Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5288 Anno 2024
Oggetto: Tributi
diniego di rimborso di credito
Iva 2019
Civile Ord. Sez. 5   Num. 5288  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME DI COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/02/2024
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 10989 del ruolo generale dell’anno 2023, proposto
Da
RAGIONE_SOCIALE, in  persona  del  Direttore pro tempore ,  domiciliata  in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  curatore fallimentare p.t., rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO,  elettivamente domiciliato presso l’indirizzo di posta elettronica del difensore EMAIL.
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania n.  1891/2023, depositata in data 16 marzo 2023.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 gennaio 2024 dal Relatore Cons. AVV_NOTAIO NOME COGNOME NOME COGNOME di Nocera.
RILEVATO CHE
-l’RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , propone ricorso, affidato a un motivo, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania aveva accolto l’appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE, in persona del curatore p.t. avverso la sentenza n. 7530/18/2021 della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta società avverso diniego di rimborso di credito Iva maturato nel periodo prefallimentare ed esposto nella dichiarazione Iva 2020, relativa all’anno d’imposta 2019;
in punto di diritto, per quanto di interesse, il giudice di appello ha ritenuto illegittimo il diniego di rimborso in quanto sussisteva il presupposto sulla base del  quale  era  stata  richiesta  la  ripetizione  della  somma  ovvero  la  cessazione dell’attività ai sensi dell’art. 30, comma 2, del d.P.R. n. 633/1972 , essendo la dichiarazione  di  fallimento  equiparata,  ai  fini  della  richiesta  di  rimborso,  alla chiusura dell’attività di impresa.
il RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 74bis del d.P.R. n. 633/1972 per avere il giudice di appello ritenuto illegittimo il diniego di rimborso senza verificarecome contestato dall’Ufficio nella motivazione del detto atto e nelle controdeduzioni in appello- la prova da parte del contribuente, attraverso produzione di idonea documentazione contabile, dell’ esistenza sostanziale del credito Iva chiesto a rimborso, non essendo sufficiente la mera esposizione della pretesa restitutoria nella dichiarazione presentata dalla Curatela. Peraltro, ad
avviso della ricorrente, alcun rilievo avrebbe assunto la scadenza dei termini per l’accertamento  atteso  che  questi  ultimi attenevano  ai  crediti  e  non  ai  debiti vantati dall’Erario, ben potendo l’Amministrazione vagliare l’effettiva spettanza dell’Iva chiesta a rimborso dal RAGIONE_SOCIALE ‘ a riepilogo ‘ RAGIONE_SOCIALE somme pretese per il periodo pre-fallimentare.
2.Il motivo è fondato.
3. Nella motivazione del diniego di rimborso, riportata in ricorso, si legge ‘ A seguito di tale attività, dispongo il diniego della richiesta di rimborso per 226.314,00 euro per i seguenti motivi:- assenza del presupposto indicato nella richiesta: cessazione attività, articolo 30, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 … L’Amministrazione conserva in ogni caso il potere di accertare la spettanza del predetto credito nonché di rettificare la dichiarazione cui il credito si riferisce ‘. Ciò trova riscontro anche nella sentenza impugnata nella quale il giudice di appello, nella parte attinente allo svolgimento del processo, nel dare conto del contenuto RAGIONE_SOCIALE controdeduzioni in sede di gravame dell’RAGIONE_SOCIALE , evidenzia come quest’ultima avesse ribadito la legittimità del diniego di rimborso stante l’insussistenza del fatto costitutivo del diritto alla ripetizione della somma ..’ fatto salvo il riscontro della sussistenza del credito stesso ‘.
4.Va ribadito che « Incombe sul contribuente, il quale invochi il riconoscimento di un credito d’imposta, l’onere di provare i fatti costitutivi dell’esistenza del credito, e, a tal fine, non è sufficiente l’esposizione della pretesa nella dichiarazione, poiché il credito fiscale non nasce da questa, ma dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo . (In applicazione di questo principio, la RAGIONE_SOCIALEC. ha confermato la sentenza impugnata, che non aveva riconosciuto crediti vantati a titolo di IVA ed IRPEG in una precedente dichiarazione, e riportati a nuovo nella successiva a fini di compensazione, rilevando che il contribuente avrebbe dovuto fornire la prova dell’esistenza degli stessi mediante esibizione del registro IVA RAGIONE_SOCIALE vendite e del bilancio di esercizio, non essendo sufficiente la produzione della copia della dichiarazione)» (Sez. 5, Sentenza n. 18427 del 26/10/2012;
nello stesso senso, Cass., sez. 6-5, n. 26937 del 2017; Sez. 5, n. 27580 del 30/10/2018).
