Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2426 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2426 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/02/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 16862-2023, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf CODICE_FISCALE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis –
Ricorrente
CONTRO
COGNOME NOME , c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, presso il cui indirizzo pec, EMAIL, è elettivamente domiciliato –
Controricorrente avverso la sentenza n. 425/02/2023 della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado RAGIONE_SOCIALE Marche, pubblicata il 9.05.2023; udita la relazione della causa svolta dal AVV_NOTAIO
nell’ adunanza camerale del 7 novembre 2024;
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza e dal ricorso si evince che COGNOME NOME, titolare della omonima RAGIONE_SOCIALE individuale, cessata nel 2001, indicò nella dichiarazione dei
IVA – Rimborsi cd. atipici – art. 21 dPR 546/92 – Decadenza
redditi relativa a quell’anno nel quadro RX un credito Iva pari ad € 14.063,00. In data 12 luglio 2006 formulò istanza di rimborso , cui l’RAGIONE_SOCIALE oppose un rigetto, sull’assunto che il contribuente aveva mancato di compilare il quadro mod. VR, riferito ai rimborsi, incorrendo così nella decadenza dal diritto al rimborso, ai sensi dell’art. 21 , d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
Il contribuente impugnò il provvedimento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Macerata, che con sentenza n. 75/01/2016 accolse le ragioni del COGNOME.
L’appello proposto dall’ufficio dinanzi alla Commissione tributaria regionale RAGIONE_SOCIALE Marche fu respinto con sentenza n. 425/02/2023. Il giudice d’appello ha rilevato che il credito -non contestato nell’an nel provvedimento di rigetto-, una volta esposto nella dichiarazione dei redditi, non richiedesse altro adempimento ai fini del rimborso, non dovendosi applicare il termine biennale prescritto dall’art. 21 comma 2, del d.lgs. 546 del 1992, ma quello decennale della prescrizione ordinaria. Nel caso di specie al contribuente, che aveva esposto il credito, mai utilizzato in compensazione e successivamente non più dichiarato perché omessa la presentazione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni negli anni successivi, sino alla cessazione dell’attività, spettasse il rimborso.
Avverso la sentenza l’Ufficio ha proposto impugnazione per la sua cassazione, affidandosi a due motivi, cui ha resistito con controricorso il contribuente.
Nell’adunanza camerale del 7 novembre 2024 la causa è stata trattata e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L ‘RAGIONE_SOCIALE ha denunciato:
con il primo motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 21 comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, e del l’art. 30, comma 1, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ. Il giudice d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che, pur se il contribuente non aveva avanzato una espressa richiesta di rimborso, l’osservanza del termine decadenziale previsto dall’art. 21, comma 2, cit., costituirebbe adempimento
di un obbligo formale e come tale inidoneo ad incidere sul diritto al rimborso, prescrivibile invece nel termine ordinario dei dieci anni.
Con il secondo motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 115, comma 1, cod. proc. civ., del l’art. 1, comma 2, del d.lgs. 546 del 1992, nonché dell’art. 2697, primo comma, cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3) e 4), cod. proc. civ. In subordine la sentenza sarebbe erronea, negando all’ufficio il vaglio dell’ulteriore motivo di gravame formulato in appello, relativo alla denunciata assenza di prova della effettiva esistenza del credito d’imposta.
Il primo motivo è infondato nei termini appresso chiariti.
Questa Corte, con principio ormai consolidato, ha statuito che la domanda di rimborso del credito IVA deve essere tenuta distinta da quella di compensazione dell’imposta con altro debito fiscale, sicché, laddove l’istanza del contribuente sia formulata in termini di compensazione, e non denoti l’inequivocabile volontà di ottenere il rimborso del credito, mediante l’indicazione dello stesso nel quadro “RX4” nella dichiarazione annuale, non si applica – salvo ipotesi eccezionali in cui la compensazione non può più essere effettuata (ad es., per cessazione dell’attività o morte del contribuente) – il termine ordinario decennale di prescrizione, bensì quello di decadenza biennale previsto dall’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass., 10 agosto 2022, n. 24655; 1 settembre 2023, n. 25612).
