Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 732 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 732 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
IRPEF RIMBORSO SILENZIO-RIFIUTO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20652/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende,
– ricorrente –
Contro
NOME, NOME, NOMECOGNOME tutti nella qualità di eredi di NOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del l’Avv. NOME COGNOME che li rappresenta e difende,
-controricorrenti –
avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA sezione staccata di Brescia, n. 295/2021, depositata il 14/01/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15 novembre 2023 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
L’Agenzia delle entrate ricorre nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, nella qualità di eredi di NOME COGNOME, che resistono con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe. Con quest’ultima la C.t.r. ha rigettato l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza della C.t.p. di Bergamo che, a propria volta, aveva accolto il ricorso dei contribuenti avverso il silenzio rifiuto frapposto dall’Ufficio all’istanza di rimborso dell’a c.d. Euroritenuta corrisposta sui redditi di capitale di fonte estera.
I contribuenti , a seguito dell’adesione all’istituto della collaborazione volontaria di cui alla legge 15 dicembre 2014, n. 186 chiedevano la restituzione dell’ Euroritenuta operata dall’intermediario estero in forza della direttiva 2003/48/CE, e, formatosi il silenzio rifiuto, ricorrevano innanzi alla C.t.p. per ottenerne il rimborso.
La C.t.r. a conferma della sentenza di primo grado, affermava che la normativa in merito all’ Euroritenuta permetteva ai contribuenti di farsi riconoscere un credito di imposta di quanto già pagato all’estero nell’ambi to della voluntary disclosure; richiamava inoltre, la norma di comportamento n. 208 del 2020 dell’AIDC la quale, a propria volta, riteneva legittimo il rico0nsocimento del rimborso nel rispetto del divieto di doppia imposizione che non poteva subire limitazioni in ragioni della voluntary disclosure. Quanto all’eccezione sollevata dall’Ufficio, con riguardo ai periodi di imposta 2014 e 2015, riteneva che la mancata indicazione nel rigo CR17 del credito di imposta, poi oggetto di domanda, integrasse unicamente un vizio formale, inidoneo ad inficiare il diritto di utilizzare il credito
I contribuenti in data 27 ottobre 2023 hanno depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate, denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per erronea applicazione dell’art. 36, comma, 2 n. 4 d.gs. 31 dicembre 1992, n. 546, dell’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., dell ‘ art. 118 disp. att. cod. proc. civ.
Censura la sentenza impugnata per aver reso motivazione apparente, unicamente per relationem rispetto alla sentenza di primo grado, e senza esporre il criterio logico sotteso al decisum .
Con il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Censura la sentenza impugnata per non essersi pronunciata sul motivo di appello con il quale aveva censurato che la C.t.p., a propria volta, non si era pronunciata su quanto eccepito in ordine all’utilizzo parziale del credito oggetto della domanda di compensazione per gli anni 2014 e 2015.
Osserva l’Ufficio che già in primo grado aveva eccepito che per l’anno di imposta 2014 il contribuente aveva omesso di compilare il quadro CR e di indicare il proprio credito al rigo CR17, nonostante la presentazione di una dichiarazione integrativa; che, invece, per l’anno 2015 aveva eccepito non solo che aveva inserito nel rigo un importo diverso da quello indicato nella certificazione relativa all’Euroritenuta, ma anche che aveva utilizzato parte del credito in compensazione. Aggiunge che la C.t.r. aveva reiterato l’omessa pronuncia in cui era già incorsa la C.t.p.
3 Con il terzo motivo denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art.
165, commi 1 e 8, t.u.i.r., de ll’art. 10 d.lgs. 18 aprile 2005 n. 84 del 2005; dell’art. 14 della Direttiva 2003/48/CE; dell’art. 1ter d.l. n. 50 del 2017 .
Censura la sentenza impugnata per aver riconosciuto il rimborso in relazione agli anni 2012 e 2013 in contrasto con quanto disposto dalla normativa eurounitaria e nazionale di recepimento mancanza del presupposto di cui all’art. 165, comma 8, t.u.i.r.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
4.1. Le Sezioni Unite della Corte hanno precisato che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile»; è esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 e 8054).