5.Peraltro, è giurisprudenza consolidata di questa Corte quella secondo cui la contestazione della sussistenza dei presupposti del rimborso del credito Iva è senz’altro un’attività processuale di “mera difesa” dunque non soggetta a preclusione alcuna e nemmeno a quella di cui all’art. 57, comma 2, d.lgs. 546/1992- poiché non amplia l’oggetto fattuale della lite, bensì attiva l’onere probatorio dell’attore sostanziale -quale indubbiamente è il contribuente nelle liti tributarie di rimborso- secondo il principio generale di cui all’art. 2697, cod. civ. (in questo senso, vedi ex pluribus, Sez. 5, Sentenza n. 15026 del 02/07/2014, Rv. 631523 -01); per altro verso, va escluso che nella tipologia RAGIONE_SOCIALE liti fiscali de quibus non valga il principio generale ‘ quae temporalia ad agendum, perpetua ad excipiendum ‘ (cfr. in questo senso SU 5069/2016).
Ciò premesso, sulla questione vi è stato un recente nuovo intervento RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite, che, con la sentenza n. 21766 del 29/07/2021, ha affermato, in fattispecie omogenea a quella in giudizio, il principio secondo il quale « in tema di rimborso dell’eccedenza detraibile dell’IVA, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione, che non derivi dalla sottostima dell’imposta dovuta, anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento o per la rettifica dell’imponibile e dell’imposta dovuta, senza che abbia adottato alcun provvedimento ».
Nell’affrontare la problematica le Sezioni Unite, invero, si sono fatte carico di una disamina approfondita di tutti i dubbi, sia di costituzionalità che di compatibilità unionale, che la peculiarità della fattispecie normativa sollecitava. La Corte, dopo aver rilevato che «l’attività di controllo della dichiarazione è funzionale all’adempimento degli obblighi tributari, che nascono in dipendenza dell’insorgenza dei relativi presupposti, e non già a seguito dell’esercizio di quell’attività e dei conseguenti avvisi di accertamento» e che «l’omissione dell’attività di controllo si risolve nell’inadempimento definitivo di quegli obblighi», riverberandosi sul contribuente, per cui «l’amministrazione, che sia decaduta dai propri poteri di accertamento e rettifica, non può pretendere
un’imposta maggiore di quella liquidata in dichiarazione», ha peraltro posto in risalto che «il credito che nasca, invece, … dal coacervo RAGIONE_SOCIALE poste detraibili che prevalgano sul debito, e che quindi eccedano l’imposta liquidata, esiste in quanto ne sussistano i fatti generatori, sicché non è sufficiente che sia esposto in dichiarazione, né è necessario che sia accertato dall’amministrazione», «né l’inerzia può equivalere al riconoscimento implicito del credito, per l’assenza di fatti impeditivi o preclusivi del rimborso, in ragione di un obbligo dell’amministrazione di attivarsi, derivante anche dalla combinazione dei commi 2 e 5 dell’art. 6 dello statuto dei diritti del contribuente. Al contrario, il legislatore prende sì in considerazione l’inerzia, ma assegna ad essa il significato di rifiuto tacito, in quanto tale impugnabile». Ne deriva che «l’omesso esercizio del potere di controllo non determina alcun effetto accertativo del credito vantato, che può derivare soltanto dalla positiva verifica di rispondenza alla realtà di quanto dichiarato (Cass., sez. un., n. 8500/21)». Ritenere, dunque, incontrovertibile il credito «soltanto perché è indicato in una dichiarazione non più assoggettabile al potere di accertamento o verifica, striderebbe con la matrice costituzionale dell’azione impositiva, presidiata dai precetti della riserva di legge (art. 23 Cost.), del principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.), e anche dell’imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.)». Lo stesso contribuente, infatti, ha sempre la possibilità di dimostrare, in conformità al principio costituzionale di capacità contributiva, l’inesistenza anche parziale di presupposti d’imposta erroneamente dichiarati e, per conseguenza, di presentare nei termini previsti istanza di rimborso per l’«inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento», nonostante l’errore, contenuto in dichiarazione, sicché «già sul piano logico non è certo agevole costruire come titolo di un diritto, in quanto tale tendenzialmente stabile, la dichiarazione fiscale, fisiologicamente instabile, perché emendabile in ogni tempo … anche direttamente in sede contenziosa, in caso di errori di fatto o di diritto, che abbiano determinato l’indicazione di un maggior debito o di un minor credito d’imposta». Resta quindi depotenziata l’asimmetria di posizioni poiché «il fisco può contestare in ogni tempo il proprio debito, ossia la sussistenza del diritto al rimborso che non derivi dalla sottostima dell’imposta dovuta; ma il contribuente
