa ai medesimi periodi, e debbono pertanto anch’essi poter recuperare interamente il 90% dell’imposta, pagato in eccedenza.
Infatti questa Corte, con orientamento da tempo consolidato, ha già affermato che «In tema di condono fiscale e con riferimento alla definizione automatica della posizione fiscale relativa agli anni 1990, 1991 e 1992, prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17, a favore dei soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990 che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, la definizione può avvenire in due simmetriche possibilità: in favore di chi non ha ancora pagato, mediante il pagamento solo del 10 per cento del dovuto da effettuarsi entro il 16 marzo 2003; in favore di chi ha già pagato, attraverso il rimborso del 90 per cento di quanto versato al medesimo titolo. Ciò per effetto dell’intervento normativo citato, cui va riconosciuto il carattere di ius superveniens favorevole al contribuente, tale da rendere quanto già versato non dovuto ex post» (Cass. 1 ottobre 2007, n. 20641), sottolineando che «diversamente opinando, si realizzerebbe una ingiustificata disparità di trattamento peraltro, assolutamente iniqua, in quanto (assurdamente) a tutto danno del contribuente più diligentemente osservante della legge – tra soggetti passivi della medesima fattispecie tributaria: in modo specifico, tra chi non ha pagato e chi ha
pagato. Invece, in maniera più coerente anche con gli immanenti principi di ragionevolezza, deve ritenersi che spetti a tutti il beneficio della riduzione del carico fiscale de quo ad un decimo».
2.3. Deve escludersi peraltro che, per effetto della sopravvenienza e dell’applicazione (con gli effetti di cui al paragrafo che precede) dell’art. 16 -octies del d.l. n. 91/ 2017, come convertito, e del conseguente provvedimento di attuazione del direttore dell’Agenzia delle Entrate, sia configurabile una lesione dei diritti del contribuente che evidenzi profili di illegittimità costituzionale.
Innanzitutto, per le ragioni già chiarite, il complesso normativo in questione non incide sull’ an e sul quantum del diritto sostanziale del contribuente al rimborso, come accertato dalla sentenza passata in giudicato, e non si determina, pertanto, una violazione dell’art. 24 Cost. e (per comparazione con i contribuenti che non avevano versato ab origine il 90% dell’imposta) dell’art. 3 Cost.
Inoltre, come questa Corte ha già avuto modo di rilevare, il legittimo affidamento del contribuente, nel caso di specie all’attuazione integrale del rimborso, non si traduce nell’aspettativa di intangibilità della relativa normativa, tanto meno in settori (quale quello fiscale) in cui è necessario – e di conseguenza ragionevolmente prevedibile – che le norme in vigore vengano continuamente adeguate alle variazioni della congiuntura economica (cfr. Cass. 24 febbraio 2020, n. 4848; Cass. 20 febbraio 2020, n. 4411, e giurisprudenza comunitaria ivi citata in motivazione).
Infine, attraverso il complesso della normativa di attuazione de qua , il legislatore, preso atto della limitatezza delle risorse finanziarie erariali in un dato contesto temporale e considerate le superiori finalità pubbliche cui esse sono destinate, ha realizzato un legittimo bilanciamento tra queste ultime ed i diritti del singolo contribuente; bilanciamento raggiunto, peraltro, approntando un sistema procedimentale che, operando l'”effettuazione” dei rimborsi in considerazione non solo delle risorse disponibili, ma anche del complesso delle domande proposte in un determinato periodo di tempo, incide proporzionalmente su ciascuna di queste ultime ed esclude, pertanto, sperequazioni tra i singoli aventi diritto nel medesimo contesto procedimentale, cronologico e finanziario. Fermo restando che, come si è detto, la limitazione dello specifico stanziamento non comprime il diritto sostanziale al rimborso già accertato e, come si dirà, neppure ne preclude, definitivamente o sine die , l’attuazione.
2.4. Rimane peraltro da chiarire quali siano i criteri con i quali il giudice dell’ottemperanza deve provvedere ad attuare la disciplina sinora illustrata.