4.2. La C.t.r., se pure in modo sintetico e facendo propria sia la motivazione della sentenza di primo grado che la norma di comportamento AIDC, ha affermato che il rimborso dell’Euroritenuta è conforme al divieto di doppia imposizione e che il principio non subisce limitazioni in ragione della procedura di voluntary disclosure.
4.3. Questa Corte, per altro, ha chiarito che il ricorso per cassazione che denunci il vizio di motivazione della sentenza, perché meramente apparente, in violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., non può essere accolto qualora la questione giuridica sottesa sia comunque da disattendere, non essendovi motivo per cui un tale principio, formulato rispetto al caso di omesso esame di un motivo di appello, e fondato sui principi di economia e ragionevole durata del processo, non debba trovare applicazione anche rispetto al caso, del tutto assimilabile, in cui la motivazione resa dal giudice dell’appello sia, rispetto ad un dato motivo, sostanzialmente apparente, ma suscettibile di essere corretta ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. (Cass. 01/03/2019, n. 6145).
Deve, pertanto, rinviarsi a quanto si dirà con riferimento al terzo motivo di ricorso.
5. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
Si deve ribadire il principio di diritto già espresso dalla Corte, secondo cui in tema di procedura di collaborazione volontaria (c.d. voluntary disclosure ) in base all’art. 14 della Direttiva 2003/48/CE, e all’art. 9 dell’Accordo tra la CE e la Confederazione svizzera del 26 ottobre 2004, che vietano le doppie imposizioni, è riconosciuto al contribuente, il quale abbia così definito la propria posizione fiscale il diritto al rimborso dell’ Euroritenuta operata dall’agente pagatore sui rendimenti delle attiv ità finanziarie detenute all’estero ed oggetto di emersione. Le fonti comunitarie, convenzionali e attuative interne, per le quali lo Stato del beneficiario effettivo riconosce al contribuente un credito di imposta o il diritto al rimborso delle imposte as solte all’estero secondo la legislazione nazionale, pongono un limite esterno -garantendone un’applicazione comunitariamente e convenzionalmente orientata -alla disciplina nazionale della voluntary disclosure, e all’art.
165, commi 1 e 8, t.u.i.r., secondo cui il riconoscimento di una detrazione per le imposte pagate all’estero (per es., l’ Euroritenuta) sui redditi ivi prodotti è subordinato alla condizione che gli stessi redditi concorrano alla formazione del reddito complessivo dichiarato in Italia, ed invece la detrazione non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indi cazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata (Cass. 12/01/2023, nn. 804, 798, 753, 738 seguite da Cass. 13/01/2023, nn. 968, 975 e 977 e da Cass. 16/01/2023, nn. 1002).
5. 1. Al fine di disciplinare l’emersione ed il rientro dei capitali illecitamente detenuti all’estero da soggetti fiscalmente residenti in Italia, l’art. 1 legge 15 dicembre 2014, n. 186, ha introdotto nell’ordinamento interno la procedura di collaborazione volontaria ( voluntary disclosure ), mediante l’inserimento, degli artt. da 5 -quater a 5septies nel d.l. 28 giugno 1990, n. 167, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 1990, n. 227. È stata, così, riconosciuta ai soggetti residenti in Italia che detenevano, anche indirettamente o per interposta persona, attività e beni all’estero e che avevano omesso di rilevarli ai fini del monitoraggio fiscale, la possibilità di definire la propria posizione e di regolarizzare le violazioni commesse fino al 30 settembre 2014, versando, senza possibilità di compensazione, le dovute imposte e le sanzioni, rideterminate (queste ultime) in misura ridotta. Il pagamento del dovuto comportava il risultato premiale consistente nelle significative attenuazioni delle sanzioni di natura amministrativa e, in presenza di determinate condizioni, dell’applicazione delle esimenti penali per alcuni reati tributari (articoli 2, 3, 4, 5, 10bis e 10ter , d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74), nonché per i reati di riciclaggio (art. 648bis , cod. pen.), di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648ter , cod. pen.), e di autoriciclaggio (art. 648ter 1, cod. pen.).
In conseguenza dell’introduzione delle disposizioni di cui alla legge n. 186 del 2014, i contribuenti che avevano subìto il prelievo a titolo di Euroritenuta potevano sanare, per le annualità dal 2010 al 2013, la mancata dichiarazione dei redditi prodotti all’estero, compresi i redditi assoggettati alla ritenuta operata dall’agente pagatore (nella specie, la banca svizzera).
