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Rimborso credito IVA: onere della prova del contribuente

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5288/2024, ha stabilito un principio fondamentale in materia di rimborso credito IVA. Anche in caso di richiesta avanzata da una procedura fallimentare per cessazione di attività, il contribuente ha sempre l’onere di provare l’effettiva esistenza del credito. La semplice indicazione nella dichiarazione fiscale non è sufficiente. L’Amministrazione Finanziaria può contestare la richiesta e pretendere la documentazione contabile a supporto, anche se sono scaduti i termini per l’accertamento, agendo in ‘mera difesa’ del proprio operato.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rimborso Credito IVA: La Prova è Sempre a Carico del Contribuente

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 5288 del 28 febbraio 2024) ha ribadito un principio cruciale per le imprese: per ottenere il rimborso credito IVA, non è sufficiente indicarlo in dichiarazione. È sempre necessario dimostrarne l’effettiva esistenza con prove documentali, anche quando la richiesta è legata alla cessazione dell’attività, come nel caso di un fallimento. Questa decisione chiarisce che l’onere della prova grava interamente sul contribuente e che l’Amministrazione Finanziaria ha il diritto di contestare la richiesta in qualsiasi momento.

I Fatti del Caso: La Richiesta di Rimborso di un’Azienda Fallita

Il caso analizzato riguarda una società a responsabilità limitata, dichiarata fallita, la cui curatela aveva richiesto il rimborso di un cospicuo credito IVA maturato nel periodo precedente al fallimento. La richiesta si basava sulla cessazione dell’attività, una delle condizioni previste dalla legge (art. 30, d.P.R. 633/1972) per poter chiedere a rimborso l’eccedenza IVA.

L’Agenzia delle Entrate, tuttavia, aveva respinto la richiesta. La motivazione del diniego era chiara: la curatela non aveva fornito alcuna prova documentale (come registri IVA, fatture, bilanci) a sostegno dell’esistenza sostanziale del credito vantato. La semplice esposizione del credito nella dichiarazione IVA non era ritenuta sufficiente.

La Commissione Tributaria di secondo grado aveva dato ragione all’azienda fallita, ritenendo illegittimo il diniego perché il presupposto formale della cessazione di attività era stato soddisfatto. L’Agenzia delle Entrate ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

La Decisione della Cassazione e l’Onere della Prova del rimborso credito IVA

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza di secondo grado. I giudici supremi hanno riaffermato un principio consolidato, rafforzato da un precedente intervento delle Sezioni Unite (sent. n. 21766/2021): il credito fiscale non nasce dalla dichiarazione, ma dal “meccanismo fisiologico di applicazione del tributo”.

Di conseguenza, chi invoca il riconoscimento di un credito d’imposta ha sempre l’onere di provare i fatti costitutivi della sua esistenza. La dichiarazione è solo un atto formale che espone una pretesa, ma non costituisce di per sé una prova.

Le Motivazioni della Sentenza: Perché la Dichiarazione non Basta per il rimborso credito IVA

La Corte ha spiegato in modo approfondito le ragioni giuridiche alla base della sua decisione, delineando i confini dei poteri dell’Amministrazione e degli oneri del contribuente.

Il Potere di Controllo dell’Amministrazione Finanziaria

L’aspetto più rilevante è che la contestazione dell’esistenza del credito da parte dell’Agenzia non è un’attività di accertamento soggetta a termini di decadenza. Si tratta, invece, di un’attività di “mera difesa” processuale. Quando il contribuente chiede un rimborso, avvia un’azione legale in cui è attore sostanziale. L’Amministrazione, come convenuto, ha il diritto di difendersi contestando il fondamento della pretesa, ovvero l’esistenza stessa del credito.

Questo potere di contestazione non è limitato dai termini di accertamento, poiché questi ultimi si applicano alla rettifica di debiti d’imposta non dichiarati o sottostimati, non alla verifica di crediti chiesti a rimborso.

L’Onere della Prova Ricade sul Contribuente

La Cassazione ha chiarito che il principio generale dell’onere della prova (art. 2697 c.c.) si applica pienamente al diritto tributario. Il contribuente deve fornire la documentazione contabile idonea a dimostrare la legittimità e l’effettiva esistenza del credito IVA. Questo include registri IVA, fatture di acquisto e vendita, e bilanci d’esercizio. Produrre la sola copia della dichiarazione è insufficiente.

Il giudice di secondo grado ha errato proprio perché ha ritenuto illegittimo il diniego basandosi solo sul presupposto formale (la cessazione dell’attività), senza verificare se il Fallimento avesse assolto al proprio onere probatorio riguardo all’esistenza sostanziale del credito.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La decisione della Corte di Cassazione ha importanti implicazioni pratiche per tutte le imprese e, in particolare, per le procedure concorsuali. Il messaggio è inequivocabile: la gestione contabile e la conservazione documentale sono essenziali non solo per la vita ordinaria dell’impresa, ma anche per far valere i propri diritti in fase di liquidazione o fallimento.

Per ottenere un rimborso credito IVA, è indispensabile essere in grado di dimostrare, in qualsiasi momento, l’origine e la legittimità di tale credito. La sola dichiarazione fiscale è un punto di partenza, non un punto di arrivo. Le aziende e i curatori fallimentari devono quindi assicurarsi di avere a disposizione tutta la documentazione contabile necessaria a superare il vaglio dell’Amministrazione Finanziaria, che può legittimamente richiederla anche a distanza di anni.

La semplice esposizione di un credito nella dichiarazione IVA è sufficiente per ottenerne il rimborso?
No, secondo la Corte di Cassazione non è sufficiente. La dichiarazione fiscale espone una pretesa, ma non costituisce prova dell’esistenza del credito. Il contribuente deve sempre essere in grado di fornire la documentazione contabile che attesti l’origine e la legittimità del credito.

L’Amministrazione Finanziaria può contestare l’esistenza di un credito IVA anche dopo la scadenza dei termini per l’accertamento?
Sì. La Corte ha chiarito che, quando un contribuente chiede un rimborso, l’Amministrazione Finanziaria agisce in “mera difesa” e può contestare la fondatezza della richiesta anche se i termini per l’accertamento o la rettifica dell’imponibile sono scaduti. Questo potere non è soggetto a decadenza.

In caso di fallimento, chi deve provare l’esistenza del credito IVA richiesto a rimborso?
L’onere della prova ricade sempre sul contribuente, che in caso di fallimento è rappresentato dal curatore fallimentare. La curatela deve produrre tutta la documentazione contabile necessaria a dimostrare l’esistenza sostanziale del credito IVA maturato nel periodo pre-fallimentare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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