Invero il Collegio è consapevole che, con precedenti arresti, è stato ritenuto che l’applicazione dei limiti al rimborso, nella fase esecutiva e quale concreta modalità di attuazione della medesima sentenza di ottemperanza, presuppone che sia «allegato dall’Amministrazione quali e quante domande di rimborso siano state presentate o integrate» (Cass. 15 marzo 2019, n. 7368, in motivazione) e che il giudice dell’ottemperanza «avrebbe dovuto verificare se era stato provato dall’Agenzia delle Entrate che l’ammontare delle
istanze di rimborso presentate eccedesse le complessive risorse stanziate dall’art. 16octies citato, e, quindi, provvedere di conseguenza» (Cass. 23 marzo 2021, n. 8380, in motivazione).
Tuttavia, tali conclusioni vanno coniugate con la considerazione della peculiarità della fattispecie controversa e dello stesso giudizio di ottemperanza.
Deve infatti innanzitutto considerarsi che, per tutto quanto sinora argomentato, i limiti al rimborso di cui si discute non sono elementi costitutivi, e neppure impeditivi, modificativi o estintivi, del diritto sostanziale al rimborso accertato nel giudizio di cognizione, integrando piuttosto delle modalità attuative e procedimentali di tale diritto, dettate direttamente dalla legge. Pertanto, la verifica dei presupposti e delle modalità con i quali essi devono operare appartiene piuttosto al procedimento di attuazione del comando giudiziale, e non è riducibile alla rigorosa applicazione degli oneri di allegazione e di prova rimessi alle parti.
Deve inoltre considerarsi la peculiare natura “attuativa” del giudizio di ottemperanza, ed in particolare di quello tributario, nel senso che (Cass. 20 giugno 2019, n. 16569, in motivazione): «5.4. Tale giudizio presenta, quindi, connotati del tutto diversi rispetto al corrispondente giudizio esecutivo civile, dal quale si differenzia, perché il suo scopo non è quello di ottenere l’esecuzione coattiva del comando contenuto nella decisione passata in giudicato, quanto piuttosto quello di dare concreta attuazione a quel comando, anche se questo non contenga un precetto dotato dei caratteri propri del titolo esecutivo (Cass. n. 646 del 18/1/2012; Cass. n. 4126 del
1/3/2004; Cass. n. 20202 del 24/9/2010), compiendo gli accertamenti indispensabili a delimitare l’effettiva portata precettiva della sentenza. 5.5. Ciò comporta che, se da un lato, il potere del giudice dell’ottemperanza sul comando definitivo inevaso non può che essere esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita con il giudicato, non potendo essere attribuiti alle parti diritti nuovi ed ulteriori rispetto a quelli riconosciuti con la sentenza da eseguire (cd. “carattere chiuso del giudizio di ottemperanza”), dall’altro lato, può – e deve – essere enucleato e precisato da quel giudice il contenuto degli obblighi scaturenti dalla sentenza da eseguire, chiarendosene il reale significato (Cass. n. 22188 del 24/11/2004; Cass. n. 28944 del 10/12/2008; Cass. n. 11450 del 25/5/2011; Cass. n. 15827 del 29/7/2016). 5.6. La sentenza e gli obblighi che da essa scaturiscono segnano, dunque, il limite dell’oggetto del giudizio in questione, potendo il ricorso per ottemperanza essere proposto solo per far valere le statuizioni che sono contenute nel giudicato o, comunque, per conseguire posizioni giuridiche che dallo stesso discendono come autonoma conseguenza di legge, ma non per trattare questioni nuove o indipendenti rispetto al giudizio conclusosi con la sentenza di cui si chiede la esecuzione; il giudice dell’ottemperanza, tuttavia, al fine di assicurare la piena attuazione del giudicato, può enucleare e precisare il contenuto degli obblighi nascenti dalla sentenza passata in giudicato (come, ad esempio, può avvenire con riguardo agli accessori del credito consacrato nel decisum che, per loro natura, devono essere considerati ricompresi nella pronuncia da eseguire). In sostanza, anche quando il comando
non risulta ben definito, il giudice dell’ottemperanza può compiere un’attività cognitiva e ricostruttiva degli obblighi sanciti dalla sentenza ormai definitiva, che non è, invece, consentita nel giudizio esecutivo civile».
