Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19709 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19709 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15951/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE con gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
-controricorrente-
avverso la Sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 4589/2021 depositata il 21/12/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Come si apprende dagli atti, la RAGIONE_SOCIALE, esercente l’attività di commercio all’ingrosso di cereali, nell’anno d’imposta 2011 effettuava versamenti IRES in eccesso rispetto al saldo a debito emergente dal rigo RN23 del modello UNICO SC 2012.
Al fine di ottenere il rimborso delle somme versate in eccesso, la contribuente, in data 24 maggio 2016 , presentava dichiarazione integrativa a favore riferita al modello UNICO SC 2012.
Successivamente, in data 7 giugno 2016, presentava istanza di rimborso alla competente Direzione Provinciale dell’Agenzia delle entrate.
L ‘Ufficio, con provvedimento notificato in data 13 luglio 2018, rigettava l’istanza, ritenendo che, pur essendo la dichiarazione integrativa tempestiva, l’art. 2 c. 8 e 8 bis del DPR 322/98 dispongono che il credito derivante da dichiarazione integrativa a favore possa essere utilizzato esclusivamente in compensazione, a fronte di debiti maturati dal periodo di imposta successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione integrativa.
Il suddetto provvedimento di diniego , sull’assunto che l’utilizzo in compensazione del credito rappresenti non un obbligo, bensì una facoltà del contribuente, veniva impugnato dalla società avanti alla CTP di Milano, che accoglieva il ricorso della contribuente.
Quindi, la CTR della Lombardia, con la sentenza indicata in epigrafe, a ccoglieva l’appello del l’Agenzia delle entrate.
Avverso la predetta sentenza la società propone ricorso per cassazione sorretto da unico motivo, cui resiste con controricorso l’Ufficio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente eccepisce la Violazione e falsa applicazione dell’art. 2, commi 8 e 8 bis DPR 322/98 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. .
1.1. Premette la ricorrente che, quanto alla tempestività della dichiarazione integrativa, il giudice di appello ha ritenuto applicabile alla dichiarazione presentata nell’anno 2016 il termine stabilito dall’art. dell’art. 2, comma 8 -bis cit. come modificato dall’ articolo 5 del Decreto Legge n. 193 del 22 ottobre 2016, convertito dalla legge 1 dicembre 2016, n. 225, che ha esteso la facoltà di presentazione delle cosiddette dichiarazioni integrative a favore entro il termine di decadenza dell’accertamento stabilito dall’articolo 43 del DPR
600/17973, e non più entro il termine di presentazione della dichiarazione dell’anno successivo.
1.2. A tale riguardo, la CTR ha difatti affermato che «Considerato che le modifiche sono state apportate a decorre dal periodo d’imposta in corso al 31/12/2016, ne consegue che la dichiarazione integrativa (a favore o sfavore) riferita al periodo d’imposta 2015 e precedenti (Modello Unico/2016 e precedenti) può essere presentata entro il 31/12 del 4° anno successivo quello di presentazione del modello da correggere, ossia entro i vecchi termini per l’accertamento».
1.3. Si osserva che tale statuizione non è stata attinta da specifica contestazione dell’Agenzia, che non ha proposto ricorso incidentale, e si è limitata ad affermazioni dubitative al riguardo. E lo stesso provvedimento di diniego dell’Agenzia delle Entrate riconosceva detta tempestività, salvo poi rigettare l’istanza di rimborso sulla base di un’interpretazione giuridicamente infondata dell’art. 2, comma 8 -bis.
Fuori fuoco sono poi le generiche dissertazioni, parimenti contenute nel controricorso, in merito alla violazione del principio di competenza od alla effettiva spettanza del rimborso in relazione alla disciplina della c.d. ‘Tremonti ter’ , questioni di cui non si trova traccia alcuna nella sentenza impugnata.
1.4. Il profilo di censura da esaminare, che attinge l’unica ratio decidendi che sorregge la sentenza impugnata, attiene dunque alla possibilità per i contribuenti di richiedere il rimborso del credito emergente dalla dichiarazione integrativa, e a tal riguardo la società ribadisce che la via della compensazione non è obbligatoria, ma semplicemente una delle opzioni riconosciute per il recupero del credito.