5. 2. L’Agenzia delle entrate -in sede di contraddittorio endoprocedimentale proprio della voluntary disclosure -ha affermato che la liquidazione delle imposte dovute per il perfezionamento della procedura dovesse essere effettuata senza scomputare l’ Euroritenuta per le annualità oggetto di emersione. La posizione dell’Ufficio (espressa altresì, nelle circolari n. 9/E 5 marzo 2015 e n. 21/E 20 luglio 2017) si fonda sull’assunto che nel caso della voluntary disclosure , i rimedi alla doppia imposizione seguono i modelli della esenzione e del credito d’imposta previsti dall’art.165 t.u.i.r. e, dunque, non sono compatibili con la stessa poiché il modello del credito d’imposta sarebbe ostacolato dal fatto che le imposte sostitutive e le ritenute assolte all’estero non risultano correlate a redditi esposti in una dichiarazione fiscale, come richiesto dall’art. 165, comma 8, t.u.i.r.
I contribuenti, tra cui i ricorrenti, hanno aderito alle determinazioni del Fisco contenute negli inviti, nella consapevolezza di non avere ottenuto lo scomputo dell’ Euroritenuta, come unica modalità per fruire dei benefìci premiali, in termini di riduzione delle sanzioni, previsti dalla procedura in discorso. Successivamente, tuttavia, ne hanno chiesto il rimborso.
5. 3. Per evitare le doppie imposizioni sui rediti prodotti all’estero da soggetti residenti l’art. 165 t.u.i.r. riconosce il credito d’imposta qualora ricorrano congiuntamente le tre seguenti condizioni: la produzione di un reddito all’estero, il concorso del reddito prodotto
all’estero alla formazione del reddito complessivo in Italia ed, infine, il pagamento di imposte estere a titolo definitivo.
5.4. La normativa in tema di voluntary disclosure e la disciplina di cui all’art.165 t.u.i.r. vanno coordinati con la direttiva 2003/48/CE del Consiglio dell’Unione Europea del 3 giugno 2003 (successivamente abrogata con effetto dal 1° gennaio 2016 dalla direttiva 2015/2060/UE) recepita in Italia dal d.lgs. 18 aprile 2005, n.84, che ha disciplinato l’ Euroritenuta (a propria volta abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 2016 dall’art. 28, comma 1, legge 7 luglio 2016, n. 122, ma le cui disposizioni, a norma del comma 6 del medesimo articolo, continuano ad applicarsi con riguardo alla ritenuta alla fonte applicata nel 2016 e negli anni precedenti). Simmetricamente, operava l’Accordo tra la Comunità europea e la Confederazione svizzera del 26 ottobre 2004 (pubbli cato in Gazzetta ufficiale dell’UE del 29/12/2004), che stabiliva misure equivalenti a quelle definite nella Direttiva 2003/48/CE del Consiglio in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi. L’art.10, d.lgs. n.84 d el 2015 allo scopo di eliminare la doppia imposizione che poteva derivare dall’applicazione della ritenuta alla fonte di cui all’articolo 11 della direttiva 2003/48/CE, prevedeva che, se gli interessi percepiti dal beneficiario effettivo residente nel territorio dello Stato erano stati assoggettati alla suddetta ritenuta, era riconosciuto un credito d’imposta determinato ai sensi dell’articolo 165 t.u.i.r. Prevedeva, altresì, che se l’importo della ritenuta era superiore all’ammontare del credito d’imposta determinato ai sensi dell’articolo 165 cit., ovvero nel caso in cui quest’ultimo non fosse applicabile, che il beneficiario effettivo potesse chiedere il rimborso, rispettivamente, dell’eccedenza o dell’intera ritenuta; in alternativa, poteva utilizzare la modalità di compensazione prevista dall’articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.
5.5. Alla luce di tale normativa, deve ritenersi che, in caso di voluntary disclosure , escludere la possibilità della detrazione del credito di imposta per l’omessa indicazione del reddito estero nelle dichiarazioni presentate per ogni singolo anno di imposta, non comporti automaticamente la negazione del diritto al rimborso dell’ Euroritenuta.