È dunque in tale contesto dell’attività cognitiva e ricostruttiva degli obblighi sanciti dalla sentenza, ormai definitiva, che il giudice dell’ottemperanza ha, in ogni caso, il potere ed il dovere di compiere gli accertamenti indispensabili a delimitare l’effettiva portata precettiva della decisione da attuare, che nel caso di specie si estendono alla verifica di tutti i presupposti e di tutte le condizioni che determinano, nel senso sinora precisato, il rimborso da erogare, in considerazione delle risorse disponibili, ai sensi del l’art. 16 -octies del d.l. n. 91/2017, conv. dalla l. n. 123/2017, e del conseguente provvedimento direttoriale.
Si tratta, del resto, della medesima verifica che dovrebbe inderogabilmente compiere ex lege l’Amministrazione in sede di effettuazione del rimborso accertato dalla sentenza de qua , alla quale si sostituisce quindi il giudice dell’ottemperanza, servendosi, se necessario, del commissario ad acta.
Peraltro, proprio l’esigenza che, in sede di ottemperanza, vengano adottati – in luogo dell’ufficio che li ha omessi e nelle forme amministrative per essi prescritti dalla legge – tutti quei provvedimenti indispensabili per l’attuazione effettiva del comando giudiziale reso nei confronti dell’Amministrazione, rende necessario che il giudice dell’ottemperanza non si limiti, nella sentenza, a riprodurre genericamente il testo di cui al all’art. 70, comma 7, del d .lgs. n. 546/1992, o altra formula generica e di stile ad essa equivalente, ma, ove necessario,
disponga specificamente anche in ordine al quomodo della stessa attuazione (cfr., da ultimo, Cass. 19 maggio 2022, nn. 16289 e 16290).
2.5. L’eventuale verificata incapienza, con riferimento al momento dell’effettiva attuazione, delle risorse stanziate sugli ordinari capitoli di spesa utilizzati per il rimborso delle imposte sui redditi e dei relativi interessi, nel limite di cui all’art. 1, comma 665, della l. n. 190/2014 (come, da ultimo, modificato dal d.l. n. 162/2019) e di eventuali successivi ulteriori stanziamenti, se preclude, in tutto o in parte, l'”effettuazione” del rimborso ai sensi della medesima norma e del relativo provvedimento direttoriale che l’ha integrata, non determina, per quanto già argomentato, l’estinzione, parziale o integrale, del relativo diritto sostanziale del contribuente, e non preclude quindi definitivamente, né procrastina sine die , la sua integrale attuazione, secondo gli strumenti a disposizione dell’Amministrazione e, dunque, del commissario ad acta nominato dal giudice dell’ottemperanza, che nella relativa sentenza deve precisare il quomodo dell’intervento sostitutivo.
A tal fine, va considerato che secondo la stessa prassi amministrativa (nota n. 32882 del 25 marzo 2002 del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato del Ministero dell’Economia e delle Finanze; nota n. 2002/81152 dell’11 aprile 2002 della Direzione Centrale Amministrativa dell’Agenzia delle Entrate; circolare dell’Agenzia delle entrate 4 febbraio 2003, n. 5/E, p. 4; circolare della Ragioneria generale dello Stato n. 24/2014, p. 6 e 7, con specifico riferimento alle Agenzie fiscali ed al giudizio di ottemperanza tributario; cfr. altresì circolare della Ragioneria generale dello
Stato n. 24/2015, con riferimento alla dematerializzazione dello speciale ordine di pagamento), l’Agenzia delle Entrate, ed in sostituzione di quest’ultima il commissario ad acta , allo scopo di consentire che il giudicato trovi attuazione, sono eventualmente legittimati anche all’emanazione dello speciale ordine di pagamento in conto sospeso di cui al l’art. 14, comma 2, del d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, conv. dalla L. 28 febbraio 1997, n. 30 (ed integrato dai DD.MM. del 1 ottobre 2002 e 24 giugno 2015, relativamente alle modalità ed alle caratteristiche dell’ordine di pagamento), con il quale l’Amministrazione dello Stato può eseguire comunque il pagamento mediante emissione di uno speciale ordine rivolto all’istituto tesoriere (Banca d’Italia), al quale chiede di “anticipare” le somme necessarie ad effettuarlo, registrandolo in conto sospeso, in attesa della regolarizzazione contabile, che avverrà non appena saranno rese disponibili le necessarie risorse sul pertinente capitolo, con conseguente ripianamento dell’anticipazione.
