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Rimborso credito d’imposta: onere della prova

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria in un caso di rimborso credito d’imposta. Si chiarisce che il diniego di una modalità alternativa di estinzione del credito non è un atto impugnabile e si conferma che, in caso di acquisto del credito tramite cessione d’azienda, il contribuente ha assolto al proprio onere probatorio fornendo la documentazione in suo possesso, spettando all’Ufficio contestazioni specifiche.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rimborso credito d’imposta: la Cassazione chiarisce onere della prova e atti impugnabili

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha fornito importanti chiarimenti in materia di rimborso credito d’imposta, affrontando due questioni cruciali: la natura degli atti impugnabili e la corretta ripartizione dell’onere della prova tra contribuente e Amministrazione Finanziaria. Questa decisione consolida un orientamento favorevole al contribuente, specialmente nei casi in cui il credito derivi da operazioni complesse come le cessioni d’azienda.

I fatti del caso

La vicenda trae origine dalla richiesta di rimborso di un credito IRPEG, risalente al 1987, avanzata da un istituto di credito. Tale credito era stato originariamente maturato da una Cassa Rurale, la quale era stata successivamente incorporata in un’altra società che, a sua volta, aveva ceduto il proprio complesso aziendale bancario all’attuale istituto di credito.

L’Amministrazione Finanziaria si era opposta alla richiesta, sostenendo principalmente due argomenti: in primo luogo, l’inammissibilità del ricorso del contribuente, poiché era stato impugnato un “silenzio rifiuto” nonostante fosse già stato emesso un provvedimento di diniego anni prima; in secondo luogo, la mancata prova, da parte della società, della fondatezza del credito vantato.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato ragione al contribuente. L’Amministrazione Finanziaria ha quindi proposto ricorso per cassazione.

La questione del diniego e il corretto rimborso credito d’imposta

Il primo motivo di ricorso dell’Ufficio si basava sulla presunta tardività dell’azione del contribuente. Secondo l’Amministrazione, un provvedimento emesso nel 1996 costituiva un diniego esplicito del rimborso, che avrebbe dovuto essere impugnato nei termini di legge. Di conseguenza, l’azione successiva contro il silenzio rifiuto sarebbe stata inammissibile.

La Corte di Cassazione ha respinto questa tesi, stabilendo un principio di notevole importanza pratica. I giudici hanno chiarito che il provvedimento del 1996 non era un vero e proprio diniego del rimborso credito d’imposta. Esso, infatti, non negava l’esistenza del credito, ma rifiutava una specifica modalità di estinzione proposta dal contribuente, ovvero l’assegnazione di titoli di Stato. Un simile atto, non essendo una decisione definitiva sull’istanza di rimborso, non rientra tra i provvedimenti impugnabili ai sensi della normativa tributaria. La Corte ha inoltre sottolineato come su questo specifico punto si fosse già formato un giudicato esterno in altre sentenze relative a casi analoghi tra le stesse parti.

L’onere della prova nella cessione d’azienda

Il secondo motivo di ricorso riguardava la violazione delle norme sull’onere della prova. L’Amministrazione sosteneva che l’istituto di credito non avesse fornito documentazione sufficiente a dimostrare l’esistenza e l’ammontare del credito.

Anche su questo punto, la Corte ha dato torto all’Ufficio. I giudici hanno evidenziato che il trasferimento del credito era avvenuto nell’ambito di una cessione di azienda. In tale contesto, non si applicano le più stringenti formalità previste per la cessione di crediti verso lo Stato. La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, i quali avevano correttamente ripartito l’onere probatorio.

Le motivazioni

La Corte ha ribadito un principio consolidato: il contribuente che chiede il rimborso di un’imposta deve provare di aver subito la relativa ritenuta, ma non è tenuto a dimostrare che l’imposta sia stata effettivamente versata all’erario dal sostituto. Questo perché il versamento è un evento esterno alla sfera di conoscenza del sostituito. Nella fattispecie, la Commissione Tributaria Regionale aveva correttamente ritenuto che la documentazione prodotta dal contribuente fosse sufficiente a provare il credito. Spettava, a quel punto, all’Amministrazione Finanziaria muovere contestazioni specifiche e circostanziate, cosa che non era avvenuta. La prova dell’effettuazione delle ritenute, ai fini del rimborso, può consistere anche nella sola indicazione di esse nella dichiarazione, come avviene per i lavoratori dipendenti.

Le conclusioni

In conclusione, il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria è stato rigettato. La sentenza rafforza la tutela del contribuente, stabilendo che non ogni comunicazione dell’Ufficio costituisce un atto impugnabile e che l’onere della prova per il rimborso credito d’imposta deve essere valutato con ragionevolezza. Il contribuente deve provare il suo diritto, ma una volta forniti gli elementi a sua disposizione, l’onere di una contestazione specifica si sposta sull’Amministrazione. La decisione conferma che l’assenza della certificazione del sostituto d’imposta non preclude al contribuente la possibilità di provare la ritenuta subita con mezzi equipollenti.

Un diniego dell’Amministrazione Finanziaria è sempre un atto che si può impugnare?
No. Secondo la Corte, un atto che non decide in via definitiva sull’istanza di rimborso, ma si limita a negare una modalità alternativa di estinzione del credito (come l’assegnazione di titoli di Stato), non è un provvedimento impugnabile ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. 546/1992.

Chi deve provare l’esistenza di un credito d’imposta in caso di cessione di azienda?
L’onere della prova spetta al contribuente che chiede il rimborso (cessionario dell’azienda). Tuttavia, la Corte ha stabilito che questo onere è assolto se il contribuente produce la documentazione in suo possesso che attesta il credito. A quel punto, spetta all’Amministrazione Finanziaria contestare in modo specifico tali prove, non potendosi limitare a una generica negazione.

Per ottenere un rimborso, il contribuente deve dimostrare che lo Stato ha effettivamente incassato la ritenuta?
No. La Corte ha ribadito il principio secondo cui il contribuente (sostituito) deve solo provare di aver subito la ritenuta. Non è tenuto a dimostrare l’effettivo versamento da parte del sostituto d’imposta all’erario, poiché questo è un evento estraneo alla sua sfera di conoscenza e controllo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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