Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8031 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8031 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/03/2025
Rimborso IRPEG 1987
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10772/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. SICILIA n. 5351/2019, depositata in data 18 settembre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 febbraio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
Con ricorso presentato il 14 giugno 2012 la Unicredit S.p.ARAGIONE_SOCIALE già incorporante del Credito Italiano S.p.A., ha impugnato dinanzi alla C.t.p. di Agrigento il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso di crediti d’imposta IRPEG anno 1987, per € 86.496,10 derivanti dalla dichiarazione dei redditi mod. 760, per anno d’imposta 1987, della Cassa RAGIONE_SOCIALE Popolare di Palma di Montechiaro, società fusasi per incorporazione con la Cassa Rurale RAGIONE_SOCIALE di Palma di Montechiaro, con successiva modificazione della ragione sociale in “RAGIONE_SOCIALE“, soggetto da cui il Credito Italiano s.p.aRAGIONE_SOCIALE oggi Unicredit S.p.ARAGIONE_SOCIALE, con atto del 2 dicembre 1992, ha rilevato la totalità del complesso aziendale relativo all’attività bancaria esercitata e la totalità del beni e dei diritti ad esso inerenti; si costituiva anche l’Agenzia delle Entrate direzione provinciale di Agrigento – che chiedeva la conferma del proprio operato.
La C.t.p. di Agrigento, con sentenza n. 792/04/2013, accoglieva il ricorso della contribuente.
Contro tale sentenza proponeva appello l’Agenzia delle Entrate dinanzi la C.t.r. della Sicilia; si costituiva anche la contribuente, chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.
Con sentenza n. 5351/01/2019, depositata in data 18 settembre 2019, la C.t.r. adita rigettava il gravame dell’Ufficio.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Sicilia, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. La società contribuente ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 18 febbraio 2025 per la quale la contribuente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.)» l’Ufficio lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata,
la C.t.r. non ha accolto l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo per avere la contribuente impugnato un silenzio rifiuto in realtà inesistente a fronte di un provvedimento di diniego dell’istanza di rimborso emesso nel 1996 e pervenuto alla contribuente.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, cosi rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.)» l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha fatto cattiva applicazione dei principi circa l’onere probatorio, non riconoscendo come fosse il richiedente rimborso a dover dimostrare la fondatezza della propria pretesa creditoria mediante la produzione in giudizio di documentazione inerente i versamenti effettuati in eccesso e dai quali sarebbe scaturito il credito di cui trattasi.
Il primo motivo è inammissibile.
2.1. Fin dal giudizio di primo grado l’Amministrazione finanziaria ha dedotto l’inammissibilità del ricorso originario della contribuente, per l’omessa impugnazione nel termine di decadenza, ex art. 21 del d.lgs. 31/12/1992, n. 546, del diniego di rimborso di cui al provvedimento del 1996, oggi lamentando che la C.t.r. abbia errato nel non valutare a tal fine il predetto provvedimento.
2.2. Il motivo in realtà non si confronta con la sentenza impugnata che, sul punto, ha espressamente evidenziato che l’ A mministrazione non aveva dato alcuna prova dell’esistenza di un rigetto impugnabile, tale non potendosi ritenere il diniego alla manifestazione di disponibilità a estinguere i crediti ricevendo parte della somma pretesa in restituzione mediante l’assegnazione di titoli di Stato, ai sensi della l. n. 457/1994, sicché il detto provvedimento, non costituendo decisione su istanza di rimborso, non era provvedimento impugnabile ai sensi dell’art. 19 d.lgs. n. 546/1992.