5.5.1. La direttiva del 2003, in particolare con gli articoli 11 e 14, come risulta chiaro dalla piana lettura del 21° considerando, mira all’armonizzazione fiscale, sia pure molto settoriale in tema d’imposte dirette, rendendo neutrali i passaggi trans-frontalieri di redditi. Nella direttiva, inclusi i «considerando», non si coglie alcuna distinzione tra imposizione diretta ordinaria, sostitutiva o speciale; tanto si spiega proprio con l’intento di armonizzare un settore, quello dell’emersione dei redditi trans- frontalieri, rispetto ad una imposizione diretta assai variegata tra i Paesi UE. Ci ò si estende anche ai Paesi a fiscalità «preferenziale» come la Svizzera (24° considerando), a sua volta Paese «accordista» con UE e Italia, senza che le relative fonti bilaterali facciano alcuna eccezione. Questo non consente l’introduzione «pretoria» di alcuna distinzione, attese le rigorose regole interpretative dettate dalla convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (in particolare art. 31, §1. (cfr. Cass. 17/09/2019, n. 30347, Cass. 17/04/2019, n. 10706).
5. 5.2. Se è vero che l’art.11 della direttiva riconosce il diritto al rimborso delle imposte assolte all’estero secondo la legislazione nazionale, il riferimento deve intendersi a regole procedimentali interne, non discriminatorie e non eccessive, non potendo queste ultime escludere in tutto il diritto al rimborso, come a configurare una sanzione indiretta, non rispondente a principi di adeguatezza e proporzionalità. Dunque, il fatto che la dichiarazione contra se del contribuente avvenga nell’ambito di una procedura di collaborazione volontaria -prevista da una normativa speciale ed agevolativa, che
consente di regolarizzare plurimi anni di imposta, usufruendo di un trattamento sanzionatorio più favorevole -non esclude a priori il rimborso della ritenuta pagata all’estero.
5. 5.3. Il richiamo dell’art. 10 d.lgs. n.84 del 2005 va inteso come rivolto alle sole modalità di determinazione del credito d’imposta. Inoltre, lo stesso art.10, al secondo comma, consente al contribuente di presentare l’istanza di rimborso nel caso in cui l’importo della ritenuta ecceda quella del credito d’imposta determinato ai sensi dell’art.165 t.u.i.r. oppure nei casi in cui tale ultimo articolo non risulti applicabile, all’evidente fine di consentire pienamente, oltre i limiti dell’art.165 t.u.i.r., il rimborso dell’ Euroritenuta.
5 .5.4. L’inderogabilità̀ della direttiva del 2003 ( self-executing nei suoi principi generali e comunque attuata nel diritto interno senza rilevanti differenze), degli Accordi e delle Convenzioni, che rivestono, in questa materia, un ruolo di specificità e quindi di prevalenza logicogiuridica sulle norme fiscali interne, trova conferma nell’art.75 d.P.R. n.600 del 1973 ove si prevede che «nell’applicazione delle disposizioni concernenti le imposte sui redditi, sono fatti salvi accordi internazionali resi es ecutivi in Italia» e nell’art.169 t.u.i.r. per il quale le disposizioni dello stesso testo unico «si applicano, se pi ù favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione».
5.5.5. La circostanza che la disciplina delle nuove voluntary disclosure faccia salvo lo scomputo di talune ritenute estere costituisce indice rivelatore della situazione di potenziale doppia imposizione pregiudizievole che viene a crearsi; né può dimenticarsi che lo Stato estero, quale mero adiectus solutionis causa , trattiene una modesta quota delle ritenute quale aggio per la riscossione e ne riversa la maggior parte allo Stato italiano, beneficiario effettivo. Pertanto, le fonti comunitarie, convenzionali e attuative interne, impongono
un’applicazione delle norme interne (art.165 t.u.i.r., e disciplina della collaborazione volontaria) comunitariamente e convenzionalmente orientata. In applicazione del principio comunitario del divieto di doppia imposizione, la normativa richiamata consente il riconoscimento del diritto al rimborso dell’ Euroritenuta pagata all’estero anche nel caso in cui, a seguito di autodenunzia spontanea del contribuente, lo stesso reddito, inizialmente non dichiarato, venga sottoposto ad imposizione in Italia. Ciò è ancor più ragionevole, se si pensi che al contribuente, una volta presentata l’istanza introduttiva della procedura di collaborazione volontaria, non rimane che aderire incondizionatamente agli atti dell’Agenzia delle entrate come unica modalità per ottener e i benefici premiali in termini di riduzione delle sanzioni, previste dalla normativa in parola, in quanto l’attivazione del contraddittorio con l’amministrazione comporta l’impossibilità di usufruire della procedura agevolativa.