può far valere, anche direttamente in sede contenziosa – salvo il limite suindicato – l’errore di fatto o di diritto che abbia infirmato la propria dichiarazione». E del resto «è il contribuente, che decide di chiedere il rimborso di un credito a distanza di anni dalla maturazione del diritto relativo, a scegliere, riportandolo a nuovo, di assegnare ad esso rilevanza, appunto ex novo, in ciascuna RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni successive in cui lo espone». Ne deriva che «la situazione fiscale del contribuente non è posta indefinitamente in discussione: la parte dilaziona nel tempo l’istanza di rimborso, preferendo il riporto a nuovo; la scelta conforma anche l’onere di conservazione RAGIONE_SOCIALE scritture contabili e dei documenti giustificativi del credito (si veda Cass. n. 8500/21, cit.); e comunque il silenzio rifiuto opposto all’istanza è impugnabile e apre all’accertamento giudiziale e alla definizione del rapporto». La connotazione del sistema, infine, è coerente e conforme con i principi unionali di proporzionalità ed equivalenza, nonché con il principio di neutralità dell’Iva atteso che «proprio la possibilità per l’amministrazione di contestare la sussistenza del credito indipendentemente dal decorso del termine di decadenza contemplato dall’art. 57 del d.P.R. n. 633/72 è volta a scongiurare il riconoscimento di crediti iva inesistenti, che, questo sì, si porrebbe in contrasto col principio di neutralità». Neppure resta leso il principio del legittimo affidamento atteso che «nessun affidamento tutelabile si produce al cospetto dell’omesso esercizio del potere di rettifica, di per sé privo di significatività all’interno di un sistema impositivo che trova il proprio fulcro nella fisiologia della dichiarazione, quale vero e proprio atto di responsabilità autoimpositiva e autoliquidativa». Da ciò la conclusione che «quanto agli artt. 23 e 53 Cost. è proprio l’applicazione dei principi ivi stabiliti che esclude la rilevanza della dichiarazione come titolo costitutivo del diritto al rimborso, anche in ipotesi di crediti inesistenti; – quanto all’art. 3 Cost., il sistema complessivo, che prevede la possibilità di rettificare in ogni tempo la dichiarazione errata in fatto o in diritto – salvo che non si siano verificate le decadenze previste dalla legge – , la facoltà di presentare istanza di rimborso nonostante si sia dichiarato l’obbligo di versamento del tributo, e la possibilità di scegliere di riportare reiteratamente a nuovo il credito, non consente di ravvisare alcuna discriminazione; in particolare, non v’è discriminazione alcuna tra chi riporta a
nuovo il credito e chi, invece, lo chiede a rimborso, in quanto in entrambi i casi i crediti sono soggetti al potere di contestazione del fisco; – quanto all’art. 97 Cost., la condotta dell’amministrazione di contestazione dell’esistenza di crediti risponde  all’obbligo,  su  di  essa  gravante,  di  assicurare  la  riscossione  dell’iva dovuta». (v. da ultimo, Cass. Sez . 5, Sentenza n. 11698 del 2022).
8.Nella sentenza impugnata, la CTR non si è attenuta ai suddetti principi, in quanto ha ritenuto illegittimo il diniego di rimborso stante l ‘asserita sussistenza del presupposto sulla base del quale era stata richiesta la ripetizione della somma ovvero la cessazione dell’attività ai sensi dell’art. 30, comma 2, del d.P.R. n. 633/1972, essendo ‘ la dichiarazione di fallimento equiparata, ai fini della richiesta di rimborso, alla chiusura dell’attività di impresa ‘; con ciò senza vagliare l’assolvimento da parte del RAGIONE_SOCIALE dell’onere probatorio a suo carico circa l’esistenza sostanziale del credito Iva chiesto a rimborso.
9.In conclusione, va accolto il ricorso con cassazione della sentenza impugnata e rinvio anche per la determinazione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità alla Corte  di  giustizia  tributaria  di  secondo  grado  della  Campania,  in  diversa composizione.
P.Q. M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la determinazione  RAGIONE_SOCIALE  spese  del  giudizio  di  legittimità,  alla  Corte  di  giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione.
Così deciso in Roma il 24 gennaio 2024