2.3. Del resto, questa Corte, pronunciandosi in analogo contenzioso relativo al credito esposto in dichiarazione sempre dalla Cassa Rurale Artigiana di Palma di Montechiaro ma con riferimento ad altro anno di imposta, ha già statuito, con riferimento allo stesso provvedimento del 1996 (che riguardava, evidentemente, più anni di imposta), che il medesimo non era provvedimento impugnabile (Cass. 09/12/2021, n. 39135; analogamente Cass. 17/07/2023, n. 20648). In motivazione questa Corte ha precisato che detto provvedimento «non possa considerarsi atto impugnabile ex art. 19, comma 1, lett. g, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, non essendo qualificabile nei termini di ‘rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi’. Difatti, la richiesta respinta della “RAGIONE_SOCIALE non aveva per oggetto il rimborso del credito IRPEG per l’anno d’imposta 1986, di cui essa aveva acquistato la titolarità per effetto della cessione di azienda del 2 dicembre 1992, anche in considerazione della reiterata proposizione della relativa istanza nelle dichiarazioni annuali dei redditi ex art. 1 del D.M. 26 agosto 1994, ma l’opzione per una diversa modalità di estinzione del medesimo credito (assegnazione di titoli di Stato) ai sensi dell’art. 5, commi 1 e 1-bis, del D.L. 23 maggio 1994 n. 307, convertito, con modificazioni, dalla Legge 22 luglio 1994 n. 457. Per cui, il rifiuto di soddisfare il credito con la modalità alternativa dell’assegnazione dei titoli di Stato non poteva equivalere ad un diniego (ancorché tacito) di rimborso».
2.4. Su detta statuizione, come già evidenziato da Cass. 03/08/2023, n. 23709, è sceso il giudicato.
L’esistenza del giudicato esterno è, a prescindere dalla posizione assunta in giudizio dalle parti, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, trattandosi di un elemento che può essere assimilato agli elementi normativi astratti, essendo destinato a fissare la regola del caso
concreto; sicché, il suo accertamento non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti conformemente al principio del ne bis in idem , corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione (cfr. tra le tante, Cass. 26/06/2018, n. 16857).
Inoltre, nel giudizio di cassazione, in caso di giudicato esterno conseguente ad una sentenza della stessa Corte, la cognizione del giudice di legittimità può avvenire anche mediante quell’attività di ricerca (relazioni, massime ufficiali e consultazione del CED) che costituisce corredo del collegio giudicante nell’adempimento della funzione nomofilattica di cui all’art. 65 dell’ordinamento giudiziario e del dovere di prevenire contrasti tra giudicati, in coerenza con il divieto del ne bis in idem (cfr. Cass. 27/07/2017, n. 24740; Cass. 4/12/2015, n. 24740; Cass., Sez. U., 17/12/2007, n. 2648, che ha abbandonato il precedente orientamento – espresso da Cass., Sez. U., 6/05/2000, n. 295 – che leggeva il dovere della Corte di conoscere le proprie sentenze in funzione di garanzia della sola attività nomofilattica).
Il secondo motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
3.1. In primo luogo, esso non si confronta con la ratio della decisione; i giudici di appello, infatti, qualificando come cessione di azienda (qualificazione non oggetto di alcuna censura esplicita da parte della ricorrente) il contratto tra RAGIONE_SOCIALE e Credito Italiano s.p.aRAGIONE_SOCIALE hanno conseguentemente escluso che essa fosse soggetta agli oneri previsti per la cessione di crediti verso lo Stato dagli artt. 69 e 70 del r.d. 18/11/1923, n. 2440.
3.2. In secondo luogo, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a
seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (tra le tante: Cass. 29/05/2018, n. 13395; Cass. 19/08/2020, n. 17313; Cass. 22/07/2021, n. 20950; Cass. 29/07/2021, n. 21831, nonché in riferimento a vicende sovrapponibili a quella in esame Cass. 29/12/2021, n. 39135; Cass. 26/05/2023, n. 14766), e non concerne l’interpretazione del materiale istruttorio, tanto meno la qualificazione di un contratto. In ogni caso, questa Corte, con il precedente già citato (Cass. 29/12/2021, n. 39135, poi ribadito da Cass. 03/08/2023, n. 23709), ha già condiviso la qualificazione resa dalla C.t.r. secondo cui l’Unicredit aveva acquistato la titolarità del credito d’imposta per effetto della cessione di azienda ( ex art. 2559 cod. civ.) del 2/12/1992, che non era soggetta agli oneri previsti per la cessione di crediti verso lo Stato dagli artt. 69 e 70 r.d. 18/11/1923, n. 2440, e che era stata pubblicata nella G.U. della Repubblica Italiana ex art. 26 d.lgs. 9/12/1992, n. 481 (poi trasfuso nell’art. 58, comma 4, del d.lgs. 1/09/1993, n. 385) per gli effetti dell’art. 1264 cod. civ..