Si è infatti affermato che alla domanda di rimborso non rientrante tra quelle previste dall’art. 30 del d.P.R. n. 633 del 1972, si applica l’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, di carattere residuale e secondo il quale “la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto della restituzione ‘ (ex multis, cfr. Cass., 23 ottobre 2015, n. 21674; 31 luglio 2019, n. 20573; 11 dicembre 2019, n. 32424; 10 agosto 2022, n. 24655; 5 dicembre 2022, n. 35717; 8 agosto 2023, n. 24194; 1 settembre 2023, n. 25612; 14 dicembre 2023, n. 35042).
Si tratta di giurisprudenza conforme al diritto unionale, come interpretato dalla Corte di Giustizia, secondo cui il principio di neutralità
dell’IVA esige che la detrazione o il rimborso dell’ imposta armonizzata sia concesso anche se taluni requisiti formali siano stati omessi dai soggetti passivi, purché vengano comunque soddisfatti i requisiti sostanziali e comunque tenendo conto della necessità di limiti temporali (Corte di Giustizia UE, 8 dicembre 2022, RAGIONE_SOCIALE, C-247/21, punto 59; Corte di Giustizia UE, 21 ottobre 2021, RAGIONE_SOCIALE, C-80/20, punto 76; Corte di Giustizia UE, 19 aprile 2018, NOME COGNOME, C580/16, punti 50 e 51; Corte di Giustizia UE, 27 settembre 2007, Collée, C146/05, punto 31).
Analogamente, in tema di detrazioni, si è affermato che questa può essere esercitata anche oltre il periodo di imposta, purché ciò avvenga nel rispetto RAGIONE_SOCIALE normative di diritto interno, non potendo tale diritto essere esercitato senza limiti di tempo (Corte di Giustizia UE, 28 luglio 2016, COGNOME, C332/15, punti 32, 33), per cui non osta al diritto dell’Unione una norma di diritto interno che preveda che il diritto di detrazione sia sottoposto a decadenza, purché sia rispettato il principio di equivalenza (Corte di Giustizia UE, 14 ottobre 2021, C-45/20 e C-46/20, punti 59 -62).
Ed invero, anche il giudice comunitario, in materia fiscale, ha ritenuto pienamente compatibili con l’ordinamento comunitario la fissazione, da parte degli Stati membri, di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza, nell’interesse della certezza del diritto, a tutela sia del contribuente sia dell’amministrazione interessata (Corte Giust. 16 dicembre 1976, causa 33/76, COGNOME, punto 5; Corte Giust, 10 luglio 1997, causa C-261/95, COGNOME, punto 28; Corte Giust. 17 luglio 1997, causa C-90/94, NOME RAGIONE_SOCIALE; Corte Giust., 17 novembre 1998, causa C-228/96, RAGIONE_SOCIALE; Causa 21 gennaio 2010, causa C 472/08, RAGIONE_SOCIALE) (cfr. Cass., 14 giugno 2021, n. 16693).