1.5. La censura è fondata, ricordandosi che questa Corte ha affermato che, «in tema di imposte sui redditi, qualora il contribuente evidenzi nella dichiarazione, secondo le modalità
stabilite dalla legge, un credito d’imposta, non occorre da parte sua alcun altro adempimento ai fini di ottenerne il rimborso, in quanto tale condotta costituisce già istanza di rimborso, che tiene luogo, a tutti gli effetti, di quella di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, essendo l’Amministrazione -edotta, con la dichiarazione, dei conteggi effettuati dal contribuente -posta in condizione di conoscere la pretesa creditoria: da quel momento, quindi, impedita ovviamente la decadenza, decorre, secondo i principi generali, l’ordinario termine di prescrizione decennale per l’esercizio della relativa azione dinanzi al giudice tributario (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2)», sì che la successiva istanza proposta dal contribuente assume valenza di mero sollecito di pagamento in relazione all’istanza originariamente proposta in dichiarazione dal cedente, o di reiterazione di quella (Cass. Sez. 5, n. 21734 del 2014; conf.: Cass. Sez. 5, n. 10690 del 04/05/2018; Cass. Sez. 5, n. 17841 del 06/07/2018).
1.6. Ed ancora questa Corte ha affermato, in linea con i principi espressi dalle Sezioni Unite nella sentenza 7/06/2016, n. 13378, che l’emenda o la ritrattazione contenuta nella dichiarazione integrativa (d.P.R. n. 322 del 1988, ex art. 2, comma 8-bis), che si salda con l’originaria dichiarazione presentata, da un lato, e l’istanza di rimborso (d.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 38), da proporre entro 48 mesi, nel caso d’inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento, dall’altro, operano su piani diversi del rapporto d’imposta tra Amministrazione finanziaria e contribuente e costituiscono due opzioni concorrenti e non alternative, che l’ordinamento tributario offre all’interessato, a seconda che egli si attivi nel campo applicativo dell’accertamento fiscale (la dichiarazione integrativa) o nel diverso ambito della riscossione dei tributi (l’istanza di rimborso) (così Cass. 16/07/2019, n. 19002, in tema di Irap; nello stesso senso si vedano anche Cass. 15/03/2019,
n. 7389, in tema di Ires; Cass. 30/10/2018, n. 27583; Cass. 11/05/2018, n. 11507).
1.7. Né la condotta della contribuente, come asserisce l’Agenzia della entrate, può ritenersi volta ad ottenere una rimessione in termini per aggirare la decadenza sancita dall’art. 38 del DPR n. 602/1973. Infatti, non solo la dichiarazione integrativa, presentata il 24 maggio 2016, ma anche la successiva istanza di rimborso del 7 giugno 2016, risultano comunque proposte entro il termine di quarantotto mesi dai versamenti a titolo di Ires, effettuati in tra il 18 giugno ed il 16 dicembre 2012, dato quest’ultimo confermato dalla stessa Agenzia (v. controricorso, p. 5).
In conclusione, in accoglimento del ricorso, la sentenza deve essere cassata e la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ., con l’accoglimento dell’originario ricorso della società contribuente.
Si compensano le spese dei gradi di merito, stante la peculiarità delle questioni trattate.
Le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
La ricorrente ha inoltre chiesto di condannare l ‘Amministrazione per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, terzo comma c.p.c., ma tale richiesta è inammissibile essendo stata proposta con la memoria depositata in prossimità dell’adunanza e non con il controricorso (v. Cass. n. 20914/2011 e Cass. Sez. n. 27715/2018) e il Collegio non ritiene di procedervi d’ufficio, non ravvisando la sussistenza dei presupposti della mala fede o colpa grave della parte soccombente, che si è limitata a resistere al ricorso avversario (si vedano al riguardo, da ultimo, Cass. n. 19948/2023 e Cass. n. 34429/2024).
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie il ricorso originario della contribuente.
Compensa le spese dei gradi di merito.
Condanna la controricorrente al pagamento delle spese che liquida in € 7.800, oltre rimborso forfettario nella misura del 15 % dell’onorario, anticipazioni per € 200,00, accessori per IVA e CPA, se dovuti.
Così deciso in Roma, il 18/06/2025.