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Rimborso credito IVA: decadenza e onere della prova

La Corte di Cassazione chiarisce che, in caso di cessazione dell’attività, il diritto al rimborso credito IVA è soggetto alla prescrizione ordinaria decennale e non alla decadenza biennale. Tuttavia, spetta sempre al contribuente l’onere di provare l’effettiva esistenza del credito. L’Amministrazione finanziaria può contestare tale esistenza anche in appello, trattandosi di una mera difesa e non di un’eccezione nuova.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rimborso credito IVA dopo la cessazione dell’attività: le regole su prescrizione e prova

Il tema del rimborso credito IVA rappresenta una questione di grande interesse per imprese e professionisti, soprattutto al momento della cessazione dell’attività. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti su due aspetti cruciali: i termini per la richiesta e l’onere della prova sull’esistenza del credito. La decisione analizza la differenza tra decadenza biennale e prescrizione decennale, stabilendo principi fondamentali a tutela sia del contribuente che dell’erario.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un imprenditore individuale che, dopo aver cessato la propria attività nel 2001, aveva indicato nella dichiarazione dei redditi un consistente credito IVA. Anni dopo, nel 2006, presentava un’istanza di rimborso. L’Agenzia delle Entrate rigettava la richiesta, sostenendo che il contribuente fosse incorso nella decadenza biennale prevista dall’art. 21 del d.lgs. 546/1992, per non aver compilato l’apposito quadro VR nella dichiarazione.
Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale davano ragione al contribuente, affermando che, una volta esposto in dichiarazione, il credito non utilizzato fosse soggetto alla prescrizione ordinaria di dieci anni e non al termine breve di decadenza. L’Amministrazione finanziaria, non soddisfatta, ricorreva in Cassazione.

La Decisione della Cassazione sul Rimborso Credito IVA

La Corte di Cassazione ha esaminato i due motivi di ricorso presentati dall’Agenzia delle Entrate, giungendo a una decisione articolata che accoglie parzialmente le ragioni dell’Amministrazione, ma su basi diverse da quelle inizialmente contestate.

Il Termine per la Richiesta di Rimborso

Sul primo punto, la Corte ha rigettato il motivo dell’Agenzia, confermando un principio ormai consolidato. Sebbene la domanda di rimborso del credito IVA sia generalmente soggetta a un termine di decadenza biennale, esiste un’importante eccezione. Quando il credito emerge in seguito alla cessazione dell’attività, esso non può più essere utilizzato in compensazione. In questo scenario specifico, il diritto al rimborso non soggiace più al termine di decadenza biennale, ma a quello di prescrizione ordinaria decennale. Di conseguenza, la richiesta del contribuente, presentata nel 2006 per un credito del 2001, era da considerarsi tempestiva.

L’Onere della Prova sull’Esistenza del Credito

Il secondo motivo di ricorso è stato invece accolto. L’Agenzia lamentava che i giudici di merito avessero erroneamente dato per scontata l’esistenza del credito, concentrandosi solo sulla questione della prescrizione. La Cassazione ha chiarito un principio processuale fondamentale: in un giudizio per il rimborso credito IVA, il contribuente assume la posizione di attore e ha quindi l’onere di provare i fatti costitutivi della sua pretesa, ovvero l’effettiva esistenza e l’ammontare del credito. L’Amministrazione finanziaria, anche se in primo grado si è difesa eccependo unicamente la decadenza, può legittimamente contestare l’esistenza del credito in appello. Questa contestazione non costituisce un’eccezione nuova e inammissibile, ma una ‘mera difesa’ volta a contestare il fondamento stesso della domanda del contribuente.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione distinguendo nettamente le due questioni. La disciplina dei termini (decadenza vs. prescrizione) è una questione di diritto, e la giurisprudenza ha consolidato l’applicazione del termine decennale per i crediti IVA post-cessazione. Questa scelta tutela il principio di neutralità dell’IVA, garantendo al contribuente la possibilità di recuperare l’imposta assolta sugli acquisti anche dopo la fine dell’attività. D’altra parte, le regole processuali sull’onere della prova sono inderogabili. La pretesa di rimborso si basa sull’esistenza di un credito, e spetta a chi lo vanta dimostrarne la fondatezza. Il fatto che l’Amministrazione si sia inizialmente concentrata su un profilo procedurale (la decadenza) non le preclude di sollevare, in un momento successivo del giudizio, contestazioni sul merito della pretesa. I giudici di merito avevano quindi errato a considerare ‘pacifica’ l’esistenza del credito, dovendo invece esaminare le contestazioni sollevate dall’Ufficio in appello.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado. Il nuovo giudice dovrà riesaminare il caso, non più per decidere sulla tempestività della domanda (già accertata), ma per verificare, sulla base delle prove fornite dal contribuente e delle contestazioni dell’Agenzia, l’effettiva esistenza del credito IVA richiesto a rimborso. Questa pronuncia ribadisce che, anche in presenza di termini di prescrizione lunghi, il contribuente deve sempre essere pronto a documentare e provare in modo rigoroso l’origine e la consistenza dei crediti fiscali che intende recuperare.

Qual è il termine per chiedere il rimborso del credito IVA dopo la cessazione dell’attività?
In caso di cessazione dell’attività, il diritto al rimborso del credito IVA non è soggetto al termine di decadenza biennale, ma a quello di prescrizione ordinaria di dieci anni.

L’Agenzia delle Entrate può contestare l’esistenza del credito in appello se in primo grado ha eccepito solo la decadenza?
Sì. Secondo la Cassazione, la contestazione dell’esistenza del credito non è un’eccezione in senso stretto (che sarebbe inammissibile se nuova in appello), ma una ‘mera difesa’. Pertanto, l’Amministrazione può sollevarla anche in appello per contestare il fondamento della pretesa del contribuente.

Su chi ricade l’onere di provare l’esistenza del credito IVA in una causa di rimborso?
L’onere della prova ricade interamente sul contribuente. Poiché è il contribuente a richiedere il rimborso, egli assume la posizione sostanziale di attore nel processo e deve quindi fornire la prova dei fatti che costituiscono il fondamento del suo diritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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