A tal fine si è chiarito che, ai sensi dell’articolo 167 e dell’articolo 179, primo comma, della direttiva 2006/112, il diritto alla detrazione dell’IVA va esercitato, in linea di principio, nel corso dello stesso periodo in cui esso è sorto, ossia nel momento in cui l’imposta diviene esigibile e che, ciononostante, ai sensi degli articoli 180 e 182 della citata direttiva, un soggetto passivo può essere autorizzato ad operare la detrazione dell’IVA
anche se non ha esercitato il proprio diritto nel periodo in cui questo è sorto, fatto salvo, però, il rispetto RAGIONE_SOCIALE condizioni e RAGIONE_SOCIALE modalità fissate dalle normative nazionali (sentenza del 28 luglio 2016, COGNOME, C-332/15, EU:C:2016:614, punto 32 e giurisprudenza ivi citata); la possibilità di esercitare il diritto alla detrazione dell’IVA senza alcuna limitazione temporale contrasterebbe, invece, col principio della certezza del diritto, il quale esige che la situazione fiscale del soggetto passivo, considerati i diritti e gli obblighi dello stesso nei confronti dell’amministrazione fiscale, non possa essere indefinitamente rimessa in discussione (sentenza del 28 luglio 2016, COGNOME, C-332/15, EU:C:2016:614, punto 33 e giurisprudenza ivi citata.). Così, la Corte ha già dichiarato che un termine di decadenza, la cui scadenza porti a sanzionare il contribuente non sufficientemente diligente, che abbia omesso di richiedere la detrazione dell’IVA a monte, privandolo del diritto alla detrazione, non può essere considerato incompatibile col regime instaurato dalla direttiva 2006/112, purché, per un verso, detto termine si applichi allo stesso modo ai diritti analoghi in materia fiscale fondati sul diritto interno e a quelli fondati sul diritto dell’Unione (pri ncipio di equivalenza) e, per altro verso, esso non renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto a detrazione (principio di effettività) (cfr. Corte di Giustizia UE, 21 marzo 2018, Volkswagen AG, C533/16, cfr. punti 44-47, che richiama la sentenza del 28 luglio 2016, COGNOME, C-332/15, EU:C:2016:614, punti 34 e 35).
I suddetti principi sono conformi anche alla regolazione del diritto al rimborso anomalo, di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992.
Fa tuttavia eccezione l’ipotesi in cui alla esposizione del credito Iva, senza il rispetto formale di quanto richiesto ai fini dell’esercizio della istanza di rimborso, segua comunque la cessazione dell’attività, che afferisce proprio al caso di specie (RAGIONE_SOCIALE individuale cessata nel 2001), nel qual caso il diritto al rimborso incontra il solo limite della prescrizione decennale del diritto, in questo caso non ancora decorso.
Il primo motivo risulta pertanto infondato.
È invece fondato il secondo motivo, con il quale l’Amministrazione finanziaria ha contestato che il contribuente non aveva dato comunque prova dei presupposti per il riconoscimento del diritto al rimborso.
Sul punto la sentenza impugnata, con affermazione succinta e meramente assertiva, si è limitata a rilevare che « non può ritenersi in contestazione l’esistenza del diritto di credito, atteso che nel provvedimento di rigetto oggetto di impugnazione nel presente processo non è stata contestata la sussistenza del diritto, ma si è solo affermato che tale diritto era prescritto ».
Sul punto la difesa della controricorrente eccepisce che né nel provvedimento di rigetto del rimborso, né in sede contenziosa, in primo grado, l’RAGIONE_SOCIALE aveva mai messo in discussione l’an del credito iva, di cui era stato chiesto il rimborso, essendosi limitata a rilevarne la sola decadenza.
Questa Corte, secondo le regole processuali ratione temporis vigenti e in una fattispecie avente ad oggetto il rimborso parziale dell’Iva versata dal contribuente, in cui la convenuta amministrazione finanziaria si era limitata a rimettersi al giudice, nel primo grado del processo, mentre in grado di appello aveva contestato i fatti posti dal contribuente a fondamento della sua pretesa, ha chiarito come i fatti allegati da una parte possono considerarsi “pacifici”, esonerando la stessa dalla necessità di fornirne la prova, solamente quando l’altra parte abbia impostato la propria difesa su argomenti logicamente incompatibili con il disconoscimento dei fatti medesimi, ovvero quando si sia limitata a contestarne esplicitamente e specificamente taluni soltanto, evidenziando in tal modo il proprio non interesse ad un accertamento degli altri (Cass., 29 ottobre 2020, n. 23862).