L’ordine può essere emesso in presenza di due presupposti: la sussistenza di provvedimenti giurisdizionali o lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva, e l’assenza di disponibilità finanziaria nel pertinente capitolo di spesa. La ratio del relativo procedimento contabile è quella di evitare gli aggravi di spesa, inerenti alla procedura esecutiva, e di consentire alla P.A. di provvedere al pagamento spontaneo, per limitare il più possibile i danni al pubblico erario, derivanti dall’effettivo azionamento della procedura esecutiva e dal conseguente possibile blocco dell’attività amministrativa, contemperando in tal modo l’interesse del singolo alla realizzazione del suo diritto
con quello generale ad un’ordinata gestione delle risorse finanziarie pubbliche.
La procedura in parola può quindi essere esperita nell’ipotesi di concreta impossibilità, nei termini consentiti, di effettuare i pagamenti a carico dei pertinenti capitoli ordinari di spesa, compreso dunque quello utilizzato per il rimborso delle imposte sui redditi e dei relativi interessi (cfr., sul punto, Cass. n. 16289/2022 cit.).
In dottrina, peraltro, è stato anche affermato che l’adozione del procedimento in conto sospeso, qualora ne ricorrano i presupposti di legge, costituisce un atto dovuto, finalizzato a superare la mancanza di fondi, e che l’inerzia può comportare per l’Amministrazione maggiori oneri patrimoniali per effetto del ritardo nell’adempimento e la conseguente eventuale responsabilità del funzionario preposto all’esecuzione concreta della sentenza di condanna al rimborso a favore del contribuente.
Può quindi concludersi rilevando che la soluzione interpretativa prospettata, escludendo la falcidia del credito accertato, cosi come la sua incerta dilazione, non solo è costituzionalmente orientata, per quanto già rilevato, ma è pure conforme ai precetti della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, rispetto alla quale il largo margine di apprezzamento pur riconosciuto agli Stati nel regolare la materia fiscale (art. 1, comma 2, Protocollo n. 1), va letto alla luce del principio del “giusto equilibrio” (art. 1, comma 1), in termini di giustificazione e proporzione (Corte EDU 3 luglio 2003, RAGIONE_SOCIALE, non diversamente dalle fattispecie espropriative (Corte EDU 16 marzo 2010, Di
Belmonte vs. Italia) (in tal senso, v. Cass. 19 maggio 2022, n. 16289).
2.6. Va quindi formulato il seguente principio di diritto: “Nel giudizio tributario di ottemperanza di cui al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 70 il giudice dell’ottemperanza, adito dal contribuente per l’esecuzione del giudicato scaturente da decisione ricognitiva del diritto al rimborso d’imposte per effetto di benefici fiscali accordati in conseguenza di eventi calamitosi, deve accertare la disponibilità degli appositi fondi stanziati ai sensi della l. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, come modificato dal d.l. n. 91 del 2017, art. 16octies , conv. dalla l. n. 123 del 2017, e successivamente dal d.l. n. 162 del 2019, art. 29, comma 1, conv. dalla l. n. 8 del 2020 – e, in caso di verificata incapienza, deve attivare, con determinazioni specifiche anche tramite la nomina di un commissario ad acta , le procedure particolari previste dalla normativa di contabilità pubblica per dare completa esecuzione alla decisione del giudice di merito, compresa l’emissione dello speciale ordine di pagamento in conto sospeso, non essendo desumibile dalla normativa di riferimento, interpretata alla luce dei principi costituzionali e convenzionali, alcuna possibile falcidia di diritti patrimoniali del contribuente giudizialmente accertati».
2.7. Tanto premesso, nel caso di specie il giudice dell’ottemperanza non ha fatto buon governo dei principi sinora illustrati, in quanto avrebbe dovuto accertare la capienza o meno delle risorse stanziate e adottare i provvedimenti indispensabili all’ottemperanza ovvero determinando il quomodo dell’attuazione stessa, secondo quanto appena precisato.
Per tutte le ragioni sopra esposte, il ricorso deve accolto; la sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio per un nuovo giudizio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia -sezione staccata di Catania, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo giudizio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia -sezione staccata di Catania, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, l’11 ottobre 2023 .