3.3. Ferme le già espresse considerazioni sulla modalità di deduzione della violazione dell’art. 2697 cod. civ., che impedisce di chiedere una rivalutazione del materiale istruttorio, la C.t.r. ha esattamente ripartito gli oneri probatori tra le parti, ritenendo che la contribuente avesse assolto il proprio.
Su analoghe vicende, per altri anni di imposta, questa Corte (Cass. 3/08/2023, n. 23709; Cass. 03/08/2023, n. 23672; Cass. 03/08/2023, n. 23666; Cass. 17/07/2023, n. 20648; Cass. 26/05/2023, n. 14766) ha già evidenziato che, nella vigenza dell’art. 3 d.P.R. 29/09/1973, n. 600, nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.l. 31/05/1994, n. 300, convertito con
modificazioni dalla l. 27/07/1994, n. 473, questa aveva ritenuto che la certificazione relativa alla ritenuta alla fonte, rilasciata dal sostituto d’imposta, non ammettesse equipollenti (cfr. Cass. 05/09/2014, n. 18734).
3.4. Con riferimento al quadro normativo successivo alle modifiche di cui all’art. 1 d.l. n. 300/1994, che ha attenuato la rilevanza formale della certificazione, si è poi affermato che, ai fini dello scomputo della ritenuta d’acconto, l’omessa esibizione del certificato del sostituto d’imposta attestante la ritenuta operata non preclude al contribuente sostituito di provare la ritenuta stessa con mezzi equipollenti, onde evitare un duplice prelievo. Si è evidenziato, in proposito, che l’attestato del sostituto è prova tipica, ma non esclusiva, la cui assenza non è in grado di esporre il sostituito a preclusioni difensive (Cass07/6/2017, n. 14138 e, tra le più recenti, Cass. 07/06/2022, n. 18179). Pertanto, l’attestazione del sostituto d’imposta costituisce per il sostituito prova tipica ancorché non esclusiva -della ritenuta subita. Tale assunto trova conforto anche nella giurisprudenza della Corte che, in tema di legittimazione del sostituto o del sostituito a richiedere il rimborso delle imposte versate a mezzo ritenuta -questione sulla quale è consolidato l’orientamento che la riconosce ad entrambi ha precisato, da un lato, che la mancanza di documentazione in allegato alla domanda di rimborso, e quindi, in sostanza, la carenza di prova per determinare l’ an ed il quantum del rimborso, non sono considerati dal legislatore direttamente motivo di rigetto o di inammissibilità dell’istanza, dando vita piuttosto ad un confronto con l’ufficio ed alla possibilità di integrazione dei documenti rilevanti; dall’altro lato che per i lavoratori dipendenti, qualora presentino il mod. 740, la prova dell’effettuazione delle ritenute, ai fini del rimborso, consiste nella sola indicazione di esse nella suddetta dichiarazione (Cass. 22/05/2019, n. 13771).
3.5. Infine, occorre richiamare il risalente e non contrastato orientamento di questa Corte che, traendo spunto dalla considerazione che il termine per l’istanza di rimborso ex art. 38 d.P.R. n. 602/1973, decorre dall’effettuazione della ritenuta e non dal suo versamento, evento estraneo alla sfera di conoscenza del sostituito, afferma che questi, qualora chieda il rimborso dell’imposta che assume indebita, riscossa in tutto o in parte alla fonte, debba fornire la prova di avere subito tale ritenuta, senza dovere, altresì, dimostrare che l’imposta sia stata effettivamente incassata dall’erario (Cass. 2/10/1996, n. 8606; Cass. 10/01/2006, n. 239; di recente, v. anche Cass. 28/04/2022, n. 13234, in motivazione; Cass. 19/04/2023, n. 10572).
Nella fattispecie in esame, la C.t.r. si è attenuta a questi principi laddove ha affermato che il credito di imposta fosse provato dai documenti in atti e che spettasse all’Ufficio muovere contestazioni specifiche in ordine alle stesse.
4. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale, non si applica l’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 4.800,00, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15 % oltre ad IVA e c.p.a. come per legge.
Così deciso in Roma il 18 febbraio 2025.
La Presidente NOME COGNOME