Più in generale, si è affermato che nel contenzioso tributario, ove la controversia abbia ad oggetto l’impugnazione del rigetto di un’istanza di rimborso di un tributo avanzata dal contribuente, l’Amministrazione finanziaria può esercitare la facoltà di controdeduzione di cui all’art. 23 del d.lgs. n. 546 del 1992 e, quindi, prospettare, senza che si determini vizio di ultrapetizione, argomentazioni giuridiche ulteriori rispetto a quelle che hanno formato la motivazione di rigetto della istanza in sede amministrativa,
poiché, in tal caso, il contribuente assume la posizione sostanziale di attore, che deve fornire la prova della propria domanda, mentre l’Ufficio non ha esplicitato una “pretesa” (impugnata dal contribuente), quale l’avviso di accertamento o di liquidazione, o l’irrogazione di una sanzione. Ne consegue che, non potendosi attribuire alla motivazione del provvedimento di rigetto il carattere dell’esaustività, può ritenersi adeguata una motivazione del diniego che delinei gli aspetti essenziali RAGIONE_SOCIALE ragioni del provvedimento, e che si fondi sull’insussistenza dei presupposti per il rimborso, richiamando altresì le norme di riferimento e gli eventuali provvedimenti adottati. (Cass., 2 settembre 2022, n. 25999, in una fattispecie in tema di rimborso di un credito IVA, ai sensi dell’art. 30 del d.P.R. n. 633 del 1972, in cui la Corte ha ritenuto che l’Amministrazione finanziaria potesse integrare la motivazione con elementi ed argomentazione diverse ed ulteriori rispetto a quanto contenuto nel provvedimento di rigetto).
Soprattutto, sulla natura RAGIONE_SOCIALE ragioni allegate in sede d’appello, ossia se eccezioni in senso stretto, inammissibili, oppure mere difese, ammissibili, si è affermato che in tema di contenzioso tributario, l’art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 preclude in appello esclusivamente le nuove eccezioni “in senso tecnico” dalle quali, cioè, deriva un mutamento degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa ed il conseguente ampliamento del “thema decidendum”; conseguentemente, l’Amministrazione finanziaria può difendersi dall’impugnazione, da parte del contribuente, del silenziorifiuto su un’istanza di rimborso d’imposta eccependo, anche in appello, il mancato versamento degli importi richiesti o la loro utilizzazione in compensazione, poiché il rilievo integra una mera difesa o un’eccezione “in senso improprio”, ammissibile in quanto mera contestazione RAGIONE_SOCIALE censure avanzate col ricorso, non introduttiva di nuovi elementi d’indagine. E, ancora, che nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, previsto all’art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o RAGIONE_SOCIALE
censure del contribuente, che restano sempre deducibili (cfr. 21 novembre 2016, n. 23587; 22 settembre 2017, n. 22105; 29 ottobre 2020, n. 23862; 14 ottobre 2022, n. 30227; 28 aprile 2023, n. 11284).
Ebbene, a fronte RAGIONE_SOCIALE ragioni espresse nel provvedimento di rigetto, ossia la decadenza dal diritto al rimborso, questione logicamente prioritaria sulla quale l’amministrazione aveva opposto il riconoscimento del diritto al rimborso, la contestazione dei presupposti del rimborso sollevata esplicitamente in sede d’appello non costituisce affatto una eccezione in senso stretto, ma una mera difesa, non esclusa affatto dalle precedenti rag ioni proposte dall’ufficio. Prima ancora, se è indubbio che l’attore nel la vicenda processuale, è colui che rivendica il diritto di credito, ossia il contribuente, era questi ad avere comunque l’onere di provare i presupposti stessi del suo diritto.
Il secondo motivo è dunque fondato.
Il ricorso va pertanto accolto nei termini di cui in motivazione, con conseguente cassazione della decisione e rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di II grado RAGIONE_SOCIALE Marche, che, in diversa composizione provvederà, oltre che a liquidare le spese del giudizio di legittimità, ad esaminare le questioni poste con il secondo motivo d’appello , tenendo conto dei principi di diritto enunciati in questa pronuncia.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, rigetta il primo. Cassa la sentenza e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di II grado RAGIONE_SOCIALE Marche, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese processuali del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il giorno 7 novembre 2024