5.5.6. Non appare convincente il parallelo tra la voluntary disclosure e l’accertamento con adesione, che sarebbe intangibile una volta perfezionatosi. L ‘art.5 -quater , comma 1, lett.b), d.l. n.167 del 1990 richiama l’art.5 d.lgs. n.218 del 1997; tale richiamo, tuttavia, ha la sola finalit à̀ di individuare la procedura attraverso cui gli uffici dell’amministrazione finanziaria gestiscono gli atti conseguenti alla collaborazione volontaria, senza che il legislatore abbia inteso ricondurre gli effetti di quest’ultima a quelli del d.lgs. n. 218 del 1997, attesa la profonda diversità dei due istituti (prima fra tutte il fatto che l’accertamento con adesione prevede una fase di contraddittorio e presuppone una delle violazioni a carico del contribuente, elementi assenti nel caso della voluntary disclosure ). L’irretrattabilità̀ , nel caso della voluntary disclosure , riguarda il contenuto della dichiarazione confessoria, cioè l’indicazione degli investimenti e delle le attività di natura finanziaria costituiti o detenuti all’estero, anche indirettamente
o per interposta persona, nei periodi d’imposta oggetto di regolarizzazione, unitamente ai documenti ed elementi necessari alla ricostruzione dei redditi connessi; essa non preclude al dichiarante di richiedere il rimborso dell’ Euroritenuta precedentemente versata, in conformità con quanto previsto dalla normativa comunitaria in materia, così come attuata nell’ordinamento italiano dall’art.10 d.lgs. n.84 del 2005).
5.5.7. Significativo in tal senso appare il superamento, in tema di ravvedimento operoso, delle limitazioni previste dall’art.165 t.u.i.r. nella citata circolare n. 9/E del 5 marzo 2015, in cui la stessa Agenzia delle entrate ha sostenuto che il reddito oggetto di integrazione deve ritenersi dichiarato e, conseguentemente, al contribuente spetta la detrazione delle imposte pagate all’estero. In sostanza, secondo quanto affermato dalla Agenzia delle entrate nella circolare n. 9/E/2015, ci ò che rileva ai fin i del riconoscimento del credito d’imposta è la circostanza che il contribuente abbia provveduto ad integrare la propria dichiarazione dei redditi per correggere errori od omissioni, mediante una successiva dichiarazione – il che è analogo a ci ò che avviene con il meccanismo della voluntary disclosure .
Il secondo motivo di ricorso è infondato.
6.1. Questa Corte ha chiarito che, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (cfr. ex plurimis Cass. 29/01/2021, n. 2151; Cass. 02/04/2020, n. 7662; Cass. 30/01/2020, n. 2153). E’ stato quindi ritenuto che « Non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza
di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto.» (Cass. 04/06/2019, n. 1525).
Si è, altresì, precisato che il vizio di omessa pronuncia differisce dal vizio di omessa motivazione. Il primo, infatti, implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, mentre il secondo presuppone l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificazione (Cass. 05/03/2021, n. 6150).
6.2. In primo luogo, la C.t.r. ha espressamente ritenuto che la mancata indicazione nel rigo CR17 del credito di imposta poi oggetto di domanda integrava un errore formale. In secondo luogo, il riconoscimento da parte della C.t.r. del diritto al rimborso, comporta evidentemente l’implicito rigetto della eccezione dell’Ufficio secondo cui parte del credito di cui alla domanda di rimborso era stato già utilizzato.
Deve pertanto concludersi che, nel caso di specie, non vi è stata omessa pronuncia sull’eccezione de qua, ma rigetto, in parte implicito, della stessa.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
Rilevato che è soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso, condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00, per esborsi, euro 7.600,00 titolo di compenso, oltre al 15 per cento sul compenso, a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, oltre iva e cpa come per legge.
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2023.